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Cochrane Corner: I corticosteroidi nel trattamento dei pazienti affetti da sepsi

giovedì, aprile 7th, 2016

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali

L’impiego di steroidi nella sepsi ha una lunga storia. Inizialmente furono proposti trattamenti con alte dosi per brevi periodi, la cui è efficacia è stata smentita da alcune revisioni alla metà degli anni’90 (1). Per questo motivo sono stati proposti regimi terapeutici a basati su dosi più basse, ma le evidenze a riguardo risultano tutt’ora contraddittorie con i due più importanti trial randomizzati che riportano conclusioni conflittuali (Annane 2002 e Sprung 2008).

Secondo le linee guida della Surviving Sepsis Campaing, i corticosteroidi non andrebbero impiegati nei pazienti con sepsi. Nel caso di pazienti con shock settico, la somministrazione andrebbe riservata a coloro i quali permangono ipotesi dopo adeguato riempimento volemico e introduzione di vasopressori. Qualora indicato, viene consigliato l’impiego di idrocortisone con dose massima giornaliera di 200 mg. Il trattamento andrebbe scalato quando non vi è più necessità di supporto aminico (2).

La revisione sistematica che andremo a vedere affronta nuovamente il tema, proponendosi di sintetizzare le evidenze fin qui pubblicate.

 

La Revisione Cochrane (3)

Titolo: Corticosteroids for treating sepsis.

Autori: Annane D, Bellissant E, Bollaert PE, Briegel J, Keh, Kupfer Y.

Citazione bibliografica: Cochrane Database Syst Rev 2015; 12: CD002243.

Link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2663326

Obiettivo: Esaminare gli effetti dei corticosteroidi sulla mortalità ad un mese e valutare se la dose e la durata del trattamento influenzano la risposta al trattamento.

Studi inclusi: trial randomizzati controllati, in cieco o meno.

Outcome primario: mortalità totale a 28 giorni

Outcome secondari: mortalità in Terapia Intensiva, mortalità intra-ospedaliera, regressione dello shock a 7 e 28 giorni, entità della disfunzione d’organo, durata della degenza in Terapia Intensiva, durata della degenza ospedaliera, eventi avversi.

N°. di studi inclusi: 33

N° di pazienti: 4268

Risultati:

 

 

Parametro

Risultato

N° di pazienti

Mortalità a 28 giorni

Corticosteroidi vs. controllo*

Risk ratio

0,87 (I.C. 95% 0,76 – 1,00)

3176

Corticosteroidi (basse dosi, lunga durata) vs. controllo

Risk ratio

0,87 (I.C. 95% 0,78 – 0,97)

2266

Corticosteroidi (alte dosi, breve durata) vs. controllo

Risk ratio

0,96 (I.C. 95% 0,80 – 1,16)

910

Corticosteroidi vs. controllo (solo studi con doppio cieco adeguato)

Risk ratio

0,95 (I.C. 95% 0,84 – 1,08)

2259

Corticosteroidi vs. controllo (solo pazienti con shock settico)

Risk ratio

0,88 (I.C. 95% 0,78 – 0,99)

1444

Mortalità intra-ospedaliera

Corticosteroidi vs. controllo

Risk ratio

0,85 (I.C. 95% 0,73 – 0,98)

2014

Corticosteroidi (basse dosi, lunga durata) vs. controllo

Risk ratio

0,91 (I.C. 95% 0,82 – 1,01)

1708

Differenza del SOFA score a 7 giorni

Corticosteroidi vs. controllo

Differenza delle medie

-1,53 (I.C. 95% -2,04 – 1,03)

1132

Eventi avversi

Sovrainfezioni

Risk ratio

1,02 (I.C. 95% 0,87 – 1,20)

2567

Iperglicemia

Risk ratio

1,26 (I.C. 95% 1,16 – 1,37)

2081

Emorragia digestiva

Risk ratio

1,24 (I.C. 95% 0,92 – 1,67)

2382

 

Tabella 1. Riassunto dei principali risultati. * solo due studi non prevedevano placebo. Basse dosi sono definite come dosi inferiori a 400 mg al giorno di idrocortisone o dosaggi equivalenti; se la durata del trattamento è ≥ a 3 giorni è definita lunga.

 

Interpretazione – conclusioni

Anche questa revisione evidenzia come l’impiego di corticosteroidi abbia un’efficacia molto scarsa nel trattamento del paziente con sepsi, anche nel caso si impieghino basse dosi per periodi prolungati. Parte dell’efficacia registrata potrebbe essere legata puramente alle limitazioni metodologiche degli studi primari, come dimostrato dalle analisi per sottogruppi: qualora vengano presi in considerazione solo gli studi di migliore qualità, l’impatto sulla sopravvivenza a 28 giorni viene completamente vanificato.

Anche l’impiego nei soli pazienti con shock settico, suggerito dalla Surviving Sepsis Campaign, sembrerebbe avere un impatto modesto, ai limiti della significatività statistica. Tali effetti devono essere considerati alla luce di un aumento del rischio di iperglicemia pari al 26%.

Questi dati potrebbero essere in qualche modo in accordo con la visione proposta recentemente nelle nuove definizione di sepsi e shock settico proposte dalla Society for Critical Care Medicine e l’European Society for Intensive Care Medicine secondo cui l’elemento con il maggior impatto sulla sopravvivenza del paziente con infezione e sepsi non è l’entità della risposta infiammatoria (la cui riduzione è l’obiettivo del trattamento con corticosteroidi) ma l’insorgenza di disfunzione d’organo. A questo riguardo, comunque, l’impiego di steroidi sembrerebbe avere un effetto benefico, garantendo la riduzione del SOFA score di circa 1,5 punti: questo dato potrebbe portare a riconsiderarne le indicazioni nei pazienti a maggiore rischio.

 

Bibliografia

  1. Lefering R, Neugebauer EAM. Steroid controversy in sepsis and septic shock: a meta-analysis. Crit Care Med 1995;23(7):1294–303. Link

  2. Dellinger RP, et al. Surviving Sepsis Campaign: International Guidelines for Management of Severe Sepsis and Septic Shock: 2012. Crit Care Med 2013; 41:580–637. Link

  3. Annane D, Bellissant E, Bollaert PE, Briegel J, Keh D, Kupfer Y. Corticosteroids for treating sepsis. Cochrane Database Syst Rev 2015; 12: CD002243. Link

  4. Singer M, et al. The Third International Consensus Definitions for Sepsis and Septic Shock (Sepsis-3). JAMA 2016;315(8):801-810. Link

COCHRANE CORNER: Sostituzione degli accessi venosi periferici: meglio a intervalli regolari o quando indicato clinicamente?

mercoledì, dicembre 9th, 2015

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali.

I cateteri venosi periferici (CVP) sono il metodo più comune e semplice per ottenere un  accesso endovenoso per la somministrazione di fluidi e farmaci. Il posizionamento di un dispositivo intravascolare che consenta l’accesso venoso periferico è una delle procedure più utilizzate nel Pronto Soccorso: secondo una rilevazione del 2010 negli Stati Uniti, venivano somministrati farmaci per via endovenosa nel 27% circa dei pazienti che accedono al Pronto Soccorso (1).
Con il progressivo prolungarsi della permanenza dei pazienti nelle Aree di Emergenza (in parte a causa della scarsità dei posti letto in ospedale, in parte per l’istituzione di Aree di Terapia Subintensiva e Osservazione Breve Intensiva all’interno dei Dipartimenti di Emergenza), uno dei problemi che si pone sempre più frequentemente riguarda il timing della sostituzione degli accessi venosi periferici.
Due sono le strategie possibili: la prima consiste nel sostituire gli accessi a intervalli regolari, ogni 72-96 ore circa, mentre la seconda prevede il riposizionamento della cannula periferica quando indicato clinicamente, in base al suo mancato funzionamento o alla presenza di segni di flogosi o infezione.

Al momento non vi sono, nelle linee guida ufficiali, indicazioni uniformi su come procedere. Mentre da un lato le raccomandazioni della Infusion Nurses Society (2) e del progetto epic3 del Servizio Sanitario Nazionale inglese (3) raccomandano di sostituire l’accesso quando clinicamente indicato, le linee guida per la prevenzione delle infezioni ospedaliere del CDC di Atalanta consigliano di sostituire l’accesso ogni 72 – 96 ore, ritenendo quella della sostituzione su base clinica una questione “ancora non risolta”.
La revisione sistematica di cui andremo a parlare in questo post si inserisce proprio in questo dibattito, tentando di fornire delle evidenze solide a sostegno dell’una o dell’altra strategia.

La Revisione Cochrane

Titolo: Clinically-indicated replacement versus routine replacement of peripheral venous catheters

Autori: Webster J, Osborne S, Rickard CM, New K

Citazione bibliografica: Cochrane Database Syst Rev 2015; 8: CD007798
Link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26272489
Obiettivo: valutare gli effetti di rimuovere gli accessi venosi periferici in base all’indicazione clinica piuttosto che rimuoverli e riposizionarli routinariamente.

Studi inclusi: trial randomizzati e controllati

Outcome primario: incidenza di infezioni del torrente circolatorio associate al catetere venoso periferico (definite come: emocoltura positiva raccolta da accesso venoso periferico + segni clinici di infezione + non altre evidenti fonti di infezione del torrente circolatorio + riscontro del medesimo micro-organismo nell’emocoltura e nell’esame colturale della punta dell’accesso venoso); tromboflebiti; infezioni del torrente circolatorio di qualsiasi origine (definite come: qualsiasi emocoltura positiva raccolta da accesso periferico mentre è posizionato un accesso venoso o entro le prime 48 dalla sua rimozione); costi (in termini di materiali e lavoro associato al posizionamento di un accesso venoso periferico).

Outcome secondari: stravaso, occlusione o malfunzionamento dell’accesso, infezione locale, mortalità.

N° di studi inclusi: 7 trial randomizzati, di cui 5 nella meta-analisi

Qualità degli studi inclusi: il bias principale riguarda l’assenza di blinding in tutti gli studi. In altri termini, sia il paziente che l’operatore erano a conoscenza del trattamento cui veniva sottoposto il paziente.

N° di pazienti: 4895.

Risultati:


Interpretazione – conclusioni

I limiti principali di questa revisione sistematica riguardano che i trial considerati non erano in cieco e la discreta dipendenza dei risultati da un singolo studio, da cui provengono i 2/3 di tutti i pazienti arruolati. Inoltre, in considerazione dei pochissimi eventi verificatisi, le conclusioni riguardanti le infezioni del torrente circolatorio totali e accesso-correlate non sono affidabili, così come per le infezioni locali.

In base ai risultati di questa revisioni sistematica, non vi sono chiare evidenze a supporto del riposizionamento degli accessi venosi ogni 72-96 ore piuttosto che quando indicato clinicamente. Bisogna però tenere conto che, sebbene non vi siano dati a riguardo in questo lavoro, è stato ipotizzato che quest’ultima strategia possa ridurre il numero di accessi effettivamente posizionati garantendo una riduzione del dolore e del discomfort associato alla procedura così come i relativi costi, sia in termini monetari che di impegno lavorativo.

Si ringrazia per la supervisione del post Vincenzo Peloponneso, infermiere presso il Dipartimento di Emergenza e Urgenza ASO S. Croce e Carle – Cuneo (@vinpel su Twitter).

Bibliografia

1. CDC. National Hospital Ambulatory Medical Care Survey: 2010 Emergency Department Summary Tables. link

2. Infusion Nurses Society. Infusion Nurses standards of practice. J Infus Nurs 2011; 34: S1 – S109. Link

3. Loveday HP, Wilson JA, Pratt RJ, Golsorkhi M, Tingle A, Bak A, Browne J, Prieto J, Wilcox M, UK Department of Health. epic3: national evidence-based guidelines for preventing healthcare-associated infections in NHS hospitals in England. J Hosp Infect. 2014;86 Suppl 1:S1-70. Link

4. O’Grady NP, Alexander M, Burns LA, Dellinger EP, Garland J, Heard SO, Lipsett PA, Masur H, Mermel LA, Pearson ML, Raad II, Randolph AG, Rupp ME, Saint S; Healthcare Infection Control Practices Advisory Committee. 2011 Guidelines for the prevention of intravascular catheter-related infections. Link

COCHRANE CORNER: La manovra di Epley per la vertigine parossistica posturale benigna

mercoledì, aprile 1st, 2015


Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali

La vertigine parossistica posturale benigna (VPPB) viene definita come una disturbo caratterizzato dal susseguirsi di brevi episodi di vertigini, della durata inferiore ad un minuto, generalmente indotti da cambiamenti di posizione del capo (1, 2) come può succedere quando ci si gira nel letto, si oscilla la testa all’indietro o ci si china in avanti (1). E’ un quadro di riscontro piuttosto frequente in Pronto Soccorso (circa il 9% dei casi di vertigine secondo Navi e colleghi (3)) con massima incidenza d’esordio tra i 60 e 70 anni; nella maggior parte non è possibile trovare una chiara causa scatenante. Questa diagnosi dovrebbe essere presa in considerazione solo nel momento in cui siano escluse cause centrali di vertigini, come per esempio ischemie del circolo posteriore, decisamente più rilevanti dal punto di vista prognostico.

La spiegazione fisiopatologica più accreditata chiama in causa la dislocazione all’interno dei canali semicircolari di piccoli otoliti (cristalli di carbonato di calcio), normalmente posizionati in corrispondenza della macula dell’utricolo. Essendo in posizione più declive rispetto all’utricolo, il canale semicircolare posteriore è quello più frequentemente coinvolto (1, 2).

Per il trattamento della VPPB del canale posteriore si è progressivamente diffuso l’impiego della manovra di Epley (o di riposizionamento dei canaliti), la cui base razionale risiede proprio nella mobilizzazione degli otoliti dal canale semicircolare posteriore nuovamente nell’utricolo, dove non provocano disturbi (2).

Al momento sono disponibili in letteratura due importanti linee guida relative al trattamento della VPPB. La prima, rilasciata dall’American Academy of Otolaryngology – Head and Neck Surgery Foundation, raccomanda di sottoporre il paziente con BPPV del canale posteriore a manovre di riposizionamento degli otoliti, tra le quali segnalano la manovra di Epley e quella di Semont (Bhattacharyya 2008). Il secondo documento, pubblicato dall’American Academy of Neurology, raccomanda più direttamente la prima (Fife 2008).

La revisione sistematica di cui parleremo (2) è l’aggiornamento di precedente versione del 2010 e si pone come obiettivo quello di valutare l’efficacia della manovra di Epley nel trattamento dei pazienti con VPPB.

 

La Revisione Cochrane

Titolo: The Epley (canalith repositioning) manoeuvre for benign paroxymal positional vertigo

Autori: Hilton MP, Pinder DK.

Obiettivo: valutare l’efficacia della manovra di Epley nel trattamento della VPPB.

Outcome primario: risoluzione completa della vertigine

Outcome secondari: negativizzazione del test di Dix-Hallpike, effetti avversi.

N°. di studi inclusi: 11 trial controllati e randomizzati, 10 dei quali inseriti nella meta-analisi

Qualità degli studi inclusi: mediamente bassa; i problemi principali riguardano le procedure di blinding.

N° di pazienti: 745 (tra 60 e 100 pazienti per studio)

Risultati:

 

Parametro

Risultato

N° di pazienti

Manovra di Epley vs. placebo

Risoluzione completa della vertigine

Odds Ratio

4,42 (I.C. 95%: 2,62 – 7,44)

273 (5 studi)

Negativizzazione del test di Dix-Hallpike

Odds Ratio

9,62 (I.C. 95%: 6 – 15,42)

507 (8 studi)

 

Tab. 1. Risultati della meta-analisi. Non è stata condotta la metanalisi per il confronto tra la manovra di Epley e altri trattamenti.

Gli eventi avversi sono stati pochi e non è stata riportata una sintesi. I principali sono stati l’insorgenza di nausea e vomito durante la procedura e l’intolleranza alla manovra legata alla presenza di problemi della colonna cervicale.

 

Interpretazione – conclusioni

In base a risultati di questa meta-analisi, la manovra di Epley è più efficace del placebo (nella maggior parte dei casi si trattava di manovre verosimili ma prive di rilevanza terapeutica) per la completa risoluzione della vertigine in pazienti affetti da VPPB; la decisione di trattare il paziente dovrebbe essere presa tenendo comunque conto della tendenza alla risoluzione spontanea del disturbo (1).

Il principale aspetto positivo di questo lavoro è la capacità di dimostrare un’efficacia terapeutica consistente (il trattamento quadruplica di fatto la probabilità di risoluzione del disturbo) a fronte di effetti avversi quasi trascurabili. Per altro verso, la portata di questo risultato positivo è in parte ridimensionata da alcuni problemi metodologici. In primo luogo, l’eterogeneità tra i singoli studi è alta (I2 tra 68% e 72%) e gli Autori non provano neanche ad ipotizzarne le potenziali cause (tra le quali, si possono annoverare, secondo me, il differente setting in cui sono stati eseguiti gli studi e alcune differenze nelle manovre eseguite). Inoltre, i lavori erano mediamente di bassa qualità, cosa che potrebbe aver comportato una sovrastima dei benefici stimati. Infine, un ultimo problema è legato alla natura “soft” dell’outcome principale, il quale è esposto ad una certa soggettività nell’attribuzione. Per garantire una’analisi più oggettiva è stata valutata la negativizzazione del test di Dix-Hallpike, la quale sembrerebbe anch’essa assai più probabile nei pazienti trattati.

Sempre sul tema, a corredo di questo questo post, è disponibile online il video Maneuvers to Diagnosis and Treat Benign Paroxysmal Positional Vertigo su Nejm Video, il canale youtube del New England Journal of Medicine.

Bibliografia

  1. Kim J-S, Zee DS. Benign paroxysmal positional vertigo. New Engl J Med 2014; 370: 1138-1147. Link

  2. Hilton MP, Pinder DK. The Epley (canalith repositioning) manoeuvre for benign paroxysmal positional vertigo. Cochrane Database Syst Rev. 2014;12: CD003162. Link

  3. Navi BB, Kamel H, Shah MP, et al. Rate and Predictors of Serious Neurologic Causes of Dizziness in the Emergency Department. Mayo Clin Proc 2012; 87: 1080-1088. Link

  4. Bhattacharyya N, Baugh RF, Orvidas L, et al. Clinical practice guideline: Benign paroxysmal positional vertigo. Otolaryngol Head Neck Surg 2008; 139 (5 Suppl 4): S47-S81. Link

  5. Fife TD, Iverson DJ, Lempert T. Practice Parameter: Therapies for benign paroxysmal positional vertigo (an evidence-based review). Report of the Quality Standard Subcommittee of the American Academy of Neurology. Neurology 2008; 70: 2067-2074. Link

Ecografia toracica in urgenza per lo scompenso cardiaco acuto

mercoledì, gennaio 28th, 2015

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

L’impiego dell’ecografia toracica nella valutazione del paziente con dispnea acuta è uno dei progressi più significativi e “caratterizzanti” a cui si è assistito negli ultimi anni nella Medicina d’Emergenza–Urgenza.

Come sappiamo, l’ecografia toracica permette di rilevare la presenza di liquidi in sede interstiziale in modo indiretto, per mezzo della comparsa di specifici artefatti, le cosiddette linee B o “code di cometa”, la cui genesi, a tutt’oggi, non è del tutto chiarita, sebbene sembri essere legata all’alterazione del rapporto tra il contenuto di liquidi e di ossigeno nel parenchima polmonare (Soldati 2009). La presenza di linee B bilaterali, nel corretto contesto clinico, è indicativa di edema polmonare (Volpicelli 2012).

Nel corso degli anni le evidenze a supporto hanno incominciato ad accumularsi e oggi possiamo iniziare a trarre le prime conclusioni, che nel vocabolario dell’Evidence-based Medicine significa pubblicare una revisione sistematica, cosa effettivamente avvenuta nel fascicolo di agosto di Academic Emergency Medicine.

Al Deeb e colleghi hanno eseguito una ricerca esaustiva degli studi volti a quantificare il potenziale diagnostico delle linee B nella diagnosi di scompenso cardiaco acuto. Complessivamente hanno identificato 7 studi originali (per un totale di 1075 pazienti) la cui qualità è risultata essere per lo più media o buona. Due studi hanno avuto luogo in Terapia Intensiva, due in Pronto soccorso, due in reparti ospedalieri e uno ha arruolato pazienti sia in Pronto soccorso che in sede pre-ospedaliera.

La sensibilità cumulativa risultava pari al 94,1% (C.I. 95% 81,3 – 98,3%) e la specificità al 92,4% (CI 95% 84,2 – 96,4%); il rapporto di verosomiglianza positivo era pari a 12,4 (CI 95% 5,7 – 26,8) mentre quello negativo a 0,06 (C.I. 95% 0,02 – 022).

Per capire meglio questi numeri, proviamo ad utilizzare l’approccio bayesiano partendo dalle stime di prevalenza di scompenso cardiaco nei pazienti che giungono in P.S. lamentando dispnea riportate da Burri e colleghi. In caso di esame positivo, la probabilità di malattia passa dal 39% all’88%: in altri termini, in un contesto clinico adeguato, quando vediamo le linee B siamo quasi certi che il paziente presenti uno scompenso cardiaco. In caso di esame negativo, la probabilità si riduce fino al 3,7%, un valore sufficientemente basso da spingere a cercare eventuali cause alternative del disturbo.

Questi dati confermano ulteriormente l’opinione di molti di noi sulla grande importanza che questo strumento diagnostico riveste nella diagnosi differenziale della dispnea. Per chi volesse approfondire, vi segnaliamo i corsi SIMEU di Ecografia clinica di base, nei quali si parla anche di ecografia toracica. Per informazioni, cliccate qui.

COCHRANE CORNER: Gli antibiotici per la bronchite acuta

lunedì, gennaio 5th, 2015

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali

La bronchite acuta è un disturbo caratterizzato dalla presenza di tosse, produttiva o meno, protratta (della durata media di circa 14-21 giorni), per la quale sia stata ragionevolmente esclusa una polmonite. E’ autolimitantesi e si ritiene che la causa sia più frequentemente virale, anche se non si può avere una risposta definitiva visto che l’effettivo isolamento di un micro-organismo si verifica solo in una minoranza dei casi.

Per escludere la presenza di polmonite è possibile utilizzare l’Rx torace, tenendo presente che l’assenza di TUTTI questi riscontri riduce sostanzialmente la presenza di polmonite: a) temperatura corporea ≥ 38°C, b) frequenza respiratoria ≥ 24 atti/min, c) frequenza cardiaca ≥ 100 battiti/min, d) assenza di crepitii, fremito ed egofonia all’auscultazione toracica (1, 2).

Costituiscono situazioni a parte i pazienti con sospetta pertosse e quelli che presentano, quali comorbidità, BPCO o scompenso cardiaco, tutti casi di cui non tratteremo in questo post.

 

Ente

Anno

Raccomandazione

Forza della raccomandazione

ACP-CDC (1)

2001

Il trattamento antibiotico empirico non indicato per i pazienti con bronchite acuta.

ACCP (3)

2006

Per pazienti con verosimile diagnosi di bronchite acuta, il trattamento di routine con antibiotici non è giustificato e non dovrebbe essere offerto. La decisione di non impiegare antibiotici dovrebbe essere effettuata su base individuale […].

D (raccomandazione contraria); buona qualità dell’evidenza.

Wenzel (4)

2006

Gli antibiotici non sono raccomandati nella maggior parte dei casi di bronchite acuta.

Opinione di esperto

 

Tab. 1. Sintesi delle raccomandazioni attuali.

La Revisione Cochrane (5)

Titolo: Antibiotics for acute bronchitis

Autori: Smith SM, Fahey T, Smucny J, Becker LA.

Obiettivo: valutare l’impatto sugli outcome e gli eventi avversi della terapia antibiotica in pazienti con una diagnosi clinica di bronchite acuta.

Outcome primario: correlati alla tosse (durata della tosse, incidenza di espettorazione, proporzione dei pazienti con tosse, tosse notturna e tosse produttiva), valutazione complessiva del miglioramento da parte del medico al follow up, gravità dei sintomi, limitazione delle attività, alterazione dell’obiettività polmonare all’obiettività.

Outcome secondari: Eventi avversi.

N°. di studi inclusi: 17.

Qualità degli studi inclusi: complessivamente buona; i problemi principali si sono registrati in relazione alla randomizzazione e alla possibilità di selective reporting.

N° di pazienti: 3936

Risultati: sono riassunti nella tabella sottostante.

 

Parametro

Risultato

N° di pazienti

Tosse alla visita di follow up

Risk ratio

0,64 (I.C. 95% 0,49 – 0,85)

275

Differenza media dei giorni con tosse

Risk ratio

0,46 (I.C. 95% -0,87 – -0,004)

2776

Differenza media dei giorni in cui il paziente non si sente bene

Risk ratio

-0,64 (I.C. 95% -1,16 – -0,13)

809

Pazienti non migliorati alla valutazione complessiva di follow up*

Risk ratio

0,61 (I.C. 95% 0,48 – 0,79)

891

Eventi avversi

Risk ratio

1,20 (I.C. 95% 1,05 – 1,36)

3496

 

Tab.2. Sinossi dei risultati della revisione sistematica di Smith e colleghi. (*) In altri termini, l’impiego di antiobitici riduce il numero di pazienti che non risultano complessivamente migliorati alla visita di follow up.

Conclusioni

Complessivamente, l’utilizzo di antibiotici riduce la durata media della tosse, dei giorni di malessere e di quelli necessari per il recupero clinico.

Nonostante ciò, il bilancio tra rischi e benefici non sembra a favore dell’uso degli antibiotici, confermando le raccomandazioni riportate in precedenza. Infatti, a fronte di una riduzione modesta della durata della malattia (mezza giornata), si espone il paziente al rischio di eventi avversi (sebbene di scarsa entità) e si contribuisce all’incremento del rischio globale di antibiotico-resistenza per una patologia auto-limitantesi. Dato che, comunque, il bilancio rischi-benefici è dubbio, la valutazione se effettuare o meno deve essere fatta assolutamente su base individuale.

 

Bibliografia

  1. CDC. Acute Cough Illness (Acute bronchitis). Ultima revisione: Novembre 2013. Accesso in data 4/01/2014. Link

  2. Metlay JP, Kapoor WN, Fine MJ. Does this patient have community-acquired pneumonia? Diagnosing pneumonia by history and physical examination. J Am Med Ass 1997; 278: 1440-1445. Link

  3. Braman SS. Chronic cough due to acute bronchitis. ACCP Evidence-based Clinical Practice Guidelines. Chest 2006; 129: 95S-103S. Link

  4. Wenzel RP, Fowler AA, III. Acute bronchitis. New Engl J Med 2006; 355: 2125-2130. Link

  5. Smith SM, Fahey T, Smucny J, Becker LA. Antibiotics for acute bronchitis. Cochrane Database Syst Rev 2014; 3: CD000245. Link

#SIMEU14: APPROFONDIMENTI SUI TEMI CLINICI DEL CONGRESSO: CPAP o NIV nell’edema polmonare in sede preospedaliera

mercoledì, ottobre 29th, 2014

 

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

La ventilazione non invasiva (NIV) e la pressione positiva continua delle vie aeree (CPAP) sono diventate parte dell’”armamentario” abituale del medico del Dipartimento d’Emergenza nella gestione dell’edema polmonare acuto. Dal punto di vista strettamente fisiopatologico, i vantaggi dell’applicazione di una pressione positiva sono molteplici: sul polmone, in quanto aumenta il volume polmonare ventilabile, riducendo i fenomeni di shunting, e riduce il lavoro respiratorio, aumentando la compliance polmonare. Dal punto di vista cardio-circolatorio vi sono due effetti benefici, indotti dall’aumento della pressione intra-toracica: una riduzione del pre-carico del ventricolo destro e del post-carico del ventricolo sinistro.

Queste osservazioni sperimentali si sono tradotte in evidenze di efficacia (Vital 2013). E’ stato ipotizzato da alcuni Autori che un’applicazione precoce potrebbe garantire ulteriori vantaggi; in quest’ottica, il setting dell’emergenza pre-ospedaliera dovrebbe essere ideale. Per valutare l’impatto della CPAP e della NIV in questo ambito, Goodacre e colleghi hanno recentemente pubblicato una meta-analisi su Academic Emergency Medicine.

Sono stati inclusi nella meta-analisi 8 trial randomizzati e 2 trial quasi-randomizzati per un totale di 800 pazienti. L’odds ratio per la mortalità è risultato di 0,41 (I.C. 95% 0,20 – 0,77) per la CPAP rispetto al controllo (che prevedeva mediamente la somministrazione della terapia medica e ossigeno); in altri termini, la CPAP ridurrebbe la mortalità di circa il 60%! Questi dati sono da interpretare con cautela in quanto lo studio non fornisce la mortalità assoluta nei due gruppi di trattamento. Diversamente, l’odds ratio per la NIV sarebbe di 1,96 (I.C. 95% 0,65 – 6,14), suggerendo addirittura un effetto negativo, sebbene l’ampio intervallo di confidenza, che incrocia il valore 1, non permette di trarre alcuna conclusione. Risultati analoghi per quanto concerne il rischio di intubazione: la CPAP presenterebbe un odds ratio di 0,32 (C.I. 95% 0,17 – 0,62), la NIV di 0,40 (I.C. 95%: 0,14 – 1,16).

Questi dati, molto positivi quanto meno per la CPAP, sono da interpretare con la dovuta cautela; in particolare, gli studi disponibili si basano su piccole coorti di pazienti, cosa che espone al rischio di sovrastima dell’efficacia del trattamento. Nell’attesa che trial più ampi forniscano evidenze ancora più solide, si parlerà di ventilazione non invasiva al prossimo Congresso Nazionale SIMEU, che si terrà a Torino dal 6 all’8 novembre prossimi, in diverse sessioni:

Giorno Orario Sala Titolo Oratori
7/11 11.00 – 12.15 Sala 500 NIMV Camajori, Cosentini, Pelosi, Singhieri, Stea
7/11 9.30 – 10.30 Sala Atene Cuore contro polmoni: il mistero della CPAP nell’EPA Cosentini, Purro
7/11 11.30 – 12.30 Sala Atene Ventilazione non invasiva nella polmonite Cosentini, Geraci
7/11 8.30 – 9.30 Sala Londra A proposito di Ventilazione Brambilla, Ferrari, Groff, Giugno

COCHRANE CORNER: Il magnesio solfato nel trattamento del paziente adulto con esacerbazione di asma in pronto soccorso

martedì, luglio 22nd, 2014

 

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali

L’asma è una patologia infiammatoria cronica delle vie aeree, caratterizzata dalla possibilità di periodiche esacerbazioni acute, le quali talvolta possono diventare potenzialmente fatali.

Gli strumenti terapeutici a disposizione nel Dipartimento d’Emergenza sono: l’ossigeno, in caso di insufficienza respiratoria, i beta-agonisti inalatori a breve durata d’azione, l’ipatropio bromuro inalatorio (in associazione ai beta-agonisti), i corticosteroidi (sistemici o inalatori) e il magnesio solfato per via endovenosa.

Quest’ultimo trova attualmente un ruolo come farmaco di seconda linea nel trattamento dell’attacco acuto grave di asma che non abbia avuto una risposta iniziale soddisfacente ai bronco-dilatatori inalatori e ai corticosteroidi o in caso di attacchi potenzialmente fatali (1, 2). La sua efficacia è stata già valutata in diverse revisioni sistematiche, le più recenti delle quali sono quella di Mohammed et al (3) e quella di Shan e colleghi (4) (i relativi risultati sono sintetizzati nella tabella 1). La necessità di una nuova sintesi delle evidenze disponibili (nella forma di un aggiornamento di una precedente revisione Cochrane, prodotta da Rowe e colleghi nel 2009), nasce dalla pubblicazione nel 2013 di un trial randomizzato da parte di Goodacre et al (5), il quale, con i suoi 1109 pazienti, è lo studio con la maggiore numerosità campionaria tra quelli in letteratura.

 

Autore Tipo di analisi Parametro Risultati Campione dell’analisi

Mohammed 2007

Funzione respiratoria

SMD

0,25 (I.C. 95% -0,01 – 0,51)

1699 pazienti

Ricovero ospedaliero

Risk ratio

0,87 (I.C. 95% 0,70 – 1,08)

Shan 2013

Funzione respiratoria

SMD

0,30 (I.C. 95% 0,05 – 0,55)

1754 pazienti

Ricovero ospedaliero

Risk ratio

0,86 (I.C. 95% 0,73 – 1,01)

Tab. 1. Sinossi. I dati riguardano solo la somministrazione per via endovenosa e solo in pazienti adulti. SMD: deviazione standard dalla media; un valore positivo indica un miglioramento della funzione respiratoria.

 

La Revisione Cochrane (6)

Titolo: Intravenous magnesium sulfate for treating adults with acute asthma in the Emergency Department.

Autori: Kew KM, Kirtchuk L, Michell CI

Obiettivo: valutazione della sicurezza e dell’efficacia della somministrazione di magnesio solfato (MgSO4) in adulti trattati per asma acuto in Pronto Soccorso.

Outcome primario: ricovero ospedaliero

Outcome secondari: durata della permanenza in Pronto Soccorso, incidenza del ricovero in Terapia Intensiva, parametri vitali (frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, pressione arteriosa, saturazione di ossigeno), parametri spirometrici (picco di flusso espiratorio, volume espiratorio forzato nel primo secondo (FEV1)), punteggio di intensità dei sintomi, eventi avversi.

N°. di studi inclusi: 14, di cui 13 inclusi nella meta-analisi

Qualità degli studi inclusi: sono stati inclusi trial randomizzati; i problemi più rilevanti riguardano la possibilità di attrition bias (legato all’elevato numero di pazienti che si sono ritirati dallo studio prima di raggiungere l’outcome) e pubblicazione selettiva dei risultati.

N° di pazienti: 2313 pazienti

Risultati: sono riassunti nella tabella seguente.

 

Parametro

Risultato

N° di pazienti

Ricovero ospedaliero

Odds Ratio

0,75 (I.C. 95% 0,60 – 0,92)

1769

Ricovero in unità di Terapia Intensiva

Odds Ratio

2,03 (I.C. 95% 0,7 – 5,89)

752

Durata del ricovero ospedaliero

Riduzione della durata media (giorni)

-0,03 (I.C. 95% -0,33 – 0,27)

949

Durata del trattamento in P.S.

Riduzione della durata media (minuti)

-4,00 (I.C. 95% -37,02 – 29,02)

96

FEV1 (% del predetto)

Variazione del valore medio

4,41 (I. C. 95% 1,75 – 7,06)

523

PEF

Variazione del valore medio (l/min)

4,78 (I. C. 95% 2,14 – 7,43)

1129

Frequenza respiratoria

Variazione del valore medio (atti/min)

-0,28 (I.C.95% -0,77 – 0,20)

1276

Frequenza cardiaca

Variazione del valore medio (battiti/min)

-2,37 (I.C. -4,13 – -0,61)

1195

 

Tab.2. Sinossi dei risultati della revisione sistematica di Kew e colleghi.

Per quanto riguarda gli eventi avversi, quelli segnalati più frequenti sono vampate di calore, astenia, nausea e cefalea. Nello studio più ampio, quello di Goodacre e colleghi (5), sebbene il rischio di eventi collaterali aumenti nei pazienti sottoposti a trattamento con MgSO4, interessa comunque non più del 16% dei pazienti. Questi dati riguardano un trattamento costituito da una singola somministrazione; dosi ripetute possono condurre a ipermagnesemia con relativa ipostenia muscolare e insufficienza respiratoria (1).

Conclusioni

Secondo questa revisione Cochrane, la somministrazione di 2 g di magnesio solfato in 100 ml di soluzione fisiologica infusi in 20-30 minuti, in aggiunta alla terapia con broncodilatatori inalatori, steroidi sistemici e ossigeno (impiegati nella maggior parte degli studi), ridurrebbe il rischio di ricovero ospedaliero e migliorerebbe la funzione respiratoria nei pazienti con asma acuto in Pronto Soccorso. Sebbene quest’ultima sia statisticamente significativa, l’impatto clinico è dubbio. La somministrazione contemporanea di ipatropio non sembrerebbe modificare l’efficacia del magnesio solfato. L’azione del farmaco sembrerebbe la medesima a prescindere dalla gravità del quadro clinico, anche se questa considerazione si basa su classificazioni di gravità incomplete ed eterogenee.

 

Bibliografia

  1. Scottish Intercollegiate Guidelines Network. British Guideline on the management of asthma. A national clinical guideline (SIGN 101). 2012 revision. Link al free full text

  2. Global Initiative for Asthma. Gobal strategy for Asthma management and prevention 2014. Available from: www.ginasthma.org.

  3. Mohammed S, Goodacre S. Intravenous and nebulised magnesium sulphate for acute asthma: systematic review and meta-analysis. Emerg Med J 2007; 24: 823-830. Link al free ful text

  4. Shan Z, Rong Y, Yang W, Wang D, Yao P, Xie J, Liu L. Intravenous and nebulized magnesium sulphate for treating acute asthma in adults and children: a systematic review and meta-analysis. Respir Med 2013; 107: 321-330. Link

  5. Goodacre S, Cohen J, Bradburn M, Gray A, Benger J, Coats T, on the behalf of the 3Mg Research Team. Intravenous or nebulised magnesium sulphate versus standard therapy for severe acute asthma (3Mg trial): a double-blind, randomised controlled trial. Lancet Respir Med 2013; 1: 293-300. Link al free full text

  6. Kew KM, Kirtchuk L, Michell CI. Intravenous magnesium sulfate for treating adults with acute asthma in the Emergency Department. Cochrane Database of Systematic Reviews 2014, Issue 5. Art.No.: CD010909. Link

COCHRANE CORNER: colecistectomia laparoscopica immediata o in elezione in pazienti con colecistite acuta?

mercoledì, luglio 31st, 2013

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

@P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali.

L’impiego della tecnica laparoscopica per l’intervento di colecistectomia in paziente con patologia litiasica delle vie biliari costituisce una pratica standard ormai ampliamente diffusa e consolidata (1). Ciò che risulta essere a tutt’oggi fonte di discussione è il timing dell’intervento in caso di colecistite acuta. Vi sono due possibilità: intervenire immediatamente, durante l’episodio acuto, oppure attendere che il processo infiammatorio si “raffreddi”, posticipando la procedura di almeno 6 settimane. Quest’ultimo approccio risulta essere assolutamente maggioritario nella pratica attuale.

La decisione circa quando intervenire dipende come sempre dal bilancio tra rischi e benefici delle due strategie. Da un lato, l’intervento in elezione espone al rischio di complicanze legato alla permanenza dei calcoli nelle vie biliari: recidiva o mancata risoluzione della colecistite, colica biliare, colangite, pancreatite acuta e ittero colestatico. Per altro verso, si ritiene che la colecistectomia laparoscopica in urgenza si correli ad un maggior rischio di complicanze intra-operatorie quali la lesione del dotto biliare principale e la necessità di convertire l’intervento in una colecistectomia a cielo aperto (dovuta più frequentemente alla mancata visualizzazione del triangolo di Calot a causa della flogosi stessa).

La prima revisione dello stesso gruppo di ricerca, del 2006, già dimostrava che la colecistectomia in urgenza rappresentava una procedura sicura, in grado di ridurre la durata del ricovero ospedaliero (2), conclusioni venivano confermate dall’aggiornamento successivo del 2009 (3). Anche una revisione sistematica di un altro gruppo, pubblicata nel 2008, riportava l’assenza di differenze statisticamente significative tra il trattamento precoce e quello tardivo in termini di conversione alla procedura open e di insorgenza di complicanze (4).

La Revisione Cochrane

Titolo: Early versus delayed laparoscopic cholecystectomy for people with acute cholecystitis.

Autori: Gurusamy KS, Davidson C, Gluud C, Davidson BR.

Citazione bibliografica:Cochrane Database of Systematic Reviews 2013, Issue 6. Art. No.:

CD005440. DOI: 10.1002/14651858.CD005440.pub3.

Link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23813477

Obiettivo: Valutare i rischi e i benefici della colecistectomia laparoscopica precoce rispetto alla colecistectomia in elezione in pazienti con colecistite acuta.

Studi inclusi: trial randomizzati controllati che confrontano pazienti con colecistite acuta sottoposti ad intervento di colecistectomia laparoscopica precocmente o in elezione.

Outcome primario: Mortalità a 90 giorni, lesione della via biliare principale, altre complicanze gravi, qualità della vita.

Outcome secondari: necessità di conversione alla procedure open, durata complessiva del ricovero ospedaliero, durata dell’intervento, tempo necessario al rientro al lavoro.

N°. di studi inclusi: 6

Qualità degli studi inclusi: tutti gli studi sono ad elevato rischio di bias; questo perché in nessuno di essi è presente un confronto in cieco. In altri termini, tanto il medico quanto il paziente erano al corrente del gruppo di trattamento cui erano stati assegnati. L’introduzione del cieco, quanto meno per il paziente, avrebbe richiesto l’impiego di una colecistectomia laparoscopica simulata, cosa che avrebbe posto dei dubbi sull’eticità dello studio.

N° di pazienti: 488

Risultati: i risultati sono sintetizzati nella tabella seguente.

 

Outcome

Peto OR (95% I.C.)

Qualità dell’evidenza

Mortalità

Non calcolabile perché l’evento non si è verificato.

Molto bassa

Lesione della via biliare principale

0,49 (0,05 – 4,72)

Molto bassa

Altre complicanze gravi

1,29 (0,69 – 2,72)

Molto bassa

Necessità di conversione alla procedure open

0,89 (0,63 – 1,25)

Molto bassa

Durata complessiva del ricovero ospedaliero (gg)

-4,12 (-5,22 – -3,03)

Moderata

Durata dell’intervento (min)

-1,22 (-3,07 – 0,64)

Moderata

Tempo per il rientro al lavoro (gg)*

-11 (-19,61 – -2,39)

Molto bassa

 

Tabella 1. Risultati della revisione Cochrane. RR minori di 1 segnalano una superiorità dell’intervento precoce. Nessuno studio riportava dati riguardanti la qualità della vita. (*) Dati basati sui i risultati di un singolo studio.

Interpretazione – conclusioni

Questa meta-analisi non presenta dimensioni sufficienti per misurare differenze statistiche tra le due strategie terapeutiche né per quanto riguarda la mortalità, né per le lesioni del dotto biliare principale e per altre complicanze gravi: per esempio, per rilevare eventuali differenze significative in termini di lesioni della via biliare principale sarebbe necessario un RCT che arruolasse un campione di circa 77.854 pazienti! Essendo poco probabile che vengano avviati studi di queste proporzioni, l’unica speranza è che si aggiungano in futuro trial più piccoli i cui risultati, valutati in modo aggregato nell’ambito di meta-analisi, possano fornire risultati con intervalli di confidenza meno ampi e dunque più affidabili.

Per quanto riguarda il dato sulla durata complessiva del ricovero, questo fa riferimento alla durata complessiva del follow up. Nel gruppo dei pazienti trattati precocemente, i giorni complessivi di ricovero erano circa 4 mentre in quelli operati elettivamente 9. Ciò è dovuto al fatto che i pazienti nel gruppo di trattamento in elezione andavano incontro a due ricoveri, quello dell’evento acuto e quello dell’intervento.

Un ultima osservazione: nei singoli studi, i pazienti venivano operati dopo 6-12 settimane dall’episodio acuto. Ma quali sono le liste d’attesa per l’intervento nel mondo reale? E’ possibile che nel caso in cui l’attesa per l’intervento sia maggiore aumenti anche il rischio di complicanze correlate alla persistenza di calcoli nelle vie biliari.

In conclusione, evidenze di bassa qualità porterebbero a ipotizzare che in pazienti con colecistite acuta, la colecistectomia laparoscopica precoce sarebbe ugualmente sicura rispetto a quella in elezione e permetterebbe di ridurre i tempi di ricovero.

Bibliografia

  1. Keus F, de Jong JA, Gooszen HG, van Laarhoven CJ. Laparoscopic versus open cholecystectomy for patients with symptomatic cholecystolithiasis. Cochrane Database Syst Rev. 2006 Oct 18;(4):CD006231. Link

  2. Gurusamy KS, Samraj K. Early versus delayed laparoscopic cholecystectomy for acute cholecystitis. Cochrane Database Syst Rev. 2006 Oct 18;(4):CD005440. Link

  3. Gurusamy KS, Samraj K, Gluud C, Wilson E, Davidson BR. Meta-analysis of randomized controlled trials on the safety and effectiveness of early versus delayed laparoscopic cholecystectomy for acute cholecystitis. Br J Surg 2010; 97: 141-150. Link
  4. Siddiqui T, MacDonald A, Chong PS, Jenkins JT. Early versus delayed laparoscopic cholecistectomy for acute cholecystitis: a meta-analysis of randomized clinical trials. Link

 

COCHRANE CORNER – Una nuova rubrica per la comunità di questo blog

venerdì, luglio 5th, 2013

Inizia con questo post una rubrica periodica sul nostro blog, che si concentra sull’attività della Cochrane Collaboration.

La Cochrane Collaboration (www.cochrane.it) è una iniziativa internazionale no-profit nata con lo scopo di raccogliere, valutare criticamente e diffondere le informazioni relative alla efficacia degli interventi sanitari. Attualmente oltre 28.000 operatori sanitari, ricercatori e rappresentati di associazioni di pazienti sono impegnati in più di 100 paesi del mondo in questa attività.

Utilizzando una metodologia scientifica comune produce sintesi, chiamte “revisioni sistematiche” sull’efficacia e sicurezza degli interventi sanitari di tipo preventivo, terapeutico e riabilitativo. Questi rapporti vengono diffusi sia attraverso un database elettronico denominato “Cochrane Library”, sia via Internet.

Paolo Balzaretti, curatore di questa rubrica sul blog, selezionerà revisioni e posizioni Cochrane da sottoporre all’attenzione dei soci Simeu, come spunti di riflessione e discussione.

 

COCHRANE CORNER: Quale dosaggio per gli inibitori di pompa protonica nel sanguinamento acuto da ulcera peptica?

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali.

Una revisione Cochrane del 2006 (1) ha confermato l’efficacia degli inibitori di pompa protonica (IPP) nel trattamento del paziente con sanguinamento acuto da ulcera peptica. I risultati sono sintetizzati nella tabella 1.

 

Mortalità (OR, 95% I.C) Ripresa sanguinamento (OR, 95% I.C) Necessità di intervento chirurgico (OR, 95% I.C)
IPP vs. placebo o H2-RA 1,11 (0,79 – 1,57) 0,46 (0,33 – 0,64) 0,59 (0,46 – 0,76)
IPP ad alte dosi vs. H2-RA 0,98 (0,25 – 3,77) 0,39 (0,18 – 0,87) 0,53 (0,31 – 0,89)
IPP non ad alte dosi vs. H2-RA 1,18 (0,76 – 1,83) 0,53 (0,41 – 0,68) 0,61 (0,45 – 0,82)

Tabella 1. Sintesi della meta-analisi di Leontiadis e colleghi (1). H2-RA: inibitori del recettore 2 dell’istamina. Per alte dosi si intende un bolo di 80 mg di IPP seguito da un’infusione di 8 mg/h per le successive 72 ore. Valori i OR minori di 1 favoriscono il regime ad alte dosi.

 

Dopo questo studio rimaneva comunque privo di risposta il quesito sull’effettiva superiorità delle “alte dosi” rispetto a quelle più basse, tenendo conto che entrambe gli approcci si sono dimostrati superiori al placebo nel ridurre l’incidenza di ripresa del sanguinamento, la necessità di intervento chirurgico ma non la mortalità. La questione è stata affrontata nel 2010 da Wang e colleghi (2) per mezzo di una revisione sistematica e associata meta-analisi che includeva i risultati di 7 trial randomizzati (per un totale di 1157 pazienti) che confrontavano le due strategie.

 

Mortalità (OR, 95% I.C) Ripresa sanguinamento (OR, 95% I.C) Necessità di intervento chirurgico (OR, 95% I.C)
IPP ad alte dosi vs. IPP non ad alte dosi 0,89 (0,37 – 2,13) 1,30 (0,88 – 1,91) 1,49 (0,66 – 3,37)

Tabella 2. Risultati della revisione sistematica di Wang e colleghi (2). *80 mg di IPP seguito da un’infusione di 8 mg/h per le successive 72 ore.

La Revisione Cochrane

Titolo: Comparison of different regimens of proton pump inhibitors for acute peptic ulcer bleeding.

Autori: Neumann I, Letelier LM, Rada G, Claro JC, Martin J, Howden CW, Yuan Y, Leontiadis GI.

Citazione bibliografica:Cochrane Database of Systematic Reviews 2013, Issue 6. Art. No.:

CD007999. DOI: 10.1002/14651858.CD007999.pub2.

Link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23760821

Obiettivo: Valutazione dell’efficacia di differenti schemi posologici di farmaci inibitori della pompa protonica nella gestione dell’emorragia acuta da ulcera peptica utilizzando l’evidenza proveniente da RCT che prevedono un confronto diretto.

Studi inclusi: RCT che confrontano la somministrazione di IPP ad alte dosi (dose > 600 mg nelle prime 72 ore) vs. dosaggi inferiori in questa popolazione di pazienti.

Outcome primario: Mortalità a 30 giorni.

Outcome secondari: rischio di ripresa del sanguinamento, rischio di intervento chirurgico, rischio di rivalutazione endoscopica, fabbisogno trasfusionale, durata del ricovero, numero di pazienti con outcome negativo, reazioni avverse. Di quest’ultimi due outcome non sono stati riportati i risultati.

N°. di studi inclusi: 22

Qualità degli studi inclusi: 17 studi ad elevato rischio di bias; 5 con rischio incerto. La principale fonte di bias riguarda la mancanza di randomizzazione, presente in 16 trial.

N° di pazienti: 1716

Risultati: sono riassunti nella tabella 3.

 

Outcome

RR (95% I.C.)

Qualità dell’evidenza

Mortalità

0,85 (0,47 – 1,54)

Bassa

Ripresa del sanguinamento

1,27 (0,96 – 1,67)

Bassa

Necessità di intervento chirurgico

1,33 (0,67 – 2,77)

Bassa

Necessità di ripetizione di esame endoscopico

1,39 (0,88 – 2,18)

Bassa

Differenza media della durata del ricovero (gg)

0,26 (-0,08 – 0,6)

Moderata

Differenza media del numero di sacche trasfuse (unità di EC)

0,05 (-0,21 – 0,3)

Moderata

 

Tabella 3. Risultati della revisione Cochrane. RR minori di 1 segnalano una superiorità dei regimi ad alte dosi

 

Interpretazione – conclusioni

Anche questa revisione della letteratura conferma che, allo stato attuale, non vi sono evidenze di elevata qualità che permettono di preferire un regime terapeutico o l’altro e sono pertanto necessari nuovi studi primari. La tendenza non significativa ad un peggioramento di alcuni outcome ha scarsa plausibilità biologica e non è spiegabile in modo definitivo.

Tre recenti ed importanti linee guida consigliano la somministrazione IPP a pazienti con sanguinamento acuto da ulcera peptica (American College of Gastroenterology, International Consensus Recommendations on the Management of Patients With Nonvariceal Upper Gastrointestinal Bleeding, linee guida NICE) ma solo quelle dell’American College of Gastroenterology indicano con chiarezza l’impiego di alte dosi, così come precedentemente definite. Credo si possa concordare con gli Autori che, per quanto non sia chiaramente dimostrabile una superiorità delle dosi più elevate, è pur sempre prudente, al momento, continuare con questa pratica in quanto è quella sostenuta dalle più solide evidenze in termini di confronto con il placebo.

 

Bibliografia

  1. Leontiadis GI, Sharma VK, Howden CW. Systematic review and meta-analysis of proton pump inhibitor therapy in peptic ulcer bleeding. BMJ 2005; 330: 568. Link

  2. Wang C-H, Ma MH-M, Chu H-C, Yen Z-S, Yang C-W, Fang C-C, Chen S-H. High-dose vs. non-high-dose proton pump inhibitors after endoscopic treatment in patients with bleeding peptic ulcer. A systematic review and meta-analysis of randomized controlled trials. Arch Intern Med 2010; 170: 751-758. Link

 





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