di Gian Alfonso Cibinel
Presidente nazionale Simeu
Negli ultimi mesi si è riaperta una polemica, in particolare nella regione Emilia-Romagna, sul ruolo degli infermieri nei servizi di emergenza territoriale, con esposti all’autorità giudiziaria e avvio di procedimenti disciplinari nei confronti di dirigenti medici da parte di alcuni Ordini dei Medici provinciali. Gli esposti riguardano l’attività di assistenza e cura svolta dagli infermieri del sistema 118, contestando ai responsabili medici “la redazione di procedure e istruzioni operative” che attribuirebbero al personale infermieristico “compiti di diagnosi, prescrizione e somministrazione di farmaci soggetti a controllo medico”.
Al di là delle polemiche l’obiettivo dei sistemi di emergenza territoriale è di assicurare alla popolazione la migliore risposta possibile nelle urgenze ed emergenze, impiegando tutte le risorse disponibili, professionali (medici e infermieri) e non professionali (tecnici, volontari del soccorso e semplici cittadini), nell’ambito di un’organizzazione coerente integrata con la rete dei PS e degli ospedali. In alcuni paesi, con sistemi di emergenza molto efficaci (come gli USA), sulle ambulanze non ci sono medici o infermieri; in Europa e nelle diverse regioni italiane la presenza dei professionisti sanitari sui mezzi di soccorso è variabile. Il problema non è chi sta sulle ambulanze, ma la competenza di chi ci sta, in rapporto all’organizzazione e alle procedure da attuare.
La sopravvivenza dei pazienti più critici è garantita dai tempi di risposta brevi e dall’applicazione di protocolli con efficacia dimostrata, che includono a volte l’uso di strumenti o di farmaci, anche da parte di infermieri o di laici. La diagnosi è e resta una competenza medica, ma il rilevamento della perdita o alterazione delle funzioni vitali e gli interventi salvavita conseguenti non possono essere esclusività dei medici, pena l’inefficacia dei sistemi di emergenza e la perdita di molte vite umane. E’ da rilevare che gli strumenti più decisivi nelle emergenze sono le mani (per il massaggio cardiaco, che chiunque può fare) e i defibrillatori (disponibili attualmente in molti luoghi pubblici); e tra i farmaci che possono salvare una vita sono compresi l’acqua, il sale, lo zucchero, l’ossigeno e l’aspirina. Dobbiamo garantire a tutti i cittadini l’accesso rapido alle cure, la competenza degli operatori e la validità dei protocolli. L’attenzione dei professionisti e degli enti di governo deve essere centrata sull’efficacia e la sicurezza degli interventi e sulla funzionalità e sostenibilità dei sistemi di emergenza, non sugli interessi di questa o quella categoria professionale o sindacale.
Nel 2014 l’Ordine dei Medici di Bologna aveva già avviato procedure disciplinari dei confronti dirigenti medici per “istigazione all’abuso di professione medica” in relazione ad attività svolta dagli infermieri nei Pronto Soccorso sulla base di protocolli predefiniti; le procedure si erano concluse con l’archiviazione. La SIMEU, società scientifica dei medici e degli infermieri impegnati nell’emergenza e nell’urgenza, reputa che la questione risollevata da alcuni sindacati e da alcuni Ordini dei Medici abbia una priorità molto bassa rispetto ai problemi reali del SSN; oggi come allora la SIMEU identifica nella competenza degli operatori, nella validità dei protocolli e nella funzionalità dell’organizzazione i tre elementi critici per l’efficacia del sistema di emergenza.
Un’ultima nota personale: se fossi vittima di uno shock anafilattico vorrei essere soccorso subito da chi passa, vorrei che l’ambulanza arrivasse il prima possibile e vorrei essere trattato con il farmaco giusto (adrenalina) al più presto, non importa se da un medico o da un infermiere.