IL BLOG DI SIMEU

 

Carenza di organico nei PS: una sindrome multisistemica.

ottobre 12th, 2024 | NO COMMENTS

di Paolo Groff

Il numero impressionante di borse di studio ministeriali non coperte per la specializzazione in Medicina d’Emergenza e Urgenza anche quest’anno lascia tutti gli operatori del settore in preda allo sgomento e all’amarezza. Si moltiplicano i contenuti, più o meno composti, di abbandono, rabbia e risentimento per un Servizio Sanitario Nazionale concretamente a rischio, amato e odiato al contempo, mai interamente capito per quello che vale, sostanzialmente sacrificato all’altare della “forza maggiore”.

Si ribadisce con forza che un settore dell’emergenza-urgenza umiliato ed indebolito compromette il funzionamento dell’intero sistema e che solo una politica fattiva di reclutamento e ritenzione degli operatori dell’emergenza potrebbe avere effetti frenanti in quella che sembra una inarrestabile parabola discendente. Tuttavia, solo un’analisi attenta della vastità del fenomeno a livello internazionale e della profondità e diversità delle sue radici potrebbe consentire l’efficacia di misure correttive giocoforza molteplici, dirette a più livelli, e tra loro anche differenti.

Il fatto è che in tutta Europa e in molte parti del mondo osserviamo un numero crescente di posti di formazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza lasciati vacanti con un crescente abbandono dei programmi di formazione; allo stesso modo un numero crescente di posti per infermieri e medici d’urgenza di ruolo rimangono scoperti nei servizi sanitari nazionali; mentre c’è un esodo sempre crescente di operatori dai dipartimenti di emergenza tramite pensionamento anticipato. È d’altro canto vero che questa situazione può avere un impatto significativo sulla fornitura attuale e futura di cure di alta qualità ai pazienti e che la perdita di personale qualificato non rappresenta solo una perdita economica, ma anche una perdita di competenza ed esperienza.

Concettualmente, se definiamo la pianificazione della forza lavoro medica come il collocamento del personale giusto, con le giuste competenze nel posto giusto al momento giusto per garantire che l’assistenza sanitaria venga erogata (1), possiamo identificare specifiche criticità alla sua realizzazione sia nella fase di input, o reclutamento, che nella fase di output o mantenimento in organico. Entrambe queste categorie di problemi dipendono da fattori storici, ambientali, psicologici e generazionali o sociologici.

Considerando innanzitutto gli aspetti storici, tra il 2007 e il 2009, una crisi economica senza precedenti colpì i paesi occidentali, e conseguentemente molti governi furono costretti ad attuare misure specifiche per ridurre la spesa. Una di queste fu la cosiddetta “razionalizzazione” dell’assistenza sanitaria. Come si può derivare dai dati ufficiali, prendendo ad esempio la situazione italiana (cfr elaborazione OASI su dati del Ministero della Salute), ciò portò a una riduzione degli ospedali di comunità e a una riduzione del numero globale di posti letto ospedalieri con una concentrazione delle cure in ospedali più grandi. Poiché queste azioni non furono accompagnate da un corrispondente aumento dell’assistenza sanitaria extraospedaliera si osservò un aumento degli utenti che si rivolgevano ai PS e conseguenti problemi di blocco dei ricoveri, da cui, a loro volta, sorsero problemi di sovraffollamento, boarding e peggioramento delle condizioni di lavoro per gli operatori.

Tornando ad una visione più generale, l’importanza dello stress lavoro-correlato è emersa a partire dai lavori dedicati al tema dieci anni fa, che hanno evidenziato come la presenza di un flusso incontrollato di pazienti e l’impossibilità di far coincidere domanda e offerta possano essere fattori induttori di stress fisico e psicologico nei medici d’urgenza con conseguente calo dell’autostima e del senso di realizzazione. Uno studio in particolare ha esplorato anche i meccanismi di reazione in un gruppo di dirigenti di struttura d’emergenza-urgenza nel Regno Unito, evidenziando come, in questa situazione, lo sforzo per ripristinare a tutti i costi un funzionamento efficace del DEA e per mantenere la propria leadership ottenendo un miglioramento per pazienti e colleghi possa diventare un fattore di stress di per sé se non accompagnato da riconoscimento e rinforzo da parte del gruppo (2).

La correlazione tra qualità della vita sul lavoro e problemi di fidelizzazione e permanenza del personale è emersa ben presto, in vari studi, tra i medici che riferivano di apprezzare la continua varietà del lavoro in pronto soccorso, le dinamiche del team ad esso intrinseche, la possibilità di insegnare ai giovani, ma di non sapere per quanto tempo sarebbero stati in grado di mantenere questo ritmo data l’impossibilità di fornire cure di qualità ai pazienti (3). È interessante notare che i medici intervistati proponevano di promuovere la frequenza dei laureandi al pronto soccorso per aumentare l’attrattività del settore e facilitare quindi il reclutamento e il ricambio del personale. L’interesse deriva dal fatto che probabilmente, all’epoca, non risultavano del tutto evidenti gli effetti di quello che oggi potremmo tranquillamente definire “un cambio generazionale”.

Le giovani generazioni di medici, infatti, presentano caratteristiche e atteggiamenti che le differenziano notevolmente dalle precedenti. Se le caratteristiche dei cosiddetti “boomer” si possono compendiare nel termine “sposati con il lavoro”, con una tendenza ad accettare lunghi ed “antisociali” turni lavorativi, e una sostanziale fedeltà (o caparbia persistenza?) al posto di lavoro, le giovani generazioni sembrano concepire un rapporto più equilibrato tra lavoro e vita privata, un lavoro che sia soprattutto appagante, efficace, e consenta loro di sperimentare realtà lavorative diverse (4). Queste caratteristiche, in un contesto caratterizzato da un sistema sanitario vincolato dall’austerità, carichi di lavoro pesanti, elevata intensità del lavoro stesso con difficoltà a garantire una formazione e un supporto clinico adeguati ai medici in formazione e dalle crescenti richieste di una popolazione di  utenti anziana e comorbida, hanno portato a una crisi nel reclutamento e nella fidelizzazione dei giovani medici che,  a sua volta, in un circolo vizioso, peggiora le condizioni di lavoro e la possibilità di fornire formazione e supporto clinico.

In una revisione integrata di 47 articoli che miravano a determinare i fattori causali che contribuiscono alla crisi di fidelizzazione dei giovani medici al mondo dell’emergenza-urgenza utilizzando evidenze raccolte direttamente da loro (5), emergono tre temi chiave che caratterizzano il sistema attuale.

La presenza di condizioni di lavoro insoddisfacenti, scarso supporto e qualità delle relazioni sul posto di lavoro e scarse opportunità di apprendimento e sviluppo, insieme a un tema generale di mancanza di flessibilità nell’organizzazione del lavoro stesso.

Questi fattori sembrano portare ai seguenti risultati: non sentirsi valorizzati; mancanza di autonomia; scarso equilibrio tra lavoro e vita privata e compromissione dell’assistenza ai pazienti.

Non può stupire quindi che un numero crescente di giovani medici scelga di non intraprendere questa strada o di deviare da essa.

E arriviamo così a parlare di sindrome da burnout.

Si tratta di una specifica condizione clinica lavoro-correlata che non va confusa con le situazioni di insoddisfazione per l’ambiente lavorativo di cui abbiamo parlato finora e che si riassume nella compresenza di tre fattori singolarmente misurabili in senso quantitativo: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotto senso di realizzazione personale. Deriva dall’esposizione prolungata a fattori stressanti che possono anche coincidere con fattori legati all’ambiente di lavoro già esposti. Tali fattori, tuttavia, si intersecano con il livello di ansia percepito dal paziente, eventuali contenuti depressivi, le modalità con cui l’individuo reagisce allo stress e alcune caratteristiche specifiche dell’individuo stesso.

Questa sindrome, di fatto, sembra essere più frequente negli operatori dell’emergenza-urgenza rispetto a quelli di altre specialità ed è stata segnalata in quest’ambito una prevalenza variabile tra il 25 e il 78% (6). In questo articolo ho evitato di parlare della pandemia da Covid-19 come causa diretta dei problemi di organico al pronto soccorso, poiché si ritiene comunemente che essa abbia avuto soprattutto il ruolo di esacerbare criticità preesistenti che già costituivano un problema globale. In ogni caso, un’indagine condotta da EUSEM (Società Europea di Medicina d’Urgenza) su 1925 operatori dell’emergenza-urgenza ha evidenziato una prevalenza di burnout tra essi che va dal 31% al 62%, a seconda che vengano utilizzati criteri diagnostici rigorosi o flessibili, nell’era post-pandemica, superiore a quella riportata nell’era precedente che era del 23-34% (7). Fatto interessante, l’analisi delle covariate evidenziava che il rischio di burnout era più alto nelle lavoratrici, negli infermieri, nei lavoratori impiegati esclusivamente nell’area del pronto soccorso (che non ruotano cioè sull’emergenza pre-ospedaliera e sulla Terapia semi-intensiva), in quelli con minore esperienza lavorativa e, per quanto riguarda l’argomento in questione, in coloro che lavorano in pronto soccorso sotto organico e in coloro che esprimono frequentemente l’intenzione di lasciare il pronto soccorso.

Quindi, il burnout, oltre ad avere conseguenze sulla sicurezza dell’organizzazione e del paziente, è causa di assenteismo e difficile ritenzione del personale.

È pertanto logico chiedersi se esistano interventi specifici in grado di ridurre lo stress occupazionale e/o il burnout in pronto soccorso. Una revisione di 14 articoli ha preso in considerazione l’efficacia in questo senso di interventi di tipo educativo (consapevolezza della propria salute e come preservarla, miglioramento della comunicazione in team ecc.), di interventi basati sulla mindfulness (intervento psicologico mirato ad aumentare la consapevolezza del presente e la capacità di accettazione) e di interventi diretti al miglioramento dell’organizzazione (8). Nonostante l’estrema eterogeneità dei lavori considerati, gli interventi di tipo educativo e quelli basati sulla mindfullness hanno dimostrato, in misura variabile, di essere efficaci nel ridurre lo stress e il burnout, mentre gli interventi diretti all’organizzazione hanno dato origine a risultati contrastanti. Ciò non dovrebbe sorprendere né scoraggiare gli sforzi in tal senso considerando che gli interventi organizzativi richiedono risorse aggiuntive per facilitare cambiamenti su larga scala e un periodo di valutazione più lungo e anche che esiste un grado diffuso di delusione tra gli operatori nei confronti della leadership, della gestione organizzativa, e una refrattarietà al cambiamento.

Ultimo ma non meno importante, c’è il problema emergente della violenza e della discriminazione di ogni genere sul posto di lavoro. Uno studio condotto in Svizzera ha mostrato come questi problemi colpiscano con frequenza non trascurabile le diverse categorie di lavoratori del settore sanitario.

Benchè i numeri assoluti possano sembrare irrisori rispetto a quanto usualmente riportato nel mondo dell’emergenza-urgenza, in particolare nel nostro paese e in tempi recenti (lo studio citato è stato condotto su una popolazione indifferenziata di operatori sanitari), ciò che è interessante è il fatto che la frequenza con cui questi eventi vengono segnalati è chiaramente correlata alla percezione di un cattivo clima lavorativo da un lato e dall’altro alla convinzione con cui gli operatori intendono cambiare o lasciare il proprio lavoro (9).

In conclusione, i problemi di personale nel PS sono il risultato di una sindrome multisistemica in cui giocano un ruolo fattori storici, ambientali, generazionali, psicologici e sociologici.

Pertanto, non è concepibile una soluzione univoca.

È necessario considerare interventi a livello di decisori politici, volti soprattutto a ridurre la pressione degli utenti sul PS (urgente promuovere un effettiva offerta di salute sul territorio); interventi a livello di organizzazione ospedaliera volti a promuovere il flusso dei pazienti e facilitare le dimissioni dal PS; interventi a livello di organizzazione del PS, volti a promuovere la flessibilità dei ruoli, il supporto clinico, l’adeguata rotazione dei turni; interventi a livello individuale volti al supporto educativo e psicologico alla costruzione del clima di squadra, ecc.(10).

Solo la piena comprensione della multidimensionalità del problema e della sua perversa natura di circolo vizioso in cui la carenza di personale e il cattivo clima di lavoro non possono che generare ulteriore carenza di personale e peggioramento del clima di lavoro potrà portare a soluzioni ragionate e plurali che non abbiano il carattere di aleatorietà, come aprire la finestra delle assunzioni o dei posti in specializzazione sul baratro di un vuoto assoluto.

  • Curson JA, Dell ME, Wilson RA et al. Who does workforce planning well? Team rapid review summary. International Journal Health Care Quality Assurance. 2010, 23 (10): 110-9
  • Fitzgerald K, Yates P, Benger J, Harris A. The psychological health and well-being of emergency medicine consultants in the UK. Emerg Med J. 2016; 0:1-6
  • James F, Gerrard F. Emergency medicine: what keeps me, what might lose me? A narrative study of consultant views in Wales. Emerg Med j. 2017; 0: 1-5
  • Humphries N, Crowe S, Brugha R. Failing to retain a new generation of doctors: qualitative insights from a high-income country. BMC Health Services Research. 2018; 18: 44
  • Lock FK, Carrieri D. Factors affecting the UK junior doctor workforce retention crisis: an integrative review. BMJ Open. 2022; 12: e059397. Doi: 10. 1136/bmjopen-2021-059397
  • Boutou A, Pitsiou G, Sourla E, Kioumis I. Burnout syndrome among emergency medicine physicians: an update of its prevalence and risk factors. Eur Rev Med Pharmacol Sci. 2019; 23: 9058-9065
  • Petrino R, Garcia-Castrillo Riesgo L, Basak Y. Burnout in emergency medicine professionals after 2 years of the Covid-19 pandemic: a threat to the healthcare system? Eur J Emerg Med. 2022; 29: 279-284
  • Xu HG, Kinoch K, Tuckett A, Eley R. Effectiveness of interventions to reduce emergency department staff occupational stress and/or burnout: a systematic review. JBI Evidence Synthesis. 2020. Doi: 10. 11124/JBISRIR-D-19-00252
  • Hammig O. Quitting one’s job or leaving one’s profession: unexplored consequences of workplace violence and discrimination against health professionals. BMC Health Services Research. 2023; 23: 1251
  • Wong ML, Chung AS. Strategies for provider well-being in the Emergency Department. Emerg Med Clin N Am. 2020. 38: 729-738

VIOLENZA OFF-LABEL

settembre 25th, 2024 | NO COMMENTS

di Gruppo Acqua _ SumSchool 2023

 

Venerdì sera, ore 22:15.

Suona il telefono della C.O. per un codice verde.

Partiamo e arriviamo al target.

Suono il campanello, ci apre un uomo, che scoprirò essere il cognato della persona A.

Trovo A su una sedia, con le braccia conserte, viso contratto. A sinistra invece la persona B, appoggiata alla porta della cucina, scuote la testa. A e B sono coniugi.

 

 

Chiedo cosa sia successo.

A racconta che B ha chiamato l’ambulanza senza motivo e che vorrebbe semplicemente che il coniuge si togliesse le ciabatte e si mettesse le scarpe così da poter andare a casa propria, in quanto la casa era quella del genitore di A.

 

 

Prendo da parte B che racconta di uno scontro acceso in casa con aggressione dal coniuge, non il primo episodio. A nega e accusa B di malattia mentale.

 

Chiedo come mai B non volesse andare a casa con il coniuge. B riferisce di non voler affrontare un viaggio in macchina di 50 km a quell’ora e di non volerlo fare con il coniuge.

 

 

La situazione è molto tesa, esco dalla casa e chiamo la Centrale Operativa per attivare i Carabinieri. Prendo da parte il cognato e gli chiedo di spiegarmi la situazione.

 

Mi riferisce che la situazione è diventata insostenibile, A vuole portare B via in una casa a 50 km di distanza per non lasciarlo nella stessa casa del genitore, in quanto sospetta una relazione extraconiugale tra i due.

 

Mi riferisce che i litigi sono costanti, che A e B sono sposati da molto. Mi racconta che ieri sua figlia ha assistito ad un litigio tra i due, nel quale A ha cercato di strangolare B con la cintura di sicurezza. Che per la rabbia ha sfondato il cancello di casa per portare via B da li.

Sta suggerendo a B di divorziare da tempo, ma B non lo fa perché ha paura della reazione del coniuge.

 

Rientro in casa, la situazione è invariata. A seduta che urla e B che non si sposta, ancora con le ciabatte.

 

Arrivano i Carabinieri, esco per spiegargli la situazione e chiarire i ruoli e riferire ciò che mi aveva raccontato il cognato.

 

I Carabinieri parlano con B e poi prendono A per raccogliere la sua versione dei fatti. Riesco finalmente a parlare con B senza che il coniuge ci interrompa.

 

Chiedo cosa vorrebbe fare e mi dice che vorrebbe semplicemente andare a dormire, chiudere questa giornata. Mi mostra il graffio sul braccio, dovuto all’aggressione di stasera.

 

Mi viene in mente che possiamo inventarci una scusa per giustificare un trasporto in ospedale. Diremo che c’è la necessità di ripetere la vaccinazione antitetanica vista la mancata copertura e la ferita sul braccio.

B mi guarda finalmente con uno sguardo leggermente più sereno e alleggerito.

 

Faccio salire B in ambulanza e nonostante l’opposizione di A partiamo per il Pronto Soccorso. Prendiamo un ingresso secondario, ma A ci ha seguito in macchina e ci trova ugualmente. Impediamo l’entrata e indirizziamo A verso l’ingresso principale, da cui comunque non potrà entrare.

 

Entro in Pronto Soccorso, faccio accomodare B su un letto, dico che potrà rimanere con noi per la notte e per tutto il tempo necessario a garantirgli un rientro protetto a casa.

 

A sta già ripetutamente suonando al triage, chiedendo di entrare.

Mi metto al computer per inserire il paziente, trovo l’anagrafica.

Scelgo il codice 2 di triage per violenza altrui.

 

A si chiama Francesca, donna di 50 anni. B invece si chiama Roberto, uomo di 55 anni.

 

Francesca sta mostrando un atteggiamento violento, perpetrato da molto tempo e l’escalation della violenza è evidente. La causa degli scontri è la gelosia. Una situazione in cui solitamente i ruoli sono invertiti. Il protocollo della gestione delle vittime di violenza di genere parla di donne, bambini o anziani fragili.

 

Mi sono sentita in una situazione di violenza off-label.

 

Come sanitari siamo abituati a non applicare discriminazioni di genere, età, provenienza.

Dobbiamo fornire l’assistenza e le cure in modo indiscriminato.

 

I dati statistici sono chiari, la violenza sulle donne in quanto tali è frequente, pericolosa per le vittime, spesso sottovalutata e dobbiamo aumentare la nostra sensibilità al problema per migliorare la nostra capacità di riconoscimento delle situazioni suggestive.

 

Ma la violenza non conosce limiti e può avvenire in coppie omosessuali o eterosessuali, indifferentemente verso uomini o donne.

 

 

 

GRUPPO ACQUA SUMMER SCHOOL SIMEU 2023

Giusy Falsetti, Nicole Fari, Federica Ferla, Brenda Gagliardi, Marta Manuali, Valentina Marega, Valeria Carrieri, Giulia Cester, Valentina Ciarrocchi, Mario Corciulo, Guendalina De Nadai, Luca Di Franco, Roberto Facchino, Ilaria Florica, Valentina Gaifas, Laura Giordano, Daria Giudici, Maria Vittoria Govetosa.

 

World Sepsis Day, 13 settembre 2024

settembre 12th, 2024 | NO COMMENTS

di Fabio Causin _ Direttore Faculty Sepsi SIMEU

 

Da diversi anni SIMEU, in occasione del World Sepsis Day, introdotto dalla Global Sepsis Alliance nel 2012, organizza iniziative di informazione. rivolte ai cittadini e di sensibilizzazione sul tema rivolte al personale sanitario.

 

La sepsi è una patologia tempo-dipendente di difficile diagnosi e con incidenza in crescente aumento.

Definita come disfunzione d’organo potenzialmente letale causata da una risposta sregolata dell’ospite a un’infezione, è una condizione clinica acuta, a rapida evolutività, gravata da un’elevata mortalità se non riconosciuta e trattata adeguatamente.

E’ un’emergenza sanitaria che affligge globalmente sia i Paesi industrializzati che i Paesi in via di sviluppo, con una incidenza compresa tra i 47 e i 50 milioni di nuovi pazienti/anno; nel mondo una persona muore di sepsi ogni 2.8 secondi.

Il tasso di mortalità legato alla sepsi oscilla, a seconda delle aree interessate, tra il 15 e il 50% ed è destinata ad aumentare. Molti pazienti sopravvissuti alla sepsi sono inoltre destinati a subirne conseguenze invalidanti per il resto della loro vita.

 

Nelle precedenti edizioni del Sepsis Day abbiamo focalizzato il nostro messaggio sull’ importanza del riconoscimento precoce, quest’anno abbiamo aggiunto una sostanziale novità.

 

Negli ultimi periodi si è infatti raggiunta la consapevolezza della necessità di tenere conto del sesso e del genere nella pratica clinica con particolare riguardo alle patologie tempo-dipendenti e la sepsi rappresenta indubbiamente uno scenario sfidante.

Nella popolazione femminile si riscontrano infatti risposte immunitarie innate, umorali e cellulari allo stimolo infettivo maggiori rispetto alla popolazione maschile.

 

Questi dati costituiscono la base di una ipotesi di lavoro che intendiamo, come società scientifica e come Faculty, verificare con una specifica Survey titolata “Diversi nella Sepsi” (anche come proseguimento del lavoro di analisi della precedente “Diversi nel cuore”) da proporre  ai Pronto Soccorso del nostro Paese con lo scopo di valutare la possibilità di riconoscimento precoce del paziente potenzialmente settico.

 

L’obiettivo del progetto “Diversi nella Sepsi” è analizzare le caratteristiche di presentazione in Pronto Soccorso dei pazienti andando a ricercare possibili differenze in rapporto al sesso maschile o femminile. In particolare, si vorrebbe verificare se negli scores precoci (qSOFA, NEWS 2) e nella concentrazione dei lattati all’esordio vi possa essere un’accuratezza predittiva diversa nei due sessi.

 

La Survey riguarda i casi sospetti che si sono presentati in Pronto Soccorso durante la settimana dal 9 al 15 settembre 2024 con giorno indice il 13 settembre 2024, giornata mondiale di sensibilizzazione contro la Sepsi. Saranno considerati arruolabili tutti i pazienti di età >18 aa in assenza di gravidanza per la popolazione femminile. I criteri di inclusione/esclusione nell’indagine saranno valutati dal medico di emergenza urgenza che prenderà in carico il paziente.

 

La raccolta e l’analisi dei dati è una iniziativa SIMEU e SIMIT con il patrocinio di Fondazione Onda ETS. I dati saranno raccolti in modalità anonima e analizzati attraverso la piattaforma messa a disposizione da SIMEU.

 

Il progetto coinvolge la dott.ssa Elisa Pontoni, Coordinatrice del gruppo societario della Medicina delle Differenze nelle Patologie Tempo dipendenti.

 

#TOGETHERagainstSEPSIS

L’ottimismo della volontà, il pessimismo della ragione.

agosto 30th, 2024 | NO COMMENTS

di Antonella Cocorocchio

 

Essere un infermiere di emergenza urgenza: non ho ricordo del momento in cui ho deciso di intraprendere questa strada.

 

Ho scelto questa professione oppure sono stata scelta?

 

Dopo tanti anni, circa 27, credo di aver deciso di fare l’infermiere di emergenza “passivamente”: mi sono lasciata affascinare da una realtà, quella del Pronto Soccorso, che non conoscevo affatto.

 

Di fatto, sono sempre stata una persona curiosa, un’entusiasta.

Ricordo che avevo tanta paura, l’ansia da prestazione di non essere in grado, di non essere all’altezza di quel ruolo. Ogni giorno imparavo e acquisivo una nuova skills.

 

Qualcuno mi ha insegnato che il Pronto Soccorso rappresenta un osservatorio privilegiato sull’umanità. Non c’è cosa più vera di questa affermazione: i nostri occhi vedono, le nostre orecchie sentono, il nostro naso percepisce, le nostre mani toccano, il nostro senso del gusto assapora storie di vita di qualsiasi spaccato sociale.

 

Noi, quelli della Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, abbiamo la fortuna (o la sfortuna?) di avvicinarci a qualsiasi stato di malattia.

 

C’è stato un momento in cui ho pensato di non pronunciare più la parola “io”.

In Pronto Soccorso non si è mai da soli, sia nei momenti di gioia, sia nei momenti di sconfitta.

 

La condivisione del lavoro, dello stato d’animo, dei progetti è fondamentale nel nostro lavoro. Noi del Pronto Soccorso siamo una vera squadra. Arriva la persona in arresto cardiocircolatorio che riprende coscienza, la persona con l’ictus che riarticola la parola, il politraumatizzato che si risveglia, la persona vittima di violenza che si lascia accompagnare in un percorso di cambiamento:

quanti esempi si potrebbero fare per descrivere l’emozione e la soddisfazione che si prova alcuni momenti!

 

In altre occasioni è lo sconforto a prendere il sopravvento: le aggressioni verbali e fisiche, gli insulti gratuiti, la carenza di risorse professionali, la mancanza di fiducia da parte del cittadino!

 

Di fatto, il vero valore aggiunto del Servizio Sanitario Nazionale è il Pronto Soccorso: noi ci siamo sempre, siamo davvero il servizio pubblico. Ci siamo per scelta, per senso di dovere e di responsabilità.

 

Oggi ho capito di aver acquisito un’altra consapevolezza:

possedere la volontà che, pur davanti alle difficoltà che si presentano, quando si tratta di analizzare i problemi e trovare una soluzione razionale, non dobbiamo mai cedere il passo alla rassegnazione o smettere di lottare condannandoci al pessimismo.

 

CARTONE CANTA

agosto 4th, 2024 | NO COMMENTS

di Giovanni Noto

Presidente Regionale SIMEU Sicilia

 

Tra Primari che fanno notti, Dirigenti che non vanno in ferie rinunciando anche ai riposi, tra operatori dell’emergenza-urgenza stremati da turni sempre più pesanti ed utenti che, affollando le nostre sale d’attesa, richiedono continuamente aiuto, a fare notizia è un tutore di cartone confezionato da personale che pur di fornire un servizio improvvisa una medicazione che farebbe (fa!) scandalo se non fosse che è lo specchio di una sanità siciliana (italiana?) che fa acqua da tutte le parti; e con l’acqua il cartone si è sciolto.

 

Con chi prendersela? Con chi è in prima linea.

Con chi fa di tutto pur di non chiudere.

Con chi difende il Servizio Sanitario Nazionale rinunciando a tanto pur di garantire ciò che altri dovrebbero.

 

E così nei TG, subito dopo le notizie delle varie guerre e vittorie alle Olimpiadi passa la notizia di una “gamba ingessata col cartone”.

E dei colpevoli che saranno rimossi.

 

Bene. Va tutto bene. E ce la faremo.

Così come ce l’ha fatta l’utente che reinventandosi reporter e denunziando la vicenda sui social ha ottenuto l’obiettivo di alzare il (giusto) polverone su una notizia che ormai è una “routinaria emergenza”:

la Sanità Pubblica sta morendo.

E non certo per colpa di chi confeziona stecche di cartone. Anzi.

È proprio grazie a loro che il giornalista facebookiano (così come ogni utente che accede nei nostri Dipartimenti d’Emergenza) ha comunque potuto avere un’assistenza alla problematica del suo congiunto.

 

E ce l’ha fatta anche chi, invece di chiedersi quali siano le reali necessità del personale che tra mille difficoltà opera nei Pronto Soccorso della Sicilia, ha risolto un problema: ha attivato la caccia alle lepri!

Ma succede che invece di sparare alla preda si colpisca il cane.

 

Noi cani siamo stanchi. Di fare da guardia ad un sistema sanitario in caduta libera. Di abbaiare richieste d’aiuto che non vengono ascoltate dai nostri rappresentanti istituzionali. E di drizzare le orecchie alle finte dichiarazioni di solidarietà dei politici di turno o peggio al j’accuse bipartisan che in vicende come questa è solidale nell’indicarci come i colpevoli.

 

Alla responsabile del PS di Patti, al Coordinatore, a tutto il Personale (Medici, Infermieri, OSS e Ausiliari) il sostegno della SIMEU Sicilia per aver dato risposta alle domande di aiuto degli utenti; ed un ringraziamento altresì a tutti i professionisti dell’Emergenza-Urgenza che nella nostra isola tra mille fatiche, rinunce personali e facendo da parafulmine a tutte quelle “scariche” di disapprovazione che da più parti stanno piovendo sulla nostra categoria, manterranno comunque standard adeguati alle richieste di salute della popolazione.

 

Chi deve pagare veramente? Noi un’idea ce l’abbiamo.

Ma vi spoileriamo il finale: tra qualche anno pagheremo tutti.

E la pagheremo cara.

Ben più cara della prestazione privata offerta successivamente all’utente.

E quel cartone ce lo sogneremo.

 

NOTA DI SIMEU NAZIONALE

 

Non vogliamo entrare nello specifico di quanto accaduto a Patti, perché non conosciamo i dettagli. E comunque non ci siamo mai sottratti alle nostre responsabilità.

 

Ma alcune considerazioni generali si impongono:

 

– È singolare che si possa “rimuovere dall’incarico” una Collega che quell’incarico non l’ha mai ricevuto: le è stata affidata di fatto la responsabilità di un Pronto Soccorso senza alcun riconoscimento o valorizzazione, lasciandola comunque nei turni diurni e notturni e facendone il parafulmine per gli eventuali problemi.

 

Situazione che molti, in Pronto Soccorso, conoscono fin troppo bene.

 

– È altrettanto singolare che il Presidente della Regione telefoni al paziente per scusarsi dell’accaduto: noi passiamo il tempo a scusarci con tutti quelli che non fanno notizia ma che subiscono una situazione che denunciamo da anni.

 

– È ancora più singolare che la politica, punta nel vivo della propria visibilità mediatica, annunci ispezioni a tappeto. Non ci spaventano le ispezioni: anzi, le aspettiamo da tempo, da quando abbiamo iniziato a farci sentire.

 

Ci piacerebbe sapere se nella commissione di esperti annunciata dalla Regione ci saremo anche noi: c’è qualcuno più esperto di noi?

 

Lo ripetiamo: siamo la faccia di un sistema che non funziona.

 

Ed è la faccia che prende gli schiaffi. Spesso dagli utenti.

Altre volte, come oggi, dalle Istituzioni.

*STORIA GRUPPO ARIA*

luglio 30th, 2024 | NO COMMENTS

Qualcuno dal suo PS vede il mare, il sole che colpisce gli occhi e che scalda il cuore; qualcuno una grande città, tante persone, la nebbia. Qualcuno le montagne, e sogna la pace.

 

Un pronto soccorso qualunque.

Un giorno di pioggia.

Il pensiero che va alla fine del turno.

Un codice rosa.

 

 

R.

Fammi scrivere bene, non devo dimenticarmi nemmeno un dettaglio. C’è voluto un po’ per tirarle fuori dai denti quella violenza. “avevo paura che avrebbe continuato ad ammazzarmi di botte se non ci fossi stata, quindi in realtà ero consenziente”. Ho accompagnato la paziente in tutto il suo percorso, in ginecologia, le ho scattato 40 foto mentre era nuda, inerme, davanti ai sanitari. Non volevo essere lì, era una violenza nella violenza.

 

F.

La tentazione di ignorare, di non scrivere, far finta di niente e minimizzare è tanta. Ma poi ti rendi conto che ti ha reso custode della sua sofferenza. È cosa da MEU anche questa purtroppo, e aggiungerei anche … per fortuna.

 

A.

Quella sera ho dovuto mettere insieme tutti i pezzi di quel triage, la ricorderò per tutta la vita. Era una turista accompagnata dalla polizia. La mattina successiva ho letto che il suo demone era stato fermato. Ricordo di aver pianto.

 

R.

Speriamo che non ci sia un trauma così la posso subito mandare al pronto soccorso ginecologico. In fondo dove posso metterla qui? In mezzo agli altri codici rossi? Tra il vecchietto con la niv che suona e il tossico che urla?

 

C.

Di fronte a quella donna provai un senso di tristezza profonda, di impotenza. Mi sentivo così piccola di fronte a tutto quello. Avevo nel cuore la consapevolezza che nonostante l’ascolto, non sarei mai stata in grado di lenire la sua sofferenza.

 

M.

Minchia che palle, ma questa perché ha continuato a stare con questo tipo nonostante tutto? Io non sono maschilista però…

 

F.

Alcune strutture ospedaliere potrebbero non avere risorse o personale adeguatamente addestrato per affrontare un caso di violenza di genere, come la mia.

Non la potevano portare da un’altra parte?

 

S.

Ok, adesso devo dimenticare il caos che ho intorno, del paziente che urla perché in attesa da 4h, della paziente sulla spinale che si lamenta per il dolore, del codice bianco che ripete che siamo incompetenti e non funziona la sanità.

Ora devo pensare a lei.

 

M.

Meno male che non è capitato a me…poraccia

 

A.

Pensava di essere al sicuro e invece è stata tradita proprio da chi le sembrava essere più vicino.

 

L.

Decide di affidarsi a noi per aprire gli occhi. Lei è stata fortunata. Non si sa come, dove e perché ma l’ha fatto. Da sola, voleva la libertà e noi abbiamo esaudito il suo desiderio. Almeno ci abbiamo provato.

 

Smettiamo di pensare, smettiamo di parlare, ora tocca a LEI…in fondo l’unico punto di vista che conta è il suo.

 

 

*STORIA GRUPPO ARIA* >>> definita di “coralità unica”

di Debora Martinelli, Roberta Molle, Daniela Mutti, Rossella Nocerino, Angelo Picciano, Serena Rispoli, Chiara Maffei, Arianna Magistro, Andrei Magri Piccinini, Francesco Notari, Francesca Ortu, Lucrezia Pagliuca, Roberto Palmisano, Francesca Palumbo, Matteo Pani, Stefano Pasqualin, Alessandra Pastorelli, Martina Polimeno

 

Specialisti e specialità: gli infermieri della MEU

luglio 15th, 2024 | NO COMMENTS

di Alessio Luzi

Ci richiedono sempre più competenze per poter fare ciò che sappiamo fare meglio: il nostro lavoro.

 

Ci ritroviamo oggi, tra obblighi di legge o direttive aziendali, a dover formare il nostro profilo e ampliare i nostri curricula in modo impeccabile, quasi avessimo una data di scadenza sulle divise.

A volte è cosi, tante altre non lo è.

 

Fare l’infermiere della MEU sembra essere davvero divertente:

quando racconti agli altri che lavori al DEA, che provieni da oltre 15 anni di emergenza territoriale, che sei stato in terapia intensiva, ti vedono quasi come un super eroe. Ti chiedono: “Oh ma chissà quante ne hai viste! Raccontaci qualcosa, dai!”.

 

Nessuno, però, ti chiede mai: “Come ci si arriva? Come si diventa infermiere di Area critica?”  

E di conseguenza nessuno sa quanto si sacrifica e quanto si studia per arrivare fin dove sei ora.

Che poi magari per molti non è nemmeno il luogo ideale il pronto soccorso, magari per altri è la storia della propria vita.

Ci sono colleghi che al di fuori della sala rossa non respirano, si spengono,“muoiono”.

 

Ma per stare li come avrà fatto? Partiamo dal presupposto che oggi c’è la malsana abitudine, da parte di tutte le aziende, di prendere personale con zero esperienza (e non parlo solo di esperienza in Area critica ma proprio di neo laureati) e muoverli come pedine all’interno delle sale dei PS, dei DEA, sulle ambulanze.

 

Nel lontano 2017 è stata fatta una proposta di legge che mai è stata varata che prevedeva l’obbligo di avere quantomeno la specializzazione in area critica post formazione di base per poter lavorare nella MEU.

 

Ad oggi, difatti, non è cosi.

 

Parliamo poi degli obblighi (personali) di formarsi per essere sempre pronti a qualsiasi emergenza: BLSD, ALS, PBLSD, PALS, ATLS, PATLS, ECG, PICC, eFast … A questi aggiungiamo le letture, continue, sulla farmacologia, le nuove linee guida, i protocolli interni, gli aggiornamenti su presidi e procedure.

 

E ancora: gli ECM, obbligatori.

E poi i farmaci generici, i LASA, che ci portano sempre in confusione e dobbiamo rimanere lucidi, perché in urgenza quel farmaco può fare la differenza e non puoi permetterti di sbagliare.

Quindi leggi i bugiardini, installi applicazioni per conoscere l’emivita, la farmacodinamica, le interazioni. Compri manuali sulla ventilazione non invasiva e i nuovi ventilatori. Imposti la PEEP, i flussi, il tipo di ventilazione.

Nel mentre è arrivato un altro codice rosso e tu, che hai due mani, ti sdoppi e improvvisamente ti ritrovi con 4 braccia, due cervelli, 4 gambe. Ma un unico cuore.

 

A questo aggiungiamo il fatto che, oggi, non si è più solo esecutori ma veri e propri professionisti autonomi. Ne consegue che la regola: “ma a me l’ha detto il medico!” non va più bene.

Quindi se somministro un farmaco lesivo per il paziente (sbagliando diluizione, tempo, modo) ne pago le conseguenze in modo diretto. Ed ecco che qui subentra, per obblighi di legge, l’assicurazione professionale da stipulare di anno in anno.

 

“Bello fare lo specialista.”

 

E fin qui tutto bene, direte voi. Ma quando dici agli amici che lavori in pronto soccorso e loro si immaginano che la laurea dia diritto a tale posto non credono minimamente che  quel posto te lo sia sudato e guadagnato e che ogni giorno combatti contro il mondo intero per fare la differenza.

E già, il mondo intero.

 

Lo stesso mondo che ci gridava “eroi” ora ci urla “bestie!” quando vogliono essere gentili.

Siamo continuamente sotto attacco, sotto scacco, sotto pressione.

E nonostante questo non smettiamo mai di mostrare un sorriso e professionalità.

 

Siamo specializzati in questo. Siamo specializzati in Sanità pubblica, in pediatria, in geriatria, in psichiatria e in area critica.

Siamo liberi professionisti, stipendiati a contratto o lavoriamo in cooperative.

 

Ma queste cose non le raccontiamo in giro. Nemmeno quando stiamo massaggiando un paziente. Non diciamo ai parenti: “Ho due lauree, due master, una magistrale.” Tanto, per loro, saremo sempre e solo “giovanotto o signorina”, quelli a cui dare del “TU”.

 

E nonostante le parolacce che ci tirate dietro, le aggressioni che continuamente subiamo, rimaniamo nel nostro e mostriamo con orgoglio la divisa (a volte lacerata, consumata, sgualcita, scolorita) e ciò che sappiamo fare meglio: il nostro lavoro.

 

Quindi, cari amici, quello che sapete di noi, quello che decidiamo di raccontarvi, è solo una parte di quello che realmente succede.

 

Non soffermatevi solo sul “ wow, chissà quanta adrenalina in pronto soccorso!” ma anche sulla quantità di sacrifici che facciamo ogni giorno per poter stare dove stiamo: al nostro posto sudato e guadagnato.

Medicina delle Differenze in Dipartimento di Emergenza: una gentile innovazione

giugno 23rd, 2024 | NO COMMENTS

 

“ll futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”. Eleanor Roosevelt

 

di Elisa Pontoni

 

Per Medicina di Genere, oggi Medicina delle Differenze in una definizione piu’ inclusiva, si intende lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e malattia della persona.

 

La richiesta di una maggiore attenzione al sesso e al genere sta diventando centrale nella discussione più ampia sulle tematiche di equità nel diritto alla salute: una crescente quantità di dati epidemiologici, clinici e sperimentali suggeriscono notevoli differenze nell’insorgenza, progressione e manifestazioni delle malattie comuni a uomini e donne, sia in acuto che in cronico.

 

In Italia, come in molti altri paesi occidentali, è evidente il “paradosso donna”: nonostante le donne vivano più a lungo degli uomini, l’aspettativa di vita sana risulta essere equivalente tra i due sessi; uomini e donne usano diversamente i farmaci e altri interventi sanitari, per motivazioni biologiche (si ammalano diversamente) e socioculturali (hanno diversa attitudine alla salute e alle cure).

 

Il nostro paese, con il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere (in attuazione dell’articolo 3, comma 1, Legge 3/2018) ) si è dotato della prima legge in Europa sulla Medicina di Genere (legge Lorenzin); presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è stato inoltre istituito un Osservatorio volto al controllo dell’applicazione del Piano stesso nei  suoi quattro elementi fondanti: percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione; ricerca e innovazione; formazione e aggiornamento professionale; comunicazione e informazione.

 

Il fine è l’equità, i mezzi sono la ricerca, la promozione della conoscenza e l’attuazione di soluzioni pratiche e concrete; in quest’ottica, nelle nostra società scientifica nel dicembre scorso è stato istituito un gruppo di studio per la Medicina di genere nelle patologie tempo dipendenti, che ho il piacere di coordinare e del quale fanno parte, oltre al presidente nazionale Fabio De Iaco, Claudia Sara Cimmino, Pierangela Con, Anna Maria Ferrari, Catia Morellato, Daniela Pierluigi, Maria Pia Ruggieri, Maria Luisa Ralli, Sonia Zoanetti, Irene Cara, Andrea Fabbri, Paolo Pinna Parpaglia, Antonio Voza, Cristiano Perani.

 

La prima patologia tempo-dipendente con la quale ci siamo confrontati è la  sindrome coronarica acuta (ACS): le malattie cardiovascolari (CV) rappresentano la principale causa di mortalità nelle donne, che hanno ancora oggi una prognosi peggiore rispetto alla popolazione maschile.

 

Le donne tuttavia non ne sono consapevoli, talora tale consapevolezza è carente anche tra i professionisti del mondo sanitario; soprattutto nelle aree socio-economiche più svantaggiate, la popolazione femminile è spesso soggetta a discriminazione nell’accesso alle cure.

 

Esistono delle differenze di genere nei fattori di rischio cardiovascolari, con la recente definizione di fattori di rischio ginecardiologici, tra i quali annoveriamo l’ipertensione e il diabete gestazionale, la policistosi ovarica, la menopausa precoce; esistono delle differenze nella sintomatologia d’esordio della sindrome coronarica acuta, essendo squisitamente androcentrica la definizione di dolore toracico acuto (DTA) quale sintomatologia oppressiva retrosternale irradiata all’arto superiore sinistro.

 

Per migliorare la diagnosi differenziale del DTA in un’ottica di genere, l’8 marzo scorso, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, abbiamo promosso l’iniziativa “Diverse nel cuore”: nei Pronto Soccorso aderenti – che ringraziamo per lo sforzo compiuto nella partecipazione attiva – abbiamo valutato nel giorno indice dedicato alla popolazione femminile l’utilità del calcolo del Chest Pain Score, applicandolo alla popolazione non selezionata afferente al  Dipartimento di Emergenza e ricercando la diversa espressione di genere nella rappresentazione del sintomo. I dati raccolti, presentati nel corso dell’ultimo Convegno Nazionale svoltosi a Genova dal 30 maggio al 1 giugno scorso, confermano come anche nel mondo reale vi sia una diversa rappresentazione sintomatologica nei due sessi: nella popolazione femminile di età superiore ai 50 anni, il dolore retro sternale epigastrico non irradiato è risultata la descrizione sintomatologica maggiormente rappresentata.

 

La survey “Diverse nel cuore” si è svolta con il patrocinio di Fondazione Onda, Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna, nello spirito fondante di cooperazione proprio della società.

La SIMEU è stata inoltre invitata a partecipare, sotto l’egida dell’Istituto Superiore di Sanità, alla stesura di un Documento Italiano di Consenso Intersocietario sulla prevenzione e gestione delle malattie cardiovascolari nelle donne, documento che vede coinvolte le principali società scientifiche non solo cardiologiche interessate alla definizione del  percorso di prevenzione e cura delle malattie cardiovascolari femminili.

Alla nostra società è stato affidato il coordinamento della sezione dedicata alla cardiopatia ischemica acuta.

 

Studiare e riconoscere le differenze tra i sessi e i generi è solo il primo passo per garantire equità e appropriatezza della cura: il nostro gruppo di lavoro intende impegnarsi fattivamente in questa direzione.

 

Il tema della salute delle donne è cruciale nella discussione più generale sulla necessità di raggiungere una parità di genere. L’auspicio è che si faccia sempre di più per promuovere una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, sviluppando soluzioni di conciliazione vita-lavoro anche e soprattutto nel mondo dell’emergenza, nostro setting operativo.

 

La promozione di una gentile leadership al femminile e la crescente attenzione dedicata alle misure volte a contrastare la violenza contro le donne sono ulteriori elementi indispensabili per poter finalmente parlare di equità.

UNA FARMACIA NON È UN PRONTO SOCCORSO

giugno 12th, 2024 | NO COMMENTS

di Fabio De Iaco

Ennesimo caso di cattiva gestione e peggiore comunicazione di un evento potenzialmente letale!

 

Un signore di Alessandria di quasi cinquant’anni, di fronte alla necessità di un elettrocardiogramma urgente prescritto dal medico curante, viene inviato “per fare prima” nella farmacia più vicina.

 

Esegue l’esame, si avvia verso casa, e dopo 15 minuti il suo ECG viene “prontamente” refertato a distanza da Ancona, rivelando l’infarto in atto.

 

A quel punto, rintracciato telefonicamente dal farmacista, viene “esortato” a recarsi in Pronto Soccorso, dove finalmente riceve le cure del caso.

 

Tutto questo comunicato sulla stampa come “Storia a lieto fine: salvato da un elettrocardiogramma in farmacia”.

E non è l’unico caso…

 

Evidentemente, dopo tanti anni trascorsi a spiegare il significato della “catena del soccorso” e l’importanza dell’allarme precoce per gli eventi cardiovascolari, la rete dell’Emergenza Urgenza, secondo questa narrazione, può essere validamente sostituita dall’elettrocardiogramma eseguito in farmacia.

 

Non è neppure il caso di elencare gli errori enormi che si sono succeduti in questa storia, il cui lieto fine è reso possibile solo dalla gran fortuna del paziente, che ha rischiato un destino ben diverso.

Ovviamente siamo felici per lui.

 

Ma niente cancella l’ignoranza delle regole elementari del soccorso, la superficialità di una gestione potenzialmente letale, l’irresponsabilità e la pericolosità di un certo tipo di comunicazione,

 

In Italia esiste una Rete dell’Emergenza Urgenza sempre operativa che, dal primo allarme fino all’ospedale e oltre, ha come obiettivo la gestione di quelle che si chiamano “patologie tempo-dipendenti”.

Come quella del fortunato signore di Alessandria.

 

In un Servizio Sanitario Nazionale in chiara difficoltà l’apporto di tutti è benvenuto.

Ma snaturare la funzione della Medicina di Emergenza Urgenza, inventare nuovi percorsi antiscientifici e pericolosi, consentire comunicazioni fuorvianti, non fa bene a nessuno.

 

Soprattutto fa male ai cittadini.

 

 

 

Alcuni articoli che riportano la notizia di oggi e altre simili

https://radiogold.it/news-alessandria/378541-vita-salvata-valenza-farmacia-arrigoni/

https://www.federfarma.it/Edicola/Filodiretto/VediNotizia.aspx?id=25626

https://www.farmacista33.it/benessere/28336/telemedicina-ecg-in-farmacia-salva-paziente-accertato-attacco-cardiaco-in-corso.html

 

Le parole, qualche volta, ci salvano

maggio 15th, 2024 | NO COMMENTS

di Anna Arnone, Infermiera

 

Il verbo rivela moltissimo della nostra psiche e di come intendiamo i rapporti con gli altri: la scelta apparentemente casuale o automatica di come vogliamo intenderci diventa un’occasione di riflessione per scoprirci da nuove angolazioni.

 

Utilizzare determinate parole non è sempre sbagliato perché la lingua cambia in base al nostro uditorio, si gonfia, si modella e si assottiglia a seconda di chi ci ascolta e delle nostre intenzioni comunicative.

 

Talvolta, l’errore avvicina, fa sentire meno soli e rende simili.

Tuttavia, in una relazione di cura questo non deve accadere, per quanto si abbia fretta di rispondere prontamente all’urgenza della cura.

Ecco, vorrei che facessi altrettanto anche tu, vorrei che ti servissi delle parole con occhio lucido per rispondere sì alle tue necessità espressive, ma per seguire un fine comune, realizzare il bisogno dell’altro.

 

Ciò che regola ogni nostro discorso è la consapevolezza, ovvero la capacità di modularlo in base al contesto. Ogni nuovo inizio può dunque avvenire solo dopo un’analisi accurata, dopo un’attenta riflessione dei punti di forza e di debolezza delle parole adoperate, con un’osservazione sfaccettata degli errori più comuni.

Solo così potremo padroneggiare le parole e renderle pronte all’uso.

 

Dal mio punto di vista, il grande regalo che possiamo fare alla relazione di cura risiede in un’aggiunta, non in una sottrazione. In un tempo come il nostro, caratterizzato da grande velocità, distrazioni e prestazioni performanti, le parole rischiano di perdere la loro linfa, il suono melodioso del loro incanto.

Non deve esserci impoverimento: le parole meritano senza dubbio un altro trattamento, come i nostri pazienti.

 

Gli errori più comuni che commettiamo oggi rischiano di portarci alla deriva della relazione di cura, indebolita dalle questioni burocratiche, dalla presenza ridotta all’osso delle risorse umane.

La parola e la relazione di cura, assolto il loro compito, cercano nuove sponde, tendono la mano ad altri mondi, a nuovi orizzonti personali e comunicativi.

 

Come in una tempesta, i gesti e le parole accuratamente scelti sono in grado di portarci alla deriva o, al contrario, come una panacea, ci rivestono di morigeratezza e diventano il sicuro alleato alle insidie quotidiane, permettendoci di sperimentare e assolvere al nostro compito.

 

 

Tratto da Parole di cura. Come le parole possono migliorare le nostre relazioni (di cura)


Post di Facebook

🔴 #SIMEU lo denuncia da anni❗️ Il #BOARDING è tra i principali problemi che #medici, #infermieri e #specializzandi #MEU si trovano a gestire in #PS. Il fenomeno del boarding incrementa le probabilità di decesso in una proporzione variabile tra il 2,5 e il 4,5%. Ogni persona ferma in #prontosoccorso in attesa di ricovero in #reparto causa un ritardo medio di 12 minuti sugli accessi successivi. Si accumulano le ore di ritardo e il numero dei #pazienti in attesa, bisognosi di assistenza, si moltiplica all’interno di spazi che non prevedono questa attività.🔵 Ribadiamo che il fenomeno non è imputabile ai #professionisti dell’#emergenza #urgenza che si spendono ogni giorno a colmare le falle di un sistema in crisi: siamo certi che le “ispezioni” cui si fa riferimento nell'ampio servizio curato da Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella nell’ultima puntata di Report non sono rivolte al #personale che del fenomeno è vittima tanto quanto i pazienti.⚫️ La crisi di “vocazione" nei giovani medici di fatto non sarebbe cosi profonda se gli #specialistiMEU potessero svolgere il loro lavoro nelle corrette, e dovute, condizioni di lavoro❗️👉 L’intera puntata diretta da Sigfrido Ranucci, cui hanno partecipato anche rappresentanti della #SocietàScientifica, è fruibile su RaiPlay.#GOLDENmedicine #GOLDENdoctors #prontosoccorsoinprimalinea #fieridivoi #fieridiMEU #piusiamomegliofacciamo #primalinea ... Vedi altroVedi meno
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1 week ago

SIMEU - Società Italiana di Medicina d'Emergenza e Urgenza
🔵 #Medici, #infermieri, #specializzandi #MEU sono gli specialisti dell’#emergenza #urgenza il cui RUOLO UNICO all’interno del #SSN deve essere riconosciuto come INDISPENSABILE al fine di migliorare la qualità del servizio, superare la crisi strutturale e arrivare a un benessere organizzativo a favore di #pazienti, #familiari e #professionisti.#GOLDENmedicine #GOLDENdoctors #prontosoccorso #primalinea #piusiamomegliofacciamo #fieridivoi #fieridiMEU ... Vedi altroVedi meno
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Ogni giorno a Gaza si cancella l'umanità.Distruzione senza fine, carestia, negazione degli aiuti.Ospedali e operatori sanitari bombardati.Non esistono posizioni politiche o credo religiosi che possano accettare quanto accade.Medici e infermieri di emergenza urgenza italiani invocano l'immediato cessate il fuoco e l'ingresso senza condizioni di aiuti internazionali.DA TROPPO TEMPO NON C'È PIÙ TEMPO.#SIMEU - Società Italiana di Medicina d'Emergenza Urgenza ... Vedi altroVedi meno
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❗️ Caterpillar Radio2 in passaggio nel #prontosoccorso di Matera accolti dalla dott.ssa Francesca Mancini, #medico esperto ed entusiasta #specializzanda #MEU al quinto anno, appena rientrata dall’esperienza di formazione della Prima Giornata Nazionale di Studi #biennaleSIMEU. Il progetto di viaggio nell'Italia dell’#emergenza #urgenza di Massimo Cirri, Sara Zambotti e Paolo Labati perché “i #PS sono un pezzo importante del #SSN”❗️❣️ “Ho lasciato la #medicinagenerale, una scelta folle agli occhi dei più, ma consapevole e ragionata perché credo e difendo il #sistemauniversalistico che assicura assistenza a tutti. Il mondo del pronto soccorso rapisce per la sua intensità e io provo molto orgoglio quando un turista straniero mostra gratitudine e sorpresa per essere stato curato nella evoluta e civile modalità a cui noi siamo abituati” #fieridiMEU🔴 Appuntamento a stasera su Rai Radio2, solita ora! #piusiamomegliofacciamo#GOLDENmedicine #GOLDENdoctors #prontosoccorsoinprimalinea #infermieri #primalinea #SIMEU ... Vedi altroVedi meno
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🔴 Dopo il periodo di grande concentrazione sui contenuti della #biennaleSIMEU torna attivo, ad accogliere i pensieri e il sapere dei #professionisti #MEU, il consueto appuntamento con il #BLOGdiSIMEU. A firmare il nuovo articolo è il dott. Emiliano Fanicchia, #infermiere a Roma, Consigliere nazionale #SIMEU nonchè formatore nella Faculty nazionale #Triage della #società #scientifica.🔵 "L’autonomia infermieristica in triage non è solo una questione di competenze: è una questione di identità, di orgoglio professionale, di passione. È sapere che, in quel momento, sei tu a fare la differenza. E quando, alla fine del turno, ripensi a quel paziente a cui hai riconosciuto un codice rosso al volo, o a quel bambino a cui hai alleviato il dolore, sai che – ancora una volta – ne è valsa la pena.” #fieridivoiDa leggere qui 👉 www.simeu.it/blog/#fieridiMEU #GOLDENdoctors #GOLDENmedicine #emergenza #urgenza #prontosoccorso #medici #specializzandi #primalinea #piusiamomegliofacciamo ... Vedi altroVedi meno
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