IL BLOG DI SIMEU

 

Archive for luglio, 2024

*STORIA GRUPPO ARIA*

martedì, luglio 30th, 2024

Qualcuno dal suo PS vede il mare, il sole che colpisce gli occhi e che scalda il cuore; qualcuno una grande città, tante persone, la nebbia. Qualcuno le montagne, e sogna la pace.

 

Un pronto soccorso qualunque.

Un giorno di pioggia.

Il pensiero che va alla fine del turno.

Un codice rosa.

 

 

R.

Fammi scrivere bene, non devo dimenticarmi nemmeno un dettaglio. C’è voluto un po’ per tirarle fuori dai denti quella violenza. “avevo paura che avrebbe continuato ad ammazzarmi di botte se non ci fossi stata, quindi in realtà ero consenziente”. Ho accompagnato la paziente in tutto il suo percorso, in ginecologia, le ho scattato 40 foto mentre era nuda, inerme, davanti ai sanitari. Non volevo essere lì, era una violenza nella violenza.

 

F.

La tentazione di ignorare, di non scrivere, far finta di niente e minimizzare è tanta. Ma poi ti rendi conto che ti ha reso custode della sua sofferenza. È cosa da MEU anche questa purtroppo, e aggiungerei anche … per fortuna.

 

A.

Quella sera ho dovuto mettere insieme tutti i pezzi di quel triage, la ricorderò per tutta la vita. Era una turista accompagnata dalla polizia. La mattina successiva ho letto che il suo demone era stato fermato. Ricordo di aver pianto.

 

R.

Speriamo che non ci sia un trauma così la posso subito mandare al pronto soccorso ginecologico. In fondo dove posso metterla qui? In mezzo agli altri codici rossi? Tra il vecchietto con la niv che suona e il tossico che urla?

 

C.

Di fronte a quella donna provai un senso di tristezza profonda, di impotenza. Mi sentivo così piccola di fronte a tutto quello. Avevo nel cuore la consapevolezza che nonostante l’ascolto, non sarei mai stata in grado di lenire la sua sofferenza.

 

M.

Minchia che palle, ma questa perché ha continuato a stare con questo tipo nonostante tutto? Io non sono maschilista però…

 

F.

Alcune strutture ospedaliere potrebbero non avere risorse o personale adeguatamente addestrato per affrontare un caso di violenza di genere, come la mia.

Non la potevano portare da un’altra parte?

 

S.

Ok, adesso devo dimenticare il caos che ho intorno, del paziente che urla perché in attesa da 4h, della paziente sulla spinale che si lamenta per il dolore, del codice bianco che ripete che siamo incompetenti e non funziona la sanità.

Ora devo pensare a lei.

 

M.

Meno male che non è capitato a me…poraccia

 

A.

Pensava di essere al sicuro e invece è stata tradita proprio da chi le sembrava essere più vicino.

 

L.

Decide di affidarsi a noi per aprire gli occhi. Lei è stata fortunata. Non si sa come, dove e perché ma l’ha fatto. Da sola, voleva la libertà e noi abbiamo esaudito il suo desiderio. Almeno ci abbiamo provato.

 

Smettiamo di pensare, smettiamo di parlare, ora tocca a LEI…in fondo l’unico punto di vista che conta è il suo.

 

 

*STORIA GRUPPO ARIA* >>> definita di “coralità unica”

di Debora Martinelli, Roberta Molle, Daniela Mutti, Rossella Nocerino, Angelo Picciano, Serena Rispoli, Chiara Maffei, Arianna Magistro, Andrei Magri Piccinini, Francesco Notari, Francesca Ortu, Lucrezia Pagliuca, Roberto Palmisano, Francesca Palumbo, Matteo Pani, Stefano Pasqualin, Alessandra Pastorelli, Martina Polimeno

 

Specialisti e specialità: gli infermieri della MEU

lunedì, luglio 15th, 2024

di Alessio Luzi

Ci richiedono sempre più competenze per poter fare ciò che sappiamo fare meglio: il nostro lavoro.

 

Ci ritroviamo oggi, tra obblighi di legge o direttive aziendali, a dover formare il nostro profilo e ampliare i nostri curricula in modo impeccabile, quasi avessimo una data di scadenza sulle divise.

A volte è cosi, tante altre non lo è.

 

Fare l’infermiere della MEU sembra essere davvero divertente:

quando racconti agli altri che lavori al DEA, che provieni da oltre 15 anni di emergenza territoriale, che sei stato in terapia intensiva, ti vedono quasi come un super eroe. Ti chiedono: “Oh ma chissà quante ne hai viste! Raccontaci qualcosa, dai!”.

 

Nessuno, però, ti chiede mai: “Come ci si arriva? Come si diventa infermiere di Area critica?”  

E di conseguenza nessuno sa quanto si sacrifica e quanto si studia per arrivare fin dove sei ora.

Che poi magari per molti non è nemmeno il luogo ideale il pronto soccorso, magari per altri è la storia della propria vita.

Ci sono colleghi che al di fuori della sala rossa non respirano, si spengono,“muoiono”.

 

Ma per stare li come avrà fatto? Partiamo dal presupposto che oggi c’è la malsana abitudine, da parte di tutte le aziende, di prendere personale con zero esperienza (e non parlo solo di esperienza in Area critica ma proprio di neo laureati) e muoverli come pedine all’interno delle sale dei PS, dei DEA, sulle ambulanze.

 

Nel lontano 2017 è stata fatta una proposta di legge che mai è stata varata che prevedeva l’obbligo di avere quantomeno la specializzazione in area critica post formazione di base per poter lavorare nella MEU.

 

Ad oggi, difatti, non è cosi.

 

Parliamo poi degli obblighi (personali) di formarsi per essere sempre pronti a qualsiasi emergenza: BLSD, ALS, PBLSD, PALS, ATLS, PATLS, ECG, PICC, eFast … A questi aggiungiamo le letture, continue, sulla farmacologia, le nuove linee guida, i protocolli interni, gli aggiornamenti su presidi e procedure.

 

E ancora: gli ECM, obbligatori.

E poi i farmaci generici, i LASA, che ci portano sempre in confusione e dobbiamo rimanere lucidi, perché in urgenza quel farmaco può fare la differenza e non puoi permetterti di sbagliare.

Quindi leggi i bugiardini, installi applicazioni per conoscere l’emivita, la farmacodinamica, le interazioni. Compri manuali sulla ventilazione non invasiva e i nuovi ventilatori. Imposti la PEEP, i flussi, il tipo di ventilazione.

Nel mentre è arrivato un altro codice rosso e tu, che hai due mani, ti sdoppi e improvvisamente ti ritrovi con 4 braccia, due cervelli, 4 gambe. Ma un unico cuore.

 

A questo aggiungiamo il fatto che, oggi, non si è più solo esecutori ma veri e propri professionisti autonomi. Ne consegue che la regola: “ma a me l’ha detto il medico!” non va più bene.

Quindi se somministro un farmaco lesivo per il paziente (sbagliando diluizione, tempo, modo) ne pago le conseguenze in modo diretto. Ed ecco che qui subentra, per obblighi di legge, l’assicurazione professionale da stipulare di anno in anno.

 

“Bello fare lo specialista.”

 

E fin qui tutto bene, direte voi. Ma quando dici agli amici che lavori in pronto soccorso e loro si immaginano che la laurea dia diritto a tale posto non credono minimamente che  quel posto te lo sia sudato e guadagnato e che ogni giorno combatti contro il mondo intero per fare la differenza.

E già, il mondo intero.

 

Lo stesso mondo che ci gridava “eroi” ora ci urla “bestie!” quando vogliono essere gentili.

Siamo continuamente sotto attacco, sotto scacco, sotto pressione.

E nonostante questo non smettiamo mai di mostrare un sorriso e professionalità.

 

Siamo specializzati in questo. Siamo specializzati in Sanità pubblica, in pediatria, in geriatria, in psichiatria e in area critica.

Siamo liberi professionisti, stipendiati a contratto o lavoriamo in cooperative.

 

Ma queste cose non le raccontiamo in giro. Nemmeno quando stiamo massaggiando un paziente. Non diciamo ai parenti: “Ho due lauree, due master, una magistrale.” Tanto, per loro, saremo sempre e solo “giovanotto o signorina”, quelli a cui dare del “TU”.

 

E nonostante le parolacce che ci tirate dietro, le aggressioni che continuamente subiamo, rimaniamo nel nostro e mostriamo con orgoglio la divisa (a volte lacerata, consumata, sgualcita, scolorita) e ciò che sappiamo fare meglio: il nostro lavoro.

 

Quindi, cari amici, quello che sapete di noi, quello che decidiamo di raccontarvi, è solo una parte di quello che realmente succede.

 

Non soffermatevi solo sul “ wow, chissà quanta adrenalina in pronto soccorso!” ma anche sulla quantità di sacrifici che facciamo ogni giorno per poter stare dove stiamo: al nostro posto sudato e guadagnato.





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