IL BLOG DI SIMEU

 

Archive for agosto, 2022

A volte pur cercando di vivere la propria Leggenda Personale, siamo sul punto di cadere

mercoledì, agosto 31st, 2022

di Maria Luisa Ralli

Quando ho scelto di fare la specialità in Medicina d’Emergenza Urgenza avevo da poco iniziato il quarto anno di medicina e per preparare uno degli esami più difficili e complessi del mio percorso avevo iniziato ingenuamente a frequentare il Pronto Soccorso.

Ogni giorno c’era qualcosa da imparare, potevi metterti in gioco e in discussione animato da un’insaziabile curiosità di conoscere e aiutare l’altro. Quando mi sono iscritta al concorso di specialità non ho avuto dubbi:

“la mia specialità sarebbe stata il pronto soccorso: tutti i mali dell’uomo, i mali di tutti gli uomini, come dire tutte le specialità” (Daniel Pennac).

 

Mi sono specializzata a Novembre 2021 e vi posso garantire che la specializzazione è stata davvero un’avventura esperienziale stupenda.

Il mio entusiasmo ha subito una battuta d’arresto entrando nel mondo del lavoro dove mi sono scontrata con i problemi che affliggono il sistema d’emergenza urgenza.

 

Ho provato a immaginare questi problemi come molteplici “Lestrigoni e Ciclopi”, così chiamati gli ostacoli incontrati da Ulisse nel suo viaggio verso Itaca nella celebre poesia omonima di Kavafis.

Ho cercato di seguire i consigli del poeta per superarli:

“I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, nè nell’irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l’anima non te li mette contro.”

 

Difficile purtroppo però mantenere il pensiero alto e sentimento fermo se si considera la grave crisi in cui si trova il sistema emergenza urgenza e il sistema sanitario pubblico.

Purtroppo nell’incontro con questi ostacoli ho dubitato della mia scelta e ho dimenticato a volte l’eccitazione nell’incontro con il paziente, il paziente indifferenziato e critico, l’eccitazione dei “15 minuti più belli di ogni specialità” (Joe Lex).

 

Recentemente mi sono ritrovata tra le mani l’Alchimista di Paulo Coelho.

Mentre leggevo ho avuto la sensazione di essere il protagonista, Santiago, e che l’alchimista parlasse proprio a me:

“Perché parlate proprio a me?”

“Perché, pur cercando di vivere la tua Leggenda Personale, sei sul punto di cadere.”

“E voi intervenite quando ciò accade?”

“[…] Talvolta mi manifesto sotto forma di una via d’uscita, o di una buona idea. Talaltra, sovente in un momento cruciale, mi limito a aiutare determinate azioni. […]”

Che cosa è la Leggenda Personale?

[…] la Leggenda Personale. […] è quello che hai sempre desiderato fare.

Tutti, all’inizio della gioventù, sanno qual è la propria Leggenda Personale. In quel periodo della vita tutto è chiaro, tutto è possibile, e gli uomini non hanno paura di sognare e di desiderare tutto quello che vorrebbero veder fare nella vita. Ma poi, a mano a mano che il tempo passa, una misteriosa forza comincia a tentare di dimostrare come sia impossibile realizzare la Leggenda Personale. […] Sono le forze che sembrano negative, ma che in realtà ti insegnano a realizzare la tua Leggenda Personale. Preparano il tuo spirito e la tua volontà. Perché esiste una grande verità su questo pianeta: chiunque tu sia o qualunque cosa tu faccia, quando desideri una cosa con volontà, è perché questo desiderio è nato nell’anima dell’Universo. Quella cosa rappresenta la tua missione sulla terra. […] Realizzare la propria Leggenda Personale è il solo dovere degli uomini. Tutto è una sola cosa. E quando desideri qualcosa, tutto l’Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio”.

 

L’alchimista spiega a Santiago che per realizzare e comprendere la propria leggenda personale dovrà ascoltare e seguire i segni che incontrerà nel suo viaggio.

Nonostante le disfunzioni del sistema in questi mesi ci sono stati segni che mi hanno fatto capire che mi trovavo nella strada giusta: lavorare in una squadra di medici e infermieri con cui fare la differenza per la salute dell’altro, il paziente, imparare a lottare sia per la vita che per la morte: credo che non dimenticherò mai la mia prima rianimazione pediatrica, sento ancora l’adrenalina alla ricomparsa del ritmo cardiaco così come accompagnare un giovane malato terminale nel suo ultimo viaggio insieme ai familiari.

 

Ultimamente mi sono imposta di essere più attenta ad ascoltare i segni ma sento che non mi basta.

Per contrastare le forze negative c’è bisogno di una riforma del sistema d’emergenza urgenza, riforma che inevitabilmente si estenderà all’intero sistema sanitario pubblico.

Il prossimo 25 settembre potrebbe essere l’occasione per farlo.

 

Se il Pronto Soccorso cura “tutti i mali dell’uomo, i mali di tutti gli uomini” adesso più che mai il Pronto Soccorso, il sistema d’emergenza urgenza hanno bisogno di essere curati dagli uomini.

 

 

La sala del sollievo. Il fine vita con dignità e senza sofferenza nel DEA.

lunedì, agosto 22nd, 2022

di Erika Poggiali

e.poggiali@ausl.pc.it

Dal 7 giugno di quest’anno è in funzione la “SALA DEL SOLLIEVO” del Pronto Soccorso dell’Ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza.

 

E’ il primo modello italiano di cure palliative nel DEA.

 

Il dr. Luciano Orsi della Società Italiana di Cure Palliative (SICP) lo ha definito “un pregevole esempio di corretta gestione del fine vita del malato end stage nell’ambito del DEA” oltre che sottolineare come “l’istituzione di una apposita sala del sollievo per tali malati e la disponibilità di una IO per l’attuazione della sedazione palliativa in caso di sintomi refrattari rappresentano una garanzia per il controllo della sofferenza e il mantenimento della dignità del morire in fase terminale anche all’interno di un setting molto peculiare come il DEA”. https://www.sicp.it/aggiornamento/linee-guida-bp-procedures/

 

La sala del sollievo è una stanza dedicata ai pazienti affetti da patologie croniche e invalidanti secondo la definizione che ne dà il documento SIIARTI: “GRANDI INSUFFICIENZE D’ORGANO “END STAGE”: CURE INTENSIVE O CURE PALLIATIVE? “DOCUMENTO CONDIVISO” PER UNA PIANIFICAZIONE DELLE SCELTE DI CURA”, che si presentano in Pronto Soccorso con sintomi refrattari alla terapia standard e che necessitano quindi di una sedazione palliativa profonda.

 

Ma la sala del sollievo può ospitare anche pazienti che necessitano di una “sedazione di emergenza” per sintomi acuti refrattari a trattamenti standard e causa di morte imminente, come una emorragia massiva (vie digestive e vie aeree) o il distress respiratorio grave e ingravescente o uno stato di shock irreversibile, come riportato anche dal professor Lucio Romano, docente di Bioetica alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Sez. San Tommaso d’Aquino e componente del Comitato Nazionale di Bioetica.

https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=105725

 

Abbiamo cercato di creare uno spazio nel Pronto Soccorso dove il fine vita potesse essere un momento il più possibile “sereno” ed intimo per i familiari, lontano dai campanelli che suonano, il sovraffollamento delle aree, il telefono che squilla h24, e quella terribile luce artificiale che conosciamo bene e che è capace di annullare il giorno e la notte uniformando il tempo.

 

La Sala del Sollievo è aperta ai familiari 24 ore su 24, senza limite numerico, ed è gestita dai medici, infermieri e OSS del Pronto Soccorso secondo un percorso “standardizzato”.

 

Garantisce silenzio, intimità, tranquillità, accudimento e ascolto, in accordo con il modello delle cure palliative “high touch low tech”, ovvero una medicina che richiede una grande vicinanza e un basso impatto tecnologico.

Non ha nessun monitor nè orologio nè simbolo religioso, ma un disegno di Eleonora Rossi (infermiera del Pronto Soccorso) che rappresenta un momento di passaggio, un’attesa e un cambiamento.

Tutti i medici, gli infermieri e gli OSS hanno partecipato agli incontri sulla gestione del paziente in sala sollievo e sono formati per una corretta comunicazione cosiddetta “difficile”.

 

La sala del sollievo nasce da un profondo senso di “riumanizzare” il fine vita evitando sia l’accanimento terapeutico sia la medicalizzazione della morte, nel rispetto indiscutibile della dignità del paziente, non più per “sanare vitam”, bensì “sedare dolorem” nel senso più vero del termine e con gli strumenti a disposizione in Pronto Soccorso, compresa la sedazione palliativa profonda continua, come stabilito dalla legge 219 del dicembre 2017.

 

Avviare una sedazione palliativa significa agire per alleviare una sofferenza estrema e anche se l’esito finale non è la guarigione, essere capaci di utilizzarla significa essere profondamente medici. Gli schemi di palliazione che utilizziamo sono standardizzati e sono stati concordati con la dott.ssa Raffaella Bertè responsabile della UOC Cure Palliative del nostro ospedale, al fine di avere un protocollo di sedazione “corretto” e appropriato.

 

Il progetto della sala del sollievo nasce dalla collaborazione di queste persone a me preziosissime:

Damiana Muroni (bed manager)

Paola Nassani (coordinatore infermieristico del Pronto Soccorso)

Andrea Vercelli (direttore F.F. UO Pronto Soccorso)

Droghi Maria Gaetana (responsabile innovazione e sviluppo organizzativo professionale)

Raffaella Bertè (direttore UOC Cure Palliative e rete cure palliative)

Eleonora Rossi (infermiera del Pronto Soccorso)

L’insegnamento della gestione del fine vita è del gruppo SAU della SIMEU che ai loro corsi mi ha insegnato a gestire non solo il dolore acuto, ma anche quello del paziente end-stage in modo corretto e appropriato in un ambiente di emergenza-urgenza dove il fine vita non è sempre facile da gestire (“Terapia del dolore in urgenza e sedazione procedurale: manuale SAU” di Alessandro Riccardi, Fabio De Iaco, Enrico Gandolfo, Mario Guarino, Sossio Serra, Maria Paola Saggese. Edizione 2022).

 

Il nostro progetto è ambizioso e ne siamo consapevoli:

riportare il malato e il suo mondo al centro del percorso di cura, riprendere ad ascoltare le sue esigenze e quelle dei suoi familiari, offrendo loro la miglior cura possibile anche e soprattutto quando si tratta di fine vita in Pronto Soccorso.

 

Citando le parole di Papa Francesco usate in occasione del meeting europeo della “World Medical Association” sulle questioni del “fine-vita” il 17 novembre 2017, ci piace pensare che stiamo usando quel “supplemento di saggezza” che ci consente “di evitare l’insidiosa tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”.

 

Nei prossimi mesi, grazie all’aiuto della dott.ssa Maria Angela Spezia, la sala del sollievo verrà ultimata per creare un ambiente il più “familiare” possibile con nuovi arredi e complementi.

 

Quando non occupata, la sala del sollievo accoglie le vittime di violenza.

 

 

Lo sconforto della Medicina d’Urgenza

mercoledì, agosto 10th, 2022

di Federico Marini

 

Caro Sistema Sanitario Nazionale,

 

mi presento:  mi chiamo “Medicina d’Urgenza”.

 

Non mi sto presentando per caso, lo sto facendo ora perché, nonostante siano passati oltre 13 anni dalla mia prima apparizione, non abbiamo ancora avuto modo di conoscerci veramente. Quantomeno sembra che la mia presenza sia ancora in penombra rispetto alla restante parte delle colleghe “Medicine” a tuo carico e sento il bisogno di chiarire alcune questioni che, ad oggi, non sono state ben definite.

 

Il mio ruolo è quello di gestire le condizioni acute, riuscire a stabilizzare il paziente riconoscendo la causa che lo ha portato alla mia attenzione ed affidarlo alla collega che ha più esperienza nella gestione terapeutica della malattia. In poche parole gestisco l’emergenza o l’urgenza clinica.

 

Prima di essere “d’Urgenza” però, io sono “Medicina” e come tale mi occupo della persona che ho davanti. Se mi si chiede un bicchiere d’acqua per la sete, offro l’acqua. Se mi si chiede un lenzuolo lo porgo. Se il paziente deve essere spostato in un’altra zona dell’ospedale per ricevere altro tipo di assistenza lo sposto. Nonostante non sia strettamente pertinente alla mia specializzazione, lo è sicuramente per la mia scelta di vita.

 

Ognuna di noi prima di specializzarsi ha scelto di essere “Medicina”, ognuna di noi in un momento della vita ha avuto quell’idea di poter far del bene, perché è da questa idea che nasciamo; dal tentativo di evitare la sofferenza altrui, che è probabilmente il desiderio più puro dell’essere umano.

Anche io come le altre nasco così, pura e sognatrice, combattente ma caritatevole.

 

Probabilmente essendo giovane ricordo ancora molto bene il giuramento di Ippocrate o forse l’appellativo “d’Urgenza” mi porta a correre in aiuto anche quando non sarebbe proprio di mia competenza, fatto sta che l’emergenza pandemica l’ho praticamente gestita tutta io, con l’aiuto di alcune colleghe che, attraverso i media, davano le loro indicazioni…a distanza.

 

Lo so che noi giovani dobbiamo fare la gavetta e che se c’è un problema rognoso, scomodo o semplicemente pesante è l’ultimo arrivato che deve farsene carico; il perché non mi è stato mai completamente chiaro ma “si è sempre fatto così” e lo accetto.

 

Ciò che però digerisco con fatica è la totale assenza di aiuto da parte di chi, come me, ha scelto di aiutare il prossimo, di essere dalla parte del bisognoso, dalla parte dell’essere umano.

 

Le condizioni morbose che portano il malato da noi non sono mai sempre le stesse, lo sappiamo; la collega Igea si occupa proprio della variabilità epidemiologica delle malattie, studiando come l’interazione genotipo-ambiente condizioni quello che poi io ritrovo al triage.

 

Quindi io mi organizzo e segnalo, con il ruolo secondario di sentinella, la variabilità e l’eventuale cambio di incidenza delle malattie di fronte la mia porta.

 

Chi mi conosce sa che sono molto umile, vedo la morte ogni giorno, non riuscirei mai a vantarmi di aver salvato qualcuno quando accanto ne ho persi altri cinque, al tempo stesso riconosco però la mia capacità di adattamento alle condizioni di emergenza, credo di essere nata proprio per questo!

 

Ad oggi però sembra che questa situazione io la stia gestendo completamente da sola. Nella mia unità ho pazienti della collega “Cardiologia” in attesa di coronarografia, instabili, a rischio di vita, buttati in una barella. Ho pazienti della collega “Neurologia” con meningiti batteriche accanto a pazienti immunodepressi. Gestisco pazienti della collega “Ematologia” destinati ad isolamento nel percorso dedicato alle malattie infettive. Osservo occlusioni intestinali che durano settimane senza indicazione da parte della collega “Chirurgia” né ad intervento né ad andare a casa. Curo polmoniti della collega “Pneumologia” mandandoli a casa prima del ricovero. Così come i pazienti con sincope, quelli con scompenso cardiaco con indicazione ad “ottimizzazione terapeutica prima del ricovero”, come se la specialista fossi io. Senza parlare delle polmoniti Covid della collega “Infettivologia”, ma lei lo sappiamo, questo periodo è stata impegnata in diverse trasmissioni televisive, forse sarebbe meglio lasciarla riposare; e così li ricovero da me, con tutte le indicazioni stringenti e soffocanti per evitare la diffusione del virus…che valgono solo in Ospedale.

 

Tutto questo mentre una paziente viene ricoverata in stanza singola, privata per rifarsi il seno.

 

Ciò significa che io, oltre a gestire la fase acuta, sto prendendo il ruolo delle mie colleghe, pur non avendone competenza. Nonostante la megalomania che contraddistingue chi decide di seguirmi, l’assenza di un percorso dedicato e di una valutazione da parte delle colleghe più esperte, non fa altro che danneggiare il paziente, il malato che si presenta in pronto soccorso, ovvero, potenzialmente, ognuno di noi.

 

Il tutto viene gestito mentre sento il terreno tremare sotto le gambe, perché non ho più le forze: chi mi ha scelto è stanco e molte persone mi hanno abbandonato, con le poche unità rimaste faccio fatica persino ad essere “Medicina” … e me ne vergogno.

 

Caro SSN, potrei non riuscire più a gestire tutto questo, se da parte delle “colleghe” e da parte tua non ci sarà una decisa presa in carico delle condizioni a loro destinate.

 

Chiedo una responsabilizzazione da parte di tutta la politica, perché ad oggi, la mia sensazione è che sto gestendo da sola la mutevolezza patologica alle nostre porte.

 





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