IL BLOG DI SIMEU

 

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Carenza di organico nei PS: una sindrome multisistemica.

sabato, ottobre 12th, 2024

di Paolo Groff

Il numero impressionante di borse di studio ministeriali non coperte per la specializzazione in Medicina d’Emergenza e Urgenza anche quest’anno lascia tutti gli operatori del settore in preda allo sgomento e all’amarezza. Si moltiplicano i contenuti, più o meno composti, di abbandono, rabbia e risentimento per un Servizio Sanitario Nazionale concretamente a rischio, amato e odiato al contempo, mai interamente capito per quello che vale, sostanzialmente sacrificato all’altare della “forza maggiore”.

Si ribadisce con forza che un settore dell’emergenza-urgenza umiliato ed indebolito compromette il funzionamento dell’intero sistema e che solo una politica fattiva di reclutamento e ritenzione degli operatori dell’emergenza potrebbe avere effetti frenanti in quella che sembra una inarrestabile parabola discendente. Tuttavia, solo un’analisi attenta della vastità del fenomeno a livello internazionale e della profondità e diversità delle sue radici potrebbe consentire l’efficacia di misure correttive giocoforza molteplici, dirette a più livelli, e tra loro anche differenti.

Il fatto è che in tutta Europa e in molte parti del mondo osserviamo un numero crescente di posti di formazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza lasciati vacanti con un crescente abbandono dei programmi di formazione; allo stesso modo un numero crescente di posti per infermieri e medici d’urgenza di ruolo rimangono scoperti nei servizi sanitari nazionali; mentre c’è un esodo sempre crescente di operatori dai dipartimenti di emergenza tramite pensionamento anticipato. È d’altro canto vero che questa situazione può avere un impatto significativo sulla fornitura attuale e futura di cure di alta qualità ai pazienti e che la perdita di personale qualificato non rappresenta solo una perdita economica, ma anche una perdita di competenza ed esperienza.

Concettualmente, se definiamo la pianificazione della forza lavoro medica come il collocamento del personale giusto, con le giuste competenze nel posto giusto al momento giusto per garantire che l’assistenza sanitaria venga erogata (1), possiamo identificare specifiche criticità alla sua realizzazione sia nella fase di input, o reclutamento, che nella fase di output o mantenimento in organico. Entrambe queste categorie di problemi dipendono da fattori storici, ambientali, psicologici e generazionali o sociologici.

Considerando innanzitutto gli aspetti storici, tra il 2007 e il 2009, una crisi economica senza precedenti colpì i paesi occidentali, e conseguentemente molti governi furono costretti ad attuare misure specifiche per ridurre la spesa. Una di queste fu la cosiddetta “razionalizzazione” dell’assistenza sanitaria. Come si può derivare dai dati ufficiali, prendendo ad esempio la situazione italiana (cfr elaborazione OASI su dati del Ministero della Salute), ciò portò a una riduzione degli ospedali di comunità e a una riduzione del numero globale di posti letto ospedalieri con una concentrazione delle cure in ospedali più grandi. Poiché queste azioni non furono accompagnate da un corrispondente aumento dell’assistenza sanitaria extraospedaliera si osservò un aumento degli utenti che si rivolgevano ai PS e conseguenti problemi di blocco dei ricoveri, da cui, a loro volta, sorsero problemi di sovraffollamento, boarding e peggioramento delle condizioni di lavoro per gli operatori.

Tornando ad una visione più generale, l’importanza dello stress lavoro-correlato è emersa a partire dai lavori dedicati al tema dieci anni fa, che hanno evidenziato come la presenza di un flusso incontrollato di pazienti e l’impossibilità di far coincidere domanda e offerta possano essere fattori induttori di stress fisico e psicologico nei medici d’urgenza con conseguente calo dell’autostima e del senso di realizzazione. Uno studio in particolare ha esplorato anche i meccanismi di reazione in un gruppo di dirigenti di struttura d’emergenza-urgenza nel Regno Unito, evidenziando come, in questa situazione, lo sforzo per ripristinare a tutti i costi un funzionamento efficace del DEA e per mantenere la propria leadership ottenendo un miglioramento per pazienti e colleghi possa diventare un fattore di stress di per sé se non accompagnato da riconoscimento e rinforzo da parte del gruppo (2).

La correlazione tra qualità della vita sul lavoro e problemi di fidelizzazione e permanenza del personale è emersa ben presto, in vari studi, tra i medici che riferivano di apprezzare la continua varietà del lavoro in pronto soccorso, le dinamiche del team ad esso intrinseche, la possibilità di insegnare ai giovani, ma di non sapere per quanto tempo sarebbero stati in grado di mantenere questo ritmo data l’impossibilità di fornire cure di qualità ai pazienti (3). È interessante notare che i medici intervistati proponevano di promuovere la frequenza dei laureandi al pronto soccorso per aumentare l’attrattività del settore e facilitare quindi il reclutamento e il ricambio del personale. L’interesse deriva dal fatto che probabilmente, all’epoca, non risultavano del tutto evidenti gli effetti di quello che oggi potremmo tranquillamente definire “un cambio generazionale”.

Le giovani generazioni di medici, infatti, presentano caratteristiche e atteggiamenti che le differenziano notevolmente dalle precedenti. Se le caratteristiche dei cosiddetti “boomer” si possono compendiare nel termine “sposati con il lavoro”, con una tendenza ad accettare lunghi ed “antisociali” turni lavorativi, e una sostanziale fedeltà (o caparbia persistenza?) al posto di lavoro, le giovani generazioni sembrano concepire un rapporto più equilibrato tra lavoro e vita privata, un lavoro che sia soprattutto appagante, efficace, e consenta loro di sperimentare realtà lavorative diverse (4). Queste caratteristiche, in un contesto caratterizzato da un sistema sanitario vincolato dall’austerità, carichi di lavoro pesanti, elevata intensità del lavoro stesso con difficoltà a garantire una formazione e un supporto clinico adeguati ai medici in formazione e dalle crescenti richieste di una popolazione di  utenti anziana e comorbida, hanno portato a una crisi nel reclutamento e nella fidelizzazione dei giovani medici che,  a sua volta, in un circolo vizioso, peggiora le condizioni di lavoro e la possibilità di fornire formazione e supporto clinico.

In una revisione integrata di 47 articoli che miravano a determinare i fattori causali che contribuiscono alla crisi di fidelizzazione dei giovani medici al mondo dell’emergenza-urgenza utilizzando evidenze raccolte direttamente da loro (5), emergono tre temi chiave che caratterizzano il sistema attuale.

La presenza di condizioni di lavoro insoddisfacenti, scarso supporto e qualità delle relazioni sul posto di lavoro e scarse opportunità di apprendimento e sviluppo, insieme a un tema generale di mancanza di flessibilità nell’organizzazione del lavoro stesso.

Questi fattori sembrano portare ai seguenti risultati: non sentirsi valorizzati; mancanza di autonomia; scarso equilibrio tra lavoro e vita privata e compromissione dell’assistenza ai pazienti.

Non può stupire quindi che un numero crescente di giovani medici scelga di non intraprendere questa strada o di deviare da essa.

E arriviamo così a parlare di sindrome da burnout.

Si tratta di una specifica condizione clinica lavoro-correlata che non va confusa con le situazioni di insoddisfazione per l’ambiente lavorativo di cui abbiamo parlato finora e che si riassume nella compresenza di tre fattori singolarmente misurabili in senso quantitativo: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotto senso di realizzazione personale. Deriva dall’esposizione prolungata a fattori stressanti che possono anche coincidere con fattori legati all’ambiente di lavoro già esposti. Tali fattori, tuttavia, si intersecano con il livello di ansia percepito dal paziente, eventuali contenuti depressivi, le modalità con cui l’individuo reagisce allo stress e alcune caratteristiche specifiche dell’individuo stesso.

Questa sindrome, di fatto, sembra essere più frequente negli operatori dell’emergenza-urgenza rispetto a quelli di altre specialità ed è stata segnalata in quest’ambito una prevalenza variabile tra il 25 e il 78% (6). In questo articolo ho evitato di parlare della pandemia da Covid-19 come causa diretta dei problemi di organico al pronto soccorso, poiché si ritiene comunemente che essa abbia avuto soprattutto il ruolo di esacerbare criticità preesistenti che già costituivano un problema globale. In ogni caso, un’indagine condotta da EUSEM (Società Europea di Medicina d’Urgenza) su 1925 operatori dell’emergenza-urgenza ha evidenziato una prevalenza di burnout tra essi che va dal 31% al 62%, a seconda che vengano utilizzati criteri diagnostici rigorosi o flessibili, nell’era post-pandemica, superiore a quella riportata nell’era precedente che era del 23-34% (7). Fatto interessante, l’analisi delle covariate evidenziava che il rischio di burnout era più alto nelle lavoratrici, negli infermieri, nei lavoratori impiegati esclusivamente nell’area del pronto soccorso (che non ruotano cioè sull’emergenza pre-ospedaliera e sulla Terapia semi-intensiva), in quelli con minore esperienza lavorativa e, per quanto riguarda l’argomento in questione, in coloro che lavorano in pronto soccorso sotto organico e in coloro che esprimono frequentemente l’intenzione di lasciare il pronto soccorso.

Quindi, il burnout, oltre ad avere conseguenze sulla sicurezza dell’organizzazione e del paziente, è causa di assenteismo e difficile ritenzione del personale.

È pertanto logico chiedersi se esistano interventi specifici in grado di ridurre lo stress occupazionale e/o il burnout in pronto soccorso. Una revisione di 14 articoli ha preso in considerazione l’efficacia in questo senso di interventi di tipo educativo (consapevolezza della propria salute e come preservarla, miglioramento della comunicazione in team ecc.), di interventi basati sulla mindfulness (intervento psicologico mirato ad aumentare la consapevolezza del presente e la capacità di accettazione) e di interventi diretti al miglioramento dell’organizzazione (8). Nonostante l’estrema eterogeneità dei lavori considerati, gli interventi di tipo educativo e quelli basati sulla mindfullness hanno dimostrato, in misura variabile, di essere efficaci nel ridurre lo stress e il burnout, mentre gli interventi diretti all’organizzazione hanno dato origine a risultati contrastanti. Ciò non dovrebbe sorprendere né scoraggiare gli sforzi in tal senso considerando che gli interventi organizzativi richiedono risorse aggiuntive per facilitare cambiamenti su larga scala e un periodo di valutazione più lungo e anche che esiste un grado diffuso di delusione tra gli operatori nei confronti della leadership, della gestione organizzativa, e una refrattarietà al cambiamento.

Ultimo ma non meno importante, c’è il problema emergente della violenza e della discriminazione di ogni genere sul posto di lavoro. Uno studio condotto in Svizzera ha mostrato come questi problemi colpiscano con frequenza non trascurabile le diverse categorie di lavoratori del settore sanitario.

Benchè i numeri assoluti possano sembrare irrisori rispetto a quanto usualmente riportato nel mondo dell’emergenza-urgenza, in particolare nel nostro paese e in tempi recenti (lo studio citato è stato condotto su una popolazione indifferenziata di operatori sanitari), ciò che è interessante è il fatto che la frequenza con cui questi eventi vengono segnalati è chiaramente correlata alla percezione di un cattivo clima lavorativo da un lato e dall’altro alla convinzione con cui gli operatori intendono cambiare o lasciare il proprio lavoro (9).

In conclusione, i problemi di personale nel PS sono il risultato di una sindrome multisistemica in cui giocano un ruolo fattori storici, ambientali, generazionali, psicologici e sociologici.

Pertanto, non è concepibile una soluzione univoca.

È necessario considerare interventi a livello di decisori politici, volti soprattutto a ridurre la pressione degli utenti sul PS (urgente promuovere un effettiva offerta di salute sul territorio); interventi a livello di organizzazione ospedaliera volti a promuovere il flusso dei pazienti e facilitare le dimissioni dal PS; interventi a livello di organizzazione del PS, volti a promuovere la flessibilità dei ruoli, il supporto clinico, l’adeguata rotazione dei turni; interventi a livello individuale volti al supporto educativo e psicologico alla costruzione del clima di squadra, ecc.(10).

Solo la piena comprensione della multidimensionalità del problema e della sua perversa natura di circolo vizioso in cui la carenza di personale e il cattivo clima di lavoro non possono che generare ulteriore carenza di personale e peggioramento del clima di lavoro potrà portare a soluzioni ragionate e plurali che non abbiano il carattere di aleatorietà, come aprire la finestra delle assunzioni o dei posti in specializzazione sul baratro di un vuoto assoluto.

  • Curson JA, Dell ME, Wilson RA et al. Who does workforce planning well? Team rapid review summary. International Journal Health Care Quality Assurance. 2010, 23 (10): 110-9
  • Fitzgerald K, Yates P, Benger J, Harris A. The psychological health and well-being of emergency medicine consultants in the UK. Emerg Med J. 2016; 0:1-6
  • James F, Gerrard F. Emergency medicine: what keeps me, what might lose me? A narrative study of consultant views in Wales. Emerg Med j. 2017; 0: 1-5
  • Humphries N, Crowe S, Brugha R. Failing to retain a new generation of doctors: qualitative insights from a high-income country. BMC Health Services Research. 2018; 18: 44
  • Lock FK, Carrieri D. Factors affecting the UK junior doctor workforce retention crisis: an integrative review. BMJ Open. 2022; 12: e059397. Doi: 10. 1136/bmjopen-2021-059397
  • Boutou A, Pitsiou G, Sourla E, Kioumis I. Burnout syndrome among emergency medicine physicians: an update of its prevalence and risk factors. Eur Rev Med Pharmacol Sci. 2019; 23: 9058-9065
  • Petrino R, Garcia-Castrillo Riesgo L, Basak Y. Burnout in emergency medicine professionals after 2 years of the Covid-19 pandemic: a threat to the healthcare system? Eur J Emerg Med. 2022; 29: 279-284
  • Xu HG, Kinoch K, Tuckett A, Eley R. Effectiveness of interventions to reduce emergency department staff occupational stress and/or burnout: a systematic review. JBI Evidence Synthesis. 2020. Doi: 10. 11124/JBISRIR-D-19-00252
  • Hammig O. Quitting one’s job or leaving one’s profession: unexplored consequences of workplace violence and discrimination against health professionals. BMC Health Services Research. 2023; 23: 1251
  • Wong ML, Chung AS. Strategies for provider well-being in the Emergency Department. Emerg Med Clin N Am. 2020. 38: 729-738

CARTONE CANTA

domenica, agosto 4th, 2024

di Giovanni Noto

Presidente Regionale SIMEU Sicilia

 

Tra Primari che fanno notti, Dirigenti che non vanno in ferie rinunciando anche ai riposi, tra operatori dell’emergenza-urgenza stremati da turni sempre più pesanti ed utenti che, affollando le nostre sale d’attesa, richiedono continuamente aiuto, a fare notizia è un tutore di cartone confezionato da personale che pur di fornire un servizio improvvisa una medicazione che farebbe (fa!) scandalo se non fosse che è lo specchio di una sanità siciliana (italiana?) che fa acqua da tutte le parti; e con l’acqua il cartone si è sciolto.

 

Con chi prendersela? Con chi è in prima linea.

Con chi fa di tutto pur di non chiudere.

Con chi difende il Servizio Sanitario Nazionale rinunciando a tanto pur di garantire ciò che altri dovrebbero.

 

E così nei TG, subito dopo le notizie delle varie guerre e vittorie alle Olimpiadi passa la notizia di una “gamba ingessata col cartone”.

E dei colpevoli che saranno rimossi.

 

Bene. Va tutto bene. E ce la faremo.

Così come ce l’ha fatta l’utente che reinventandosi reporter e denunziando la vicenda sui social ha ottenuto l’obiettivo di alzare il (giusto) polverone su una notizia che ormai è una “routinaria emergenza”:

la Sanità Pubblica sta morendo.

E non certo per colpa di chi confeziona stecche di cartone. Anzi.

È proprio grazie a loro che il giornalista facebookiano (così come ogni utente che accede nei nostri Dipartimenti d’Emergenza) ha comunque potuto avere un’assistenza alla problematica del suo congiunto.

 

E ce l’ha fatta anche chi, invece di chiedersi quali siano le reali necessità del personale che tra mille difficoltà opera nei Pronto Soccorso della Sicilia, ha risolto un problema: ha attivato la caccia alle lepri!

Ma succede che invece di sparare alla preda si colpisca il cane.

 

Noi cani siamo stanchi. Di fare da guardia ad un sistema sanitario in caduta libera. Di abbaiare richieste d’aiuto che non vengono ascoltate dai nostri rappresentanti istituzionali. E di drizzare le orecchie alle finte dichiarazioni di solidarietà dei politici di turno o peggio al j’accuse bipartisan che in vicende come questa è solidale nell’indicarci come i colpevoli.

 

Alla responsabile del PS di Patti, al Coordinatore, a tutto il Personale (Medici, Infermieri, OSS e Ausiliari) il sostegno della SIMEU Sicilia per aver dato risposta alle domande di aiuto degli utenti; ed un ringraziamento altresì a tutti i professionisti dell’Emergenza-Urgenza che nella nostra isola tra mille fatiche, rinunce personali e facendo da parafulmine a tutte quelle “scariche” di disapprovazione che da più parti stanno piovendo sulla nostra categoria, manterranno comunque standard adeguati alle richieste di salute della popolazione.

 

Chi deve pagare veramente? Noi un’idea ce l’abbiamo.

Ma vi spoileriamo il finale: tra qualche anno pagheremo tutti.

E la pagheremo cara.

Ben più cara della prestazione privata offerta successivamente all’utente.

E quel cartone ce lo sogneremo.

 

NOTA DI SIMEU NAZIONALE

 

Non vogliamo entrare nello specifico di quanto accaduto a Patti, perché non conosciamo i dettagli. E comunque non ci siamo mai sottratti alle nostre responsabilità.

 

Ma alcune considerazioni generali si impongono:

 

– È singolare che si possa “rimuovere dall’incarico” una Collega che quell’incarico non l’ha mai ricevuto: le è stata affidata di fatto la responsabilità di un Pronto Soccorso senza alcun riconoscimento o valorizzazione, lasciandola comunque nei turni diurni e notturni e facendone il parafulmine per gli eventuali problemi.

 

Situazione che molti, in Pronto Soccorso, conoscono fin troppo bene.

 

– È altrettanto singolare che il Presidente della Regione telefoni al paziente per scusarsi dell’accaduto: noi passiamo il tempo a scusarci con tutti quelli che non fanno notizia ma che subiscono una situazione che denunciamo da anni.

 

– È ancora più singolare che la politica, punta nel vivo della propria visibilità mediatica, annunci ispezioni a tappeto. Non ci spaventano le ispezioni: anzi, le aspettiamo da tempo, da quando abbiamo iniziato a farci sentire.

 

Ci piacerebbe sapere se nella commissione di esperti annunciata dalla Regione ci saremo anche noi: c’è qualcuno più esperto di noi?

 

Lo ripetiamo: siamo la faccia di un sistema che non funziona.

 

Ed è la faccia che prende gli schiaffi. Spesso dagli utenti.

Altre volte, come oggi, dalle Istituzioni.

UNA FARMACIA NON È UN PRONTO SOCCORSO

mercoledì, giugno 12th, 2024

di Fabio De Iaco

Ennesimo caso di cattiva gestione e peggiore comunicazione di un evento potenzialmente letale!

 

Un signore di Alessandria di quasi cinquant’anni, di fronte alla necessità di un elettrocardiogramma urgente prescritto dal medico curante, viene inviato “per fare prima” nella farmacia più vicina.

 

Esegue l’esame, si avvia verso casa, e dopo 15 minuti il suo ECG viene “prontamente” refertato a distanza da Ancona, rivelando l’infarto in atto.

 

A quel punto, rintracciato telefonicamente dal farmacista, viene “esortato” a recarsi in Pronto Soccorso, dove finalmente riceve le cure del caso.

 

Tutto questo comunicato sulla stampa come “Storia a lieto fine: salvato da un elettrocardiogramma in farmacia”.

E non è l’unico caso…

 

Evidentemente, dopo tanti anni trascorsi a spiegare il significato della “catena del soccorso” e l’importanza dell’allarme precoce per gli eventi cardiovascolari, la rete dell’Emergenza Urgenza, secondo questa narrazione, può essere validamente sostituita dall’elettrocardiogramma eseguito in farmacia.

 

Non è neppure il caso di elencare gli errori enormi che si sono succeduti in questa storia, il cui lieto fine è reso possibile solo dalla gran fortuna del paziente, che ha rischiato un destino ben diverso.

Ovviamente siamo felici per lui.

 

Ma niente cancella l’ignoranza delle regole elementari del soccorso, la superficialità di una gestione potenzialmente letale, l’irresponsabilità e la pericolosità di un certo tipo di comunicazione,

 

In Italia esiste una Rete dell’Emergenza Urgenza sempre operativa che, dal primo allarme fino all’ospedale e oltre, ha come obiettivo la gestione di quelle che si chiamano “patologie tempo-dipendenti”.

Come quella del fortunato signore di Alessandria.

 

In un Servizio Sanitario Nazionale in chiara difficoltà l’apporto di tutti è benvenuto.

Ma snaturare la funzione della Medicina di Emergenza Urgenza, inventare nuovi percorsi antiscientifici e pericolosi, consentire comunicazioni fuorvianti, non fa bene a nessuno.

 

Soprattutto fa male ai cittadini.

 

 

 

Alcuni articoli che riportano la notizia di oggi e altre simili

https://radiogold.it/news-alessandria/378541-vita-salvata-valenza-farmacia-arrigoni/

https://www.federfarma.it/Edicola/Filodiretto/VediNotizia.aspx?id=25626

https://www.farmacista33.it/benessere/28336/telemedicina-ecg-in-farmacia-salva-paziente-accertato-attacco-cardiaco-in-corso.html

 

Il bando AREU in Lombardia secondo SIMEU

martedì, febbraio 6th, 2024

di Luciano D’Angelo – Presidente regionale SIMEU Lombardia

 

Il Pronto Soccorso è in difficoltà: si tratta di un problema tutt’altro che banale, potrebbe essere la fase iniziale di un reale cedimento del Servizio Sanitario e questo, a sua volta, potrebbe avere una ricaduta devastante sulla tenuta sociale.

 

Può sembrare un’affermazione azzardata, ma non lo è.

 

Le richieste di soccorso, non solo di tipo sanitario ma ormai anche di tipo sociale sono, in parte, ascoltate solo da una parte del “sistema”: quello aperto sempre, in tutte le ore del giorno e tutti i giorni dell’anno … più dei Carabinieri, più del Prete … il servizio di pronto soccorso.

 

Le cause sono complesse, si confondono nelle scelte politico-amministrative scellerate degli ultimi 2-3 decenni. Siamo un Paese ad elevato sviluppo tecnologico, in grado di formare professionisti di livello eccellente (investendo peraltro risorse “ingenti”) che trattiamo poi da garzoni di bottega, degni di una modesta “paghetta” e di nessun diritto, spalancando le porte per la loro fuga all’estero.

 

Continuiamo a tollerare un sistema a più livelli in cui coabitano, con diritti e doveri molto differenti, professionisti medici “dipendenti” – più o meno in rapporto esclusivo – e professionisti “liberi”, con regole evidentemente poco efficaci e con un risultato globale di salute che si commenta da solo.

 

Per non parlare degli Infermieri e degli altri operatori sanitari.

 

I Pronto Soccorso, soprattutto quelli dei grandi centri, sono a tutti gli effetti un ambito in cui molti diritti di tutela della dignità delle persone passano in secondo piano: non rare le immagini di alcuni report giornalistici che ci mostrano situazioni da bolgia Dantesca. Basta una virosi stagionale (non scomodiamo le pandemie), bastano dei periodi di caldo estivo superiore alle medie per far precipitare nella confusione, nel burnout degli staff professionali, nelle manifestazioni di rabbia e violenza.

 

Gli ingredienti sono noti: riduzione progressiva dei posti letto per acuti negli ospedali, insufficiente offerta del territorio (medicina generale, riabilitazioni, lungodegenze, ecc.), esiguità del personale, sempre più tartassato e sempre meno valorizzato. Probabilmente non vi è un vero “disegno” in tutto ciò (vedi abbattere il pubblico a favore del privato) ma solo, purtroppo, incapacità e arrogante ignoranza.

 

A questo si aggiunge, quale ingrediente perfetto, la totale incomprensione e per certi versi anche una certa dose di menefreghismo dei cittadini. Sino a quando non ne sono direttamente coinvolti. E allora si passa dal silenzio alla rabbia.

 

Si può invertire la rotta: forse, ma occorre non perdere più un solo istante. Il Prof. Nino Caltabellotta della Fondazione GIMBE e i referenti dell’Istituto Mario Negri, hanno fatto analisi di dettaglio e indicato alcune strategie.

Anche la nostra società scientifica SIMEU da anni guarda alle problematiche, denuncia a gran voce la situazione e propone soluzioni.

Ma bisogna volerle applicare.

 

BASTERANNO I MEDICI RECLUTATI CON IL “BANDO AREU”?

La carenza di medici, ma anche e forse soprattutto di infermieri, nel sistema emergenza-urgenza è un problema oggettivamente rilevante.

 

Al di là delle cause che hanno portato a questo livello critico, per cercare delle soluzioni occorre avere ben chiaro che il primo obiettivo da perseguire – per trovare professionisti disposti a lavorare “nel sistema” – è riformare profondamente il sistema stesso.

 

La Lombardia ha, per la prima volta e con la delibera di fine luglio 2023 promossa dall’Assessore Guido Bertolaso, stabilito delle regole per delineare il ruolo e la funzione dei professionisti che lavorano nella Linea dell’Emergenza, sia pre-Ospedaliera – 118 per intenderci – che intra-ospedaliera, Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza.

 

E’ un primo passo, importante: ora servirà affrontare in modo reale la medicina, del territorio e rivedere i percorsi di formazione dei professionisti della salute, che rappresenta un altro capitolo tanto complesso quanto vasto.

 

Il ricorso ai cosiddetti “gettonisti” reclutati da Società di Servizi è un fenomeno reso possibile dallo sfruttamento di particolari voci di bilancio delle Aziende Sanitarie: si è trattato di un’azione a suo tempo “probabilmente necessaria”, ma che ha prodotto una distorsione imprevista di tutto il sistema di reclutamento di professionisti, soprattutto rispetto le retribuzioni molto maggiori dei riferimenti istituzionali e con regole molto diverse.

 

Nel tentativo di controllare questa nuova realtà, la Direzione Generale del Welfare Lombardo ha scelto di istituire una sorta di “albo” di libero-professionisti da impiegare, mediante contratti diretti stipulati poi dalle varie Aziende Sanitarie, indicando la retribuzione secondo 3 fasce dipendenti dal possesso di Specializzazione o meno, dal tipo di Specializzazione stessa o dallo status di medico in formazione specialistica. L’Agenzia Regionale dell’Emergenza Urgenza (AREU) è stata incaricata di effettuare le selezioni e creare l’albo dei professionisti.

 

E’ la soluzione ideale?

Certamente vi sono dei margini di incertezza: i professionisti potrebbero scegliere di migrare in Regioni vicine alla Lombardia dove trovare contratti più vantaggiosi, potrebbero crearsi delle differenze significative tra diverse Aziende Ospedaliere in funzione della loro “attrattività” di tipo economico.

 

Come affermato dal collega dott. Stefano Paglia, Consigliere nazionale SIMEU, anch’egli operativo in Lombardia “Il passaggio dalle coop all’elenco regionale potrebbe creare qualche difficoltà, ma aver stabilito una tariffa unitaria è importante perché evita la gara al rialzo dei compensi. Ora ci si auspica che anche le altre Regioni applichino lo stesso modello»

 

Bisognerà quindi valutare l’impatto una volta avviata questa nuova modalità di organizzazione.

 

Certo è che la vera soluzione del problema dell’Emergenza, passa attraverso una riorganizzazione del sistema, un’azione efficace sul territorio, su nuovi percorsi di formazione. La posta in gioco è pesante, si tratta della sostenibilità e sopravvivenza dell’intero Servizio Sanitario.

 

Per questo motivo come società scientifica stiamo cercando da tempo di sensibilizzare l’opinione pubblica sollecitando un’alleanza attiva tra operatori e cittadini, la cui reazione costruttiva sarebbe davvero fondamentale.

 

 

Un estratto di questo articolo è stato pubblicato sul settimanale OGGI in edicola dal 8 febbraio 24

 

Tutela sociale della salute, profili e problemi delle responsabilità

giovedì, gennaio 25th, 2024

di Salvatore Aleo

Professore di diritto penale in quiescenza.

 

Nell’occasione del Convegno SIMEU Triveneto che si è tenuto a Pordenone nei giorni 14 e 15 dicembre 2023 dal titolo “Ciò che è necessario” ho svolto le seguenti, sintetiche, considerazioni.

 

1) Principio generale della responsabilità civile dovrebbe essere quello relativo allo schema del danno da prodotto industriale e come effetto di deficit organizzativo.

Ci stiamo avvicinando – anche con la distinzione tra responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e responsabilità extracontrattuale del sanitario dipendente – ma rimangono, soprattutto, due ordini di problemi.

 

a) Il medico rimane ostaggio della struttura, anche per ciò che riguarda il profilo “assicurativo”.

b) La misura della rivalsa e la difficoltà di definizione della colpa grave.

 

Sotto entrambi questi ultimi profili (sub b), non si può fare a meno di rilevare la grave sproporzione con la legge sulla responsabilità civile dei magistrati, dove la rivalsa è contenuta nella misura massima di metà dello stipendio netto, anche se dal fatto sia derivato danno a più persone e queste abbiano agito con distinte azioni di responsabilità, ed è fortemente tipizzata e delimitata la nozione di colpa grave.

 

2) Il sistema assicurativo non è stato realizzato.

L’obbligo di assicurazione delle strutture sanitarie non è sanzionato, gli ospedali sono in regime di “autoassicurazione”. Non sono stati emanati i decreti attuativi che riguardano le imprese di assicurazione e non può realizzarsi lo schema dell’azione diretta nei confronti dell’assicurazione.

 

3) Il penale e la colpa grave.

Occorrerebbe almeno limitare la responsabilità penale alla colpa grave. Ma invero il penale non dovrebbe neppure entrarci.

Il problema è di carattere molto più generale.

 

a) Riguarda tutti coloro che occupano una posizione ovvero svolgono una funzione di garanzia (l’ingegnere, il sindaco, il responsabile della protezione civile). Per tutti costoro la responsabilità penale colposa dovrebbe essere limitata alle ipotesi di colpa grave. In tal quadro, peraltro, ovvero secondo tale criterio di ragionevolezza, si supera ogni dubbio di violazione del principio di uguaglianza.

b) In una certa misura e per molti versi la questione riguarda in generale il diritto penale: rispetto a cui la responsabilità per colpa dovrebbe essere marginale e perfino estranea. Oltre ogni altra diversa e ulteriore considerazione, può rilevarsi, in via essenziale, per un verso, che la funzione penale, di prevenzione mediante intimidazione, sembra inadatta a prevenire l’errore, nonché incongrua rispetto alla dimenticanza e alla distrazione; per altro verso, che il diritto e la funzione penale dovrebbero essere circoscritti ai fatti criminosi, anche per questioni – strutturali – di funzionalità.

 

4) La colpa, nella società industrializzata contemporanea, è distribuzione sociale dei rischi delle attività pericolose: necessarie, come la medicina, utili, come la navigazione aerea, comunque socialmente accettate, come la boxe e le corse automobilistiche.

L’errore del medico è rischio tipico dell’attività sanitaria. Non ha senso porlo a carico del singolo sanitario: è ingiusto e disfunzionale.

La responsabilità della struttura costituisce oggettivamente l’onere di controllo del sistema produttivo e dell’attività.

 

5) Il consenso informato, ovvero l’informazione e il consenso, sono principi fondamentali di civiltà. L’esasperazione, sia quella accusatoria (la responsabilità penale, addirittura per l’evento infausto) che quella difensiva (da parte dei medici) produce storture.

 

6) Problema assolutamente centrale è quello delle competenze scientifiche e tecniche mediche, necessarie a giudicare, che ovviamente noi giuristi non abbiamo.

 

UNA PROPOSTA

Una proposta che mi permetto di sottoporre all’attenzione, indotta dalle precedenti considerazioni, che pure tiene conto di esperienze di altri Paesi, riguarda la realizzazione di strutture amministrative regionali, fortemente interdisciplinari, composte da medici, giuristi, medici legali, magistrati in pensione, di composizione e compensazione, per la valutazione dei danni prodotti nell’attività sanitaria, l’orientamento dei ristori e la monitorizzazione (in tempo reale, in progress) in funzione preventiva (quindi organizzativa).

 

 

La violenza di genere oggi.

lunedì, novembre 20th, 2023

di Aurelia Masciantonio

Nei report della direzione centrale di Polizia Criminale dal primo gennaio al 20 novembre del 2022 sono stati registrati 273 omicidi di cui 104 vittime sono donne.

 

L’ accesso ai Pronto Soccorso delle vittime della violenza di genere, registra un implacabile aumento. Le motivazioni sono ovviamente legate alle cure mediche immediate e non procrastinabili,  ma anche per sintomi larvati, aspecifici e a volte fuorvianti che minano un vissuto di minacce, aggressioni, stalking, molestie.

 

In Italia i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne, ha subito nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale o economica o psichica.

 

Le forme più frequenti di molestatore sono i partner, gli ex, amici con motivazioni ascrivibili a liti, spesso a futili motivi.

Gli effetti della violenza si ripercuotono sia sulla salute fisica che su quella psicologica.

Le vittime tendono all’isolamento, riducono la loro capacità lavorativa manifestando incuria di sé e dei loro familiari, spesso sviluppano disturbi comportamentali e, ben presto, si assiste al ricorso di strutture sanitarie o socioassistenziali risultando un problema di salute di proporzioni globali enormi.

 

Il 25 Novembre si celebra nel mondo la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con attività volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violazione dei diritti umani. Nel 2011 la Convenzione Europea definisce il primo strumento europeo giuridicamente vincolante, più nota come Convenzione di Istanbul, un quadro normativo completo a protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza riconosciuta come forma di violazione dei diritti umani.

 

La Repubblica Italiana tutela la salute dell’individuo tramite il sistema sanitario nazionale (leg 23 dicembre del 1978, legge 208 del 2015) e prevede un potenziamento dei percorsi dedicati alle vittime di violenza di genere nei Pronto Soccorso.

 

Nel mese di giugno 2023 è stato approvato un disegno di legge finalizzato al contrasto della violenza di genere che contempla il rafforzamento dell’ammonimento del Questore e garanzia per le vittime di cyberbullismo e di stalking, in cui è previsto un aggravamento della pena per soggetti già ammoniti. Inoltre vengono prese misure di potenziamento preventivo e misure di velocizzazione dei processi per la violenza contro il femminile.

 

Parere unanime dei ricercatori: adottare strategie per ridurre il rischio, investendo sulla prevenzione, l’informazione e la cultura.

 

Nel 2015 è stata adottata dall’Onu, l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: una lista di 17 obiettivi da raggiungere entro il 2030 sulla tutela dei diritti umani. Il documento è inserito all’interno del programma per lo sviluppo climatico.

Nel punto 5 è stato posto il raggiungimento dell’uguaglianza di genere, l’eliminazione di discriminazione e violenza contro donne e ragazze, ponendolo come obiettivo di strumento per il raggiungimento di parità in tutti i campi specialmente economico, politico e di leadership.

Si propone anche la garanzia per l’accesso alla salute sessuale e ai diritti riproduttivi, al riconoscimento del lavoro domestico retribuito e alla responsabilità condivisa all’interno del nucleo familiare.

 

La raccolta di dati e informazioni avviene con indagini periodiche da parte di esperti (GREVIO un comitato internazionale formato da 10/15 membri di vari stati firmatari), vengono così formulate indicazioni e direttive in ambito di prevenzione, sensibilizzazione, sia da parte di istituti pubblici che enti a convenzione ONG e Associazione.

L’ educazione alla parità di genere avviene con l’abbattimento di stereotipi che possono essere messi in atto con programmi dedicati nel nelle scuole, nelle istituzioni e con la formazione del personale preposto all’accoglienza delle vittime e degli autori della violenza.

 

Il significato di genere non si sovrappone al significato di sesso.

Per sesso si intendono caratteristiche biologiche, anatomiche, genetiche.

Per genere si fa riferimento ad una costruzione sociale di norme, comportamenti e attività che la stessa società ritiene appropriato per la donna o per l’uomo nel contesto culturale, epocale, storico, ambientale.

 

Parlando di violenza è inoltre fondamentale il concetto di “intenzionalità” dell’atto, la cui espressività fisica, psichica, sessuale, connessa ad incurie o privazione, può essere dichiarata o sospetta. La natura del reato deve essere specifica non vaga, scaturire da un sospetto fondato.

 

Dobbiamo ricordare che il medico di Pronto Soccorso è un P.U. ed esercita una pubblica funzione (amministrativa legislativa e giurisdizionale).

Vanno sempre denunciate, senza ritardo, con lo scopo di far avviare le indagini il prima possibile (art. 365 del CPP) le lesioni su minori con prognosi tra 21 o 40 giorni o che scaturiscono da lesioni che mettano in pericolo la vita, o quando vengono utilizzate delle armi, o con mezzi venefici, insidiosi o sostanze corrosive.

 

Per i minori vige l’obbligo di segnalazione di qualunque situazione anche di pregiudizio in cui il minore palesi uno stato di sofferenza, di disagio o carenza.

Situazioni sostenute da indicatori specifici: mancanza o carenza di relazioni familiari / tutoriali, assenza di ruolo genitoriale / protettivo e sicuro, inadeguatezza condotte parentelari rischiose dannose.

Nel caso in cui emergono questi indicatori specifici, la segnalazione va fatta immediatamente alla Procura presso il Tribunale dei Minori o, nel caso in cui sia possibile individuare il presunto autore, anche alla Procura Presso il Tribunale Ordinario.

Indicatori aspecifici sono casi in cui non emergono soggettivi gravi indicatori.

In questo secondo caso con indicatori aspecifici o comunque meritevole di attenzione e approfondimenti, la segnalazione verrà inviata ai Servizi Sociali Territoriali, all’Ufficio della Tutela dei Minori.

 

All’arrivo in PS di una persona che abbia subito maltrattamenti o violenza – giunta autonomamente o con F.O. o 118 – viene attivata la Procedura Aziendale in primis dal Triagista, opportunamente formato, che effettua una prima valutazione tenendo conto del contesto lavorativo, ponendo attenzione alla riservatezza, alla sicurezza, alla privacy.

Vengono raccolte le prime informazioni necessarie alla registrazione dei dati e all’ attivazione di un codice colore (che non è mai inferiore al codice giallo e con priorità).

 

Vengono messe in atto da parte del medico MEU specifiche misure di accoglienza della vittima prestando particolare attenzione al racconto, al coinvolgimento delle varie figure specialistiche – sempre nel rispetto della riservatezza dovuta – e fornendo informazioni dettagliate sull’ iter diagnostico terapeutico a cui la vittima verrà sottoposta.

 

Il Pronto Soccorso fornisce le cure necessarie e affida le vittime di violenza di genere, ad un percorso (con possibilità di accoglienza in centri specifici) per trovare strategie e soluzioni che le possano allontanare dai pericoli a cui possono andare incontro.

 

Il Pronto Soccorso è una porta sempre aperta, per molti è un “rifugio”.

Nei Pronto Soccorso ci si prende cura.

I Pronto Soccorso vanno tutelati, anche in rispetto della sofferenza di queste persone.

 

 

 

La perdita della misura

martedì, ottobre 24th, 2023

di Biagio Epifani

 

L’episodio che ha interessato il collega Vito Procacci, Direttore del Pronto Soccorso di Bari, in realtà ha colpito, in via emblematica, anche tutti gli operatori sanitari che, durante la pandemia Covid, hanno reso onore alla loro professione, rispondendo a quel richiamo, mai imposto, di essere presenti e operativi per l’aiuto a chi è in pericolo o in difficoltà.

 

Accade sempre, tutte le volte, per un terremoto, un’inondazione, un evento naturale. Una guerra.

È la risposta ad un ethos che non si negozia, che non chiede contropartita, che esce dalla logica del redde rationem, cara ai portaborse in grisaglia, sempre pronti a misurare dopo aver perso, loro, la misura.

È quello che si chiama spirito di un popolo.

 

Per noi che lavoriamo in emergenza sanitaria è il demone che ci agita, la nostra aretè, da anni ormai compressa nella palude tecnocratica, ostacolata da un apparato ragionieristico incapace di leggere la fenomenologia dell’accadere, illuso del controllo totale.

Non c’è un tutto da controllare e non è possibile tutto.

 

Possibile che un’Istituzione, l’Ispettorato del Lavoro, non abbia avuto occasione e tempo di riflettere su una richiesta, motivata da dovere d’ufficio, ma indirizzata a quella parte istituzionale che ha determinato la svolta ed il successo del controllo della pandemia?

Possibile che nessuna voce abbia interrotto quella decisione così s-misurata per la sua stessa natura e motivazione?

Possibile che non si verifica mai una ufficiale espressione di scuse, di errore, di dichiarata accettazione del proprio scacco?

 

Il padre è perduto.

Estinto negli algoritmi che ci vorrebbero tutti funzionari diligenti, scolaretti alla ‘The Wall’, pronti a sopportare le oscenità (qui è fuori dalla scena del reale) dell’assenza di una guida.

Dov’è la basiliké téchne platonica, la politica che guida, indirizza, sceglie?

 

Mentre eravamo dentro la bufera, la strada da prendere è stata chiara per tutti, facilmente riconoscibile negli sguardi dei pazienti.

 

Oggi brucia questa offesa, sa di beffa proprio quando il prezzo pagato per quell’impegno straordinario è stato la fuoriuscita di tanti colleghi, forse delusi per la gratitudine neanche sussurrata, per l’assenza di risposte alle nostre perseveranti richieste di cambiamento, di svolta a difesa della sanità nel segno costituzionale.

 

Ancora di più brucia per aver richiesto l’intervento del Presidente Mattarella e per chi è rimasto come testimone di quella sanità, sarebbe davvero troppo rimanere in silenzio.

 

Allora siamo e saremo sempre al fianco di Vito Procacci, dei suoi infermieri e dei suoi medici perché oggi, loro, sono tutti noi.

 

 

 

E’ arrivato il momento di cambiare!

venerdì, settembre 29th, 2023

di Stefano Paglia

 

La protesta dei medici specializzandi non è solo giusta e totalmente condividile, è anche “provvidenziale”.

Provvidenziale perché attesta che è indiscutibilmente arrivato il momento di riformare il modo in cui in Italia i medici diventano specialisti, confrontandosi in positivo con quanto, in parallelo, avviene non solo in Europa ma in gran parte del Mondo.

 

Conciliare lavoro e formazione non è impossibile, anzi!

E’ opportuno, è necessario.

 

L’obiettivo condiviso deve essere chiaro: formare giovani professionisti pronti, pienamente operativi autonomi ed esperti al pari dei loro colleghi europei.

Questa è il vero senso della specializzazione!

 

Non dobbiamo puntare a studenti al termine di un percorso didattico ma dobbiamo raggiungere l’obiettivo di avere professionisti esperti al termine di un percorso formativo con autonomia crescente, associata ovviamente a una degna retribuzione e al pieno riconoscimento di ruolo, impegno, capacità e funzione.

 

Il passaggio al lavoro non può che essere progressivo, graduale e deve completarsi proprio nel corso del percorso formativo specialistico.

In questo gli ospedali di formazione non possono che avere ruolo.

 

La protesta degli specializzandi è una grandissima occasione per tutti per riflettere sul cambiamento e voglio credere che anche il mondo dell’Università ne saprà cogliere l’importanza interpretandone la prospettiva divenuta ormai ineludibile e vitale.

 

Poco da aggiungere.

Hanno ragione loro.

È tempo di cambiare.

 

La salute pubblica non è solo un diritto/dovere, è anche un investimento.

venerdì, marzo 17th, 2023

di Giuseppina Fera

 

Sono passati 3 anni dall’incubo dal quale stiamo piano piano uscendo, il 18 marzo si celebra la “Giornata nazionale in memoria delle vittime del COVID” e – a quanto appare – il sacrificio di tanti poveri innocenti non ha insegnato molto.

 

In realtà noi professionisti MEU abbiamo potuto constatare, dal nostro osservatorio privilegiato che risponde sempre ad ogni esigenza, che le vittime del Covid sono molte più di quelle dichiarate, perché nelle statistiche non vengono considerate le riacutizzazioni di cronicità trascurate, la mancanza di diagnosi precoci e la minor attenzione nei confronti delle altre patologie.

 

Purtroppo duole constatare che in questi tre anni la sanità pubblica non solo non si è rafforzata, ma è si è ulteriormente indebolita. 

 

Dopo l’esperienza pandemica molti operatori sanitari hanno deciso di andare in pensione o di dimettersi, sfruttando varie alternative (non ultime le famigerate Cooperative), gli Ospedali sono in affanno e il Territorio inesistente, spesso per carenza di personale.

Già nel 2019 avevo scritto una lettera su Quotidiano Sanità affermando “se non si provvede velocemente a incentivare il disagio lavorativo con un sistema contrattuale che invogli i giovani a partecipare ai concorsi e i più esperti a restare nella Sanità pubblica non sarà garantita, in tempi brevi, quella cura che la Costituzione invoca come diritto imprescindibile. Proporre un rinnovo del contratto che non tenga minimamente conto del fatto che i professionisti della salute hanno continuato a garantire efficienza nonostante un salario proporzionalmente sempre in diminuzione da 10 anni a questa parte (forse il Governo non conosce il significato del potere d’acquisto) e un disagio lavorativo sempre in crescita, specialmente in alcuni settori, è indicativo della volontà politica di distruggere il SSN. Se un politico facesse, in totale anonimato, una guardia in Pronto Soccorso e non solo una visita di pochi minuti con la Direzione Aziendale (che ovviamente cerca di evidenziare solo efficienza), si potrebbe rendere conto della realtà.”

 

Ancora oggi nelle ipotesi di indirizzo contrattuale non si vedono cambi di rotta e l’emorragia di professionisti continua.

 

Non è una giustificazione pagare a livello nazionale liberi professionisti 10 volte di più rispetto ai colleghi dipendenti solo perché i fondi da cui si attinge sono diversi (Personale e Beni e consumi), bisogna valorizzare la professionalità e la continuità del servizio, gratificare e proteggere il proprio tesoro culturale, aumentare il senso di appartenenza.

Autorizzare un aumento di prestazioni aggiuntive pagate quanto i liberi professionisti è un piccolo passo fatto da molte Regioni, ma bisognerebbe remunerare le numerose ore di straordinario fatte abitualmente alla stessa cifra, senza obbligare a procedure burocratiche fatte di timbri e autorizzazioni varie.

 

In particolare il MEU non lavora solo sull’emergenza, ma è il fulcro tra Ospedale e Territorio:

fa diagnosi rapide, dimette, orienta l’utente, trova soluzioni e riconosce velocemente le gravità evitando l’intasamento del Sistema e questo va riconosciuto e valorizzato.

 

Per il Governo il finanziamento del SSN, a partire dal Sistema dell’Emergenza Urgenza, deve essere visto come investimento per tutelare la salute pubblica, in modo da avere cittadini in buona salute e quindi che aumentano la produttività del Paese. 

Forse non siamo ancora al punto del non ritorno, ma siamo maledettamente vicini e se non ci saranno provvedimenti rapidi non sarà più possibile curare la Sanità.

 

 

Il caso sociale.

lunedì, febbraio 27th, 2023

di Erika Poggiali

Si presenta ogni sera, poche ore dopo l’inizio del turno della notte e si mette a dormire silenzioso sulle sedie.

Barelle per dormire non ce ne sono.

Sembra di stare in aeroporto il 15 di agosto nella boarding area in attesa di un posto letto per essere ricoverati. Tutto full anche oggi. E allora viaggia in economy lui, si accontenta.

 

È ormai un “frequent flyer” del nostro Pronto Soccorso e ha imparato a non infastidire chi sta lavorando, medici, infermieri e OSS.

 

All’inizio si faceva inserire in triage con sintomi così fantasiosi da far impazzire qualsiasi giovane medico alle prime esperienze in Pronto Soccorso, proprio come il povero dottor Gerard Galvan nella sua lunga notte raccontata dalle parole di Daniel Pennac.

Infastidiva la sua insistenza nell’aggiungere nuovi sintomi ad ogni diagnosi raggiunta per la dimissione, ancorandosi con forza alla barella.

 

Poi è diventato sincero, o meglio, abbiamo compreso il suo reale bisogno, che non ha nulla a che vedere con le cure mediche, ma con un più pragmatico istinto di sopravvivenza, che si traduce in un posto dove dormire la notte, quando fuori è tutto chiuso e si va sottozero.

 

Non ha una casa né una famiglia.

Non ha nemmeno un amico.

 

Ha una storia tutta sua, come tutte quelle persone che vivono per strada, per scelta, necessità, casualità. Secondo le stime ISTAT sono 100mila i senza tetto in Italia, il 38% stranieri, il resto italiani. Hanno un’età media di 41,6 anni e si concentrano principalmente in 6 comuni: Roma (nel 23% dei casi), Milano (9%), Napoli (7%), Torino (4,6%), Genova (3%) e Foggia (3,7%)1. Ma sono dati fittizi, aggiornati al 31 dicembre 2021, che sottostimano i dati reali e non considerano tutte quelle persone non iscritte all’anagrafe.

 

Qualcuno li chiama elegantemente “clochard”, qualcun altro preferisce l’anglosassone “homeless”, in italiano li abbiamo sempre chiamati “barboni” in una accezione negativa e stigmatizzante, poi sostituita da “senza fissa dimora” o “senzatetto”. Ma alla fine sono tutti “poveri diavoli”, emarginati dalla società, invisibili alle istituzioni.

 

È vero, è sporco e puzza, tanto.

Ed è vero, non siamo la Caritas né un dormitorio.  

“Verrà ancora se lo trattiamo così!”

“Ma così come? Come un essere umano in difficoltà?”

Avete ragione, la soluzione non siamo noi e non dovremmo esserla.

 

E allora provo a cercare una soluzione nella politica italiana e mi imbatto nel disegno di legge n.1448 del Senato, il cui articolo 15 “individua le misure volte a tutelare le persone senza tetto o senza fissa dimora, al fine di agevolarne l’accesso al beneficio, tramite programmi annuali di assistenza da parte dei comuni, che devono essere comunicati, con cadenza semestrale, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali”2. Ma poi quando cerco di avere un approccio pragmatico al problema, scopro che “per accedere alle strutture di accoglienza è necessario interfacciarsi con il Centro Aiuto, Ufficio del Comune di …. che risponde al numero ….”, come  si legge su un sito internet di un comune italiano del Nord. E ancora “il contributo è di 1,50 euro per posto letto e di 1,50 euro per il pasto serale”. Nulla penserete voi, un’eredità per chi non ha un euro in tasca. E ancora, “…. è un dormitorio per uomini, dai 18 ai 65 anni, senza fissa dimora e in situazione di bisogno per l’accoglienza notturna. L’accesso al servizio è diretto, se ci sono posti disponibili”, con quel “se” che non è sinonimo di garanzia.

 

La Costituzione Italiana, che di anni ne ha 75, parla chiaro. Secondo l’articolo 3 “…È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”3

 

Ma di nuovo, non trovo nemmeno qui una soluzione, che eppure deve esserci e dovrebbe essere semplice e veloce, ad opera delle istituzioni politiche e non del medico di Pronto Soccorso.

 

Ci provano allora i servizi sociali ai quali facciamo riferimento in questo percorso umano di “problem solving” che non ha nulla a che vedere con competenze mediche ed expertise, ed è così che vengo a conoscenza dei tempi infiniti delle liste di attesa per un “ricovero sociale”.

 

“La realtà non è come ci appare” scrive Carlo Rovelli (2014, Raffaello Cortina Editore) nel tentativo di spiegare al lettore la teoria della relatività generale e della meccanica quantistica.

 

E la verità è che è stato più facile capire l’indeterminismo ontologico e l’estensione dell’aspetto relazionale delle leggi fisiche a spazio e tempo piuttosto che risolvere “il caso sociale del Pronto Soccorso”, che ancora oggi è senza soluzione come un “cold case” della politica italiana.

 

  1. https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/pmi/2023/01/05/-in-italia-100mila-senzatetto-bene-rilevazione-istat-_0bf6418a-c521-458d-b8be-4e6893aa39d7.html
  2. https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/0/814007/index.html?part=ddlpres_ddlpres1-articolato_articolato1-articolo_articolo15
  3. https://www.senato.it/sites/default/files/media-documents/ROSSA_Costituzione_testo%20vigente_agg_7_11_2022.pdf

 





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