IL BLOG DI SIMEU

 

Archive for the ‘Storie’ Category

VIOLENZA OFF-LABEL

mercoledì, settembre 25th, 2024

di Gruppo Acqua _ SumSchool 2023

 

Venerdì sera, ore 22:15.

Suona il telefono della C.O. per un codice verde.

Partiamo e arriviamo al target.

Suono il campanello, ci apre un uomo, che scoprirò essere il cognato della persona A.

Trovo A su una sedia, con le braccia conserte, viso contratto. A sinistra invece la persona B, appoggiata alla porta della cucina, scuote la testa. A e B sono coniugi.

 

 

Chiedo cosa sia successo.

A racconta che B ha chiamato l’ambulanza senza motivo e che vorrebbe semplicemente che il coniuge si togliesse le ciabatte e si mettesse le scarpe così da poter andare a casa propria, in quanto la casa era quella del genitore di A.

 

 

Prendo da parte B che racconta di uno scontro acceso in casa con aggressione dal coniuge, non il primo episodio. A nega e accusa B di malattia mentale.

 

Chiedo come mai B non volesse andare a casa con il coniuge. B riferisce di non voler affrontare un viaggio in macchina di 50 km a quell’ora e di non volerlo fare con il coniuge.

 

 

La situazione è molto tesa, esco dalla casa e chiamo la Centrale Operativa per attivare i Carabinieri. Prendo da parte il cognato e gli chiedo di spiegarmi la situazione.

 

Mi riferisce che la situazione è diventata insostenibile, A vuole portare B via in una casa a 50 km di distanza per non lasciarlo nella stessa casa del genitore, in quanto sospetta una relazione extraconiugale tra i due.

 

Mi riferisce che i litigi sono costanti, che A e B sono sposati da molto. Mi racconta che ieri sua figlia ha assistito ad un litigio tra i due, nel quale A ha cercato di strangolare B con la cintura di sicurezza. Che per la rabbia ha sfondato il cancello di casa per portare via B da li.

Sta suggerendo a B di divorziare da tempo, ma B non lo fa perché ha paura della reazione del coniuge.

 

Rientro in casa, la situazione è invariata. A seduta che urla e B che non si sposta, ancora con le ciabatte.

 

Arrivano i Carabinieri, esco per spiegargli la situazione e chiarire i ruoli e riferire ciò che mi aveva raccontato il cognato.

 

I Carabinieri parlano con B e poi prendono A per raccogliere la sua versione dei fatti. Riesco finalmente a parlare con B senza che il coniuge ci interrompa.

 

Chiedo cosa vorrebbe fare e mi dice che vorrebbe semplicemente andare a dormire, chiudere questa giornata. Mi mostra il graffio sul braccio, dovuto all’aggressione di stasera.

 

Mi viene in mente che possiamo inventarci una scusa per giustificare un trasporto in ospedale. Diremo che c’è la necessità di ripetere la vaccinazione antitetanica vista la mancata copertura e la ferita sul braccio.

B mi guarda finalmente con uno sguardo leggermente più sereno e alleggerito.

 

Faccio salire B in ambulanza e nonostante l’opposizione di A partiamo per il Pronto Soccorso. Prendiamo un ingresso secondario, ma A ci ha seguito in macchina e ci trova ugualmente. Impediamo l’entrata e indirizziamo A verso l’ingresso principale, da cui comunque non potrà entrare.

 

Entro in Pronto Soccorso, faccio accomodare B su un letto, dico che potrà rimanere con noi per la notte e per tutto il tempo necessario a garantirgli un rientro protetto a casa.

 

A sta già ripetutamente suonando al triage, chiedendo di entrare.

Mi metto al computer per inserire il paziente, trovo l’anagrafica.

Scelgo il codice 2 di triage per violenza altrui.

 

A si chiama Francesca, donna di 50 anni. B invece si chiama Roberto, uomo di 55 anni.

 

Francesca sta mostrando un atteggiamento violento, perpetrato da molto tempo e l’escalation della violenza è evidente. La causa degli scontri è la gelosia. Una situazione in cui solitamente i ruoli sono invertiti. Il protocollo della gestione delle vittime di violenza di genere parla di donne, bambini o anziani fragili.

 

Mi sono sentita in una situazione di violenza off-label.

 

Come sanitari siamo abituati a non applicare discriminazioni di genere, età, provenienza.

Dobbiamo fornire l’assistenza e le cure in modo indiscriminato.

 

I dati statistici sono chiari, la violenza sulle donne in quanto tali è frequente, pericolosa per le vittime, spesso sottovalutata e dobbiamo aumentare la nostra sensibilità al problema per migliorare la nostra capacità di riconoscimento delle situazioni suggestive.

 

Ma la violenza non conosce limiti e può avvenire in coppie omosessuali o eterosessuali, indifferentemente verso uomini o donne.

 

 

 

GRUPPO ACQUA SUMMER SCHOOL SIMEU 2023

Giusy Falsetti, Nicole Fari, Federica Ferla, Brenda Gagliardi, Marta Manuali, Valentina Marega, Valeria Carrieri, Giulia Cester, Valentina Ciarrocchi, Mario Corciulo, Guendalina De Nadai, Luca Di Franco, Roberto Facchino, Ilaria Florica, Valentina Gaifas, Laura Giordano, Daria Giudici, Maria Vittoria Govetosa.

 

L’ottimismo della volontà, il pessimismo della ragione.

venerdì, agosto 30th, 2024

di Antonella Cocorocchio

 

Essere un infermiere di emergenza urgenza: non ho ricordo del momento in cui ho deciso di intraprendere questa strada.

 

Ho scelto questa professione oppure sono stata scelta?

 

Dopo tanti anni, circa 27, credo di aver deciso di fare l’infermiere di emergenza “passivamente”: mi sono lasciata affascinare da una realtà, quella del Pronto Soccorso, che non conoscevo affatto.

 

Di fatto, sono sempre stata una persona curiosa, un’entusiasta.

Ricordo che avevo tanta paura, l’ansia da prestazione di non essere in grado, di non essere all’altezza di quel ruolo. Ogni giorno imparavo e acquisivo una nuova skills.

 

Qualcuno mi ha insegnato che il Pronto Soccorso rappresenta un osservatorio privilegiato sull’umanità. Non c’è cosa più vera di questa affermazione: i nostri occhi vedono, le nostre orecchie sentono, il nostro naso percepisce, le nostre mani toccano, il nostro senso del gusto assapora storie di vita di qualsiasi spaccato sociale.

 

Noi, quelli della Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, abbiamo la fortuna (o la sfortuna?) di avvicinarci a qualsiasi stato di malattia.

 

C’è stato un momento in cui ho pensato di non pronunciare più la parola “io”.

In Pronto Soccorso non si è mai da soli, sia nei momenti di gioia, sia nei momenti di sconfitta.

 

La condivisione del lavoro, dello stato d’animo, dei progetti è fondamentale nel nostro lavoro. Noi del Pronto Soccorso siamo una vera squadra. Arriva la persona in arresto cardiocircolatorio che riprende coscienza, la persona con l’ictus che riarticola la parola, il politraumatizzato che si risveglia, la persona vittima di violenza che si lascia accompagnare in un percorso di cambiamento:

quanti esempi si potrebbero fare per descrivere l’emozione e la soddisfazione che si prova alcuni momenti!

 

In altre occasioni è lo sconforto a prendere il sopravvento: le aggressioni verbali e fisiche, gli insulti gratuiti, la carenza di risorse professionali, la mancanza di fiducia da parte del cittadino!

 

Di fatto, il vero valore aggiunto del Servizio Sanitario Nazionale è il Pronto Soccorso: noi ci siamo sempre, siamo davvero il servizio pubblico. Ci siamo per scelta, per senso di dovere e di responsabilità.

 

Oggi ho capito di aver acquisito un’altra consapevolezza:

possedere la volontà che, pur davanti alle difficoltà che si presentano, quando si tratta di analizzare i problemi e trovare una soluzione razionale, non dobbiamo mai cedere il passo alla rassegnazione o smettere di lottare condannandoci al pessimismo.

 

*STORIA GRUPPO ARIA*

martedì, luglio 30th, 2024

Qualcuno dal suo PS vede il mare, il sole che colpisce gli occhi e che scalda il cuore; qualcuno una grande città, tante persone, la nebbia. Qualcuno le montagne, e sogna la pace.

 

Un pronto soccorso qualunque.

Un giorno di pioggia.

Il pensiero che va alla fine del turno.

Un codice rosa.

 

 

R.

Fammi scrivere bene, non devo dimenticarmi nemmeno un dettaglio. C’è voluto un po’ per tirarle fuori dai denti quella violenza. “avevo paura che avrebbe continuato ad ammazzarmi di botte se non ci fossi stata, quindi in realtà ero consenziente”. Ho accompagnato la paziente in tutto il suo percorso, in ginecologia, le ho scattato 40 foto mentre era nuda, inerme, davanti ai sanitari. Non volevo essere lì, era una violenza nella violenza.

 

F.

La tentazione di ignorare, di non scrivere, far finta di niente e minimizzare è tanta. Ma poi ti rendi conto che ti ha reso custode della sua sofferenza. È cosa da MEU anche questa purtroppo, e aggiungerei anche … per fortuna.

 

A.

Quella sera ho dovuto mettere insieme tutti i pezzi di quel triage, la ricorderò per tutta la vita. Era una turista accompagnata dalla polizia. La mattina successiva ho letto che il suo demone era stato fermato. Ricordo di aver pianto.

 

R.

Speriamo che non ci sia un trauma così la posso subito mandare al pronto soccorso ginecologico. In fondo dove posso metterla qui? In mezzo agli altri codici rossi? Tra il vecchietto con la niv che suona e il tossico che urla?

 

C.

Di fronte a quella donna provai un senso di tristezza profonda, di impotenza. Mi sentivo così piccola di fronte a tutto quello. Avevo nel cuore la consapevolezza che nonostante l’ascolto, non sarei mai stata in grado di lenire la sua sofferenza.

 

M.

Minchia che palle, ma questa perché ha continuato a stare con questo tipo nonostante tutto? Io non sono maschilista però…

 

F.

Alcune strutture ospedaliere potrebbero non avere risorse o personale adeguatamente addestrato per affrontare un caso di violenza di genere, come la mia.

Non la potevano portare da un’altra parte?

 

S.

Ok, adesso devo dimenticare il caos che ho intorno, del paziente che urla perché in attesa da 4h, della paziente sulla spinale che si lamenta per il dolore, del codice bianco che ripete che siamo incompetenti e non funziona la sanità.

Ora devo pensare a lei.

 

M.

Meno male che non è capitato a me…poraccia

 

A.

Pensava di essere al sicuro e invece è stata tradita proprio da chi le sembrava essere più vicino.

 

L.

Decide di affidarsi a noi per aprire gli occhi. Lei è stata fortunata. Non si sa come, dove e perché ma l’ha fatto. Da sola, voleva la libertà e noi abbiamo esaudito il suo desiderio. Almeno ci abbiamo provato.

 

Smettiamo di pensare, smettiamo di parlare, ora tocca a LEI…in fondo l’unico punto di vista che conta è il suo.

 

 

*STORIA GRUPPO ARIA* >>> definita di “coralità unica”

di Debora Martinelli, Roberta Molle, Daniela Mutti, Rossella Nocerino, Angelo Picciano, Serena Rispoli, Chiara Maffei, Arianna Magistro, Andrei Magri Piccinini, Francesco Notari, Francesca Ortu, Lucrezia Pagliuca, Roberto Palmisano, Francesca Palumbo, Matteo Pani, Stefano Pasqualin, Alessandra Pastorelli, Martina Polimeno

 

Specialisti e specialità: gli infermieri della MEU

lunedì, luglio 15th, 2024

di Alessio Luzi

Ci richiedono sempre più competenze per poter fare ciò che sappiamo fare meglio: il nostro lavoro.

 

Ci ritroviamo oggi, tra obblighi di legge o direttive aziendali, a dover formare il nostro profilo e ampliare i nostri curricula in modo impeccabile, quasi avessimo una data di scadenza sulle divise.

A volte è cosi, tante altre non lo è.

 

Fare l’infermiere della MEU sembra essere davvero divertente:

quando racconti agli altri che lavori al DEA, che provieni da oltre 15 anni di emergenza territoriale, che sei stato in terapia intensiva, ti vedono quasi come un super eroe. Ti chiedono: “Oh ma chissà quante ne hai viste! Raccontaci qualcosa, dai!”.

 

Nessuno, però, ti chiede mai: “Come ci si arriva? Come si diventa infermiere di Area critica?”  

E di conseguenza nessuno sa quanto si sacrifica e quanto si studia per arrivare fin dove sei ora.

Che poi magari per molti non è nemmeno il luogo ideale il pronto soccorso, magari per altri è la storia della propria vita.

Ci sono colleghi che al di fuori della sala rossa non respirano, si spengono,“muoiono”.

 

Ma per stare li come avrà fatto? Partiamo dal presupposto che oggi c’è la malsana abitudine, da parte di tutte le aziende, di prendere personale con zero esperienza (e non parlo solo di esperienza in Area critica ma proprio di neo laureati) e muoverli come pedine all’interno delle sale dei PS, dei DEA, sulle ambulanze.

 

Nel lontano 2017 è stata fatta una proposta di legge che mai è stata varata che prevedeva l’obbligo di avere quantomeno la specializzazione in area critica post formazione di base per poter lavorare nella MEU.

 

Ad oggi, difatti, non è cosi.

 

Parliamo poi degli obblighi (personali) di formarsi per essere sempre pronti a qualsiasi emergenza: BLSD, ALS, PBLSD, PALS, ATLS, PATLS, ECG, PICC, eFast … A questi aggiungiamo le letture, continue, sulla farmacologia, le nuove linee guida, i protocolli interni, gli aggiornamenti su presidi e procedure.

 

E ancora: gli ECM, obbligatori.

E poi i farmaci generici, i LASA, che ci portano sempre in confusione e dobbiamo rimanere lucidi, perché in urgenza quel farmaco può fare la differenza e non puoi permetterti di sbagliare.

Quindi leggi i bugiardini, installi applicazioni per conoscere l’emivita, la farmacodinamica, le interazioni. Compri manuali sulla ventilazione non invasiva e i nuovi ventilatori. Imposti la PEEP, i flussi, il tipo di ventilazione.

Nel mentre è arrivato un altro codice rosso e tu, che hai due mani, ti sdoppi e improvvisamente ti ritrovi con 4 braccia, due cervelli, 4 gambe. Ma un unico cuore.

 

A questo aggiungiamo il fatto che, oggi, non si è più solo esecutori ma veri e propri professionisti autonomi. Ne consegue che la regola: “ma a me l’ha detto il medico!” non va più bene.

Quindi se somministro un farmaco lesivo per il paziente (sbagliando diluizione, tempo, modo) ne pago le conseguenze in modo diretto. Ed ecco che qui subentra, per obblighi di legge, l’assicurazione professionale da stipulare di anno in anno.

 

“Bello fare lo specialista.”

 

E fin qui tutto bene, direte voi. Ma quando dici agli amici che lavori in pronto soccorso e loro si immaginano che la laurea dia diritto a tale posto non credono minimamente che  quel posto te lo sia sudato e guadagnato e che ogni giorno combatti contro il mondo intero per fare la differenza.

E già, il mondo intero.

 

Lo stesso mondo che ci gridava “eroi” ora ci urla “bestie!” quando vogliono essere gentili.

Siamo continuamente sotto attacco, sotto scacco, sotto pressione.

E nonostante questo non smettiamo mai di mostrare un sorriso e professionalità.

 

Siamo specializzati in questo. Siamo specializzati in Sanità pubblica, in pediatria, in geriatria, in psichiatria e in area critica.

Siamo liberi professionisti, stipendiati a contratto o lavoriamo in cooperative.

 

Ma queste cose non le raccontiamo in giro. Nemmeno quando stiamo massaggiando un paziente. Non diciamo ai parenti: “Ho due lauree, due master, una magistrale.” Tanto, per loro, saremo sempre e solo “giovanotto o signorina”, quelli a cui dare del “TU”.

 

E nonostante le parolacce che ci tirate dietro, le aggressioni che continuamente subiamo, rimaniamo nel nostro e mostriamo con orgoglio la divisa (a volte lacerata, consumata, sgualcita, scolorita) e ciò che sappiamo fare meglio: il nostro lavoro.

 

Quindi, cari amici, quello che sapete di noi, quello che decidiamo di raccontarvi, è solo una parte di quello che realmente succede.

 

Non soffermatevi solo sul “ wow, chissà quanta adrenalina in pronto soccorso!” ma anche sulla quantità di sacrifici che facciamo ogni giorno per poter stare dove stiamo: al nostro posto sudato e guadagnato.

MEDICINA E MEDICINA D’URGENZA PER GIUNTA!

lunedì, aprile 15th, 2024

di Giacomo e Vincenzo (papi) Menditto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Motteggi tra padre e figlio

 

“Un’idea di strada quindi, per quanto appena abbozzata e già piena di buche e ostacoli, io la ho già: voglio iscrivermi a Medicina per fare l’Urgentista!

 

Un vero e proprio attentato alle mie povere coronarie di padre quasi cinquantenne – io che ho provato a controllare fino ad ora tutti i fattori di rischio cardiovascolari non genetici – arriva da chi meno te lo aspetti:

mio figlio Giacomo, ultimo anno del Liceo.

 

E, aggiungo, tirato su fin da tenera età con l’unico intento di evitargli di diventare un medico (sob).

 

“Ok” dico, “allora cominciamo proprio dalle buche:

lo sai che ti aspettano anni di notti da passare in Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza?

Starai quasi sempre in piedi e alla fine del turno sarai stanco ed annientato.

Poi ti aspettano così tanti weekend con turni mattutini o pomeridiani che ‘spezzano’ le giornate alla grande che alla fine non saprai neppure più cosa significa la parola ‘finesettimana’: venerdì pomeriggio-sabato-domenica, sabato-domenica, domenica?

E non potrai nemmeno protestare più di tanto perché lavorerai a stretto contatto con i tuoi amici di sventura Infermieri che fanno orari tipo 6-14, 14-22 o 22-6 o, se proprio va bene, 7-14 e 14-21 ed una notte ogni 4 giorni …”

 

“Vogliamo passare agli ostacoli?

Troverai figli di papà, raccomandati, baroni a bizzeffe, donne e uomini spietati, arroganti, presuntuosi come in tutte le professioni, ma i veri ostacoli saranno in te, nelle tue preoccupazioni e nella tua coscienza …

Ti troverai, come me a suo tempo, a vedere i cartelli necrologici per strada insieme ai vecchietti già a 26 anni con il timore di riconoscere un nome in un tuo paziente (che speri di non avere dimesso).”

 

“Gli scrupoli per non avere fatto abbastanza saranno le tue Erinni perenni e, come i migliori investigatori, come Poirot, Scherlock o Montalbano, non ti ricorderai dei casi (clinici) brillantemente risolti, no!

Avrai davanti agli occhi quelli delle persone che non sei riuscito a salvare, anche se magari era impossibile farlo.”

 

Mi dici: “io voglio e diventerò un medico perché so essere la mia passione ed è quello che mi immagino di voler fare per i prossimi cinquant’anni.”

 

“Ecco” ti rispondo subito “lo Stato ti prenderà in parola e non ti permetterà di andare in pensione senza 50anni di lavoro!!! Questo almeno se rimani in Italia e non te lo consiglio! Abbiamo gli stipendi più bassi d’Europa o quasi, e se fai l’Urgentista non potrai nemmeno fare la Libera Professione.

In pratica, tu salverai vite umane a tonnellate ed i tuoi colleghi cureranno persone e avranno stipendi da intra-moenia molto più alti dei tuoi.

Non so chi te lo fa fare!”

 

“Ecco” replica lui, “le parole ‘non so’ dovrebbero essere alla base di qualsiasi lavoro, specialmente quello del medico …”.

 

Provo a controllarmi, ma non ci riesco.

“Non so dici: non saprai mai tante cose perché rischi di essere condannato civilmente e penalmente ogni giorno, perché rischi di prenderti le mazzate mentre fai il tuo lavoro, perché un giorno ti chiamano eroe e l’altro farabutto …”

 

“Dai papi, ne riparliamo…adesso vediamo insieme la TV, danno Doc o forse ER, due patatine e ci rilassiamo, ba bene (come diceva quando era piccolo)?”

 

“Ok” mi ha già convinto con il suo sguardo bello e speranzoso…

 

Penso che le serie TV mediche sono quasi tutte ambientate in una Emergency Room, che in fondo in Italia abbiamo solo sbagliato il nome, ma fare l’Urgentista è bellissimo!

 

 

 

Gli affetti altrui.

domenica, marzo 31st, 2024

di C.B. DEA Santa Maria Annunziata

 

Fin dai primi tirocini, la maggior parte degli studenti di infermieristica è bramosa di svolgere parte della propria formazione in un particolare Setting: il DEA.

L’idea di affinare tecniche e conoscenze in situazioni in cui il tempo è davvero prezioso, è estremamente eccitante.

 

In questo Setting vengono messi a dura prova i nervi e le capacità di ogni professionista che, sotto la pressione dei codici incalzanti, è tenuto non solo ad agire tempestivamente, ma anche a saper rispondere in maniera coerente, efficace ed efficiente alle improvvise e diverse esigenze che gli si presentano.

La frenesia che si continua a percepire anche dopo la Laurea è questa: ci aspetta una sfida ogni giorno!

Affiancamento dopo affiancamento, tra un corso di formazione e l’altro, l’Infermiere acquisisce sempre maggiori competenze che  vanno a costituire un bagaglio personale che si potrà poi utilizzare in ogni altro Setting lavorativo successivo.

 

Dal punto del coinvolgimento è un ruolo tanto provante quanto gratificante, anche se a volte ci capita di trascurare il lato emotivo di noi stessi e delle situazioni, delle persone, in cui ci imbattiamo durante il turno lavorativo.

Ad esempio la signora con frattura di femore è molto di più di un caso clinico! E’ una settantanovenne che vive sola, lontana dalla famiglia, amante dei reality show che la sera, per tenersi compagnia, passa le ore al telefono con la nipote.

Oppure, il ventenne che si è lacerato una falange, ha appena iniziato il suo primo impiego ed è preoccupato per il posto di lavoro.

 

Il nostro ruolo è denso di relazioni umane, cosi come lo è anche di coinvolgimento personale anche se, in prima battuta, la natura del Setting ci spinge ad essere estremamente competenti nella parte tecnica. Dopo una più attenta riflessione ci possiamo però  rendere conto che esige anche un grande coinvolgimento dal punto di vista relazionale.

 

Negli ultimi due-tre anni, come mai prima l’Infermiere è stato chiamato a rispondere a situazioni nuove e mutevoli, a partire dall’esperienza della pandemia iniziata nel 2020.

L’infermiere di Pronto Soccorso non è solo colui, che insieme al resto dei professionisti sanitari, è tenuto a rispondere alle esigenze della popolazione in modo rapido e efficace, ma è colui che ha dovuto imparare a gestire il problema delle distanze, delle solitudini, delle emozioni profonde e purtroppo spesso anche del lutto attraverso un filtro.

Ovattato nella sua bolla, separato da strati di guanti e materiale isolante, si è improvvisamente dovuto far carico di tante cose di grande impatto umano.

 

Il gap non è stato solo di tipo fisico, ma anche e soprattutto emozionale: la situazione creata dalla pandemia covid ci ha portato a dover imparare a salutare i cari morenti di fatto soli, ove possibile, attraverso non solo tute impermeabili, ma a volte attraverso uno schermo.

Negato il calore di una carezza, di una mano amica: abbiamo assistito a situazioni pesanti come amici che non si sono più visti, mogli e mariti che non si sono più baciati, figli e figlie, madri e padri che non si sono più abbracciati per un ultimo saluto.

 

Per noi infermieri è stata un esperienza disarmante: non aver avuto più tempo in una condizione in cui il tempo era già di per se sfuggente.

È come se una situazione già gravosa di per sé a causa della natura della morte stessa e della fatalità della vita, dove vige un senso incolmabile di dolore, a volte rancore e amarezza si fosse ulteriormente appesantita.

 

In quel momento la figura onnipresente con i pazienti dell’infermiere ha svolto un ruolo fondamentale. Gestire i processi della malattia non è mai semplice, ancora meno lo è stato ostacolati da una pandemia mondiale dove tutti erano a rischio e nessuno poteva assistere direttamente il proprio caro. L’Infermiere  a questo punto si è fatto carico anche degli affetti altrui.

 

L’idea di conforto sia per chi esalava gli ultimi respiri, sia per i familiari lontani, passava proprio attraverso la figura che in quel momento assisteva h24, minuto dopo minuto le persone, le uniche figure a poter essere in qualche modo vicine a chi soffriva in quel momento delicato.

Se prima questo ruolo era affidato alla famiglia, in quel momento era diventato del tutto nostro.

 

Forse questa esperienza ci è servita a sviluppare in questi anni successivi una diversa consapevolezza ed un’ attenzione maggiore all’importanza delle relazioni umane, anche nella quotidianità attuale al di fuori dalla bolla covid.

 

Anche dove e quando i minuti sono davvero contati, la qualità della relazione umana può fare la differenza.

 

CI SONO GIORNI.

venerdì, dicembre 22nd, 2023

di Roberta Marino

Vercelli

 

Ci sono giorni in cui vedo la luce in fondo al tunnel con la certezza che non si tratti di un treno né di una esperienza di pre morte.

 

Un* specializzand* MEU da quasi un anno vegetava in attesa di rifare il concorso di specializzazione per andare a fare anestesia e rianimazione, avendo deciso che non voleva più fare MEU.

 

L* mandano da noi, “tanto quest* poi molla a ottobre”, della serie “non vale la pena investirci”. Noi però investiamo sempre nei giovani, perché siamo fatti così, perché così abbiamo visto fare con noi quando eravamo giovani.

 

Ebbene il concorso l’ha fatto, è brav* e quindi è entrat* nella scuola di anestesia che preferiva, ma intanto frequentava attivamente, imparava in fretta, sembrava content*, dava l’idea (e la verbalizzava pure) che qualcosa nelle sue convinzioni si stesse incrinando.

 

Oggi ha consapevolmente lasciato scadere il termine per presentare l’iscrizione.

È MEU, ama la MEU, resta MEU.

È felice, lo leggi nei suoi occhi, sa di aver scelto la cosa giusta per l*i.

 

Noi siamo ancora più felici: siamo riusciti a far capire a un* giovane MEU in crisi che il nostro, nonostante tutto, è ancora il mestiere più bello del mondo.

 

Ma la cosa più soddisfacente è che l’ha capito guardando noi, vedendo quanto soddisfatti siamo, vedendo che un’organizzazione del lavoro decente e la voglia di tutti di fare bene questo mestiere può fare la differenza anche in un periodo storico come questo, tra mille difficoltà, carenze di personale e tutti i problemi che conosciamo.

 

La considero una grandissima vittoria della MEU fatta bene.

La considero una svolta vera e ancora mi commuovo a pensarci nonostante i miei oramai quasi vent’anni di anzianità di servizio.

Ci credo ancora, qui ci crediamo ancora tutti.

E riusciamo anche a “venderla” a chi aveva già rinunciato a crederci.

 

Se stai sorridendo è perché ci credi ancora pure tu ed è per quello che volevo sapessi questa storia a lieto fine.

 

Giovan* professionst* alla Summer School SIMEU 2023

 

Aria acqua terra e fuoco.

martedì, dicembre 5th, 2023

di Francesca O – Specializzanda MEU

 

In principio era dio.

E poi ci fu la filosofia.

Qualcuno pensó che fosse l’acqua il principio di tutte le cose.

Nulla esiste senza l’acqua.

È quella che in turno ci aspetta e che non beviamo mai, quella che diamo ai nostri pazienti, quella che diluisce i nostri farmaci, che pulisce e lenisce le ferite.

Il sudore, le lacrime.

Ma anche la doccia fredda nel dire al nostro paziente o ai familiari che le notizie non sono tanto buone.

Potrebbe essere.

 

Qualcun altro invece disse è sicuramente l’aria. Non ha limiti nè forma.

 

In effetti l’aria è quella che ci manca quando corriamo per gestire un codice rosso, quella che ci aiuta quando un paziente non respira più o lo fa male, quella che veicola i suoni, le parole. Quella dove a volte galleggiano i nostri sogni.

Il soffio, il respiro, la vita.

Potrebbe essere..

 

E poi ..

arrivó il fuoco.

Perennemente in movimento, che non si ferma mai.

È quella fiammella che ci accompagna nella vita di tutti i giorni, che talvolta tentenna e talvolta fa una gran luce e che si spera non si spenga mai.

E’ il fuoco che ci arde dentro, il fuoco sacro dei MEU come qualcuno un giorno l’ha definito.

 

E la terra?

La terra è sotto i nostri piedi, sulle nostre mani. A volte sporca le ferite e soffoca i pensieri.

Tutto ciò che è tangibile, concreto, le fondamenta e le radici che ci tengono saldi e ancorati a terra. E che il più delle volte diamo per scontato.

 

 

Ma forse potrebbero essere tutti insieme.

I quattro elementi. E i loro contrari.

 

Amore e odio. Unione e separazione.

Non come bene e male. Entrambi hanno un lato positivo e uno negativo.

Cercano l’equilibrio.

 

È vero che non possiamo entrare due volte nello stesso fiume?

Forse non solo le acque saranno diverse. Forse lo saremo anche noi.

 

Tutto ciò di cui abbiamo esperienza si trasforma, ci trasforma.

 

Dobbiamo separarci, trasformarci per poi unirci e ritrovarci interi.

Ma tutto questo è niente senza la conoscenza. E la condivisione.

 

Forti di tutto questo, consapevoli che a volte i quattro elementi e noi stessi saranno dalla nostra parte e talvolta no.

Ma sempre, come nei giorni di lavoro e formazione, insieme.

 

In fondo i quattro elementi siamo noi..❤️

 

NUOTARE CONTROCORRENTE

sabato, ottobre 14th, 2023

Sul recupero dell’esperienza ed il riconoscimento del lavoro.

Cosa succede in Friuli Venezia Giulia?

di Lorenzo Iogna Prat

 

Braccia e gambe si muovono ritmicamente, il respiro si sincronizza con la rotazione della testa. Uno sforzo non indifferente. Per rimanere fermi, lì dove ci si trova. Non un metro in avanti. Fermi. Si potrebbe dire lo stesso di chi pedala su una cyclette, corre su un tapis roulant o lavora in un pronto soccorso/medicina d’urgenza di un sistema fino a pochissimi anni fa eccellente, attrattivo e punto di riferimento per molte altre realtà italiane.

 

Un impegno che mette in crisi anche il più solido e motivato degli infermieri e dei medici. È umano. Tutti vorremmo che i nostri sforzi si traducessero in un miglioramento tangibile, in una qualche forma di riconoscimento. E invece dobbiamo accontentarci di non retrocedere. Ma non retrocedere – oggi – è il vero successo e il valore aggiunto sul mercato. Perché il continuo affaccendarsi nella ricerca di soluzioni innovative alla crisi dei sistemi di emergenza sarebbe molto meno gravoso se sapessimo su quale tesoro siamo seduti, su quale capitale culturale possiamo (potevamo?) contare per gli investimenti futuri.

 

Ho avuto la fortuna di crescere e formarmi come medico d’emergenza-urgenza in un contesto d’ avanguardia che dalla fine degli anni ’90 fino a poco prima della pandemia ha saputo creare e promuovere innovazioni assistenziali come le Aree di Emergenza – reparti intensivi e semintensivi a vera gestione multidisciplinare con la regia del medico d’emergenza distribuiti negli ospedali di rete e connesse all’Hub da percorsi ben definiti – accanto a professionisti che hanno acquisito e tramandato conoscenze e competenze tali da essere autonomi in un ampio spettro di scenari clinici propri dell’emergenza-urgenza, hanno avuto una propensione straordinaria al pensiero critico, all’aggiornamento e con un’etica del lavoro invidiabile.

 

Qui si lavorava da “Emergency Physicians” quando in molte altre realtà italiane non si sapeva nemmeno che cosa fosse. Quando si scoprì l’osservazione breve intensiva (OBI) qui si erano già stufati di applicarla. Una grossa spinta dal basso per migliorare i percorsi di formazione specialistica della neonata scuola di medicina d’emergenza-urgenza per renderli coerenti con le competenze richieste dalla professione. Era un sistema terribilmente efficiente e si basava su persone intraprendenti e visionarie messe in un contesto favorevole alla sperimentazione.

 

Fateci caso, molti dei grandi eventi (concerti, spettacoli…) hanno la loro prima in Friuli Venezia Giulia, luogo fuori dai canali “main stream” dove sia i successi che i fallimenti ricevono l’assoluzione riservata alla periferia dell’impero.

 

Ammetto che c’è un che di autoreferenziale e un po’ di autocompiacimento in questa narrazione perché il grande errore e il più grande rimpianto è stato di non aver saputo raccogliere e analizzare sistematicamente i dati di attività e promuoverli come la realtà dei fatti avrebbe richiesto. Tant’è.

 

Ho lavorato anche in strutture dove questo percorso culturale non era mai stato fatto e si era rimasti fermi a un buon ventennio addietro. Lì ho sperimentato sulla mia pelle quell’adagio pungente ripetuto dal mio saggio primario e più grande maestro: “se mi guardo sono un cesso, se mi confronto sono un successo”.

E oggi assisto alla resa quasi incondizionata di gran parte degli ospedali della mia regione a soluzioni di compromesso al ribasso (e che ribasso!), dove l’unico criterio rimasto è “basta un nome in una casella” e ci si è arresi alla logica del “non c’è altra scelta”. Ma sarà vero?

 

La storia ed il presente la fanno sempre le persone che in esso operano.

Oggi resiste qui un manipolo di medici e infermieri che continuano a svolgere con dedizione il proprio lavoro, con l’ago della bussola diretto alla qualità delle cure, all’appropriatezza, all’umanità e con l’entusiasmo di chi sa di stare dalla parte giusta.

Chi lo fa per vizio di forma (sei stato formato così, non puoi farci niente), chi per affinità elettiva. Li troviamo sparsi in tutti gli ospedali, cellule di resistenza civile che non si arrendono al degrado e frenano lo scivolamento lungo il piano inclinato dove il sistema sanitario ci ha lasciato.

 

Nell’ospedale in cui lavoro, ogni tanto mi guardo attorno e riconosco nelle persone che lavorano accanto a me i personaggi della saga di Asterix. Avete presente il villaggio gallico che resiste ora e sempre all’invasore romano?

Un manipolo di professionisti di ogni ordine e grado che lavora coordinato per mantenere un “vivaio” di conoscenze e competenze da applicare nell’attività di ogni turno e trasmettere ai giovani colleghi che ardiscono avventurarsi lassù. Con la differenza di non poter disporre di alcuna pozione magica cui attingere nel momento del bisogno.

 

Nessuna sindrome da accerchiamento né vittimismo: solo consapevolezza di ciò che accade nella realtà quotidiana. Confermata da tanti altri esempi di pronto soccorso/medicine d’urgenza nel nostro paese dove la qualità del lavoro, l’attenzione alla formazione e al lavoro in team crea attrazione.

 

Sempre il mio maestro di cui sopra da un po’ di tempo propone un motto tipico della finanza: “buy the dip”, compra quando il titolo è in calo.

Un invito a scegliere il nostro lavoro nel momento in cui il “mercato” non lo sta premiando. Confesso che all’inizio lo trovavo un po’ ingenuo ma masticandolo meglio è forse la chiave per interrompere quel maledetto circolo vizioso che porta la carenza di personale ad essere causa ed effetto della fuga dall’emergenza-urgenza.

 

Il rischio dell’investimento è mitigato dalla consapevolezza che un medico e un infermiere capaci, autonomi e consapevoli della propria insostituibile funzione avranno sempre un posto da protagonisti nella cura delle persone, nel mantenimento di un sistema sanitario che costi poco e renda molto e, in fin dei conti, nella difesa dei principi di democrazia.

 

È fuori dubbio che questo passi per un sostanziale miglioramento delle retribuzioni, commisurato al reale lavoro svolto. Per inciso, riporto qui una riflessione generale non scontata sul rapporto tra utilità sociale dei lavori e rispettiva retribuzione https://neweconomics.org/2009/12/a-bit-rich).

 

Nuotare controcorrente assume anche un altro valore.

Mantiene pronti e allenati i muscoli e la testa, ti ricorda cosa hai fatto per arrivare lì e qual è il tuo obiettivo.

E, perché no, ti permette di sognare l’oro alla prossima olimpiade.

 

firmato da un Medico d’Emergenza-Urgenza

Pronto Soccorso/Area di Emergenza Ospedale “S. Antonio Abate” – Tolmezzo (UD)

 

Sasso, carta, forbici.

venerdì, settembre 15th, 2023

di Claudia Sara Cimmino

Ricordate il gioco che si faceva da bambini?

Sasso carta forbici.

Chi perde beve!

 

Sasso carta forbici. Sasso.

Luana viene in una notte di aprile del 2021 riferendo di aver avuto un incidente stradale.

Lamenta dolore al rachide cervicale e all’ emicostato di destra. Nulla di rotto e torna a casa con una prognosi di qualche giorno.

 

Torna a distanza di un anno esatto riferendo più o meno la stessa dinamica ma questa volta all’esame obiettivo viene segnalato qualche “livido” in più.

Torna a luglio di quest’anno, sempre di notte e riferisce di essere caduta dalle scale. Ha ecchimosi su entrambe le braccia, un labbro tumefatto e una ferita al sopracciglio destro. “Come sei caduta Luana questa volta?”. Arriva il padre che mi guarda dritto negli occhi e dice in maniera perentoria: “Dottorè è caduta, chella è ‘nu poco distratta”.

 

Lei è ormai ubriaca. “Bevi ancora, hai perso bevi!”

 

Sasso carta forbici. Carta.

Paola arriva in PS riferendo un trauma al polso destro.

Sono le 10:00 del mattino di un sabato di settembre e lei ha una sottoveste e uno stivaletto ghepardato.

“Dottorè sono stata pure in un altro pronto soccorso ma la radiologia non funzionava e mi hanno detto di venire qua!”.

Non c’è solo alcool nei suoi bicchieri.

 

Sasso carta forbici. Forbici

Nadia non ha più un coltello in cucina.

Li ha tolti tutti da quando il marito ha preso l’abitudine di accarezzarla con le lame. Ha dimenticato le forbici però e una mattina arriva da noi a mostrarci le “carezze” ricevute.

 

Sasso carta forbici.

Ora ha perso i sensi, è il momento ideale!

 

Camilla ne vede e ne sente dalla mattina alla sera di tutti i colori.

Non è una sprovveduta. Una sera accetta un invito a cena da un amico conosciuto a lavoro e si ritrova costretta ad “aprire le gambe” con una pistola puntata alla tempia.

 

Basta con sasso carta forbici, cambiamo gioco!

 

Moma viene dall’Africa.

Parla poco ma i suoi occhi parlano per lei.

Trauma cranico. Le sue treccine sono intrise di sangue e ha un occhio gonfio, deformato dalle botte.

Che importa se siamo tanti contro una. È solo una ragazza!

 

Irina ha lasciato il suo Paese.

Viene con la figlia di 16 anni che in un ucraino-napoletano descrive tutta la scena dello “strascino”. Ovvero il compagno della mamma che bussa alla porta e l’afferra per i capelli buttandola giù per le scale del pianerottolo.

Così, quella sera gli andava così.

“Dottora le avevo comprato la friggitrice ad aria per il suo compleanno, ho deciso di dargliela quella sera perché non si può andare a dormire con il cuore triste.”

 

Quello che è successo recentemente a Palermo è solo una delle tante storie dell’orrore espressione di un mondo malato. E allora?

Se ne sentono e se ne vedono tutti i giorni di queste storie diventate ormai una terrificante normalità nella nostra società. È una questione di cultura. È una questione “sociale”.

 

Sasso carta forbici. Non è più un gioco da ragazzi.

Non è un gioco!

 

Luana, Paola, Camilla, Moma e Irina sono molto diverse tra di loro. Vengono da ambienti e culture diverse ma chissà perché hanno una cosa in comune: sono vittime di VIOLENZA.

 

Le donne di cui ho parlato hanno nomi immaginari ma le ho conosciute tutte e le loro storie sono tutte vere. Quello che è accaduto a Palermo mi ha fatto pensare a loro. E mi ha fatto riflettere su quanto sia importante ESSERCI per loro.

 

Anche qui si vede la differenza.

 

I medici e gli infermieri di urgenza sono quelli in grado di riconoscere queste donne anche quando comunicano il loro dolore solo con lo sguardo perché spesso l’orrore vissuto non riesce ad essere spiegato con le parole.

 

L’urgenza sta nel creare il percorso.

L’emergenza nel farle sentire protette.

 

Un’altra donna al triage … sasso carta o forbici?





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