IL BLOG DI SIMEU

 

Archive for the ‘politica sanitaria’ Category

La violenza di genere oggi.

lunedì, novembre 20th, 2023

di Aurelia Masciantonio

Nei report della direzione centrale di Polizia Criminale dal primo gennaio al 20 novembre del 2022 sono stati registrati 273 omicidi di cui 104 vittime sono donne.

 

L’ accesso ai Pronto Soccorso delle vittime della violenza di genere, registra un implacabile aumento. Le motivazioni sono ovviamente legate alle cure mediche immediate e non procrastinabili,  ma anche per sintomi larvati, aspecifici e a volte fuorvianti che minano un vissuto di minacce, aggressioni, stalking, molestie.

 

In Italia i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne, ha subito nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale o economica o psichica.

 

Le forme più frequenti di molestatore sono i partner, gli ex, amici con motivazioni ascrivibili a liti, spesso a futili motivi.

Gli effetti della violenza si ripercuotono sia sulla salute fisica che su quella psicologica.

Le vittime tendono all’isolamento, riducono la loro capacità lavorativa manifestando incuria di sé e dei loro familiari, spesso sviluppano disturbi comportamentali e, ben presto, si assiste al ricorso di strutture sanitarie o socioassistenziali risultando un problema di salute di proporzioni globali enormi.

 

Il 25 Novembre si celebra nel mondo la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con attività volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violazione dei diritti umani. Nel 2011 la Convenzione Europea definisce il primo strumento europeo giuridicamente vincolante, più nota come Convenzione di Istanbul, un quadro normativo completo a protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza riconosciuta come forma di violazione dei diritti umani.

 

La Repubblica Italiana tutela la salute dell’individuo tramite il sistema sanitario nazionale (leg 23 dicembre del 1978, legge 208 del 2015) e prevede un potenziamento dei percorsi dedicati alle vittime di violenza di genere nei Pronto Soccorso.

 

Nel mese di giugno 2023 è stato approvato un disegno di legge finalizzato al contrasto della violenza di genere che contempla il rafforzamento dell’ammonimento del Questore e garanzia per le vittime di cyberbullismo e di stalking, in cui è previsto un aggravamento della pena per soggetti già ammoniti. Inoltre vengono prese misure di potenziamento preventivo e misure di velocizzazione dei processi per la violenza contro il femminile.

 

Parere unanime dei ricercatori: adottare strategie per ridurre il rischio, investendo sulla prevenzione, l’informazione e la cultura.

 

Nel 2015 è stata adottata dall’Onu, l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: una lista di 17 obiettivi da raggiungere entro il 2030 sulla tutela dei diritti umani. Il documento è inserito all’interno del programma per lo sviluppo climatico.

Nel punto 5 è stato posto il raggiungimento dell’uguaglianza di genere, l’eliminazione di discriminazione e violenza contro donne e ragazze, ponendolo come obiettivo di strumento per il raggiungimento di parità in tutti i campi specialmente economico, politico e di leadership.

Si propone anche la garanzia per l’accesso alla salute sessuale e ai diritti riproduttivi, al riconoscimento del lavoro domestico retribuito e alla responsabilità condivisa all’interno del nucleo familiare.

 

La raccolta di dati e informazioni avviene con indagini periodiche da parte di esperti (GREVIO un comitato internazionale formato da 10/15 membri di vari stati firmatari), vengono così formulate indicazioni e direttive in ambito di prevenzione, sensibilizzazione, sia da parte di istituti pubblici che enti a convenzione ONG e Associazione.

L’ educazione alla parità di genere avviene con l’abbattimento di stereotipi che possono essere messi in atto con programmi dedicati nel nelle scuole, nelle istituzioni e con la formazione del personale preposto all’accoglienza delle vittime e degli autori della violenza.

 

Il significato di genere non si sovrappone al significato di sesso.

Per sesso si intendono caratteristiche biologiche, anatomiche, genetiche.

Per genere si fa riferimento ad una costruzione sociale di norme, comportamenti e attività che la stessa società ritiene appropriato per la donna o per l’uomo nel contesto culturale, epocale, storico, ambientale.

 

Parlando di violenza è inoltre fondamentale il concetto di “intenzionalità” dell’atto, la cui espressività fisica, psichica, sessuale, connessa ad incurie o privazione, può essere dichiarata o sospetta. La natura del reato deve essere specifica non vaga, scaturire da un sospetto fondato.

 

Dobbiamo ricordare che il medico di Pronto Soccorso è un P.U. ed esercita una pubblica funzione (amministrativa legislativa e giurisdizionale).

Vanno sempre denunciate, senza ritardo, con lo scopo di far avviare le indagini il prima possibile (art. 365 del CPP) le lesioni su minori con prognosi tra 21 o 40 giorni o che scaturiscono da lesioni che mettano in pericolo la vita, o quando vengono utilizzate delle armi, o con mezzi venefici, insidiosi o sostanze corrosive.

 

Per i minori vige l’obbligo di segnalazione di qualunque situazione anche di pregiudizio in cui il minore palesi uno stato di sofferenza, di disagio o carenza.

Situazioni sostenute da indicatori specifici: mancanza o carenza di relazioni familiari / tutoriali, assenza di ruolo genitoriale / protettivo e sicuro, inadeguatezza condotte parentelari rischiose dannose.

Nel caso in cui emergono questi indicatori specifici, la segnalazione va fatta immediatamente alla Procura presso il Tribunale dei Minori o, nel caso in cui sia possibile individuare il presunto autore, anche alla Procura Presso il Tribunale Ordinario.

Indicatori aspecifici sono casi in cui non emergono soggettivi gravi indicatori.

In questo secondo caso con indicatori aspecifici o comunque meritevole di attenzione e approfondimenti, la segnalazione verrà inviata ai Servizi Sociali Territoriali, all’Ufficio della Tutela dei Minori.

 

All’arrivo in PS di una persona che abbia subito maltrattamenti o violenza – giunta autonomamente o con F.O. o 118 – viene attivata la Procedura Aziendale in primis dal Triagista, opportunamente formato, che effettua una prima valutazione tenendo conto del contesto lavorativo, ponendo attenzione alla riservatezza, alla sicurezza, alla privacy.

Vengono raccolte le prime informazioni necessarie alla registrazione dei dati e all’ attivazione di un codice colore (che non è mai inferiore al codice giallo e con priorità).

 

Vengono messe in atto da parte del medico MEU specifiche misure di accoglienza della vittima prestando particolare attenzione al racconto, al coinvolgimento delle varie figure specialistiche – sempre nel rispetto della riservatezza dovuta – e fornendo informazioni dettagliate sull’ iter diagnostico terapeutico a cui la vittima verrà sottoposta.

 

Il Pronto Soccorso fornisce le cure necessarie e affida le vittime di violenza di genere, ad un percorso (con possibilità di accoglienza in centri specifici) per trovare strategie e soluzioni che le possano allontanare dai pericoli a cui possono andare incontro.

 

Il Pronto Soccorso è una porta sempre aperta, per molti è un “rifugio”.

Nei Pronto Soccorso ci si prende cura.

I Pronto Soccorso vanno tutelati, anche in rispetto della sofferenza di queste persone.

 

 

 

La perdita della misura

martedì, ottobre 24th, 2023

di Biagio Epifani

 

L’episodio che ha interessato il collega Vito Procacci, Direttore del Pronto Soccorso di Bari, in realtà ha colpito, in via emblematica, anche tutti gli operatori sanitari che, durante la pandemia Covid, hanno reso onore alla loro professione, rispondendo a quel richiamo, mai imposto, di essere presenti e operativi per l’aiuto a chi è in pericolo o in difficoltà.

 

Accade sempre, tutte le volte, per un terremoto, un’inondazione, un evento naturale. Una guerra.

È la risposta ad un ethos che non si negozia, che non chiede contropartita, che esce dalla logica del redde rationem, cara ai portaborse in grisaglia, sempre pronti a misurare dopo aver perso, loro, la misura.

È quello che si chiama spirito di un popolo.

 

Per noi che lavoriamo in emergenza sanitaria è il demone che ci agita, la nostra aretè, da anni ormai compressa nella palude tecnocratica, ostacolata da un apparato ragionieristico incapace di leggere la fenomenologia dell’accadere, illuso del controllo totale.

Non c’è un tutto da controllare e non è possibile tutto.

 

Possibile che un’Istituzione, l’Ispettorato del Lavoro, non abbia avuto occasione e tempo di riflettere su una richiesta, motivata da dovere d’ufficio, ma indirizzata a quella parte istituzionale che ha determinato la svolta ed il successo del controllo della pandemia?

Possibile che nessuna voce abbia interrotto quella decisione così s-misurata per la sua stessa natura e motivazione?

Possibile che non si verifica mai una ufficiale espressione di scuse, di errore, di dichiarata accettazione del proprio scacco?

 

Il padre è perduto.

Estinto negli algoritmi che ci vorrebbero tutti funzionari diligenti, scolaretti alla ‘The Wall’, pronti a sopportare le oscenità (qui è fuori dalla scena del reale) dell’assenza di una guida.

Dov’è la basiliké téchne platonica, la politica che guida, indirizza, sceglie?

 

Mentre eravamo dentro la bufera, la strada da prendere è stata chiara per tutti, facilmente riconoscibile negli sguardi dei pazienti.

 

Oggi brucia questa offesa, sa di beffa proprio quando il prezzo pagato per quell’impegno straordinario è stato la fuoriuscita di tanti colleghi, forse delusi per la gratitudine neanche sussurrata, per l’assenza di risposte alle nostre perseveranti richieste di cambiamento, di svolta a difesa della sanità nel segno costituzionale.

 

Ancora di più brucia per aver richiesto l’intervento del Presidente Mattarella e per chi è rimasto come testimone di quella sanità, sarebbe davvero troppo rimanere in silenzio.

 

Allora siamo e saremo sempre al fianco di Vito Procacci, dei suoi infermieri e dei suoi medici perché oggi, loro, sono tutti noi.

 

 

 

E’ arrivato il momento di cambiare!

venerdì, settembre 29th, 2023

di Stefano Paglia

 

La protesta dei medici specializzandi non è solo giusta e totalmente condividile, è anche “provvidenziale”.

Provvidenziale perché attesta che è indiscutibilmente arrivato il momento di riformare il modo in cui in Italia i medici diventano specialisti, confrontandosi in positivo con quanto, in parallelo, avviene non solo in Europa ma in gran parte del Mondo.

 

Conciliare lavoro e formazione non è impossibile, anzi!

E’ opportuno, è necessario.

 

L’obiettivo condiviso deve essere chiaro: formare giovani professionisti pronti, pienamente operativi autonomi ed esperti al pari dei loro colleghi europei.

Questa è il vero senso della specializzazione!

 

Non dobbiamo puntare a studenti al termine di un percorso didattico ma dobbiamo raggiungere l’obiettivo di avere professionisti esperti al termine di un percorso formativo con autonomia crescente, associata ovviamente a una degna retribuzione e al pieno riconoscimento di ruolo, impegno, capacità e funzione.

 

Il passaggio al lavoro non può che essere progressivo, graduale e deve completarsi proprio nel corso del percorso formativo specialistico.

In questo gli ospedali di formazione non possono che avere ruolo.

 

La protesta degli specializzandi è una grandissima occasione per tutti per riflettere sul cambiamento e voglio credere che anche il mondo dell’Università ne saprà cogliere l’importanza interpretandone la prospettiva divenuta ormai ineludibile e vitale.

 

Poco da aggiungere.

Hanno ragione loro.

È tempo di cambiare.

 

La salute pubblica non è solo un diritto/dovere, è anche un investimento.

venerdì, marzo 17th, 2023

di Giuseppina Fera

 

Sono passati 3 anni dall’incubo dal quale stiamo piano piano uscendo, il 18 marzo si celebra la “Giornata nazionale in memoria delle vittime del COVID” e – a quanto appare – il sacrificio di tanti poveri innocenti non ha insegnato molto.

 

In realtà noi professionisti MEU abbiamo potuto constatare, dal nostro osservatorio privilegiato che risponde sempre ad ogni esigenza, che le vittime del Covid sono molte più di quelle dichiarate, perché nelle statistiche non vengono considerate le riacutizzazioni di cronicità trascurate, la mancanza di diagnosi precoci e la minor attenzione nei confronti delle altre patologie.

 

Purtroppo duole constatare che in questi tre anni la sanità pubblica non solo non si è rafforzata, ma è si è ulteriormente indebolita. 

 

Dopo l’esperienza pandemica molti operatori sanitari hanno deciso di andare in pensione o di dimettersi, sfruttando varie alternative (non ultime le famigerate Cooperative), gli Ospedali sono in affanno e il Territorio inesistente, spesso per carenza di personale.

Già nel 2019 avevo scritto una lettera su Quotidiano Sanità affermando “se non si provvede velocemente a incentivare il disagio lavorativo con un sistema contrattuale che invogli i giovani a partecipare ai concorsi e i più esperti a restare nella Sanità pubblica non sarà garantita, in tempi brevi, quella cura che la Costituzione invoca come diritto imprescindibile. Proporre un rinnovo del contratto che non tenga minimamente conto del fatto che i professionisti della salute hanno continuato a garantire efficienza nonostante un salario proporzionalmente sempre in diminuzione da 10 anni a questa parte (forse il Governo non conosce il significato del potere d’acquisto) e un disagio lavorativo sempre in crescita, specialmente in alcuni settori, è indicativo della volontà politica di distruggere il SSN. Se un politico facesse, in totale anonimato, una guardia in Pronto Soccorso e non solo una visita di pochi minuti con la Direzione Aziendale (che ovviamente cerca di evidenziare solo efficienza), si potrebbe rendere conto della realtà.”

 

Ancora oggi nelle ipotesi di indirizzo contrattuale non si vedono cambi di rotta e l’emorragia di professionisti continua.

 

Non è una giustificazione pagare a livello nazionale liberi professionisti 10 volte di più rispetto ai colleghi dipendenti solo perché i fondi da cui si attinge sono diversi (Personale e Beni e consumi), bisogna valorizzare la professionalità e la continuità del servizio, gratificare e proteggere il proprio tesoro culturale, aumentare il senso di appartenenza.

Autorizzare un aumento di prestazioni aggiuntive pagate quanto i liberi professionisti è un piccolo passo fatto da molte Regioni, ma bisognerebbe remunerare le numerose ore di straordinario fatte abitualmente alla stessa cifra, senza obbligare a procedure burocratiche fatte di timbri e autorizzazioni varie.

 

In particolare il MEU non lavora solo sull’emergenza, ma è il fulcro tra Ospedale e Territorio:

fa diagnosi rapide, dimette, orienta l’utente, trova soluzioni e riconosce velocemente le gravità evitando l’intasamento del Sistema e questo va riconosciuto e valorizzato.

 

Per il Governo il finanziamento del SSN, a partire dal Sistema dell’Emergenza Urgenza, deve essere visto come investimento per tutelare la salute pubblica, in modo da avere cittadini in buona salute e quindi che aumentano la produttività del Paese. 

Forse non siamo ancora al punto del non ritorno, ma siamo maledettamente vicini e se non ci saranno provvedimenti rapidi non sarà più possibile curare la Sanità.

 

 

Il caso sociale.

lunedì, febbraio 27th, 2023

di Erika Poggiali

Si presenta ogni sera, poche ore dopo l’inizio del turno della notte e si mette a dormire silenzioso sulle sedie.

Barelle per dormire non ce ne sono.

Sembra di stare in aeroporto il 15 di agosto nella boarding area in attesa di un posto letto per essere ricoverati. Tutto full anche oggi. E allora viaggia in economy lui, si accontenta.

 

È ormai un “frequent flyer” del nostro Pronto Soccorso e ha imparato a non infastidire chi sta lavorando, medici, infermieri e OSS.

 

All’inizio si faceva inserire in triage con sintomi così fantasiosi da far impazzire qualsiasi giovane medico alle prime esperienze in Pronto Soccorso, proprio come il povero dottor Gerard Galvan nella sua lunga notte raccontata dalle parole di Daniel Pennac.

Infastidiva la sua insistenza nell’aggiungere nuovi sintomi ad ogni diagnosi raggiunta per la dimissione, ancorandosi con forza alla barella.

 

Poi è diventato sincero, o meglio, abbiamo compreso il suo reale bisogno, che non ha nulla a che vedere con le cure mediche, ma con un più pragmatico istinto di sopravvivenza, che si traduce in un posto dove dormire la notte, quando fuori è tutto chiuso e si va sottozero.

 

Non ha una casa né una famiglia.

Non ha nemmeno un amico.

 

Ha una storia tutta sua, come tutte quelle persone che vivono per strada, per scelta, necessità, casualità. Secondo le stime ISTAT sono 100mila i senza tetto in Italia, il 38% stranieri, il resto italiani. Hanno un’età media di 41,6 anni e si concentrano principalmente in 6 comuni: Roma (nel 23% dei casi), Milano (9%), Napoli (7%), Torino (4,6%), Genova (3%) e Foggia (3,7%)1. Ma sono dati fittizi, aggiornati al 31 dicembre 2021, che sottostimano i dati reali e non considerano tutte quelle persone non iscritte all’anagrafe.

 

Qualcuno li chiama elegantemente “clochard”, qualcun altro preferisce l’anglosassone “homeless”, in italiano li abbiamo sempre chiamati “barboni” in una accezione negativa e stigmatizzante, poi sostituita da “senza fissa dimora” o “senzatetto”. Ma alla fine sono tutti “poveri diavoli”, emarginati dalla società, invisibili alle istituzioni.

 

È vero, è sporco e puzza, tanto.

Ed è vero, non siamo la Caritas né un dormitorio.  

“Verrà ancora se lo trattiamo così!”

“Ma così come? Come un essere umano in difficoltà?”

Avete ragione, la soluzione non siamo noi e non dovremmo esserla.

 

E allora provo a cercare una soluzione nella politica italiana e mi imbatto nel disegno di legge n.1448 del Senato, il cui articolo 15 “individua le misure volte a tutelare le persone senza tetto o senza fissa dimora, al fine di agevolarne l’accesso al beneficio, tramite programmi annuali di assistenza da parte dei comuni, che devono essere comunicati, con cadenza semestrale, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali”2. Ma poi quando cerco di avere un approccio pragmatico al problema, scopro che “per accedere alle strutture di accoglienza è necessario interfacciarsi con il Centro Aiuto, Ufficio del Comune di …. che risponde al numero ….”, come  si legge su un sito internet di un comune italiano del Nord. E ancora “il contributo è di 1,50 euro per posto letto e di 1,50 euro per il pasto serale”. Nulla penserete voi, un’eredità per chi non ha un euro in tasca. E ancora, “…. è un dormitorio per uomini, dai 18 ai 65 anni, senza fissa dimora e in situazione di bisogno per l’accoglienza notturna. L’accesso al servizio è diretto, se ci sono posti disponibili”, con quel “se” che non è sinonimo di garanzia.

 

La Costituzione Italiana, che di anni ne ha 75, parla chiaro. Secondo l’articolo 3 “…È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”3

 

Ma di nuovo, non trovo nemmeno qui una soluzione, che eppure deve esserci e dovrebbe essere semplice e veloce, ad opera delle istituzioni politiche e non del medico di Pronto Soccorso.

 

Ci provano allora i servizi sociali ai quali facciamo riferimento in questo percorso umano di “problem solving” che non ha nulla a che vedere con competenze mediche ed expertise, ed è così che vengo a conoscenza dei tempi infiniti delle liste di attesa per un “ricovero sociale”.

 

“La realtà non è come ci appare” scrive Carlo Rovelli (2014, Raffaello Cortina Editore) nel tentativo di spiegare al lettore la teoria della relatività generale e della meccanica quantistica.

 

E la verità è che è stato più facile capire l’indeterminismo ontologico e l’estensione dell’aspetto relazionale delle leggi fisiche a spazio e tempo piuttosto che risolvere “il caso sociale del Pronto Soccorso”, che ancora oggi è senza soluzione come un “cold case” della politica italiana.

 

  1. https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/pmi/2023/01/05/-in-italia-100mila-senzatetto-bene-rilevazione-istat-_0bf6418a-c521-458d-b8be-4e6893aa39d7.html
  2. https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/0/814007/index.html?part=ddlpres_ddlpres1-articolato_articolato1-articolo_articolo15
  3. https://www.senato.it/sites/default/files/media-documents/ROSSA_Costituzione_testo%20vigente_agg_7_11_2022.pdf

 

La perenne sfida a costruire un futuro possibile

sabato, ottobre 15th, 2022

di Anna Maria Ferrari

 

Da un po’ di tempo, in ogni evento ufficiale a cui partecipo, mi capita di ripetere la stessa frase “ Nei mei lunghi anni di lavoro nel SSN e nell’emergenza urgenza non ho mai vissuto un momento più difficile di questo” e non mi riferisco alla sola disciplina di Medicina d’Emergenza Urgenza ma a tutta la Sanità pubblica.

 

Stiamo vivendo il momento della decadenza del Servizio sanitario pubblico, nato con un atto di coraggio della politica nel 1978, ma mai portato veramente a compimento per essere il gioiello di una società davvero civile e solidaristica. La vera riforma non è mai decollata veramente ed ora le forze che l’hanno osteggiata fin dall’inizio possono dire di stare vincendo la loro sfida, con un sistema sanitario costantemente sotto finanziato, utilizzato come fonte di stanziamento per altri scopi, mai amato e rispettato e neppure capito da chi istituzionalmente era responsabile delle scelte, a tutti i livelli.

 

Perché questa prefazione per parlare di noi, dei medici dell’emergenza urgenza?

 

Perché la nostra sorte e la nostra condizione è strettamente legata ad un Servizio sanitario tradito ed attualmente ai limiti della sopravvivenza.

In questo momento la sopravvivenza gli viene garantita da quel piccolo grande esercito di medici ed infermieri che ci hanno creduto e che si sentono orgogliosi di fare parte di un sistema sanitario che garantisce la gratuità di cure, anche avanzate, per tutti e che svolge la propria professione prendendosi cura fino in fondo dei pazienti che gli sono stati affidati, rinunciando a tanto della propria vita privata.

 

Ebbene, nel nostro settore c’è sempre stata un’alta concentrazione di questi strani soggetti, legati a doppio filo alle loro responsabilità nei confronti dei pazienti, dei colleghi, e dei loro ideali.

La scuola di specializzazione è stata conquistata da questi strani soggetti, che ci hanno creduto, contro ogni previsione e contro nemici molto agguerriti.

E ancora questi strani soggetti hanno dato forma alle Strutture dove esercitare la Medicina d’Emergenza Urgenza, non solo in Pronto Soccorso, ma anche in Medicina d’Urgenza e sui Mezzi di Soccorso Avanzato.

 

Poteva ormai sembrare una strada in discesa ma non è andata così.

 

I risparmi sul personale operati negli anni scorsi a causa di leggi finanziarie sempre più restrittive, a commissariamenti regionali, a errate valutazioni sui reali fabbisogni di personale, aggiunti ai  gravi errori sulla formazione specialistica che hanno portato ad una carenza assurda di specialisti e ad una grande sacca di medici destinati alla sottoccupazione, perché impossibilitati ad entrare in specializzazione.

 

Ebbene queste scelte hanno ridotto all’osso il personale medico degli ospedali, rendendo sempre più gravoso il lavoro per i pochi rimasti, soprattutto nella nostra disciplina.

 

Esistono poi le tempeste perfette e arrivarci con gravi carenze d’organico non è il miglior modo per affrontarle: parliamo di una pandemia Covid che non finisce più, e nella quale ci siamo distinti per abnegazione, di una medicina territoriale che ne è stata travolta e che fatica a ritrovare l’efficienza utile a trattenere i pazienti fuori dai Pronto Soccorso, del mondo delle prestazioni ambulatoriali specialistiche e diagnostiche che non riescono a riprendere tempi di attesa accettabili, favorendo il ricorso ai PS e al privato.

 

Parliamo poi degli Ospedali che, a corto di personale medico nelle discipline di base (medici d’emergenza urgenza, internisti, geriatri, anestesisti, ortopedici, etc), strangolati dai pareggi di bilancio e dalla scarsità di posti letto per acuti e cronici, non riescono a garantire quel minimo di posti letto che farebbero respirare i Pronto Soccorso.

 

Tutto ciò rende la nostra vita lavorativa molto difficile e favorisce l’abbandono della disciplina, facilitato dalla carenza di medici specialisti quasi in ogni branca.

 

Tutti ci stiamo interrogando sulle possibili soluzioni per riportare in equilibrio il sistema e rendere il lavoro in Emergenza Urgenza di nuovo sostenibile e quindi desiderabile, così come lo è stato per la maggior parte di noi.

 

E’ ancora possibile?

Penso che sì, sia ancora possibile!

 

E’ la sfida dei medici d’emergenza urgenza dell’oggi e del futuro, che debbono capire che in questi pochi anni si decide la qualità del sistema in cui dovranno lavorare o dal quale fuggiranno.

Il ritorno alla rotazione nei PS?

La rinuncia alla Medicina d’Urgenza e ai Mezzi di soccorso avanzato?

La resa al sistema privato?

 

O la resistenza e l’alleanza di coloro che credono ancora di potersi dedicare a ciò che li appassiona, senza dovere rinunciare ad una vita di qualità? 

 

Questa è la sfida che attende tutti noi!

 

La disciplina MEU: per una rivoluzione contro l’esiguità del pensiero tecnicista

giovedì, settembre 22nd, 2022

di Biagio Epifani

 

Efficienza, performance, produttività.

Sono questi gli orizzonti che oggi regolano il nostro agire di medici d’Emergenza.

L’apparato ci vuole convergenti. Come se il discorso aperto sulla Sanità fosse limitato alla gestione di una ‘disease’ assoggettabile ad una visione quantitativa, gestita da un algoritmo dal risultato prevedibile. Dunque trasformando il malato in consumatore, fatalmente guidato dalla medicalizzazione, comodo surrogato della gnoseologia, e orientato da un bisogno che chiude il tempo, ridotto ad un ‘tutto subito’, quell’eterno presente che impedisce la profondità di qualsiasi analisi.

Perdita della possibilità di capire la ‘illness’, quella prospettiva che rende il medico interprete e possibile soggetto che ‘cura’, nell’incertezza e nella variabilità, compagni di viaggio di chi vive accanto all’apparente non-senso della malattia.

 

Come SIMEU, società scientifica dei medici ed infermieri d’Emergenza, istituzione oggi ampliata a difesa della professione e dei valori che rappresenta, di fronte alla continua attribuzione di obiettivi incoerenti ed alla demolizione del nostro campo di applicazione, abbiamo chiesto ripetutamente una revisione dei parametri di valutazione per evidenziare gli esiti dei nostri interventi, dei provvedimenti economici e organizzativi chiari per fermare l’emorragia di personale, l’inequivocabile posizionamento della nostra disciplina tra quelle con il significato di pilastro imprescindibile del Sistema Sanitario Pubblico.

 

Come risposta, ancora oggi, riceviamo indicatori di performance quantitativi, certamente facili da gestire da remoto ma alieni rispetto all’ethos professionale, l’ingresso di figure professionali fuori o quasi dai percorsi della disciplina specialistica, l’accenno dispnoico a gratificazioni economiche non strutturali da premio scolastico.

Sempre presenti, nei luoghi e nei tempi degli accadimenti, talvolta soli anche nella decisione o nella pronuncia di parole difficili, testimoni di albe e tramonti, colti dall’insonnia del dubbio o dallo sfinimento, destinatari di una gratitudine sempre sussurrata, siamo a presiedere la moltitudine di vuoti sempre più vasti.

 

Unica categoria di medici senza attività privata, concentrati a migliorare la nostra capacità d’intervento con una continuità di training che abbiamo diffuso alla comunità, esempio unico di sincronicità tra prevenzione cura, sempre disponibili ad intervenire per le necessità dei nostri ospedali, costretti perfino a farci carico di attività “altre” nella nostra posizione di società scientifica, oggi assistiamo al depauperamento della nostra componente professionale, sostituita da chi ha appena terminato il corso di laurea o, nei casi peggiori, da medici gestiti da cooperative improvvisate, in aperta contraddizione con la necessità di garantire nell’Emergenza la presenza di medici preparati a tale attività ed il rispetto delle normative sugli orari di lavoro.

 

E nel clima di disastro incombente, anche altre componenti ospedaliere si affacciano oggi pensando di prendere una fetta dell’Emergenza, magari prefigurando vantaggi e ruoli.

 

Intanto è cambiata l’antropologia del paziente del Pronto Soccorso.

Le richieste variano da certificato di malattia, assegnazione di un posto in RSA, anticipazione di esami, attesa per un posto letto e quindi il cosiddetto boarding. Ancora, l’età avanzata dei pazienti, con medie ormai oltre gli 80 anni, affetti da patologie croniche che quasi sempre necessitano di riequilibri e tempi di gestione non corrispondenti al setting dell’Emergenza.

 

Il mondo in questo immediato post-covid è cambiato, e non è neanche migliore: l’illusorio e arrogante pensiero di poter controllare e gestire tutte le malattie è stato abbattuto ma, invece di generare consapevolezza, ha prodotto una nuova paura e la richiesta di ristabilire ad ogni costo e presto, quell’illusione, incentivata anche da qualche avventato discorso circa i prodigi della tecnologia, spinto anche a prefigurare la sostituzione del medico con qualche algoritmo digitale.

Con il paradosso che molti nostri concittadini si accodano per seguire idee che promettono lunga vita, sedotti dalla prospettiva di demolire il presunto potere occulto della ‘medicina ufficiale’. Una pervasività digitale che, nella più totale assenza di libertà, sta preparando il controllo dei bisogni e la residualità del pensiero critico. Abbiamo pensato ad un nuovo Umanesimo della Medicina, ne abbiamo fatto un congresso regionale in SIMEU, ma la risposta non c’è stata. Una gerontotecnocrazia, abituata alle proprie soluzioni standard, non riesce ad intercettare le aspirazioni che la componente più giovane esprime e, senza clamore, agisce.

La vita professionale, declinata nel tempo della sintonia con la vita extraprofessionale, in una visione di equilibrio e di recupero del concetto di misura, ha definitivamente preso il sopravvento.

 

Per capire questo cambiamento occorrono strumenti interpretativi nuovi, un pensiero divergente che possa indurre risposte originali contro la clausura financo delle nostre stesse opinioni.

 

I giovani emergentisti, sorretti dall’entusiasmo, hanno trovato sul loro cammino non la promessa del legittimo protagonismo che ogni professione reca con sé, ma la prospettiva di costituire solo l’argine all’arrembaggio del caos. La perdita di personale non ha radici ambigue né motivazioni superficiali: una professione impegnativa, esposta ad un rischio elevato, sempre più frequentemente destinataria di aggressioni e contenziosi, con una scarsa progressione di carriera e con una vite personali irregolari, richiede una valorizzazione inequivocabile da parte delle Istituzioni.

Significazione di una posizione insostituibile nel SSN: non solo in termini di essenziale e specifico riconoscimento economico ma, soprattutto, determinazione degli ambiti d’intervento che necessariamente devono escludere tutte quelle attività che nessuna attinenza hanno con l’emergenza e l’urgenza.

 

Quello che è accaduto si può ricostruire passo dopo passo, provvedimento dopo provvedimento, riconoscendovi l’incapacità nella previsione delle conseguenze.

Con quella acribia ragionieristica nel definire livelli minimi delle necessità organizzative sempre e solo considerando il ‘quanto serve’, giammai il ‘cosa serve’. Differenza sostanziale tra visione di progetto, e dunque crescita e flessibilità a lungo termine, e utilizzo del momento. Chiusura ad un qualunque respiro ampio per soccombere ancora una volta a quell’eterno quotidiano emergenziale, terreno di conquista per quei soggetti, che scaltramente sanno occupare i vuoti lasciati.

 

A caro prezzo per la sanità pubblica e per le nostre professionalità. Quelle stesse che poi, nel momento del bisogno, ci vengono richieste per i nostri cari.

 

Si sta giocando la partita, a tempo scaduto, sull’orlo di un baratro: ciascun politico che ha a cuore la difesa del SSN deve poter considerare il problema come assolutamente prioritario e porsi in ascolto delle proposte che la SIMEU, intercettando la voce dei professionisti impegnati sul campo e dei giovani delusi, sta presentando alle Istituzioni.

 

Presidente sezione regionale Veneto – Trento – Bolzano

 

A proposito del nuovo decreto del Ministero della Salute

lunedì, settembre 5th, 2022

di Ufficio di Presidenza SIMEU Nazionale

 

Sul provvedimento elaborato dal Ministero che definisce le equipollenze della specialità di Medicina d’Emergenza Urgenza e modifica la denominazione della disciplina da “Medicina e Chirurgia d’Accettazione e Urgenza” a “Medicina d’Emergenza Urgenza” occorre fare chiarezza.

Ci pare di rilevare commenti poco informati, in alcuni casi addirittura tendenziosi, che stanno creando un’ingiustificata confusione impedendo una corretta comprensione del significato del provvedimento.

 

Partiamo dall’analisi della situazione attuale.

 

Punto primo: la specializzazione in MEU è l’unica nel panorama delle Scuole italiane a non avere ad oggi una disciplina omonima. La questione potrà apparire ad alcuni solo simbolica, ma è oggettivamente un pensiero riduttivo: è il segno di un’assenza del riconoscimento di un’identità chiara e definita ai nostri specialisti.

 

Del resto il Consiglio Superiore di Sanità già nel 2011 – nella seduta in cui fu costretto a stabilire l’equipollenza tra la specialità MEU e la disciplina MeCAU – caldeggiava l’armonizzazione delle due denominazioni nel senso accolto oggi dal provvedimento in oggetto.

 

A proposito delle equipollenze: alla specialità MEU non è mai stata fino ad oggi riconosciuta alcuna equipollenza contrariamente a quanto avviene normalmente per quasi tutte le Specialità.

Attualmente esistono 42 differenti specializzazioni che, per via di equipollenze o affinità, consentono la partecipazione a concorsi di MeCAU.

 

Il riconoscimento almeno delle equipollenze “in uscita”, nell’ambito delle specialità afferenti al settore MED09 cui la MEU appartiene – le cinque specializzazioni citate nel provvedimento, tutte equipollenti “in entrata” per i concorsi di MeCAU – ha il significato di un corretto riequilibrio delle prerogative degli specialisti MEU, ma anche di tutti i Colleghi inquadrati attualmente come MeCAU rispetto a tutti gli altri.

 

È necessario ricordare che il provvedimento consegue a un recente parere del Consiglio Superiore di Sanità che – anche alla luce di una relazione tecnica presentata da SIMEU – ha riconosciuto che la formazione dei nostri specialisti è assolutamente paritaria rispetto alle altre specializzazioni del settore MED09 (che sono equipollenti tra loro, si badi bene).

 

Fin qui la semplice spiegazione di contenuto.

Sono però ugualmente utili altre considerazioni.

 

  • Riconoscere agli specialisti MEU dignità pari ad altri specialisti, riguardo sia al nome della disciplina che al riconoscimento della propria preparazione, ci pare dovuto e indiscutibile. L’idea per la quale tutti possono fare il nostro lavoro e noi non abbiamo la capacità di fare il loro è semplicemente offensiva.

Ovviamente nessuno pensa di collocare uno specialista MEU in Sala di Emodinamica, così come nessuno vi collocherebbe uno specialista in Gastroenterologia o in Geriatria: attualmente però, i gastroenterologi ed i geriatri possono effettivamente essere assunti in Cardiologia in virtù dell’equipollenza esistente, a differenza dello specialista MEU che non ha alcun altro sbocco se non la MeCAU.

Lo ripetiamo: è una questione di indispensabile pari dignità rispetto ai nostri altri colleghi.

 

  • L’ipotesi che un MEU – magari nella seconda parte della sua vita professionale – possa dover uscire da un’attività così gravosa fisicamente e psicologicamente come l’Emergenza Urgenza deve essere contemplata.

Continuiamo ad augurarci che in futuro, con una definitiva e ubiquitaria ridefinizione delle articolazioni delle strutture di MeCAU, non sarà necessario abbandonarle.

Tuttavia, allo stato attuale, riteniamo più che ragionevole prevedere questa eventualità.

 

  • L’effetto “svuota-Pronto Soccorso” paventato da alcuni del tutto ingiustificato in considerazione del tuttora esiguo numero di specialisti MEU attivi nelle nostre strutture, nonché della triste considerazione per la quale chi vuole uscire dal Pronto Soccorso già lo fa con svariate soluzioni.

Non ci stancheremo di ripetere che i Pronto Soccorso continueranno a svuotarsi fino a che non verranno drasticamente migliorate le condizioni di lavoro.

Questa è la vera causa da affrontare!

 

  • Interpretare il provvedimento come un ulteriore allargamento delle possibilità di ingresso nelle strutture di MeCAU (continueremo a chiamarle così fino all’auspicata approvazione del nuovo provvedimento) è errato e non corrisponde a verità.

Per averne conferma basta leggere il provvedimento stesso.

Purtroppo questa interpretazione continua ad essere manifestata da più parti.

 

  • Interpretare il provvedimento come “sprofessionalizzante” non poggia su nessuna reale analisi critica, visto che nulla cambia nella formazione e soprattutto nella qualità dei nostri specialisti.

Coloro che considerano garanzia di professionalità l’ingresso esclusivo in un’unica disciplina – portando l’esempio di Anestesisti Rianimatori e Radiologi – dimenticano che a tali discipline si accede esclusivamente con la corrispondente specialità e che nessuna equipollenza è prevista.

Vogliamo ancora una volta sottolineare che sono ben 42 le specializzazioni che possono entrare in MeCAU e che l’idea di una possibile esclusività, sulla quale saremmo assolutamente disponibili a discutere, è semplicemente irrealizzabile nella situazione attuale.

 

Teniamo infine a precisare che le misure contenute nel nuovo provvedimento fanno parte della piattaforma di richieste che SIMEU ha portato a tutti i tavoli istituzionali ai quali è stata invitata negli ultimi anni.

 

Tra le molte richieste a favore delle quali SIMEU si è resa concretamente attiva citiamo tra le altre a titolo di esempio:

 

  • la riforma del Sistema d’Emergenza Urgenza, con il riconoscimento della competenza anche pre-ospedaliera degli specialisti MEU e la creazione dei Dipartimenti integrati come uniche soluzioni efficaci;
  • la riforma delle Scuole di Specializzazione con l’inquadramento degli specializzandi come Dirigenti del SSN, pur con competenze progressivamente crescenti;
  • l’applicazione ubiquitaria del modello di struttura comprendente Pronto Soccorso – OBI – Terapia Semintensiva – degenza di Medicina d’Urgenza;
  • la soluzione del problema del ‘boarding’ attraverso strumenti di programmazione, monitoraggio e rifunzionalizzazione;
  • il riconoscimento della natura usurante dell’attività in Emergenza Urgenza.

 

È provato dal lavoro svolto sino a qui dai rappresentanti della Società Scientifica che al provvedimento di cui parliamo non attribuiamo una funzione risolutoria della crisi dell’Emergenza Urgenza.

 

L’applicazione dello stesso sarebbe invece un primo importante passo, seppur il più semplice e nella giusta direzione. Un segnale di ascolto e soprattutto di cambiamento della traiettoria.

 

Abbiamo nel recente passato sottolineato come la crisi del governo Draghi abbia interrotto un lavoro che viene da lontano, del quale l’applicazione di quanto contenuto in questo provvedimento avrebbe dovuto essere solo uno dei risultati.

Nonostante ciò, come SIMEU, continueremo nella nostra azione.

 

Resta un’ultima considerazione anch’essa particolarmente importante.

 

Al di là dei troppo frequenti giudizi disinformati, espressi da chi ha l’abitudine di commentare dopo aver letto solo il titolo, disquisendo di ciò che non conosce, una posizione contraria da parte di alcuni singoli Colleghi o Organizzazioni non può che essere interpretata come un tentativo di soffocamento anche della minima acquisizione da parte di chi lavora in Emergenza Urgenza.

 

Una posizione questa che – vista l’assoluta ininfluenza del provvedimento sulle prerogative di qualunque altro Collega specialista – non può che spiegarsi con la volontà di mantenere la nostra attività e la nostra professionalità ad un rango inferiore.

Posizione oggettivamente del tutto inaccettabile.

 

Il provvedimento deve ancora essere licenziato.

Ci auguriamo che questo accada nel più breve tempo possibile e che non subisca l’influenza di polemiche deboli, prive di fondamento o, sarebbe molto grave, faziose.

 

Ufficio di Presidenza SIMEU

Fabio De Iaco, Beniamino Susi, Antonio Voza, Andrea Fabbri, Salvatore Manca

Orgogliosamente MEU

 

credit fotografico Mario Guarino

Otto mesi per omicidio colposo

sabato, luglio 23rd, 2022

di Fabio De Iaco

 

Il titolo di giornale è un colpo allo stomaco: “Morto dopo sette ore al Pronto Soccorso, condannato l’infermiere che lo classificò codice verde”.

La condanna: otto mesi per omicidio colposo.

 

Chi conosce il Pronto Soccorso non può non percepire una profonda dissonanza tra l’evento drammatico e l’esito giudiziario: può l’agire personale di un singolo professionista essere l’unica causa punibile del fallimento (vero o presunto, qui poco importa) di un intero sistema?

 

La Medicina d’Emergenza Urgenza (in questo caso il Pronto Soccorso) non può essere banalmente ridotta a un semplice atto medico o infermieristico: è organizzazione, è stratificazione del rischio, è valutazione probabilistica, è continua collaborazione interprofessionale. È un sistema complesso di ingranaggi che consente di gestire decine di milioni di accessi, richieste, visite, ogni anno. In un rapporto numerico tra professionisti e pazienti che, senza l’organizzazione, decreterebbe il fallimento immediato della disciplina.

 

Il triage è l’elemento cruciale del sistema: senza una valutazione professionale della priorità della visita ogni Pronto Soccorso crollerebbe in un’ora. E per questa valutazione occorre una competenza specifica, con buona pace di coloro che disquisiscono di codici e colori senza neppure conoscere la differenza tra i concetti di priorità e gravità. La competenza sul triage è dell’infermiere, che per legge si forma con specifici corsi e applica protocolli complessi, mettendosi sulle spalle la responsabilità dei flussi di Pronto Soccorso. E gli innumerevoli esiti positivi del Pronto Soccorso, quelli che, giustamente, non fanno scalpore e non finiscono sui giornali, sono dovuti anche alla continua e professionale opera degli infermieri di triage.

 

Sono affermazioni banali per gli addetti ai lavori ma diventano necessarie quando, come in questo caso, al clamore mediatico di una sentenza corrisponde la solita ondata di commenti a discredito della professionalità degli infermieri, pronti a coprire di fango un professionista la cui responsabilità sarà comunque ancora oggetto di ulteriori gradi di giudizio.

 

Insomma, che sia chiaro: il triage è competenza di un unico professionista, l’infermiere.

 

Stabilito questo, alcune considerazioni generali sono dovute, pur non volendo né potendo entrare nello specifico di una sentenza di cui attendiamo le motivazioni.

 

Primo: per definire la responsabilità del professionista è necessario rispondere a due domande:

  • C’è stato errore (inteso come deviazione rispetto a protocolli e buone pratiche)?
  • C’è un nesso di causalità tra l’eventuale errore e l’esito infausto?

 

Domande cruciali che generano altri interrogativi, tra i quali:

  • c’è stata qualche decisione non conforme al protocollo aziendale?
  • le informazioni emerse durante il dibattimento erano tutte disponibili al professionista?
  • quali condizioni sono state certificate dalla visita medica (parametri, esami, ecc.)?
  • qual era la situazione di affollamento e quale traffico è stato registrato in quelle ore?

Leggeremo le motivazioni della sentenza.

Ma è un fatto che per rispondere a questi interrogativi è necessaria una profonda e certificabile conoscenza del mondo del Pronto Soccorso. Ma qui, per esperienza comune pluriennale, è lecito immaginare che le consulenze tecniche di cui ci si è avvalsi non siano giunte da professionisti di Medicina d’Emergenza Urgenza.

 

Pongo una semplice domanda: nel corso del processo è stato interpellato un infermiere esperto di triage? O un direttore di Pronto Soccorso? Sarebbe logico giudicare un evento accaduto in UTIC senza una consulenza di cardiologia? O in dialisi senza un nefrologo? Tuttavia quando l’imputato è il Pronto Soccorso ogni altro specialista è autorizzato a fornire pareri tecnici.

 

Secondo: è probabile che il giudizio dipenda da un’interpretazione rigida dei tempi d’attesa correlati al codice di triage. Ma i tempi previsti nei protocolli di triage sono indicativi: obiettivi ai quali mirare compatibilmente con la situazione di impegno dell’intera struttura. La stessa attesa di oltre sei ore per un codice verde (com’è accaduto nel caso in questione) è certamente il risultato di una situazione di affollamento, di carico di lavoro del Pronto Soccorso superiore alle risorse disponibili. Così come non è stata rispettata la tempistica d’attesa per il codice verde, perché si dovrebbe pensare che sarebbe stato possibile per un codice giallo?

 

Terzo: il triage ha subito un’evoluzione migliorativa. Non è un caso se questa Società Scientifica ha licenziato, da anni, nuove linee guida, di concerto con la Conferenza delle Regioni, che ancora attendono di essere applicate diffusamente sul territorio nazionale. Non è azzardato pensare che con il triage a cinque livelli la priorità del paziente sarebbe stata differenziata rispetto alla moltitudine indistinta di codici verdi generata dal triage a quattro codici. E l’insufficienza del sistema non può essere imputata al professionista che applica l’unico protocollo disponibile e validato.

 

In questa storia ci sono vari livelli di lettura: per prima c’è la dimensione umana, dei singoli sfortunati protagonisti.

A partire dalla persona purtroppo deceduta, dai suoi famigliari, dalle persone a lui vicine: la vicinanza e la solidarietà sono, ovviamente, fuori discussione. Pur conoscendola bene, alla morte improvvisa in Pronto Soccorso non ci abitueremo mai, e continueremo a considerarla una sconfitta.

E poi c’è l’infermiere condannato: non c’è alcuna volontà di sottrarci alla valutazione della responsabilità del singolo professionista (non lo facciamo mai, ogni volta che mettiamo una firma o eseguiamo una procedura). Ma una condanna per omicidio colposo è un peso tremendo, al quale ci sentiamo tutti esposti quotidianamente, e del quale non vogliamo immaginare le conseguenze personali e famigliari.

 

Ma c’è un altro livello di lettura, non meno importante: è pensabile continuare a ignorare l’assoluta peculiarità della Medicina d’Emergenza Urgenza? Si può proseguire a trattare l’attività di Pronto Soccorso come quella di qualunque altro reparto dell’ospedale? Possiamo ignorare ancora le enormi difficoltà attraverso le quali i nostri professionisti continuano a fornire un servizio vitale? Si può mettere ogni giorno in gioco la responsabilità dei singoli di fronte alle enormi carenze del sistema?

 

Sono domande che attendono risposte adeguate, dalle quali dipende non solo la sopravvivenza della disciplina, ma soprattutto la disponibilità futura di un servizio insostituibile per la salute dei cittadini.

 

L’importanza di questa sentenza è enorme: in futuro potrà fare giurisprudenza, condizionare i comportamenti, determinare la disponibilità stessa degli infermieri a proseguire in un’attività gravosa, di grande responsabilità, usurante e non valorizzata.

Per tutti questi motivi, ma anche per la vicinanza dovuta a un collega in difficoltà, restiamo accanto al nostro infermiere e gli offriamo totale sostegno.

C’è un tempo per ogni cosa.

giovedì, maggio 5th, 2022

di Stefano Paglia

 


Lo sappiamo da sempre.

 

C’è stato un tempo in cui credere e scommettere che questo lavoro fosse possibile, perché di questo si tratta, lavoro.

 

C’è stato un tempo in cui fare questo lavoro che in teoria non esisteva e farlo bene, strappando letteralmente a morsi margini di autonomia crescente e credibilità nonostante il medico di Pronto Soccorso fosse, a tutti gli effetti, qualcosa di poco definibile e la medicina d’emergenza urgenza una utopia in cui molti si rifiutavano di credere.

 

C’è stato un tempo in cui supportare in tutti i modi le nascenti specialità e mettere a disposizione dei nuovi Direttori, troppo spesso al loro primo contatto con il PS, tutto quello che sapevamo speravamo e credevamo dovesse essere fatto in e per il PS e per la nostra nuova disciplina.

 

C’è stato un tempo in cui gioire per i primi frutti di tanto impegno e per la consapevolezza che le giovani generazioni c’erano ed erano preparate, spesso più di noi, motivate e pronte.

 

C’è stato un tempo per sperare in un futuro migliore e per l’ottimismo.

Poi c’è stato il tempo del dolore della sofferenza e della morte e, ammettiamolo, della paura.

 

E dopo tutto questo, quando se esistesse giustizia al mondo o anche solo il tanto invocato karma, ci sarebbe stato il tempo di raccogliere i frutti della nostra resilienza e godere finalmente di un momento di serenità.

E invece…

 

Sono ancora tempi cupi, tempi difficili e grigi in cui tutto sembra volgere al peggio e in questo desolante panorama generale non fa nemmeno più notizia la lenta agonia a cui la nostra professione sembra essere condannata.

Quindi che fare?

 

Rassegnarsi e prendere atto del fatto che la precarizzazione dei PS, l’esternalizzazione dei nostri reparti  come per le lavanderie, le mense e i servizi di molti dei nostri ospedali è un fatto storico e inesorabile? Accettare l’idea che non è colpa di nessuno, che è un problema strutturale, che è colpa dei governi precedenti, delle università, dei sindacati, della magistratura, delle cavallette?

E diciamolo una volta per tutte non è forse ora di ammettere che è anche un po’ colpa nostra?

 

Colpa nostra perché se oggi come nelle vecchie barzellette prendessimo 10 medici d’urgenza, di PS e di 118 vecchi e giovani e li chiudessimo in una stanza in conclave senza cibo o acqua dicendogli di uscire solo con un progetto condiviso per rendere credibile il nostro futuro forse non uscirebbero proprio.

 

Perché ammettiamolo, come si fa a credere in una professione quando noi per primi ancora oggi dopo più di 10 anni dalla nascita della nostra specialità facciamo ancora fatica a avere una visione comune sul nostro ruolo e sul nostro futuro. Il presente è complesso ed è impossibile pensare di uniformarlo in tempi brevi ma come potremo renderci credibili se non siamo tutti concordi sul futuro. Su cosa dobbiamo ambire ad essere?

 

Siamo divisi ammettiamolo, medici di PS, medici d’urgenza, medici delle Medicine d’Urgenza, medici del territorio, del 112, del 118,  medici delle subintensive, medici precari, medici strutturati, medici di cooperativa, medici privati e medici del servizio pubblico e poi gli infermieri e il loro ancor più variegato modo.

 

Ognuno con i suoi problemi, le sue priorità le sue visioni e i suoi progetti. Nulla di sbagliato in tutto questo ma non possiamo non ammettere che forse anche questo è un problema.

Se non riusciremo a convergere su una progettualità unitaria non avremo la forza di fare richieste unitarie

Se non sappiamo cosa chiedere come possiamo pretendere di essere ascoltati?

Da queste riflessioni nasce una domanda, che tempo è questo?

Che dobbiamo fare?

 

Io credo serva una costituente dell’emergenza urgenza in Italia qualcosa che si muova in linea con quanto avvenuto a Riva del Garda e con quello che sta avvenendo in parlamento con la proposta di legge Mugnai attualmente in discussione. Serve aver e un progetto che renda il nostro lavoro finalmente fattibile fino alla pensione senza doverci smenare la salute fisica o mentale, avviene già in buona parte del resto del mondo, non raccontiamoci che non è possibile.

 

Serve anche però alzare la testa e pretendere subito, oggi non domani, il mantenimento di promesse fatte, basta parlare di riconoscimenti economici, basta parlare di riduzione dell’orario di lavoro e di lavoro usurante, basta parlare di depenalizzazione della colpa medica. Ora dobbiamo OTTENERE riconoscimenti economici, riconoscimento del lavoro usurante e depenalizzazione della colpa medica.

 

Qualcuno potrebbe obiettare che queste sono tematiche sindacali e noi non siamo e non abbiamo un sindacato unico che ci rappresenti (altro grave errore).

E’vero non siamo un sindacato ma siamo tanti, siamo stanchi e soprattutto abbiamo ragione. Lo sappiamo noi, lo sanno i cittadini, lo sanno i sindacati e i politici di tutti i livelli dai Comuni alle Regioni e anche al Governo.

 

Allora a sei mesi da quel 17 novembre, dopo fiumi di parole e ben pochi fatti concreti tiriamo su la testa perché nessuno di noi vuole portare l’onta di aver assistito inerme allo scempio del sistema d’emergenza urgenza senza fare nulla.

 

Sapete che tempo penso sia questo?

Penso sia il tempo di continuare a lottare per rivendicare ciò che è giusto e ciò che ci spetta perché noi non difendiamo solo i nostri diritti ma anche i diritti di tutti coloro che senza di noi di diritti sanitari non ne hanno.

 





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