IL BLOG DI SIMEU

 

World Sepsis Day, 13 settembre 2024

settembre 12th, 2024 | NO COMMENTS

di Fabio Causin _ Direttore Faculty Sepsi SIMEU

 

Da diversi anni SIMEU, in occasione del World Sepsis Day, introdotto dalla Global Sepsis Alliance nel 2012, organizza iniziative di informazione. rivolte ai cittadini e di sensibilizzazione sul tema rivolte al personale sanitario.

 

La sepsi è una patologia tempo-dipendente di difficile diagnosi e con incidenza in crescente aumento.

Definita come disfunzione d’organo potenzialmente letale causata da una risposta sregolata dell’ospite a un’infezione, è una condizione clinica acuta, a rapida evolutività, gravata da un’elevata mortalità se non riconosciuta e trattata adeguatamente.

E’ un’emergenza sanitaria che affligge globalmente sia i Paesi industrializzati che i Paesi in via di sviluppo, con una incidenza compresa tra i 47 e i 50 milioni di nuovi pazienti/anno; nel mondo una persona muore di sepsi ogni 2.8 secondi.

Il tasso di mortalità legato alla sepsi oscilla, a seconda delle aree interessate, tra il 15 e il 50% ed è destinata ad aumentare. Molti pazienti sopravvissuti alla sepsi sono inoltre destinati a subirne conseguenze invalidanti per il resto della loro vita.

 

Nelle precedenti edizioni del Sepsis Day abbiamo focalizzato il nostro messaggio sull’ importanza del riconoscimento precoce, quest’anno abbiamo aggiunto una sostanziale novità.

 

Negli ultimi periodi si è infatti raggiunta la consapevolezza della necessità di tenere conto del sesso e del genere nella pratica clinica con particolare riguardo alle patologie tempo-dipendenti e la sepsi rappresenta indubbiamente uno scenario sfidante.

Nella popolazione femminile si riscontrano infatti risposte immunitarie innate, umorali e cellulari allo stimolo infettivo maggiori rispetto alla popolazione maschile.

 

Questi dati costituiscono la base di una ipotesi di lavoro che intendiamo, come società scientifica e come Faculty, verificare con una specifica Survey titolata “Diversi nella Sepsi” (anche come proseguimento del lavoro di analisi della precedente “Diversi nel cuore”) da proporre  ai Pronto Soccorso del nostro Paese con lo scopo di valutare la possibilità di riconoscimento precoce del paziente potenzialmente settico.

 

L’obiettivo del progetto “Diversi nella Sepsi” è analizzare le caratteristiche di presentazione in Pronto Soccorso dei pazienti andando a ricercare possibili differenze in rapporto al sesso maschile o femminile. In particolare, si vorrebbe verificare se negli scores precoci (qSOFA, NEWS 2) e nella concentrazione dei lattati all’esordio vi possa essere un’accuratezza predittiva diversa nei due sessi.

 

La Survey riguarda i casi sospetti che si sono presentati in Pronto Soccorso durante la settimana dal 9 al 15 settembre 2024 con giorno indice il 13 settembre 2024, giornata mondiale di sensibilizzazione contro la Sepsi. Saranno considerati arruolabili tutti i pazienti di età >18 aa in assenza di gravidanza per la popolazione femminile. I criteri di inclusione/esclusione nell’indagine saranno valutati dal medico di emergenza urgenza che prenderà in carico il paziente.

 

La raccolta e l’analisi dei dati è una iniziativa SIMEU e SIMIT con il patrocinio di Fondazione Onda ETS. I dati saranno raccolti in modalità anonima e analizzati attraverso la piattaforma messa a disposizione da SIMEU.

 

Il progetto coinvolge la dott.ssa Elisa Pontoni, Coordinatrice del gruppo societario della Medicina delle Differenze nelle Patologie Tempo dipendenti.

 

#TOGETHERagainstSEPSIS

L’ottimismo della volontà, il pessimismo della ragione.

agosto 30th, 2024 | NO COMMENTS

di Antonella Cocorocchio

 

Essere un infermiere di emergenza urgenza: non ho ricordo del momento in cui ho deciso di intraprendere questa strada.

 

Ho scelto questa professione oppure sono stata scelta?

 

Dopo tanti anni, circa 27, credo di aver deciso di fare l’infermiere di emergenza “passivamente”: mi sono lasciata affascinare da una realtà, quella del Pronto Soccorso, che non conoscevo affatto.

 

Di fatto, sono sempre stata una persona curiosa, un’entusiasta.

Ricordo che avevo tanta paura, l’ansia da prestazione di non essere in grado, di non essere all’altezza di quel ruolo. Ogni giorno imparavo e acquisivo una nuova skills.

 

Qualcuno mi ha insegnato che il Pronto Soccorso rappresenta un osservatorio privilegiato sull’umanità. Non c’è cosa più vera di questa affermazione: i nostri occhi vedono, le nostre orecchie sentono, il nostro naso percepisce, le nostre mani toccano, il nostro senso del gusto assapora storie di vita di qualsiasi spaccato sociale.

 

Noi, quelli della Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, abbiamo la fortuna (o la sfortuna?) di avvicinarci a qualsiasi stato di malattia.

 

C’è stato un momento in cui ho pensato di non pronunciare più la parola “io”.

In Pronto Soccorso non si è mai da soli, sia nei momenti di gioia, sia nei momenti di sconfitta.

 

La condivisione del lavoro, dello stato d’animo, dei progetti è fondamentale nel nostro lavoro. Noi del Pronto Soccorso siamo una vera squadra. Arriva la persona in arresto cardiocircolatorio che riprende coscienza, la persona con l’ictus che riarticola la parola, il politraumatizzato che si risveglia, la persona vittima di violenza che si lascia accompagnare in un percorso di cambiamento:

quanti esempi si potrebbero fare per descrivere l’emozione e la soddisfazione che si prova alcuni momenti!

 

In altre occasioni è lo sconforto a prendere il sopravvento: le aggressioni verbali e fisiche, gli insulti gratuiti, la carenza di risorse professionali, la mancanza di fiducia da parte del cittadino!

 

Di fatto, il vero valore aggiunto del Servizio Sanitario Nazionale è il Pronto Soccorso: noi ci siamo sempre, siamo davvero il servizio pubblico. Ci siamo per scelta, per senso di dovere e di responsabilità.

 

Oggi ho capito di aver acquisito un’altra consapevolezza:

possedere la volontà che, pur davanti alle difficoltà che si presentano, quando si tratta di analizzare i problemi e trovare una soluzione razionale, non dobbiamo mai cedere il passo alla rassegnazione o smettere di lottare condannandoci al pessimismo.

 

CARTONE CANTA

agosto 4th, 2024 | NO COMMENTS

di Giovanni Noto

Presidente Regionale SIMEU Sicilia

 

Tra Primari che fanno notti, Dirigenti che non vanno in ferie rinunciando anche ai riposi, tra operatori dell’emergenza-urgenza stremati da turni sempre più pesanti ed utenti che, affollando le nostre sale d’attesa, richiedono continuamente aiuto, a fare notizia è un tutore di cartone confezionato da personale che pur di fornire un servizio improvvisa una medicazione che farebbe (fa!) scandalo se non fosse che è lo specchio di una sanità siciliana (italiana?) che fa acqua da tutte le parti; e con l’acqua il cartone si è sciolto.

 

Con chi prendersela? Con chi è in prima linea.

Con chi fa di tutto pur di non chiudere.

Con chi difende il Servizio Sanitario Nazionale rinunciando a tanto pur di garantire ciò che altri dovrebbero.

 

E così nei TG, subito dopo le notizie delle varie guerre e vittorie alle Olimpiadi passa la notizia di una “gamba ingessata col cartone”.

E dei colpevoli che saranno rimossi.

 

Bene. Va tutto bene. E ce la faremo.

Così come ce l’ha fatta l’utente che reinventandosi reporter e denunziando la vicenda sui social ha ottenuto l’obiettivo di alzare il (giusto) polverone su una notizia che ormai è una “routinaria emergenza”:

la Sanità Pubblica sta morendo.

E non certo per colpa di chi confeziona stecche di cartone. Anzi.

È proprio grazie a loro che il giornalista facebookiano (così come ogni utente che accede nei nostri Dipartimenti d’Emergenza) ha comunque potuto avere un’assistenza alla problematica del suo congiunto.

 

E ce l’ha fatta anche chi, invece di chiedersi quali siano le reali necessità del personale che tra mille difficoltà opera nei Pronto Soccorso della Sicilia, ha risolto un problema: ha attivato la caccia alle lepri!

Ma succede che invece di sparare alla preda si colpisca il cane.

 

Noi cani siamo stanchi. Di fare da guardia ad un sistema sanitario in caduta libera. Di abbaiare richieste d’aiuto che non vengono ascoltate dai nostri rappresentanti istituzionali. E di drizzare le orecchie alle finte dichiarazioni di solidarietà dei politici di turno o peggio al j’accuse bipartisan che in vicende come questa è solidale nell’indicarci come i colpevoli.

 

Alla responsabile del PS di Patti, al Coordinatore, a tutto il Personale (Medici, Infermieri, OSS e Ausiliari) il sostegno della SIMEU Sicilia per aver dato risposta alle domande di aiuto degli utenti; ed un ringraziamento altresì a tutti i professionisti dell’Emergenza-Urgenza che nella nostra isola tra mille fatiche, rinunce personali e facendo da parafulmine a tutte quelle “scariche” di disapprovazione che da più parti stanno piovendo sulla nostra categoria, manterranno comunque standard adeguati alle richieste di salute della popolazione.

 

Chi deve pagare veramente? Noi un’idea ce l’abbiamo.

Ma vi spoileriamo il finale: tra qualche anno pagheremo tutti.

E la pagheremo cara.

Ben più cara della prestazione privata offerta successivamente all’utente.

E quel cartone ce lo sogneremo.

 

NOTA DI SIMEU NAZIONALE

 

Non vogliamo entrare nello specifico di quanto accaduto a Patti, perché non conosciamo i dettagli. E comunque non ci siamo mai sottratti alle nostre responsabilità.

 

Ma alcune considerazioni generali si impongono:

 

– È singolare che si possa “rimuovere dall’incarico” una Collega che quell’incarico non l’ha mai ricevuto: le è stata affidata di fatto la responsabilità di un Pronto Soccorso senza alcun riconoscimento o valorizzazione, lasciandola comunque nei turni diurni e notturni e facendone il parafulmine per gli eventuali problemi.

 

Situazione che molti, in Pronto Soccorso, conoscono fin troppo bene.

 

– È altrettanto singolare che il Presidente della Regione telefoni al paziente per scusarsi dell’accaduto: noi passiamo il tempo a scusarci con tutti quelli che non fanno notizia ma che subiscono una situazione che denunciamo da anni.

 

– È ancora più singolare che la politica, punta nel vivo della propria visibilità mediatica, annunci ispezioni a tappeto. Non ci spaventano le ispezioni: anzi, le aspettiamo da tempo, da quando abbiamo iniziato a farci sentire.

 

Ci piacerebbe sapere se nella commissione di esperti annunciata dalla Regione ci saremo anche noi: c’è qualcuno più esperto di noi?

 

Lo ripetiamo: siamo la faccia di un sistema che non funziona.

 

Ed è la faccia che prende gli schiaffi. Spesso dagli utenti.

Altre volte, come oggi, dalle Istituzioni.

*STORIA GRUPPO ARIA*

luglio 30th, 2024 | NO COMMENTS

Qualcuno dal suo PS vede il mare, il sole che colpisce gli occhi e che scalda il cuore; qualcuno una grande città, tante persone, la nebbia. Qualcuno le montagne, e sogna la pace.

 

Un pronto soccorso qualunque.

Un giorno di pioggia.

Il pensiero che va alla fine del turno.

Un codice rosa.

 

 

R.

Fammi scrivere bene, non devo dimenticarmi nemmeno un dettaglio. C’è voluto un po’ per tirarle fuori dai denti quella violenza. “avevo paura che avrebbe continuato ad ammazzarmi di botte se non ci fossi stata, quindi in realtà ero consenziente”. Ho accompagnato la paziente in tutto il suo percorso, in ginecologia, le ho scattato 40 foto mentre era nuda, inerme, davanti ai sanitari. Non volevo essere lì, era una violenza nella violenza.

 

F.

La tentazione di ignorare, di non scrivere, far finta di niente e minimizzare è tanta. Ma poi ti rendi conto che ti ha reso custode della sua sofferenza. È cosa da MEU anche questa purtroppo, e aggiungerei anche … per fortuna.

 

A.

Quella sera ho dovuto mettere insieme tutti i pezzi di quel triage, la ricorderò per tutta la vita. Era una turista accompagnata dalla polizia. La mattina successiva ho letto che il suo demone era stato fermato. Ricordo di aver pianto.

 

R.

Speriamo che non ci sia un trauma così la posso subito mandare al pronto soccorso ginecologico. In fondo dove posso metterla qui? In mezzo agli altri codici rossi? Tra il vecchietto con la niv che suona e il tossico che urla?

 

C.

Di fronte a quella donna provai un senso di tristezza profonda, di impotenza. Mi sentivo così piccola di fronte a tutto quello. Avevo nel cuore la consapevolezza che nonostante l’ascolto, non sarei mai stata in grado di lenire la sua sofferenza.

 

M.

Minchia che palle, ma questa perché ha continuato a stare con questo tipo nonostante tutto? Io non sono maschilista però…

 

F.

Alcune strutture ospedaliere potrebbero non avere risorse o personale adeguatamente addestrato per affrontare un caso di violenza di genere, come la mia.

Non la potevano portare da un’altra parte?

 

S.

Ok, adesso devo dimenticare il caos che ho intorno, del paziente che urla perché in attesa da 4h, della paziente sulla spinale che si lamenta per il dolore, del codice bianco che ripete che siamo incompetenti e non funziona la sanità.

Ora devo pensare a lei.

 

M.

Meno male che non è capitato a me…poraccia

 

A.

Pensava di essere al sicuro e invece è stata tradita proprio da chi le sembrava essere più vicino.

 

L.

Decide di affidarsi a noi per aprire gli occhi. Lei è stata fortunata. Non si sa come, dove e perché ma l’ha fatto. Da sola, voleva la libertà e noi abbiamo esaudito il suo desiderio. Almeno ci abbiamo provato.

 

Smettiamo di pensare, smettiamo di parlare, ora tocca a LEI…in fondo l’unico punto di vista che conta è il suo.

 

 

*STORIA GRUPPO ARIA* >>> definita di “coralità unica”

di Debora Martinelli, Roberta Molle, Daniela Mutti, Rossella Nocerino, Angelo Picciano, Serena Rispoli, Chiara Maffei, Arianna Magistro, Andrei Magri Piccinini, Francesco Notari, Francesca Ortu, Lucrezia Pagliuca, Roberto Palmisano, Francesca Palumbo, Matteo Pani, Stefano Pasqualin, Alessandra Pastorelli, Martina Polimeno

 

Specialisti e specialità: gli infermieri della MEU

luglio 15th, 2024 | NO COMMENTS

di Alessio Luzi

Ci richiedono sempre più competenze per poter fare ciò che sappiamo fare meglio: il nostro lavoro.

 

Ci ritroviamo oggi, tra obblighi di legge o direttive aziendali, a dover formare il nostro profilo e ampliare i nostri curricula in modo impeccabile, quasi avessimo una data di scadenza sulle divise.

A volte è cosi, tante altre non lo è.

 

Fare l’infermiere della MEU sembra essere davvero divertente:

quando racconti agli altri che lavori al DEA, che provieni da oltre 15 anni di emergenza territoriale, che sei stato in terapia intensiva, ti vedono quasi come un super eroe. Ti chiedono: “Oh ma chissà quante ne hai viste! Raccontaci qualcosa, dai!”.

 

Nessuno, però, ti chiede mai: “Come ci si arriva? Come si diventa infermiere di Area critica?”  

E di conseguenza nessuno sa quanto si sacrifica e quanto si studia per arrivare fin dove sei ora.

Che poi magari per molti non è nemmeno il luogo ideale il pronto soccorso, magari per altri è la storia della propria vita.

Ci sono colleghi che al di fuori della sala rossa non respirano, si spengono,“muoiono”.

 

Ma per stare li come avrà fatto? Partiamo dal presupposto che oggi c’è la malsana abitudine, da parte di tutte le aziende, di prendere personale con zero esperienza (e non parlo solo di esperienza in Area critica ma proprio di neo laureati) e muoverli come pedine all’interno delle sale dei PS, dei DEA, sulle ambulanze.

 

Nel lontano 2017 è stata fatta una proposta di legge che mai è stata varata che prevedeva l’obbligo di avere quantomeno la specializzazione in area critica post formazione di base per poter lavorare nella MEU.

 

Ad oggi, difatti, non è cosi.

 

Parliamo poi degli obblighi (personali) di formarsi per essere sempre pronti a qualsiasi emergenza: BLSD, ALS, PBLSD, PALS, ATLS, PATLS, ECG, PICC, eFast … A questi aggiungiamo le letture, continue, sulla farmacologia, le nuove linee guida, i protocolli interni, gli aggiornamenti su presidi e procedure.

 

E ancora: gli ECM, obbligatori.

E poi i farmaci generici, i LASA, che ci portano sempre in confusione e dobbiamo rimanere lucidi, perché in urgenza quel farmaco può fare la differenza e non puoi permetterti di sbagliare.

Quindi leggi i bugiardini, installi applicazioni per conoscere l’emivita, la farmacodinamica, le interazioni. Compri manuali sulla ventilazione non invasiva e i nuovi ventilatori. Imposti la PEEP, i flussi, il tipo di ventilazione.

Nel mentre è arrivato un altro codice rosso e tu, che hai due mani, ti sdoppi e improvvisamente ti ritrovi con 4 braccia, due cervelli, 4 gambe. Ma un unico cuore.

 

A questo aggiungiamo il fatto che, oggi, non si è più solo esecutori ma veri e propri professionisti autonomi. Ne consegue che la regola: “ma a me l’ha detto il medico!” non va più bene.

Quindi se somministro un farmaco lesivo per il paziente (sbagliando diluizione, tempo, modo) ne pago le conseguenze in modo diretto. Ed ecco che qui subentra, per obblighi di legge, l’assicurazione professionale da stipulare di anno in anno.

 

“Bello fare lo specialista.”

 

E fin qui tutto bene, direte voi. Ma quando dici agli amici che lavori in pronto soccorso e loro si immaginano che la laurea dia diritto a tale posto non credono minimamente che  quel posto te lo sia sudato e guadagnato e che ogni giorno combatti contro il mondo intero per fare la differenza.

E già, il mondo intero.

 

Lo stesso mondo che ci gridava “eroi” ora ci urla “bestie!” quando vogliono essere gentili.

Siamo continuamente sotto attacco, sotto scacco, sotto pressione.

E nonostante questo non smettiamo mai di mostrare un sorriso e professionalità.

 

Siamo specializzati in questo. Siamo specializzati in Sanità pubblica, in pediatria, in geriatria, in psichiatria e in area critica.

Siamo liberi professionisti, stipendiati a contratto o lavoriamo in cooperative.

 

Ma queste cose non le raccontiamo in giro. Nemmeno quando stiamo massaggiando un paziente. Non diciamo ai parenti: “Ho due lauree, due master, una magistrale.” Tanto, per loro, saremo sempre e solo “giovanotto o signorina”, quelli a cui dare del “TU”.

 

E nonostante le parolacce che ci tirate dietro, le aggressioni che continuamente subiamo, rimaniamo nel nostro e mostriamo con orgoglio la divisa (a volte lacerata, consumata, sgualcita, scolorita) e ciò che sappiamo fare meglio: il nostro lavoro.

 

Quindi, cari amici, quello che sapete di noi, quello che decidiamo di raccontarvi, è solo una parte di quello che realmente succede.

 

Non soffermatevi solo sul “ wow, chissà quanta adrenalina in pronto soccorso!” ma anche sulla quantità di sacrifici che facciamo ogni giorno per poter stare dove stiamo: al nostro posto sudato e guadagnato.

Medicina delle Differenze in Dipartimento di Emergenza: una gentile innovazione

giugno 23rd, 2024 | NO COMMENTS

 

“ll futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”. Eleanor Roosevelt

 

di Elisa Pontoni

 

Per Medicina di Genere, oggi Medicina delle Differenze in una definizione piu’ inclusiva, si intende lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e malattia della persona.

 

La richiesta di una maggiore attenzione al sesso e al genere sta diventando centrale nella discussione più ampia sulle tematiche di equità nel diritto alla salute: una crescente quantità di dati epidemiologici, clinici e sperimentali suggeriscono notevoli differenze nell’insorgenza, progressione e manifestazioni delle malattie comuni a uomini e donne, sia in acuto che in cronico.

 

In Italia, come in molti altri paesi occidentali, è evidente il “paradosso donna”: nonostante le donne vivano più a lungo degli uomini, l’aspettativa di vita sana risulta essere equivalente tra i due sessi; uomini e donne usano diversamente i farmaci e altri interventi sanitari, per motivazioni biologiche (si ammalano diversamente) e socioculturali (hanno diversa attitudine alla salute e alle cure).

 

Il nostro paese, con il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere (in attuazione dell’articolo 3, comma 1, Legge 3/2018) ) si è dotato della prima legge in Europa sulla Medicina di Genere (legge Lorenzin); presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è stato inoltre istituito un Osservatorio volto al controllo dell’applicazione del Piano stesso nei  suoi quattro elementi fondanti: percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione; ricerca e innovazione; formazione e aggiornamento professionale; comunicazione e informazione.

 

Il fine è l’equità, i mezzi sono la ricerca, la promozione della conoscenza e l’attuazione di soluzioni pratiche e concrete; in quest’ottica, nelle nostra società scientifica nel dicembre scorso è stato istituito un gruppo di studio per la Medicina di genere nelle patologie tempo dipendenti, che ho il piacere di coordinare e del quale fanno parte, oltre al presidente nazionale Fabio De Iaco, Claudia Sara Cimmino, Pierangela Con, Anna Maria Ferrari, Catia Morellato, Daniela Pierluigi, Maria Pia Ruggieri, Maria Luisa Ralli, Sonia Zoanetti, Irene Cara, Andrea Fabbri, Paolo Pinna Parpaglia, Antonio Voza, Cristiano Perani.

 

La prima patologia tempo-dipendente con la quale ci siamo confrontati è la  sindrome coronarica acuta (ACS): le malattie cardiovascolari (CV) rappresentano la principale causa di mortalità nelle donne, che hanno ancora oggi una prognosi peggiore rispetto alla popolazione maschile.

 

Le donne tuttavia non ne sono consapevoli, talora tale consapevolezza è carente anche tra i professionisti del mondo sanitario; soprattutto nelle aree socio-economiche più svantaggiate, la popolazione femminile è spesso soggetta a discriminazione nell’accesso alle cure.

 

Esistono delle differenze di genere nei fattori di rischio cardiovascolari, con la recente definizione di fattori di rischio ginecardiologici, tra i quali annoveriamo l’ipertensione e il diabete gestazionale, la policistosi ovarica, la menopausa precoce; esistono delle differenze nella sintomatologia d’esordio della sindrome coronarica acuta, essendo squisitamente androcentrica la definizione di dolore toracico acuto (DTA) quale sintomatologia oppressiva retrosternale irradiata all’arto superiore sinistro.

 

Per migliorare la diagnosi differenziale del DTA in un’ottica di genere, l’8 marzo scorso, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, abbiamo promosso l’iniziativa “Diverse nel cuore”: nei Pronto Soccorso aderenti – che ringraziamo per lo sforzo compiuto nella partecipazione attiva – abbiamo valutato nel giorno indice dedicato alla popolazione femminile l’utilità del calcolo del Chest Pain Score, applicandolo alla popolazione non selezionata afferente al  Dipartimento di Emergenza e ricercando la diversa espressione di genere nella rappresentazione del sintomo. I dati raccolti, presentati nel corso dell’ultimo Convegno Nazionale svoltosi a Genova dal 30 maggio al 1 giugno scorso, confermano come anche nel mondo reale vi sia una diversa rappresentazione sintomatologica nei due sessi: nella popolazione femminile di età superiore ai 50 anni, il dolore retro sternale epigastrico non irradiato è risultata la descrizione sintomatologica maggiormente rappresentata.

 

La survey “Diverse nel cuore” si è svolta con il patrocinio di Fondazione Onda, Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna, nello spirito fondante di cooperazione proprio della società.

La SIMEU è stata inoltre invitata a partecipare, sotto l’egida dell’Istituto Superiore di Sanità, alla stesura di un Documento Italiano di Consenso Intersocietario sulla prevenzione e gestione delle malattie cardiovascolari nelle donne, documento che vede coinvolte le principali società scientifiche non solo cardiologiche interessate alla definizione del  percorso di prevenzione e cura delle malattie cardiovascolari femminili.

Alla nostra società è stato affidato il coordinamento della sezione dedicata alla cardiopatia ischemica acuta.

 

Studiare e riconoscere le differenze tra i sessi e i generi è solo il primo passo per garantire equità e appropriatezza della cura: il nostro gruppo di lavoro intende impegnarsi fattivamente in questa direzione.

 

Il tema della salute delle donne è cruciale nella discussione più generale sulla necessità di raggiungere una parità di genere. L’auspicio è che si faccia sempre di più per promuovere una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, sviluppando soluzioni di conciliazione vita-lavoro anche e soprattutto nel mondo dell’emergenza, nostro setting operativo.

 

La promozione di una gentile leadership al femminile e la crescente attenzione dedicata alle misure volte a contrastare la violenza contro le donne sono ulteriori elementi indispensabili per poter finalmente parlare di equità.

UNA FARMACIA NON È UN PRONTO SOCCORSO

giugno 12th, 2024 | NO COMMENTS

di Fabio De Iaco

Ennesimo caso di cattiva gestione e peggiore comunicazione di un evento potenzialmente letale!

 

Un signore di Alessandria di quasi cinquant’anni, di fronte alla necessità di un elettrocardiogramma urgente prescritto dal medico curante, viene inviato “per fare prima” nella farmacia più vicina.

 

Esegue l’esame, si avvia verso casa, e dopo 15 minuti il suo ECG viene “prontamente” refertato a distanza da Ancona, rivelando l’infarto in atto.

 

A quel punto, rintracciato telefonicamente dal farmacista, viene “esortato” a recarsi in Pronto Soccorso, dove finalmente riceve le cure del caso.

 

Tutto questo comunicato sulla stampa come “Storia a lieto fine: salvato da un elettrocardiogramma in farmacia”.

E non è l’unico caso…

 

Evidentemente, dopo tanti anni trascorsi a spiegare il significato della “catena del soccorso” e l’importanza dell’allarme precoce per gli eventi cardiovascolari, la rete dell’Emergenza Urgenza, secondo questa narrazione, può essere validamente sostituita dall’elettrocardiogramma eseguito in farmacia.

 

Non è neppure il caso di elencare gli errori enormi che si sono succeduti in questa storia, il cui lieto fine è reso possibile solo dalla gran fortuna del paziente, che ha rischiato un destino ben diverso.

Ovviamente siamo felici per lui.

 

Ma niente cancella l’ignoranza delle regole elementari del soccorso, la superficialità di una gestione potenzialmente letale, l’irresponsabilità e la pericolosità di un certo tipo di comunicazione,

 

In Italia esiste una Rete dell’Emergenza Urgenza sempre operativa che, dal primo allarme fino all’ospedale e oltre, ha come obiettivo la gestione di quelle che si chiamano “patologie tempo-dipendenti”.

Come quella del fortunato signore di Alessandria.

 

In un Servizio Sanitario Nazionale in chiara difficoltà l’apporto di tutti è benvenuto.

Ma snaturare la funzione della Medicina di Emergenza Urgenza, inventare nuovi percorsi antiscientifici e pericolosi, consentire comunicazioni fuorvianti, non fa bene a nessuno.

 

Soprattutto fa male ai cittadini.

 

 

 

Alcuni articoli che riportano la notizia di oggi e altre simili

https://radiogold.it/news-alessandria/378541-vita-salvata-valenza-farmacia-arrigoni/

https://www.federfarma.it/Edicola/Filodiretto/VediNotizia.aspx?id=25626

https://www.farmacista33.it/benessere/28336/telemedicina-ecg-in-farmacia-salva-paziente-accertato-attacco-cardiaco-in-corso.html

 

Le parole, qualche volta, ci salvano

maggio 15th, 2024 | NO COMMENTS

di Anna Arnone, Infermiera

 

Il verbo rivela moltissimo della nostra psiche e di come intendiamo i rapporti con gli altri: la scelta apparentemente casuale o automatica di come vogliamo intenderci diventa un’occasione di riflessione per scoprirci da nuove angolazioni.

 

Utilizzare determinate parole non è sempre sbagliato perché la lingua cambia in base al nostro uditorio, si gonfia, si modella e si assottiglia a seconda di chi ci ascolta e delle nostre intenzioni comunicative.

 

Talvolta, l’errore avvicina, fa sentire meno soli e rende simili.

Tuttavia, in una relazione di cura questo non deve accadere, per quanto si abbia fretta di rispondere prontamente all’urgenza della cura.

Ecco, vorrei che facessi altrettanto anche tu, vorrei che ti servissi delle parole con occhio lucido per rispondere sì alle tue necessità espressive, ma per seguire un fine comune, realizzare il bisogno dell’altro.

 

Ciò che regola ogni nostro discorso è la consapevolezza, ovvero la capacità di modularlo in base al contesto. Ogni nuovo inizio può dunque avvenire solo dopo un’analisi accurata, dopo un’attenta riflessione dei punti di forza e di debolezza delle parole adoperate, con un’osservazione sfaccettata degli errori più comuni.

Solo così potremo padroneggiare le parole e renderle pronte all’uso.

 

Dal mio punto di vista, il grande regalo che possiamo fare alla relazione di cura risiede in un’aggiunta, non in una sottrazione. In un tempo come il nostro, caratterizzato da grande velocità, distrazioni e prestazioni performanti, le parole rischiano di perdere la loro linfa, il suono melodioso del loro incanto.

Non deve esserci impoverimento: le parole meritano senza dubbio un altro trattamento, come i nostri pazienti.

 

Gli errori più comuni che commettiamo oggi rischiano di portarci alla deriva della relazione di cura, indebolita dalle questioni burocratiche, dalla presenza ridotta all’osso delle risorse umane.

La parola e la relazione di cura, assolto il loro compito, cercano nuove sponde, tendono la mano ad altri mondi, a nuovi orizzonti personali e comunicativi.

 

Come in una tempesta, i gesti e le parole accuratamente scelti sono in grado di portarci alla deriva o, al contrario, come una panacea, ci rivestono di morigeratezza e diventano il sicuro alleato alle insidie quotidiane, permettendoci di sperimentare e assolvere al nostro compito.

 

 

Tratto da Parole di cura. Come le parole possono migliorare le nostre relazioni (di cura)

Testardamente fiducioso

aprile 30th, 2024 | NO COMMENTS

di Rodolfo Ferrari

 

Scrivere. Per SIMEU. A SIMEU.

 

Bellissima opportunità, mi sono detto.

 

A questo punto si è configurato l’imbarazzo della scelta.

Scegliere un argomento.

Nel cosmo della Medicina d’Emergenza – Urgenza.

Mica facile. Mica facile, soprattutto se devo parlare di quel che conosco (non so fare altro), e se devo partire dalla mia esperienza, e dalla mia storia passata e presente in SIMEU.

 

Potrei parlarvi di formazione.

Di quanto stia finalmente caratterizzando la nostra disciplina come specialistica, di come le stia dando quella dignità negletta che abbiamo orgogliosamente sostenuto e rivendicato, di quanto sia necessaria per i neo-specialisti ed ancor più per i più esperti.

 

Potrei parlarvi di NIV, di come abbia rivoluzionato il mondo della MEU cambiando la storia di malattia di un sacco di persone, di come sia una competenza elettiva ed imprescindibile della nostra disciplina, di come sia tecnica rappresentativa nella forma e nella sostanza del core della MEU stessa, nella filosofia della non-invasività, tra efficacia ed appropriatezza.

 

Potrei parlarvi dei Consigli Direttivi Regionali, di quanto l’impegno e l’entusiasmo siano vivi e presenti, non solo futuribili, di come la nostra competenza stia giorno dopo giorno ritagliandosi spazio ed avendo nuova voce, in modo credibile, serio e costruttivo, su tavoli nei quali sino al recente passato non eravamo presenti né rappresentati.

 

Potrei parlarvi dei Medici della MEU, dei Medici in Formazione specialistica MEU, e degli Infermieri della MEU, e degli Autisti Soccorritori, e degli Operatori Socio Sanitari, e di quanto sia straordinario il nostro lavoro nella sua essenza, che non ha eguali, e di quanto sia disperatamente frustrante non poterlo concretizzare, tra carenze di quella Sanità Pubblica che cerchiamo disperatamente di difendere ogni giorno, e boarding, ed aggressioni, e mancato riconoscimento dei più banali ed evidenti diritti negati.

 

Potrei parlarvi della vigliaccheria che sta dietro ogni aggressione verso chi indossa una divisa che ne testimonia l’essere lì, il non arretrare, per potersi prendere cura. Di ogni intossicato, di ogni codice minore, di ogni “no-qualcosa”, di ogni famigliare incattivito con “la società”.

E potrei parlarvi dei rapporti con le Forze dell’Ordine.

 

Potrei parlarvi dei Direttori della MEU, frustrati dal non riuscire a premiare a sufficienza tutti coloro che lo meriterebbero, e dal faticare a valorizzare e far crescere tutti coloro che meriterebbero un’occasione in più, un’opportunità in più, per poi far crescere tutti, tutta la nostra disciplina, in modo esemplare, tra dono ed impegno, e migliorare il servizio e l’assistenza che ogni giorno disperatamente garantiamo.

 

Potrei parlarvi della pandemia, delle decisioni serie, sicure e competenti che abbiamo preso, del coraggio, della responsabilità, del senso del dovere, del servizio e dell’assistenza che non abbiamo mai fatto mancare, della risposta pronta ed efficace che nel dramma della tragedia che abbiamo vissuto ci ha portato a casa di ogni malato, della quantità e della qualità di quel che abbiamo fatto per primi, spesso noi soli.  E delle vite che abbiamo salvato; proprio così: né più né meno di questo.

 

Potrei parlarvi dell’iperafflusso, e del sovraffollamento, e del boarding. E a chi parla di collo dell’imbuto ricordare che noi siamo nel punto più stretto di una clessidra, tra le carenze del territorio e quelle dell’Ospedale, senza filtri in entrata e pieni di muraglie in uscita, nel bel mezzo di una guerra tra poveri che mette i professionisti contro ad alzare barricate e compartimenti stagni, per far finta di non sapere e di non vedere quel che accade alla cosiddetta porta dell’Ospedale.

 

Potrei parlarvi dei professionisti tappabuchi che colmano last-minute carenze nei nostri organici, e che spessissimo non sono adeguati, generano frustrazione e disillusione nei veri professionisti e nell’utenza, abbassano il livello dell’assistenza come fosse una cosa normale, compromettono l’immagine della nostra disciplina ed il nostro servizio. A costi vergognosi, e con un rapporto costi – benefici inaccettabile.

 

E potrei parlarvi con la stessa rabbia di quei nostri colleghi, pari grado della nostra medesima disciplina, che abbassano il livello, che non ci rappresentano, che però prendono per primi la parola e ledono la nostra immagine e la nostra credibilità di fronte ai nostri interlocutori, compromettono la nostra professionalità perseguendo altri obiettivi personali o attuano comportamenti lamentosi e distruttivi come alibi del proprio aver deciso di tirare i remi in barca.

 

Potrei parlarvi di Università, Regioni e Ministeri nei quali andare a scovare una volta per tutte le soluzioni alla crisi del Sistema Sanitario Nazionale e Regionale e della Sanità Pubblica che ci sta schiacciando. Per primi. Vittime insieme agli utenti, quelli stessi che per noi non paiono provare alcuna comprensione… non pretendo solidarietà o empatia.

 

Potrei parlarvi di salario, di carichi di lavoro, di 6 ore e 20, di indennità, di pensione, di lavoro usurante, di depenalizzazione. E dovrei. E ne dovremmo parlare a tutti, strenuamente. E di questioni caratterizzanti profondamente la nostra disciplina come la gestione pre-ospedaliera ed ospedaliera delle maxi-emergenze, e le Aree semintensive nel contesto della Medicina d’Urgenza. E ne dovremmo parlare a tutti, orgogliosamente.

 

Potrei parlarvi di priorità, di criticità, di complessità, di fragilità. Di emergenze, di urgenze tempo-dipendenti e di risposte ai più improbabili bisogni di salute. E sociali.

 

E potrei parlarvi delle morti improvvise, della comunicazione delle cattive notizie, e degli arresti ripresi, e di quelle condizioni di peri-arresto nelle quali si riesce a fare la differenza, di quella romantica sensazione di soddisfazione che ogni tanto si prova diluita nella stanchezza quando giunge alla fine il turno di notte e vedi arrivare il tuo cambio.

E di quello che vedi, nel bene e nel male, quando il cambio che arriva sei tu.

 

Potrei parlarvi della vita fuori dall’ospedale, e delle nostre incredibili e straordinarie e disperate famiglie.

 

Volevo parlarvi di Medicina d’Emergenza – Urgenza. Ho scritto di getto, e mi accorgo che, forse, i termini che ho più spesso utilizzato sono stati “disciplina” e “disperazione”.

Ed in realtà credo che dietro alle mie parole stia un’incrollabile speranza ed un’indisciplina che penso mi e ci porterà a realizzare quella speranza.

 

Passo e chiudo, perché sono convinto che, se rileggessi, probabilmente cancellerei, e troverei altro da scrivere.

Ma, esattamente come voi, non ho tutto questo tempo.

 

Quindi: buona la prima.

Indisciplinatamente speranzoso.

 

 

MEDICINA E MEDICINA D’URGENZA PER GIUNTA!

aprile 15th, 2024 | NO COMMENTS

di Giacomo e Vincenzo (papi) Menditto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Motteggi tra padre e figlio

 

“Un’idea di strada quindi, per quanto appena abbozzata e già piena di buche e ostacoli, io la ho già: voglio iscrivermi a Medicina per fare l’Urgentista!

 

Un vero e proprio attentato alle mie povere coronarie di padre quasi cinquantenne – io che ho provato a controllare fino ad ora tutti i fattori di rischio cardiovascolari non genetici – arriva da chi meno te lo aspetti:

mio figlio Giacomo, ultimo anno del Liceo.

 

E, aggiungo, tirato su fin da tenera età con l’unico intento di evitargli di diventare un medico (sob).

 

“Ok” dico, “allora cominciamo proprio dalle buche:

lo sai che ti aspettano anni di notti da passare in Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza?

Starai quasi sempre in piedi e alla fine del turno sarai stanco ed annientato.

Poi ti aspettano così tanti weekend con turni mattutini o pomeridiani che ‘spezzano’ le giornate alla grande che alla fine non saprai neppure più cosa significa la parola ‘finesettimana’: venerdì pomeriggio-sabato-domenica, sabato-domenica, domenica?

E non potrai nemmeno protestare più di tanto perché lavorerai a stretto contatto con i tuoi amici di sventura Infermieri che fanno orari tipo 6-14, 14-22 o 22-6 o, se proprio va bene, 7-14 e 14-21 ed una notte ogni 4 giorni …”

 

“Vogliamo passare agli ostacoli?

Troverai figli di papà, raccomandati, baroni a bizzeffe, donne e uomini spietati, arroganti, presuntuosi come in tutte le professioni, ma i veri ostacoli saranno in te, nelle tue preoccupazioni e nella tua coscienza …

Ti troverai, come me a suo tempo, a vedere i cartelli necrologici per strada insieme ai vecchietti già a 26 anni con il timore di riconoscere un nome in un tuo paziente (che speri di non avere dimesso).”

 

“Gli scrupoli per non avere fatto abbastanza saranno le tue Erinni perenni e, come i migliori investigatori, come Poirot, Scherlock o Montalbano, non ti ricorderai dei casi (clinici) brillantemente risolti, no!

Avrai davanti agli occhi quelli delle persone che non sei riuscito a salvare, anche se magari era impossibile farlo.”

 

Mi dici: “io voglio e diventerò un medico perché so essere la mia passione ed è quello che mi immagino di voler fare per i prossimi cinquant’anni.”

 

“Ecco” ti rispondo subito “lo Stato ti prenderà in parola e non ti permetterà di andare in pensione senza 50anni di lavoro!!! Questo almeno se rimani in Italia e non te lo consiglio! Abbiamo gli stipendi più bassi d’Europa o quasi, e se fai l’Urgentista non potrai nemmeno fare la Libera Professione.

In pratica, tu salverai vite umane a tonnellate ed i tuoi colleghi cureranno persone e avranno stipendi da intra-moenia molto più alti dei tuoi.

Non so chi te lo fa fare!”

 

“Ecco” replica lui, “le parole ‘non so’ dovrebbero essere alla base di qualsiasi lavoro, specialmente quello del medico …”.

 

Provo a controllarmi, ma non ci riesco.

“Non so dici: non saprai mai tante cose perché rischi di essere condannato civilmente e penalmente ogni giorno, perché rischi di prenderti le mazzate mentre fai il tuo lavoro, perché un giorno ti chiamano eroe e l’altro farabutto …”

 

“Dai papi, ne riparliamo…adesso vediamo insieme la TV, danno Doc o forse ER, due patatine e ci rilassiamo, ba bene (come diceva quando era piccolo)?”

 

“Ok” mi ha già convinto con il suo sguardo bello e speranzoso…

 

Penso che le serie TV mediche sono quasi tutte ambientate in una Emergency Room, che in fondo in Italia abbiamo solo sbagliato il nome, ma fare l’Urgentista è bellissimo!

 

 

 





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