IL BLOG DI SIMEU

 

Archive for gennaio, 2023

Essere parte della grande famiglia dei DEA

lunedì, gennaio 30th, 2023

di Domenica Vangeli

 

Dicembre 2018, il telefono suona.

Sul display un numero fisso: Bologna.

 

Dal 2011 contratti a termine e poi in libera professione. Avevo fatto vari concorsi con tanto di preselezioni tra l’Emilia e la Toscana. Ai tempi la chiamata dalle graduatorie non arrivava mai e non l’aspettavo di certo allora.

 

“Dott.ssa Vangeli?!

Ufficio del personale dell’AUSL di Bologna.

È stata assegnata al dipartimento di emergenza urgenza, pronto soccorso, hub dell’Ospedale Maggiore”.

 

WOW! L’emergenza urgenza non l’avevo mai vissuta se non durante il tirocinio.

Ne avevo conservato il ricordo ma più che altro portavo con me l’esempio dei colleghi incontrati allora, in ogni emergenza vissuta ed affrontata in lungo degenza e post acuti.

 

I pazienti che avevo assistito fino a quel giorno avevano già una diagnosi.

Erano stabili, sapevano cosa avevano superato, sapevano perché dovevano affrontare il ricovero. Io, cosi come i miei colleghi, potevo interloquire con loro: avevamo tempo e modo di instaurare un rapporto.

 

Dopo quella telefonata, sarei entrata a far parte del mondo dell’assistenza infermieristica che precede il ricovero dove il cittadino si trova a chiedere aiuto, spesso purtroppo senza conoscerne la causa né il perché.

Alle volte capita altrove rispetto casa: al mare, in montagna, in vacanza, nel praticare un hobby ed essere nella condizione di chiedere assistenza è l’ultima cosa che può immaginare. E con lui, anche i suoi caregiver e/o la famiglia tutta.

 

Le domande che mi ponevo erano molteplici:

sarò in grado di supportare e sopportare emotivamente i pazienti in quella fase dell’assistenza?!?

Sarò in grado di essere precisa e veloce?!?

Di essere un passo avanti cosi come spesso serve?!?

Di fatto non ci credevo.

Dopo 30 giorni avrei iniziato a fare parte anch’io del DEA lavorando fianco a fianco con professionisti di cui avevo sempre nutrito grande stima.

 

Arrivata a Bologna, prendo finalmente atto che a tutti gli effetti facevo parte anche io della grande famiglia del DEA. Una famiglia sì.

Perché come in essa ognuno ha un suo specifico ruolo.

Con la propria professionalità e le proprie skills ciascuno contribuisce a mantenere quello speciale equilibrio affinché l’assistenza erogata superi quella richiesta, nonostante le circostanze e le condizioni esterne che troppo spesso interferiscono con le prestazioni.

 

È un meccanismo perfetto che si muove ad unisono.

 

Chi ne fa parte gioca un ruolo fondamentale, perché il paziente deve farcela sempre e le sue funzioni vitali devono essere conservate al meglio.

Tutti i i componenti, definiti “attori della scena”, sono ugualmente importanti.

Dal lavoro di ognuno dipendente quello dell’altro.

 

Il collega della CCO che riceve la chiamata da una conversazione deve decidere quale equipe sia più idonea al trattamento del cittadino bisognoso di aiuto.

L’equipe che lo raggiunge per prima – sia essa ambulanza o auto medica – a sua volta definisce il percorso e la destinazione finale migliore, affinché le cure di cui necessita vengano erogate in tempi e modi consoni.

E poi l’equipe che riceve la persona nella mia realtà: l’HUB, uno spazio esiguo, pieno di monitor, fili, farmaci, device di ogni tipo e colleghi di ogni categoria.

 

E’ particolare il silenzio che si crea nei minuti di attesa a “riempire” il tempo stimato di arrivo. Ci si prepara!

 

Obbiettivo del team prendere in carico, stabilizzare e trattare il cittadino – ormai diventato nostro paziente – che necessità di una rapida diagnosi corretta e del relativo trattamento.

 

Tutti, dico tutti, si muovono armoniosamente sulla stessa melodia affinché il paziente sia stabilizzato, le sue funzioni vitali siano sotto controllo e che da lì in poi possa intraprendere il migliore percorso di cura possibile.

 

Non scordiamoci di un elemento importante con il quale ci confrontiamo: il tempo.

Il tempo nel DEA ha un ruolo chiave.

È come un collega aggiuntivo con cui ci troviamo a lavorare. Non sempre è simpatico ed empatico, non sempre ci è amico. Ma nonostante tutto è il primo da includere nel gruppo, da tenere in considerazione, da valutare, importante tanto quanto le reali condizioni del paziente.

Ed è spesso l’antagonista con cui facciamo i conti per poter salvare una vita.

 

 

Immagine di repertorio non riferita al DEA descritto.

Credits foto @FrancescaMangiatordi.

Il medico di Emergenza Urgenza tra informazione, formazione e narrazione.

venerdì, gennaio 13th, 2023

di Geminiano Bandiera

 

In questo tremendo momento storico per tutta la sanità italiana la società civile sembra essersi finalmente accorta che esiste un manipolo di professionisti che garantiscono un servizio essenziale con difficoltà rapidamente crescenti, dal peso ormai insostenibile.

 

Siamo indubbiamente sempre meno scontati.

Si chiama informazione.

 

Era ed è giusto che tutti ne siano informati, dai colleghi di altri reparti ospedalieri piuttosto che di altre discipline di impegno “territoriale”, ai vertici organizzativi, alla popolazione civile per finire alla politica.

 

E’ ormai chiaro a tutti che noi medici di emergenza urgenza siamo una “specie in via di estinzione”, ma credo peraltro che sia molto più evidente anche l’essenzialità e l’insostituibilità dei servizi che eroghiamo.

 

Ben vengano quindi le campagne di informazione alla popolazione e soprattutto i tentativi di individuazione di validi percorsi per la cronicità e la patologia non urgente o comunque differibile, che troppo spesso finisce per essere vissuta come urgente solo per mancanza appunto di percorsi alternativi.

 

Inoltre, in una società sempre più destrutturata in cui una scienza medica specialistica d’organo tende costantemente a frammentare l’approccio al paziente rappresentiamo, insieme a pochi altri, gli ultimi tutori dell’approccio all’essere umano malato nella sua interezza e complessità.

 

Anche su questo aspetto, per nulla banale nelle sue quotidiane conseguenze pratiche, ritengo sia doveroso fare informazione.

Fino ad oggi, pur avendo mille interfaccia sociali e sanitarie, sembravamo invisibili e di sicuro eravamo quantomeno scontati.

Oggi probabilmente molto meno. Grazie anche all’informazione appunto.

 

Attenzione però ad una narrazione eccessivamente drammatizzata e catastrofistica, soprattutto nei confronti dei colleghi più giovani ed in particolare di quelli che dimostrino interesse verso la nostra meravigliosa disciplina.

 

Non siamo scontati, siamo ottimi professionisti, rivestiamo un ruolo strategico ed insostituibile per la risposta ai bisogni di salute emergenti (vitali ma fortunatamente di numero contenuto) ma anche di quelli urgenti (nelle varie sfumature dell’accezione, con un impatto molto maggiore in termini di volumi).

 

I primi si prestano benissimo ad una narrazione “eroica” che certamente dà fulgore alla disciplina, i secondi devono invece essere oggetto di una più corretta informazione sia ai colleghi specialisti di altre discipline che ai pazienti.

 

Non intendo aprire una discussione, peraltro molto interessante, sul significato della parola urgenza ma ritengo fondamentale riflettere, tutti, sulla necessità di non incorrere in un ennesimo errore di frammentazione, ricordando quanto sia spesso labile il confine tra emergenza ed urgenza e sdrucciolevole il terreno sul quale spesso ci troviamo in questo ambito, insieme ai nostri malati.

 

Narrazione dicevamo.

Non siamo eroi, tantopiù che aneliamo ad una vita fuori dal lavoro il più possibile “normale”, secondo i bisogni di un qualunque altro essere umano.

Abbiamo del resto dalla nostra la possibilità di praticare una professione molto gratificante per i suoi contenuti tecnici ed umani.

E’ l’organizzazione che spesso tende a renderla inaccettabile, la cronica carenza di risorse.

 

Informiamo ancora ed ancora, qualora ce ne fosse bisogno, ma non dimentichiamo una narrazione positiva di quanto riceviamo tutti i giorni e certamente diamo ai nostri pazienti ed alla società.

 

Sono convinto che occorra, da parte nostra, una presa di coscienza forte del fatto che, al di là della aspetti comunicativi, sia utile una riflessione importante anche da parte nostra sulla determinante relazione che intercorre appunto tra l’informazione al resto della società, la narrazione circa la nostra attività professionale e la formazione degli specialisti nella disciplina di emergenza urgenza, universitaria (anche su questa ci sarebbe molto da discutere e porterebbe via certamente troppo tempo e spazio) e postuniversitaria.

 

Ora ci conoscono tutti, sanno che siamo sempre più rari e che probabilmente svolgiamo una professione durissima ma è chiaro a tutti quel tantissimo che di buono facciamo?

 

Siamo riusciti a far capire al resto della società che tipo di competenze possediamo, che percorso formativo, anche e soprattutto postuniversitario, seguiamo?

E’ chiaro a tutti che siamo tra coloro che dopo la fine del percorso universitario specialistico seguiamo un ulteriore percorso formativo molto composito e continuamente in evoluzione, sul campo?

Ne siamo consapevoli noi stessi per primi e sappiamo valorizzare la nostra formazione?

 

Tutto ciò proprio mentre ci stiamo estinguendo e nonostante questo.

Perché uno non vale uno, almeno non sempre e di certo non in emergenza urgenza.

 

Non nutro sentimenti polemici né verso le nostre organizzazioni sanitarie né, tantomeno, verso quelle sindacali ma sento la orgogliosa necessità di informarne il resto della società civile e narrarlo ai colleghi che continuano a credere nel sogno MEU.

 

Siamo professionisti di qualità, informiamo e narriamo questa nostra caratteristica irrinunciabile, mentre continuiamo a formarci.

 

Descriviamo minuziosamente tutte le difficoltà che ci impediscono spesso di essere formati come o quanto rapidamente vorremmo ma non accontentiamoci di fare il possibile con gli scarsi mezzi che abbiamo a disposizione. Continuiamo a pretendere il meglio, da noi stessi e dalle organizzazioni sanitarie, per il bene dei pazienti anch’esso non sempre, purtroppo, scontato.

 

Uno non può e non deve valere uno in emergenza urgenza, anche perchè così si finisce inevitabilmente a tendere alla zero, sia quantitativamente che qualitativamente.

 

Mi sento di chiudere con un augurio sincero a tutti noi medici di emergenza urgenza: che il 2023 possa portare a tutti un po’ di sana normalità in modo che possiamo continuare a fare cose straordinarie per il bene dei nostri pazienti.

 

 





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