IL BLOG DI SIMEU

 

Archive for maggio, 2013

I farmaci antiaggreganti peggiorano la prognosi dei pazienti con trauma cranico

martedì, maggio 21st, 2013

Lo dimostra il primo studio multicentrico promosso da Simeu pubblicato sulla rivista scientifica “Critical Care”


La terapia di prevenzione per patologie cardiovascolari condotta con la somministrazione di farmaci antiaggreganti contribuisce negativamente sulla prognosi dei pazienti con trauma cranico.

L’evidenza scientifica di questa, che fino ad oggi era solo un’ipotesi, arriva dai risultati del primo studio multicentrico promosso da Simeu pubblicato su Critical Care, fra le principali riviste scientifiche internazionali dell’area dell’emergenza.

Lo studio, dal titolo “Effetti della terapia con farmaci antiaggreganti sui pazienti con trauma cranico”, ha coinvolto un campione di 1.558 pazienti adulti con diagnosi di pronto soccorso di trauma cranico lieve, moderato o severo, in trenta centri ospedalieri su tutto il territorio nazionale e specialisti della medicina d’emergenza-urgenza e della neurochirurgia, e fornisce per la prima volta evidenza scientifica di una consapevolezza diffusa in emergenza, ma mai provata fino a oggi.

La ricerca assume particolare rilevanza in considerazione dell’aumentato impiego dei farmaci antiaggreganti a scopo di prevenzione del rischio cardiovascolare nella popolazione generale, e del fatto che, probabilmente come conseguenza dell’impatto sui giovani delle campagne di prevenzione contro gli incidenti stradali, l’età media delle vittime di traumi per incidente si è progressivamente alzata.Nel Nord Italia, ad esempio, il 5% della popolazione assume antiaggreganti, e il 30% di questo campione ha più di 65 anni. Dalla ricerca condotta dal gruppo di studio si evince che i soggetti traumatizzati che assumono antiaggreganti hanno più complicanze a breve termine, e un esito più sfavorevole a lungo termine.

Referenti e coordinatori dello studio sono stati Andrea Fabbri, direttore del Dipartimento di emergenza, del Presidio Ospedaliero Morgagni-Pierantoni, dell’Azienda Usl di Forlì, e Franco Servadei, direttore della struttura complessa di Neurochirurgia-Neurotraumatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma.

L’articolo è disponbile gratuitamente on line sul sito internet della rivista Critical Care e su PubMed, la principale banca dati biomedica accessibile anche questa gratuitamente on line.

“Pronto soccorso: codice rosso” Il servizio di Tv7, settimanale del TG1

sabato, maggio 11th, 2013

 

@SilviaAlparone

 

La puntata di venerdì 10 maggio di Tv7, il settimanale di approfondimento del TG1 ha dedicato un ampio servizio al tema del sovraffollamento dei Pronto Soccorso, con particolare attenzione alla situazione del Lazio e della città di Roma.

La redazione, anche attraverso un’articolata intervista con Massimo Magnanti, segretario generale di Spes,il Sindacato dei professionisti dell’emergenza sanitaria, ha raccontato le attese dei pazienti e il disagio degli operatori, mettendo in relazione esplicita il sovraffollamento con i tagli previsti dal piano di rientro della Regione Lazio e con la mancata attivazione dei servizi territoriali per le cure che non sono competenza dell’ospedale.

Il servizio integrale è visibile sul sito della Rai, cliccando su questo link (a partire dal minuto 00.23.35)

Nel servizio si affrontano anche altri punti critici dell’emergenza sanitaria romana, come la difficile gestione del servizio del 118 del Lazio e il caso del Policlinico Umberto I, dalla riorganizzazione degli spazi e dell’attività dedicati all’emergenza alle condizioni generali della struttura ospedaliera, e ancora il caso dei posti letti pronto ma inutilizzati in una delle torri di degenza del Policlinico di Tor Vergata. Come spiega nel servizio Enrico Bollero, direttore generale del Policlinico, la manacata attivazione dipende dal blocco delle risorse che non consente di investire nelle risorse umane necessarie per utilizzare i servizi.

 

 

MUBEE#6: Medicina d’Urgenza basata sull’evidenza di efficacia

martedì, maggio 7th, 2013

Passiamo ai fatti

di @P_Balzaretti

In questo post, dopo tante parole, tentiamo di mettere in pratica ciò che ci siamo detti sulla ricerca in PubMed.

Questa è una storia vera. Qualche giorno fa, appena dimesso un paziente con paralisi periferica del faciale, una specializzanda che frequenta nel nostro DEA mi dice: “Ah, quindi tu sei della scuola dell’antivirale per le paralisi di Bell”; “perché, qualcuno non lo prescrive?” chiedo a lei e a me stesso. Mi sembra una buona occasione per rivedere la letteratura a riguardo.

Impostare la ricerca

Ricercando dati sull’efficacia del trattamento anti-virale nella paralisi di Bell ci stiamo chiaramente indirizzando verso un quesito di foreground, in quanto più prossimo alla pratica quotidiana che non alle conoscenze di base sulle neuropatie periferiche. Possiamo dunque applicare lo schema PICO, in base al quale la questione potrebbe essere organizzata in questo modo:

Patient Intervention Comparison Outcome
In pazienti affetti da paralisi periferica del n. faciale (idiopatica) Somministrazione di terapia anti-virale Nulla Guarigione senza reliquati.

 

Riprendendo il sistema 6S sulle fonti di informazioni e saltando i Clinical Decision System, di cui penso che nessuno di noi disponga, si passa ai compendi (o Summaries). Vi posso dire che in Dynamed, cui posso accedere tramite la Biblioteca Virtuale della Salute del Piemonte, l’argomento è trattato.

Creare la stringa di ricerca

Il mio obiettivo è però quello di ottenere delle evidenze da PubMed: iniziamo dunque a creare la stringa di ricerca. Utilizzando la domanda che abbiamo formulato attraverso la griglia PICO, isoliamo i concetti chiave: io direi “paralisi periferica del nervo faciale” e “terapia anti-virale”. Direi di inserire i termini relativi agli out come solo in un secondo tempo, nel caso ottenessimo troppo materiale.

Partiamo dalla patologia. Dal MeSH Database otteniamo che esiste un termine MeSH direttamente corrispondente che è “Bell Palsy”[mesh]. E’ presente anche “Facial Paralysis”[mesh] il quale è meno specifico perché si riferisce anche le cause centrali di paralisi, ma per completezza lo includerei comunque nella stringa. Per essere sicuri di raccogliere anche lavori recenti, non ancora indicizzati, includerei “Bell Palsy”[text word] e “Bell’s Palsy”[text word].

Per quanto riguarda la terapia antivirale, utilizzerei “Antiviral agents”[Pharmacological action]. [Pharmacological action] si riferisce al campo in cui viene inserita l’azione farmacologica dei farmaci citati nello studio. Anche in questo caso ricercheremo parole di testo, in particolare “Antiviral Agents”[text word], “Acyclovir”[text word], “valacyclovir”[text word].

Organizziamo ora la stringa di ricerca; io proporrei qualcosa del genere:

(“Bell Palsy”[mesh] OR “Facial Paralysis”[mesh] OR “Bell Palsy”[text word] OR “Bell’s Palsy”[text word]) AND (“Antiviral Agents”[pharmacological action] OR “Antiviral Agents”[text word] OR “Acyclovir”[text word] OR “valacyclovir”[text word])

Con questa stringa dovremmo ottenere gli articoli che contengono contemporaneamente (attraverso l’impiego di AND) almeno (per mezzo dell’operatore OR) uno dei descrittori della malattia e almeno uno dei descrittori della terapia.

Risultati della ricerca, così come appaiono in PubMed Advanced search. La ricerca è stata effettuata in data 03/05/13.

Bene, abbiamo trovato circa 294 articoli. A questo punto, seguendo il sistema 6S, dovremmo cercare le sinossi di revisioni sistematiche, le quali però non sono così facili da individuare su PubMed: per questo, punterei a “semplici” revisioni sistematiche. Possiamo farlo utilizzando i filtri “Systematic Review” e “Meta-analysis”. Come fare?

I limiti (o filtri)

Uno dei motivi per cui molti sono scoraggiati dall’utilizzare PubMed è l’abbondanza di risultati che si ottiene. PubMed offre però la possibilità di “filtrare” questa montagna di informazioni per ottenere un numero di articoli che sia più semplice da affrontare. Questi limiti permettono di selezionare gli articoli in base all’epoca di pubblicazione del lavoro, al disegno dello studio (clinical trial, lettera all’editore, etc.), all’età dei soggetti arruolati e così via (per una lista completa dei “Filters” si veda qui).

I filtri sono elencati nella colonna a sinistra della schermata dei risultati. In alto, cliccando su “Show Additional Filters” è possibile visualizzare la lista completa e selezionare quelli che riteniamo utili.

Bisogna comunque ricordarsi che l’impiego di ogni filtro è un’arma a doppio taglio: decidendo di escludere degli articoli dai risultati della nostra ricerca alleggeriamo certamente il nostro lavoro ma rischiamo anche di perdere materiale utile. In particolare, dato che alcuni filtri utilizzano il sistema dei tag, il loro impiego può escludere la possibilità di ottenere articoli che non siano stati ancora indicizzati in MEDLINE.

Raccogliamo i frutti del nostro lavoro

Nel nostro caso dunque clicchiamo su “more…” sotto “Article Type” e spuntiamo, nella lunga lista di pubblicazioni, le revisioni sistematiche e le meta-analisi quindi clicchiamo su “Show”. A questo selezioniamo nuovamente Systematic review e Meta-analysis: io ho ottenuto 27 risultati.

Tra i lavori ottenuti si rende evidente una revisione Cochrane secondo la quale vi sono prove di elevate qualità che gli anti-virali non siano meglio del placebo nel trattamento della paralisi di Bell e prove di moderata qualità che la loro efficacia sia inferiore a quella degli steroidi (1).

Risalendo e analizzando revisioni più recenti, scopriamo che il giudizio sullo scarso impatto terapeutico è stato dimostrato anche in altri lavori: in particolare Quant e colleghi (2) non hanno rilevato alcun beneficio aggiuntivo dell’associazione tra anti-virale e steroide rispetto al solo steroide. Anche nei lavori di Almeida (3), Numthavaj (4) e van der Veen (5), sebbene si rilevi una tendenza ad esiti migliori dell’associazione di anti-virali e steroidi rispetto ai soli steroidi, questa non raggiunge mai la significatività statistica. Le linee guida dell’American Academy of Neurology, basate su una revisioni sistematica autonoma dei dati, traggono le debite conseguenze (6).

Conclusioni

In tempi ragionevoli siamo riusciti ad ottenere una risposta al nostro quesito basata su evidenze di qualità rilevante. Vedremo nei prossimi post che è possibile ottenere questo tipo di informazioni in modo ancora più rapido.

Nonostante ciò, sono conscio anch’io di quanto sia difficile, soprattutto in medicina d’urgenza, ottenere queste informazioni in tempo reale. Ciò non toglie che padroneggiare PubMed permetta di poter arricchire, magari in differita, il proprio bagaglio culturale.

Riguardo alla strategia utilizzata, è solo una di quelle possibili. Chiunque abbia idee alternative e le voglia di condividere è il benvenuto.

Per approfondire

  1. Lockhart P, Daly F, Pitkethly M, Comerford N, Sullivan F. Antiviral treatment for Bell’s palsy (idiopathic facial paralysis). Cochrane Database Syst Rev. 2009;(4):CD001869. Link

  2. Quant EC, Jeste SS, Muni RH, Cape AV, Bhussar MK, Peleg AY. The benefits of steroids versus steroids plus antivirals for treatment of Bell’s palsy: a meta-analysis. BMJ. 2009; 339:b3354. Link

  3. de Almeida JR, Al Khabori M, Guyatt GH, Witterick IJ, Lin VY, Nedzelski JM, Chen JM. Combined corticosteroid and antiviral treatment for Bell palsy: a systematic review and meta-analysis. JAMA. 2009; 302(9): 985-93. Link

  4. Numthavaj P, Thakkinstian A, Dejthevaporn C, Attia J. Corticosteroid and antiviral therapy for Bell’s palsy: a network meta-analysis. BMC Neurol. 2011; 11:1. Link

  5. van der Veen EL, Rovers MM, de Ru JA, van der Heijden GJ. A small effect of adding antiviral agents in treating patients with severe Bell palsy. Otolaryngol Head Neck Surg. 2012; 146(3):353-7. Link

  6. Gronseth GS, Paduga R; American Academy of Neurology. Evidence-based guideline update: steroids and antivirals for Bell palsy: report of the Guideline Development Subcommittee of the American Academy of Neurology. Neurology. 2012 Nov 27;79(22):2209-13. Link

Dichiaro di non avere alcun conflitto di interesse con entità a fini di lucro citate nel presente post.

Il burn out del medico di pronto soccorso

venerdì, maggio 3rd, 2013

di Alessandro Sabidussi

Medico della medicina d’urgenza e pronto soccorso dell’ospedale Gradenigo di Torino

 

Cari colleghi,

Ogni professione per chi la svolge contiene aspetti di sofferenza e di disagio più o meno connaturati alla professione stessa, ma comunque inevitabili. Spesso sono fortemente caratterizzanti quel tipo specifico di attività, se non addirittura elementi di selezione meritocratica. Pensiamo ad esempio al rischio per la propria incolumità per chi presta servizio nei corpi di Polizia o dei Vigili del Fuoco, l’aspro confronto dialettico per chi professa l’avvocatura o l’attività di rappresentanza politica o sindacale, il peso della responsabilità decisionale per un magistrato o per un funzionario di banca, la necessità di raggiungere e mantenere elevati livelli di concentrazione per un pilota di aerei o per un controllore di volo, l’ansia di produrre un buon pezzo nei tempi stabiliti per un giornalista, l’esigenza di pianificare costantemente strategie vincenti a breve, medio e lungo termine per un manager di azienda, e l’elenco potrebbe proseguire occupando diverse pagine.

 

Se vi dicessi che esiste una figura professionale alla quale si richiede:

  • di prendere decisioni gravi sulla salute e sulla vita di altri esseri umani e, contemporaneamente,
  • di farlo con una frequenza nell’unità di tempo del tutto priva di criterio-soglia
  • di fornire a qualsiasi interlocutore risposte pertinenti a qualsiasi quesito in qualsiasi momento e in qualsiasi modalità venga posto
  • di spiegare il proprio operato o giustificare le proprie scelte nei tempi e nei modi imposti sempre e solo dal richiedente
  • di soddisfare in tempo reale, o quasi, qualsiasi pretesa di prestazione spesso indipendentemente dalla sua pertinenza
  • di accettare che il proprio flusso di pensiero venga sistematicamente interrotto con tale disinvoltura e noncuranza da essere letteralmente “sbriciolato”
  • di trarre spunto validativo per le proprie scelte da una congerie di dati praticamente illimitata non consultabile al bisogno proprio per la tempestività richiesta
  • di assumersi in prima persona non solo la responsabilità ma anche il peso morale di tutto ciò che avviene entro e spesso oltre i confini spazio-temporali del proprio ambito lavorativo
  • di essere considerata più o meno esplicitamente, da parte dei colleghi con altre specializzazioni, una sorta di “rompiballe” che ha sempre bisogno di loro

chi vi viene in mente? Qualcuno si riconosce in questo identikit?

 

Vorrei invitare a leggere, quei pochi di voi che non lo avessero ancora fatto, ed eventualmente a commentare due editoriali pubblicati recentemente dalla collega Gemma Morabito su MedEmIt.

Il primo risale al 18 febbraio scorso: “Qualità del lavoro per i medici d’urgenza: perché non pensare alla rivoluzione?!” Gemma C Morabito, MD – Editor in-chief MedEmIt.

Il secondo è uscito il successivo 2 aprile: “Burnout in medicina d’urgenza: siamo scoppiati ma non dobbiamo arrenderci!” Gemma C Morabito, MD – Editor in-chief MedEmIt.

Già in precedenza la collega del Sant’Andrea di Roma aveva sollevato il problema con l’articolo “Dottori stressati: non parlate al conducente” (pubblicato il 18/02/2011)

Non nego, leggendoli, di aver avvertito un sussulto: per la prima volta ho trovato una perfetta corrispondenza con ciò che mi rode da tempo e che da tempo vado predicando ai miei compagni di trincea. Il concetto di abused effettivamente racchiude in sé la migliore sintesi della nostra condizione:

  • abused dal paziente e dai parenti che tipicamente verso di noi accampano tante più pretese e esprimono tanta più arroganza quanto meno grave è l’entità del problema che presentano, salvo poi manifestare in “parole ed opere” tutta la loro gratitudine verso il consulente,
  • abused dai colleghi di altre specialità, i quali
    • nella veste di amiconi ti mandano “giù un attimo in Pronto”
      • quel loro conoscente che da mesi soffre di quello strano sintomo oppure
      • quel paziente che stanno vedendo ora in ambulatorio e del quale non gli tornano alcune cose … oppure
      • quel loro paziente, spesso privato, per il quale “potresti mica fare solo un paio di esamini e magari una lastra?” (pensa se in tempo reale gli facessimo entrare noi un nostro conoscente in ambulatorio o in sala ecografica o in corsia o in sala operatoria…!), mentre
    • nella veste di consulenti sono sempre pronti a fare le pulci sulla effettiva necessità, urgenza, opportunità, ecc. ecc (per non parlare delle chiamate di reperibilità notturna o festiva in cui alla discussione clinica si sostituiscono spesso ben altre raffinatezze gergali!)
  • abuseddalle alte gerarchie dirigenziali, talora purtroppo anche mediche, a cui sembra non importare nulla (o meglio è fin troppo chiaro che gli serve proprio che sia così) che ci sia uno sparuto gruppo di lavoratori a cui si sottopongono carichi di lavoro del tutto privi di criterio-limite e che riproducono ogni giorno una versione moderna del supplizio di Tantalo (smaltisco con gran fatica e a gran velocità n pazienti e nello stesso lasso di tempo ne sono già stati registrati n x 2!),
    • infischiandosene completamente di escogitare un qualsiasi sistema filtro sull’immissario per rendere più sicuro ed umanamente accettabile il lavoro stesso, ma
    • salvaguardando tenacemente il sistema filtro sull’emissario (inteso come trasferimento in reparto dei pazienti da ricoverare).

Nessuno di noi vuol fare la vittima e nessuno di noi ignora l’elevatissimo rischio di sconfinare nella cosiddetta “guerra tra poveri”. Temo che le cause siano da ricercare nel pregiudizio, ma soprattutto in ogni occasione nella quale ognuno di noi ha accettato il pregiudizio che la nostra sia una specialità di categoria inferiore, a mala pena nota tra gli stessi sanitari. Abbiamo o no subito senza battere ciglio che la Nomenklatura sanitaria coniasse e riportasse sui sacri testi di Governance termini come specialità di base, di medio e di alto livello, oppure alte specialità, oppure centri di eccellenza, oppure specialità di base, di media e di alta complessità, relegando le nostra realtà a posizioni sempre ben lontane dalle vette? E’ difficile che un linguaggio/mentalità di questo tipo non induca, anche tra gli addetti ai lavori, alla spontanea classificazione dei medici ospedalieri in serie A, serie B e serie C. E guarda caso la nostra non viene mai presa in considerazione come alta specialità, ma nemmeno come media, e nessunpronto soccorso è destinato a diventare “centro d’eccellenza”. A quanto pare di strada da percorrere ce n’è molta.

Due riflessioni da accogliere come sdrammatizzante provocazione:

  1. la tanto tormentata categoria degli operatori di Call Center ha in contratto obbligo di pause di almeno 15-20 minuti ogni 2 ore di lavoro, poiché svolge attività ritenuta “logorante”;
  2. nell’organizzazione G.U.L.A.G. di sovietica memoria veniva stabilito una qualche soglia giornaliera – la cosiddetta “norma” – di produzione in base al tipo di lavoro ed in base al singolo profilo di resistenza fisica, oltre la quale il prigioniero non era tenuto ad andare…

A chi obiettasse sostenendo che non ci sono soldi per cambiare le cose, dovremmo aver la forza di rispondere che probabilmente a nessuno di noi passa per la testa di chiedere un solo centesimo di più. Anzi la sfida è nel riuscire ad essere efficienti ed efficaci con le stesse risorse o addirittura con meno. Avere la possibilità di gestire il nostro lavoro con minor pletora di mezzi è impresa suggestiva a cui i migliori di noi, credo, non si sottrarrebbero. Il nodo critico è che il sistema-paese o almeno il sistema-regione o, per iniziare, il sistema-ospedale deve cominciare a farsi carico, INSIEME ALL’OPERATORE, di un nuovo patto sociale, nel quale sia condivisa la responsabilità che con meno mezzi si possa garantire una Sanità comunque di buon livello, democratica ANCHE A COSTO PERÒ DI RISCHIARE QUALCOSA DI PIÙ. Non nascondiamoci dietro ad un dito: in molte regioni africane un ventenne lo puoi trasfondere solo se l’Hb scende sotto i 3.5 g/dl

  1. perché s’impongono esigenze di sostenibilità ma, allo stesso tempo,
  2. perché se a uno su cento va poi male È ACCETTATO DA TUTTI CHE POSSA ANDARE COSÌ !!

Chissà, fra non molto tempo forse anche da noi si sarà costretti a scelte di tal genere. Ma ciò che deve preoccupare e indignare noi medici di PS, oltretutto incastrati in questo tritasassi fino alla lontanissima pensione per l’estinzione ormai delle possibilità di carriera o di conversione in altri ambiti (ma questo è un altro discorso), è la strategia serpeggiante, ma largamente adottata, di lasciarci completamente soli a reggere il peso di tutto ciò che avviene nella nostra realtà come se lo facessimo obbedendo ad un nostro personale “pallino”! E questo senza uno straccio di riconoscimento, assurgendo agli onori della cronaca solo per gli eventi sinistramente giudiziari!

Al termine la domanda delle domande: che cosa possiamo fare? Per ora l’unica risposta che mi viene in mente è essere uniti e non arrenderci!

 





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