IL BLOG DI SIMEU

 

Archive for settembre, 2021

Dopo Anita.

mercoledì, settembre 29th, 2021

Direttamente dall’ EM STORY CONTEST della SUM.SCHOOL SIMEU appena conclusa, la testimonianza nominata vincitrice “per aver utilizzato le immagini, i rumori e gli sguardi come strumento di narrazione. L’uso dei nomi propri per indicare le persone come stile di approccio e cura. Il ricorso alle canzoni come rievocazione del proprio vissuto messo al servizio della persona nel percorso di cura”. Da un’idea del Segretario Nazionale dott. Mario Guarino, giuria presieduta dallo scrittore Maurizio De Giovanni

Mara Tesei ne è l’autrice. Originaria di Perugia, presta servizio presso il PS di Montepulciano dopo aver partecipato a tre missioni in Africa con una ONG.

 

Piccoli pezzi di vetro cadono come polvere dai vestitini che piano piano le togliamo.

È vigile, piange.

Non ha evidenti segni di contusione e non notiamo ferite una volta rimasta solo con il pannolino.

Si chiama Anita, un anno di età.

 

Un’infermiera del centodiciotto entra nella stanza e ci consegna le borse che erano vicino a lei nell’auto. Sono delle buste di carta di negozi per bambini, dentro dei vestitini con ancora il cartellino del prezzo attaccato. Chissà Anita come può averti immaginato bella con questi addosso la tua mamma. Invece ora sei quasi nuda con una dottoressa e due infermiere che immaginano cosa possa averti lasciato addosso l’impatto dell’auto. Ecografia ed esami di sangue negativi. Nulla, addosso non ti ha lasciato nulla. E sulla tua mamma? Cosa lascerà sulla tua mamma questo pomeriggio in cui siete uscite insieme e tornando la vostra auto ha avuto un impatto frontale con un’altra auto? Ora siete divise dalle porte scorrevoli della sala rossa: ogni volta che si aprono è come se la sala respirasse. Con lo stesso ritmo con cui le porte scorrevoli si aprono e si chiudono penso a quello che gli infermieri stanno facendo sulla mamma. Gestione delle vie aeree, accesso venoso. Io però non sono dentro con loro, sono dall’altra parte del corridoio eppure: elettrocardiogramma, esami di sangue, ecografia.

 

Io però ho in carico Anita, i familiari a casa non rispondono, né i nonni né il papà.

Eppure: emogasanalisi, tac. Questo ritmo di pensieri non la tranquillizza. “Marinella cosa facciamo con il paziente per la cardiologia?”, domanda che riecheggia dall’altro corridoio dove altri medici ed infermieri continuano a lavorare, mentre io sono lì ferma con in braccio Anita. “Marinella, va a reparto?”. Ma certo, Marinella. Tutto diventa un po’ più chiaro, tutto diventa sequenziale, come l’abcde che mentalmente avevo fatto sulla mamma di Anita.

“Questa di Marinella è la storia vera, che scivolò sul fiume a primavera, ma il vento che la vide così bella, dal fiume la portò sopra una stella”.

Entro nella stanzina di ristoro del Pronto Soccorso.

Inizio a cullarla e a cantarle piano la canzone di Marinella. Ricordo solo quella strofa e gliela canto di continuo, così come di continuo stiamo camminando in su e in giù in quella stanzina dove gli infermieri cercano un minuto di tranquillità tra un triage e l’altro, tra un’urgenza ed un’emergenza.

 

Anche io cerco in quel posto un po’ di tranquillità per Anita.

Ora lì non piange più, ha in bocca il suo ditino che ogni tanto prende ogni tanto lascia.

“Ma il vento che la vide così bella …” Anita si addormenta.

 

Entra in stanza il direttore. È in questo ospedale da poco, non mi ha conosciuto quando pochi mesi prima arrivai in pronto soccorso con la testa piena di lunghe treccine africane per l’ultimo tirocinio di infermieristica. Ero tornata da due giorni dalla mia seconda missione in Africa: già sull’aereo avevo pensato “sarà difficile? Sarò all’altezza?”. Qualche mese dopo sarei tornata lì come dipendente: ogni turno mentre percorrevo il corridoio che dallo spogliatoio portava al pronto soccorso mi chiedevo: “sarò oggi all’altezza di quel posto?”.

La domanda è rimasta sempre la stessa. Il direttore invece non fece alcuna domanda sul perché nel suo pronto soccorso si ritrovava un’infermiera al primo incarico che cantava De Andrè con in braccio una bambina. Sorrise, uscì, mentre entrarono nella stanza le novità sulla mamma: tamponamento cardiaco, trasferimento in sala operatoria di cardiochirurgia.

Con la notizia arrivarono anche i familiari di Anita. Riconsegno Anita al suo papà.

 

Non ci diciamo nulla, ma in quel passaggio da un abbraccio all’altro, ho capito il vero obiettivo del pronto soccorso: riconsegnare una vita.

Prima di lavorarci, come la maggior parte delle persone, pensavo che gli operatori cercassero di perseguire tale obiettivo tra il caos e la fretta. Da infermiera ho compreso che quando tutto si focalizza nel riconsegnare questa vita vige straordinaria disciplina: in una situazione di emergenza, ogni individuo si sente responsabilizzato, “si forma una solidarietà diffusa, cala il livello di litigiosità, insomma per quanto possa sembrare assurdo, l’auto smette di perdere i pezzi quando supera i duecento chilometri orari”

 

Dopo Anita scelsi di non scendere più dall’auto chiamata pronto soccorso.

 

L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nel mondo della Medicina d’Urgenza. Vantaggi, limiti e potenzialità.

martedì, settembre 7th, 2021

di Antonio Voza

Nel dicembre di 3 anni fa, partecipando ad un congresso organizzato dalla Fondazione Veronesi, vengo colpito da una affermazione, molto simile ad una sentenza, secondo cui alcuni esperti internazionali valutavano concreta la possibilità che entro il 2050, attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale (IA), le macchine sarebbero in grado di sostituire del tutto gli umani nello svolgere ogni genere di professione, compresa quella del medico.

La mia reazione è stata contrastante: preoccupazione e curiosità si sono alternate ma, quando parliamo di IA, di cosa si tratta?

 

In questi ultimi anni, nel cercare di definirne una dimensione ed una identità, mi sono imbattuto in diverse descrizioni.

Una su tutte ha contribuito a schiarirmi le idee. Nello specifico, asserisce che il concetto di IA viene usato in riferimento a “sistemi software che, ricevuto un obiettivo complesso, interagiscono nella dimensione fisica e digitale, percependo l’ambiente circostante attraverso l’acquisizione e l’interpretazione di dati raccolti, ragionando sulle conoscenze pregresse, elaborando le informazioni ottenute dai dati stessi e decidendo quale possa essere la migliore azione da compiere per raggiungere l’obiettivo prefissato”.’

“Questi sistemi possono inoltre apprendere modelli di calcolo numerico e sono in grado di adattare il proprio comportamento, analizzando come l’ambiente circostante sia stato influenzato dalle precedenti azioni”. (High-level Expert Group on Artificial Intelligence, definition of AI, Bruxelles, 2019, p. 6).

Definizione chiara, ma che personalmente ritengo possa far nascere più di una riflessione.

E’ oggettivo che tecnologia, innovazione e intelligenza artificiale siano progredite drasticamente negli ultimi decenni. Alcuni vedono questo progresso come una fonte di pericolo che potrebbe portare la tecnologia a surclassare l’umanità, altri leggono l’intelligenza artificiale e la robotica come un modo per migliorare la società, il lavoro e la qualità della vita quotidiana.

Come per qualsiasi cambiamento, sono convinto che il risultato dipenderà solo da come l’IA verrà di fatto utilizzata.

 

La crescente digitalizzazione dei sistemi sanitari, dei dati clinici, associata alle tecniche di apprendimento, rende l’IA una tecnologia particolarmente idonea ad essere applicata al settore sanitario. Anche nell’ambito della Medicina d’Emergenza-Urgenza la letteratura è sempre più completa in termini di esempi di applicazione di algoritmi di IA a supporto della pratica clinica, soprattutto nella gestione delle patologie tempo dipendenti, di nostra assoluta pertinenza.

Per la sua stessa natura, il mondo dell’Urgenza si presta alla più appropriata applicabilità dei sistemi di IA. Pensiamo ai flussi crescenti di presa in carico dei pazienti in un Pronto Soccorso e parallelamente al bisogno di prendere decisioni clinico-diagnostico-terapeutiche rapide ed accurate per pazienti critici: è intuitivo come la maggiore accuratezza e rapidità garantite dai sistemi di IA possano rapresentare la risposta più promettente a queste necessità.

Solo come esempio, sono molteplici le applicazioni dei sistemi di IA nella interpretazione degli esami di diagnostica per immagini, nel predire la prognosi del paziente in base alla presentazione clinica o nel monitoraggio dei parametri vitali.
Inoltre diverse aziende stanno cercando di ridurre il carico di documentazione in PS attraverso sistemi di IA, in grado di redigere una cartella clinica basata sulla registrazione dell’interazione medico-paziente nel momento in cui si verifica.

Ma a fronte della loro potenziale applicazione, queste tecnologie devono ancora essere implementate in maniera omogenea e diffusa a livello dei dipartimenti di Emergenza – Urgenza. Gli ostacoli principali finora riscontrati sono soprattutto tecnici e normativi.

 

Tornando ad esempi concreti, sono diversi gli studi che hanno dimostrato come l’IA possa migliorare e ottimizzare il trattamento dei pazienti con diagnosi di sepsi in Urgenza, evidenziando come algoritmi di IA – in base ai parametri ed alle condizioni cliniche del paziente – possano suggerire al medico d’Urgenza la corretta dose di liquidi e amine vasoattive da utilizzare – in maniera dinamica – mentre sta trattando il paziente. Si conclude andando ad oggettivare come l’utilizzo di questi modelli di IA potrebbero portare ad una prognosi decisamente migliore.

Sono diversi poi gli studi che hanno invece dimostrato come l’accuratezza della predittività della corretta indicazione al ricovero – indipendentemente dal modello di IA utilizzato – migliori in modo statisticamente significativo con l’utilizzo di alcune variabili e del testo libero compilato direttamente dagli infermieri di triage, mettendo a disposizione i risultati dell’algoritmo in ‘real time’ così da avere a disposizione del professionista preziose informazioni aggiuntive con tutti i vantaggi che ne conseguono in termini di velocità di assegnazione, di sicurezza di percorso scelto, di ottimizzazione delle risorse e di prevenzione dell’overcrowding.

Manna dal cielo, per una disciplina dove i professionisti coinvolti – tanto medici quanto infermieri – hanno troppo spesso a disposizione poche informazioni sulla storia clinica del paziente, a volte neanche le sue generalità, pochi dati in un contesto a volte di confusione oltre che di notevole stress e si trovano a dover prendere decisioni che possono comportare un ritardo diagnostico influenzandone la prognosi.

 

In tempo di pandemia da COVID-19, la letteratura è ricca di esempi di come l’utilizzo dell’ IA ne abbia aiutato non poco e a tutti i livelli la gestione sanitaria. In questo la Cina ha tracciato la via.

Due esempi. A partire dal mese di febbraio 2020 la società Alibaba Damo Academy ha dichiarato di aver sviluppato una piattaforma in grado di analizzare e individuare l’intero genoma del nuovo coronavirus, riducendo i tempi normalmente richiesti per questo esame a soli trenta minuti, attraverso l’uso di algoritmi dotati di IA. In questo modo è stato possibile ottenere la diagnosi in tempi notevolmente minori e soprattutto consentire una individuazione più accurata delle possibili mutazioni del virus.

A questo strumento, la stessa società cinese ha affiancato poi lo sviluppo di un sistema diagnostico basato sull’IA che si proponeva di rilevare nuovi casi di COVID-19 con un livello di accuratezza che arrivava fino al 96%. Infatti, attraverso l’analisi delle immagini tac, l’IA si è dimostrata in grado di identificare le differenze tra i pazienti affetti da polmonite dovuta a COVID-19 e i casi di polmonite virale ordinaria, abbassando radicalmente i tempi d’attesa richiesti per i tradizionali tamponi. Ancora riduzione dei tempi e accuratezza diagnostica: il mantra del medico d’Urgenza.

 

Ma lo scopo di questo articolo non vuole essere una metanalisi della letteratura pubblicata. In quanto strumento nelle mani dell’essere umano, l’utilizzo e l’applicazione dell’IA – soprattutto in ambito medico – può essere fonte di dilemmi etici e morali che non possono essere sottovalutati.

L’IA infatti non si presenta, dal punto di vista giuridico, priva di rischi che possono compromettere i principi, i diritti e le libertà tutelate dalla legge, anche con ripercussioni in termini di ‘diritto alla salute’.

E tutto questo rischia di portare a due conseguenze che non possiamo sottovalutare, con il sincero auspicio di riuscire ad evitarle. Da un lato, potrebbero portare ad un processo di disumanizzazione del rapporto terapeutico, negando spazio a quelle occasioni di dialogo, confronto e conforto di per sè parte integrante della cura, come riportato dall’ordinamento italiano. Dall’altro, potrebbero invece pregiudicare quello stesso diritto alla salute che proprio tramite l’uso dell’IA si vuole tutelare dal punto di vista collettivo e individuale evitando il possibile rischio di disomogenee opportunità.

E’ auspicabile quindi che, in parallelo ad Università che approntano Master di secondo livello, molto stimolanti sull’utilizzo dell’IA in ambito medico, si possano aprire dibattiti interdisciplinari, che ci possano vedere protagonisti, insieme alle altre figure professionali coinvolte, con l’obiettivo di individuare e bilanciare rischi e benefici.

 

La domanda ultima che ci si pone quindi è se l’IA permetterà in futuro di fare a meno del personale sanitario.

I più scettici consigliano di tenere conto della straordinaria abilità dell’essere umano di fare affidamento, soprattutto nel corso di circostanze estreme (quali quelle ad esempio vissute in pieno picco pandemico) sul proprio ingegno e caparbietà, ponendo l’intelletto al servizio del più primordiale degli istinti che può essere solo umano, la volontà di sopravvivere.

Altri, non da meno, sottolineano come la medicina sia una tecnologia complessa, fondata sulla scienza e nessun robot o algoritmo progettato da uomini al momento possa essere in grado di affrontare sfide cognitive e operative a più livelli, come riesce invece a fare la mente umana.

Ci sono poi i più “conservatori” che asseriscono come non si possa meccanizzare l’empatia. I pazienti non prenderebbero mai sul serio le raccomandazioni di un chatboat (Siri di Apple è un caso di chatboat). Altri autori, non distanti, sottolineano come la fiducia abbia bisogno di ascolto e risposte che implicano una relazione con il medico. A questo proposito mi chiedo: quale relazione è più difficile ed allo stesso tempo sfidante, se non quella tra noi specialisti dell’Urgenza e un paziente che non ha scelto di essere  in uno dei nostri Pronto Soccorso in quel momento, cosi come non ha scelto di essere preso in carico e trattato proprio da noi come professionisti in quella sua precisa condizione di necessità?

Allo stesso modo, va però sottolineato che sono diversi gli autori che argomentano in modo altrettanto ineccepibile sui vantaggi oggettivi di una sempre più costante presenza di algoritmi di IA durante la nostra pratica clinica. E’ infatti difficile non riconoscere come l’IA stia accelerando il processo diagnostico e riducendo gli errori. La macchina riesce a controllare, con maggiore accuratezza, una quantità di dati che impegnerebbero per mesi una equìpe di medici, per quanto esperti, preparati e con grande esperienza.

 

Infine l’IA potrebbe finalmente archiviare, anche nel mondo dell’Emergenza Urgenza, la medicina difensiva non solo riducendo drasticamente gli errori medici e le diagnosi errate ma, poiché gli algoritmi prodotti dall’IA sono sempre più precisi ed efficienti, seguendoli sarà sempre più difficile portare in giudizio un medico ed un infermiere che prendono in carico in Pronto Soccorso un paziente critico di cui a volte non conoscono proprio nulla, come si diceva, spesso neanche le generalità.

E’ importante sottolineare però che questi strumenti non ci potranno mai sostituire completamente.

Perché se è vero che queste tecnologie forniranno assistenza, aiutando gli operatori sanitari a cogliere elementi significativi difficilmente estraibili in altro modo, è altrettanto vero che i nostri livelli di comprensione del dato puro non sono e probabilmente non saranno mai replicabili dall’IA.

Raccogliere quindi una raccomandazione di trattamento fornitaci dall’IA e decidere se è giusta o meno per il paziente deve dipendere ancora interamente da un processo decisionale che può essere solo umano … solo nostro!

 

In conclusione, sono personalmente convinto che queste scelte di contesto sono difficili da immaginare interamente demandabili all’IA. Queste nuove consapevolezze dovrebbero portarci a vivere questa sfida non con timore e diffidenza, ma come opportunità da cogliere, modulandola sui nostri bisogni e ‘sartorializzandola’ su ogni singolo paziente dalla presa in carico al trattamento.

 

Dr Antonio Voza, 

Responsabile SC Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza IRCCS Humanitas Research Hospital, Rozzano (Milano)





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