IL BLOG DI SIMEU

 

Archive for febbraio, 2023

Il caso sociale.

lunedì, febbraio 27th, 2023

di Erika Poggiali

Si presenta ogni sera, poche ore dopo l’inizio del turno della notte e si mette a dormire silenzioso sulle sedie.

Barelle per dormire non ce ne sono.

Sembra di stare in aeroporto il 15 di agosto nella boarding area in attesa di un posto letto per essere ricoverati. Tutto full anche oggi. E allora viaggia in economy lui, si accontenta.

 

È ormai un “frequent flyer” del nostro Pronto Soccorso e ha imparato a non infastidire chi sta lavorando, medici, infermieri e OSS.

 

All’inizio si faceva inserire in triage con sintomi così fantasiosi da far impazzire qualsiasi giovane medico alle prime esperienze in Pronto Soccorso, proprio come il povero dottor Gerard Galvan nella sua lunga notte raccontata dalle parole di Daniel Pennac.

Infastidiva la sua insistenza nell’aggiungere nuovi sintomi ad ogni diagnosi raggiunta per la dimissione, ancorandosi con forza alla barella.

 

Poi è diventato sincero, o meglio, abbiamo compreso il suo reale bisogno, che non ha nulla a che vedere con le cure mediche, ma con un più pragmatico istinto di sopravvivenza, che si traduce in un posto dove dormire la notte, quando fuori è tutto chiuso e si va sottozero.

 

Non ha una casa né una famiglia.

Non ha nemmeno un amico.

 

Ha una storia tutta sua, come tutte quelle persone che vivono per strada, per scelta, necessità, casualità. Secondo le stime ISTAT sono 100mila i senza tetto in Italia, il 38% stranieri, il resto italiani. Hanno un’età media di 41,6 anni e si concentrano principalmente in 6 comuni: Roma (nel 23% dei casi), Milano (9%), Napoli (7%), Torino (4,6%), Genova (3%) e Foggia (3,7%)1. Ma sono dati fittizi, aggiornati al 31 dicembre 2021, che sottostimano i dati reali e non considerano tutte quelle persone non iscritte all’anagrafe.

 

Qualcuno li chiama elegantemente “clochard”, qualcun altro preferisce l’anglosassone “homeless”, in italiano li abbiamo sempre chiamati “barboni” in una accezione negativa e stigmatizzante, poi sostituita da “senza fissa dimora” o “senzatetto”. Ma alla fine sono tutti “poveri diavoli”, emarginati dalla società, invisibili alle istituzioni.

 

È vero, è sporco e puzza, tanto.

Ed è vero, non siamo la Caritas né un dormitorio.  

“Verrà ancora se lo trattiamo così!”

“Ma così come? Come un essere umano in difficoltà?”

Avete ragione, la soluzione non siamo noi e non dovremmo esserla.

 

E allora provo a cercare una soluzione nella politica italiana e mi imbatto nel disegno di legge n.1448 del Senato, il cui articolo 15 “individua le misure volte a tutelare le persone senza tetto o senza fissa dimora, al fine di agevolarne l’accesso al beneficio, tramite programmi annuali di assistenza da parte dei comuni, che devono essere comunicati, con cadenza semestrale, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali”2. Ma poi quando cerco di avere un approccio pragmatico al problema, scopro che “per accedere alle strutture di accoglienza è necessario interfacciarsi con il Centro Aiuto, Ufficio del Comune di …. che risponde al numero ….”, come  si legge su un sito internet di un comune italiano del Nord. E ancora “il contributo è di 1,50 euro per posto letto e di 1,50 euro per il pasto serale”. Nulla penserete voi, un’eredità per chi non ha un euro in tasca. E ancora, “…. è un dormitorio per uomini, dai 18 ai 65 anni, senza fissa dimora e in situazione di bisogno per l’accoglienza notturna. L’accesso al servizio è diretto, se ci sono posti disponibili”, con quel “se” che non è sinonimo di garanzia.

 

La Costituzione Italiana, che di anni ne ha 75, parla chiaro. Secondo l’articolo 3 “…È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”3

 

Ma di nuovo, non trovo nemmeno qui una soluzione, che eppure deve esserci e dovrebbe essere semplice e veloce, ad opera delle istituzioni politiche e non del medico di Pronto Soccorso.

 

Ci provano allora i servizi sociali ai quali facciamo riferimento in questo percorso umano di “problem solving” che non ha nulla a che vedere con competenze mediche ed expertise, ed è così che vengo a conoscenza dei tempi infiniti delle liste di attesa per un “ricovero sociale”.

 

“La realtà non è come ci appare” scrive Carlo Rovelli (2014, Raffaello Cortina Editore) nel tentativo di spiegare al lettore la teoria della relatività generale e della meccanica quantistica.

 

E la verità è che è stato più facile capire l’indeterminismo ontologico e l’estensione dell’aspetto relazionale delle leggi fisiche a spazio e tempo piuttosto che risolvere “il caso sociale del Pronto Soccorso”, che ancora oggi è senza soluzione come un “cold case” della politica italiana.

 

  1. https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/pmi/2023/01/05/-in-italia-100mila-senzatetto-bene-rilevazione-istat-_0bf6418a-c521-458d-b8be-4e6893aa39d7.html
  2. https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/0/814007/index.html?part=ddlpres_ddlpres1-articolato_articolato1-articolo_articolo15
  3. https://www.senato.it/sites/default/files/media-documents/ROSSA_Costituzione_testo%20vigente_agg_7_11_2022.pdf

 

Il meccanico del tempo. Favola autobiografica?

venerdì, febbraio 17th, 2023

di Mario Rugna

C’era una volta, in un tempo lontano, un ragazzo che aveva tanta voglia di lavorare e tanta  fretta d’imparare.

Invero non era lo studio che lo intimoriva, al contrario, era curioso, divorava libri e riviste fin da quando era bambino, si informava su tutto ed ascoltava avido i racconti degli anziani in piazza.

 

Quello che invece lo spaventava era il dover andare a bottega per imparare un mestiere.

Lui nel chiuso di quattro mura, con un “mastro” che lo comandava a bacchetta facendogli fare i lavori più umili per poi ripagarlo con due soldi, proprio non ci voleva stare.

 

Invero ci aveva provato a fare il garzone, ed anche più volte e con tanti maestri delle arti e dei mestieri più disparati.

Falegname, meccanico, idraulico, giardiniere, anche dall’amico di famiglia che voleva fargli fare il soldato. Per un po’ andava tutto bene, veniva apprezzato da padroni ed aiutanti dovunque andasse, ma dopo poco, niente da fare.

Sempre la stessa storia, si annoiava e scappava.

 

Una gran perdita di TEMPO insomma.

Era ora di rimboccarsi le maniche e darsi da fare.

Ma COSA fare!?

 

In effetti sapeva fare un po’ di tutto, ed anche abbastanza bene, ma onestamente niente così ad arte da aprire una bottega tutta sua.

E poi di stare rinchiuso in una “gabbia” tutto il giorno proprio non gli andava.

E se invece di aprire bottega pensò, “andassi per strada ed a casa della gente ad accomodare tutto e subito senza far aspettare ore, giorni o mesi per una riparazione?

IL TEMPO.

Per la roba da sistemare era importante, perché le cose rotte e non accomodate dopo un po’ sono da buttare via.

E più sono rotte più IL TEMPO è importante.

 

Allora comprò un carretto da uno straccivendolo e lo attrezzò con arnesi essenziali, di fortuna, ma ancora efficienti, ed iniziò a girare per le strade della città urlando:

Accomodo tutto a regola d’arte, a casa vostra subito e senza grossa spesa”.

 

Le persone incuriosite iniziarono a fermarlo per affidargli piccole riparazioni; chi per la porta che cigolava, chi per la finestra che aveva gli spifferi, chi per la seggiola con un “zampa” rotta.

E lui una soluzione la trovava per tutto dai piccoli problemi a quelli più seri.

Dalle cose quasi da buttare che miracolosamente riusciva a “salvare” a quelle che in fondo non avevano tanto bisogno di essere riparate. Certo le sue riparazioni d’EMERGENZA non erano di gran fattura ma funzionavano bene, a volte anche meglio di quelle degli artigiani più famosi.

E la gente era contenta, perché vedeva in lui cortesia, impegno e passione, anche quelle volte che alla fine doveva dire: mi spiace non c’è niente da fare.

 

SI, per quel mestiere ci era proprio portato.

 

E poi a quegli oggetti in fondo ci si era affezionato veramente, nuovi o vecchi che fossero, per tutti trovava un motivo d’interesse ed un moto di soddisfazione quando alla fine riusciva ad accomodarli.

Certo non era facile tenere il passo coi tempi perché più girava e più incontrava cose nuove da riparare ed il progresso poi portava sempre nuovi “aggeggi” da accomodare.

 

Ma lui non si scoraggiava e studiava, studiava e lavorava, tutti i giorni.

 

Aveva imparato a capire meglio la gente delle diverse specie, abbienti e meno abbienti, istruiti e non. Aveva imparato la cortesia e la pazienza oltre che la semplice perizia tecnica.

Perché quel mestiere così faticoso, che non conosceva né giorni né notti né feriali né festivi era diventato la sua passione.

 

Ed iniziò ad andare in giro per il mondo, ad insegnare ed a trasmettere il suo entusiasmo ai giovani che cominciavano oramai numerosi a fare il suo lavoro.

Amava spiegare ai suoi allievi che più che diventare bravi “tecnici” dovevano essere delle brave persone ed amare quello che facevano.

Ognuno di quegli oggetti che riparavano andava rispettato, non importa se nuovo o vecchio e consunto, perché aveva in sè una storia, a modo suo unica ed interessante ed era comunque speciale per coloro che lo amavano.

 

Lo chiamavano il MECCANICO DEL TEMPO. Qualcuno pensa perché era sempre disponibile a tutte le ora del giorno e della notte ma a lui piaceva pensare che fosse perché riusciva, col sorriso, a riportare indietro l’orologio della vita delle cose. 

 

Dedicata a tutti medici d’urgenza, di strada e non.

Anche a quelli che come me hanno cominciato un po’ per sbaglio ma col TEMPO hanno capito di aver fatto il MIGLIOR SBAGLIO della loro vita.





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