IL BLOG DI SIMEU

 

Archive for the ‘Medicina’ Category

GLI HANGOUT DI SIMEU: I Social network e la medicina di emergenza

lunedì, novembre 4th, 2013

MERCOLEDI’ 6 NOVEMBRE ORE 18.00

di @SilviaAlparone

Nuovo appuntamento degli Hangout di Simeu: mercoledì 6 novembre alle 18.00 appuntamento sul canale Google+ della società per un secondo confronto in diretta sulla medicina d’emergenza e il web. L’appuntamento prosegue idealmente il discorso iniziato nel precedente hangout, in occasione del quale si è parato di Foam, Free Open Access Meducation, il movimento internazionale che, nato su internet per iniziativa di Mike Cadogan e Chris Nickson, medici d’emergenza australiani, si sta diffondendo in tutto il mondo.

In collegamento Ciro Paolillo, della Medicina di emergenza-urgenza dell’Azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine, ideatore e coordinatore di A Life at Risk, Carlo D’Apuzzo, della Medicina di emergenza-urgenza e pronto soccorso dell’Ospedale Mauriziano di Torino, coordinatore e ideatore di Em Pills, Pillole di medicina di emergenza, Paolo Balzaretti, anche lui della Medicina di emergenza-urgenza e pronto soccorso dell’Ospedale Mauriziano di Torino e della redazione del blog Simeu. In questo appuntamento si affronterà in particolare il tema dei social network: come facebook, twitter e google+ possono essere utilissimi strumenti di formazione e lavoro per medici e infermieri dell’emergenza sanitaria.

Tutte le registrazioni degli hangout realizzati restano poi disponibili sul canale youtube della Società, all’indirizzo http://www.youtube.com/channel/UCO5Rz-tlNZRpqqs8wN-0cCg.

Likelihood Ratio, un’arma contro esami inutili in pronto soccorso

lunedì, ottobre 21st, 2013

Cos’è la Likelihood Ratio e che applicazione può avere nei casi di emergenza? Ilenia Spallino e Ciro Paolillo si confrontano e guidano i fruitori del video a un approccio clinico utile a ridurre il numero di esami diagnostici sui casi di pronto per procedere solo ai più efficaci.
Il racconto di due esempi pratici, la contusione del gomito e la sospetta appendicite, due casi clinici molto comuni per chi lavora in pronto soccorso.

Ilenia Spallino e Ciro Paolillo, medici del Pronto soccorso e Medicina di urgenza dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine, sono ideatori e animatori del blog A Life at Risk

Il video è visibile anche su Youtube

COS’E’ LA LIKELIHOOD RATIO

Il rapporto di verosomiglianza (Likelihood Ratio, LR) di un segno obiettivo è la proporzione di pazienti malati che presentano questo reperto clinico diviso per la proporzione di soggetti non malati che presentano il medesimo reperto.
        proporzione di pazienti malati che presentano il segno obiettivo
LR = ——————————————————————————
        proporzione di soggetti non malati che presentano il segno obiettivo
L’aggettivo “positivo” o “negativo” indica se il rapporto di verosimiglianza si riferisce alla presenza (“risultato positivo”) o all’assenza del segno obiettivo (“risultato negativo”).
Il rapporto di verosimiglianza positivo si riferisce dunque alla proporzione di pazienti malati che presentano questo reperto clinico diviso per la proporzione di soggetti non malati che presentano il medesimo reperto. […]

Il rapporto di verosimiglianza negativo si riferisce analogamente alla proporzione di pazienti malati che NON presentano questo reperto clinico diviso per la proporzione di soggetti non malati che non presentano il medesimo reperto.

(FONTE: McGee S. Evidence-based clinical diagnosis. 3rd ed. Philadelphia: Elsevier Saunders; 2012. Chapter 2, Diagnostic accuracy of clinical findings; p. 9-21)

COCHRANE CORNER – Corticosteroidi come terapia aggiuntiva nella meningite batterica

mercoledì, ottobre 9th, 2013

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

La meningite batterica, sebbene sia andata incontro a una riduzione dell’incidenza grazie all’introduzione di vaccini efficaci contro i principali agenti etiologici, presenta ancora oggi un’elevata mortalità, anche nei Paesi Occidentali. Per questo dobbiamo sempre tenerla ben presente tra le ipotesi diagnostiche differenziali dell’alterazione della stato di coscienza in Pronto Soccorso.

In Italia l’incidenza è pari a 3,67 casi/100.000 abitanti/anno, l’82% dei quali è acquisito in comunità. Per le meningiti comunitarie il Pneumococco rappresenta la causa più frequente, seguito dal meningococco (24,6% e 18% dei casi rispettivamente); l’H. Influenzae è responsabile del 5,1% dei casi. Infine, la mortalità delle meningiti acquisite in comunità è pari al 12,1% (1).

Una delle questioni che a tutt’oggi costituisce motivo di dibattito riguarda l’efficacia della somministrazione di corticosteroidi. Fin’ora, infatti, i risultati dei trial randomizzati pubblicati sono eterogenei e contrastanti.

Conoscenze attuali

Le lineeguida IDSA sulla meningite del 2004 (2) raccomandavano la somministrazione di desametasone nei bambini nel caso di infezione da H. Influenzae tipo B (racc. A-I). Qualora la meningite sia sostenuta dallo pneumococco, non vi erano raccomandazioni definitive e l’impiego era da considerarsi opzionale (racc. C-II). Comunque, non era indicata la somministrazione di desametasone dopo l’avvio della terapia antibiotica (racc. A-I).

Negli adulti l’uso era raccomandato nei pazienti con sospetta meningite pneumococcica (racc. A-I), continuando solo se questa era confermata microbiologicamente. Dato che non sempre è chiaro all’inizio quale sia il micro-organismo coinvolto, veniva consigliato di considerare la somministrazione per ogni paziente adulto con meningite (Racc. B-III). Di nuovo, non vi era indicazione alla somministrazione di desametasone dopo l’avvio della terapia antibiotica (racc. A-I).

Più recentemente, una revisione sistematica basata sui dati individuali di 2029 pazienti arruolati in 5 trial non rilevava alcuna efficacia del desametasone nel ridurre mortalità. Contemporaneamente segnalava una riduzione del rischio di perdita dell’udito nei pazienti trattati e sopravvissuti (OR 0,77; 95% C.I. 0,60 – 0,99). L’analisi per sottogruppi non individuava alcuna caratteristica del paziente che permettesse di predire una maggiore efficacia del farmaco, a parte l’età superiore a 55 anni. Tra gli effetti avversi, solo l’iperglicemia risultava più frequente nei pazienti nel gruppo di trattamento (3).

Il farmaco di scelta è il desametasone, il quale presenta una maggiore penetrazione attraverso la barriera emato-encefalica e una più lunga durata d’azione rispetto agli altri corticosteroidi. La posologia proposta nella maggior parte degli studi è di 0,15 mg/Kg ogni 6 per 2-4 giorni (2) (nella maggior parte degli studi la durata era di 4 giorni, alla quale non sia associava una maggiore frequenza di eventi avversi rispetto a cicli più brevi) (4).

La Revisione Cochrane

In questo post ci occuperemo della revisione dal titolo “Corticosteroids for acute bacterial meningitis” (4) che analizza i risultati di 25 studi (in 22 dei quali veniva impiegato il desametasone) per un totale di 4121 pazienti. L’obiettivo principale è quello di valutare l’effetto dell’impiego dei corticosteroidi rispetto al placebo come terapia aggiuntiva rispetto a quella antibiotica sulla mortalità, la perdita dell’udito e altre sequele neurologiche. Tra gli studi inclusi, 4 risultavano essere di alta, 14 di media e 7 di bassa qualità.

I risultati sono riassunti nelle tabella seguente.

 

Mortalità (RR, 95% I.C) Perdita dell’udito (RR, 95% I.C)
Corticosteroidi vs. placebo 0,90 (0,80 – 1,01) 0,74 (0,63 – 0,87)
Sequele neurologiche a breve termine (RR, 95% I.C) Sequele neurologiche a lungo termine(RR, 95% I.C)
Corticosteroidi vs. placebo 0,83 (0,69 – 1,00) 0,90 (0,74 – 1,10)

 

Tab. 1 Risultati complessivi. RR < 1 indicano la superiorità del trattamento con corticosteroidi.

Tra gli eventi avversi, solo la febbre ricorrente risultava essere più frequente nei pazienti trattati con desametasone.

I risultati dell’analisi per sottogruppi è riassunta nella tabella 2.

 

Mortalità (RR, 95% I.C) Perdita dell’udito (RR, 95% I.C)

Fasce d’età

Età < 16 anni

0,89 (0,74 – 1,07)

0,73 (0,61 – 0,86)

Età ≥ 16 anni

0,74 (0,53 – 1,05)

0,74 (0,56 – 0,98)

Agenti etiologici

H. Influenzae

0,76 (0,53 – 1,09)

S. Pneumoniae

0,84 (0,72 – 0,98)

N. Meningitidis

0,71 (0,35 – 1,46)

Quadro socio-economico

Nazioni con basso reddito medio

0,87 (0,67 – 1,15)

0,89 (0,76 – 1,04)

Nazione con elevato reddito medio

0,81 (0,63 – 1,05)

0,58 (0,45 – 0,73)

Tempo di somministrazione del farmaco

Prima o insieme alla prima dose di antibiotico

0,87 (0,69 – 1,09)

0,80 (0,70 – 0,92)

Dopo la prima dose di antibiotico

0,83 (0,55 – 1,26)

0,62 (0,43 – 0,89)

Qualità degli studi

Alta qualità

1,00 (0,88 – 1,14)

0,90 (0,73 – 1,12)

 

Tab. 2 Analisi per sottogruppi pre-definiti. RR < 1 indicano la superiorità del trattamento con corticosteroidi.

Interpretazione – conclusioni

Complessivamente, la somministrazione di desametasone si correla con una riduzione dell’incidenza di calo dell’udito. L’impatto sulla mortalità sarebbe limitato ai casi sostenuti dallo pneumococco. La tendenza, non statisticamente significativa, alla riduzione della mortalità nei pazienti residenti in paesi con reddito pro-capite alto si spiegherebbe con il fatto che in queste nazioni è proprio lo S. Pneumoniae l’agente etiologico di più frequente riscontro. Nell’interpretare le differenze tra i paesi a basso e alto reddito pro-capite, è necessario tenere conto della più alta incidenza di malnutrizione, di AIDS e di presentazione ritardata in Ospedale nei primi.

Non vi sono dati definitivi riguardo al momento migliore per avviare il trattamento. I risultati più favorevoli sulla riduzione del calo dell’udito in caso di somministrazione successiva alla prima dose di antibiotico non sono sufficienti a mio avviso a sostenere una modifica delle indicazioni IDSA di somministrare il farmaco prima o insieme alla prima dose di antibiotico (2).

La somministrazione di desametasone sembrerebbe complessivamente sicura, sebbene la valutazione degli effetti avversi è in parte inficiata dalle diverse definizioni fornite nei singoli studi. Sono stati avanzate preoccupazioni riguardo alla possibilità che l’effetto anti-infiammatorio del desametasone riduca la permeabilità della barriera emato-encefalica limitando la penetrazione degli antibiotici nel liquor cefalo-rachidiano, in particolare della vancomicina. Sebbene dati di laboratorio sembrerebbero ridimensionare questo allarme, è comunque necessario monitorizzare con ulteriore attenzione i pazienti cui vengono somministrati entrambe i farmaci contemporaneamente.

Bibliografia

  1. Giorgi Rossi P, Mantovani J, Ferroni E, Forcina A, Stanghellini E, Curtale F, Borgia P. Incidence of bacterial meningitis (2001-2005) in Lazio, Italy: the results of an integrated survelliance system. BMC Infect Dis 2009; 9: 13. Link

  2. Tunkel AR, Hartman BJ, Kaplan SL, Kaufman BA, Roos KL, Scheld WM, Whitley RJ. Practical guidelines for the management of bacterial meningitis. Clin Infect Dis 2004;39: 1267-1284. Link

  3. van de Beek D, Farrar JJ, de Gans J, Mai NTH, Molyneux EM, Peltola H, Peto TE, Roine I, Scarborough M, Schultsz C, Thwaites GE, Tuan PQ, Zwinderman AH. Adjunctive dexamethasone in bacterial meningitis. A meta-analysis of individual patient data. Lancet Neurol 2010; 9: 254-263. Link

  4. Brouwer MC, McIntyre P, Prasad K, van de Beek D. Corticosteroids for acute bacterial meningitis. Cochrane Database of systematic Reviews 2013; Issue 6. Art. No: CD004405. Link

COCHRANE CORNER – Iniziare la terapia per un episodio acuto di malattia trombo-embolica venosa

mercoledì, settembre 11th, 2013

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter @P_Balzaretti

In questo post ci occuperemo di due recenti revisioni della Cochrane Collaboration riguardanti il trattamento iniziale di un episodio di malattia trombo-embolica venosa (MTEV): la posologia dell’eparina a basso peso molecolare (EBPM) e il dosaggio iniziale di warfarin.

Mono- o bi-somministrazione per l’eparina a basso peso molecolare (EBPM)?

Nei primi studi che verificarono l’efficacia del trattamento con EBPM per la MTEV furono impiegati regimi terapeutici che prevedevano la somministrazione del farmaco 2 volte al giorno, approccio dovrebbe garantire una maggiore stabilità dell’attività anti-coagulante e dunque un minor rischio di complicanze.

Per altro verso, dato che un’unica somministrazione favorisce solitamente una maggiore compliance terapeutica, nel corso degli anni sono stati condotti alcuni trial per valutarne l’efficacia e la sicurezza rispetto alla bi-somministrazione. I loro risultati sono stati incorporati in precedenti revisioni Cochrane (1) e nelle Linee Guida ACCP “per la terapia anti-trombotica a la prevenzione della trombosi” (9° ed.) (2), nella quali si concludeva che “in pazienti con TVP acuta dell’arto inferiore o TEP trattati con EBPM, si suggerisce l’impiego della mono piuttosto che della bi-somministrazione giornaliera (a parità di dose giornaliera)” (Racc. 2.5.2, grado 2C e racc. 5.4.2, grado 2C).

Queste raccomandazioni sono attuali? Un aggiornamento delle evidenze a riguardo è contenuto nella revisione sistematica Cochrane dal titolo “Once versus twice daily low molecular weight heaprin for the initial treatment of venous thromboembolism” (3). Gli outcome primari dello studio sono l’incidenza di recidiva sintomatica di MTEV e quella di emorragie maggiori (ovvero intracraniche, retro-peritoneali, fatali o per le quali è stato necessario ricorrere a trasfusioni, all’interruzione del trattamento o a intervento chirurgico).

Sono stati inclusi 5 trial clinici randomizzati per un totale di 1508 pazienti. Nella tabella 1 vi è una sintesi dei regimi terapeutici impiegati nei singoli studi.

 

Patologia

Gruppo di intervento

Gruppo di controllo

Charbonnier 1998

TVP prossimale sintomatica

Nadroparina 20.500 AXa-U al giorno

Nadroparina 10.250 AXa-U x 2 volte al giorno

Holmstrom 1992

Primo episodio TVP

Dalteparina 200 AXa-U/kg al giorno

Dalteparina 200 AXa-U/kg x 2 volte al giorno

Merli 2001

TVP sintomatica

Enoxaparina 1,5 mg/kg al giorno

Enoxaparina 1 mg/kg x 2 volte al giorno

Partsch 1996

TVP prossimale

Dalteparina 200 AXa-U/kg al giorno

Dalteparina 200 AXa-U/kg x 2 volte al giorno

Siegbahn 1989

TVP

Logiparina 150 AXa-U/kg al giorno

Dalteparina 75 AXa-U/kg x 2 volte al giorno

 

Tab.1 Regimi terapeutici utilizzati negli studi inclusi nella revisione. La logiparina non è in commercio in Italia. Enoxaprina 1 mg equivale a enoxaparina 100 AXa-UI.

I risultati sono riassunti nella tab. 2.

 

OR (I.C. 95%) N° di studi che includevano l’outcome (n° di pazienti)
Recidiva di METV 0,82 (0,49 – 1,39) 2 (1281)
Incidenza di eventi emorragici 0,77 (0,40 – 1,45) 5 (1508)
Mortalità 1,14 (0,62 – 2,08) 4 (1421)

 

Tab. 2. Analisi dei risultati. OR < 1 favoriscono la mono-somministrazione.

 

I risultati di questo lavoro sembrerebbero suggerire che le due modalità di somministrazione sono equivalenti in termini di efficacia e di sicurezza. Nel complesso però queste evidenze non possono considerarsi conclusive. In primo luogo, gli studi riguardano unicamente pazienti con TVP e non con TEP: pur essendo ormai riconosciuto universalmente che le due entità rappresentano differenti aspetti del medesimo processo patologico, sarebbe comunque opportuno valutare che le conclusioni ottenute siano effettivamente applicabili anche nei pazienti con embolia polmonare.

Bisogna per altro tenere a mente che questi risultati non si applicano a pazienti con insufficienza renale, sistematicamente esclusi dall’arruolamento in questi lavori.

5 o 10 mg di warfarin per avviare la terapia anti-coagulante orale (TAO)?

Abitualmente, il secondo passo nella gestione iniziale del paziente con MTEV è quello di avviare la TAO. Una delle questioni da sempre più dibattute concerne il dosaggio iniziale di warfarin cui far ricorso, 5 o 10 mg. Il vantaggio di utilizzare dosi più elevate è teoricamente quello di raggiungere il range terapeutico più rapidamente, correndo però i rischi di eventi avversi legati all’alta variabilità della risposta individuale al warfarin. In questo caso, le già citate linee guida ACCP (4) contengono la seguente indicazione: “in pazienti in condizioni generali sufficientemente buone da poter essere trattati in sede ambulatoriale, si suggerisce di iniziare la terapia con inibitori della vitamina K impiegando il warfarin 10 mg al giorno per i primi due giorni seguito da un dosaggio basato sulle misurazioni dell’INR […]”.

Questa è una raccomandazione debole basata su evidenze di bassa qualità (grado 2C), certificando di fatto le molte incertezze sull’argomento. La revisione di cui ci apprestiamo a parlare ha come obiettivo proprio quello di mettere insieme le evidenze migliori, quelle tratte dai trial clinici randomizzati, per tentare di fornire indicazioni più consistenti.

La revisione, dal titolo “Warfarin initiation nomograms for venous thromboembolism” (5), include 4 studi per complessivi 494 pazienti arruolati. L’outcome primario è la proporzione di pazienti nel range terapeutico dell’INR (2-3) al 5° giorno dopo l’avvio del trattamento. Outcome secondari sono l’incidenza di recidive di MTEV, l’incidenza di emorragie maggiori e minori e la durata della degenza ospedaliera. Complessivamente la qualità degli studi era accettabile.

 

RR (I.C. 95%) N° di studi che includevano l’outcome (n° di pazienti) Qualità dell’evidenza
Efficacia terapeutica 1,27 (1,05 – 1,54) 3 (383) Moderata
Recidiva di METV 1,48 (0,39 – 5,56) 3 (362) Bassa
Incidenza di eventi emorragici maggiori 0,97 (0,27 – 3,51) 4 (494) Moderata
Incidenza di eventi emorragici minori 0,52 (0,15 – 1,83) 2 (243) Molto bassa

 

Tab. 3. Risultati della metanalisi. Valori > 1 favoriscono il trattamento con 10 mg

 

Dunque avviare il trattamento con 10 mg si correla ad un più rapido raggiungimento del range terapeutico, confermando quanto raccomandato dall’ACCP. Il risultato è statisticamente significativo ma l’ampia eterogeneità, legata almeno in parte al fatto che in alcuni studi sono stati arruolati pazienti ambulatoriali e in altri pazienti ricoverati, ne limita la consistenza. Questa maggiore efficacia non va a scapito della sicurezza: il rischio di eventi emorragici maggiori è sovrapponibile tra i due trattamenti.

 

Bibliografia

  1. van Dongen CJ, Mac Gillavry MR, Prins MH. Once versus twice daily low molecular weight heparin for the initial treatment of venous thromboembolism. Cochrane Database Systematic Rev 2005; Issue 3. [DOI: 10.1002/14651858.CD003074.pub2] Link

  2. Kearon C, Akl EA, Comerota AJ, et al. Antithrombotic therapy for VTE disease. Antithrombotic therapy and prevention of thrombosis, 9th ed: American College of Chest Physicians Evidence-based Clinical Practice Guidelines. Chest 2012; 141 (2 suppl): e419S-e494S. Link

  3. Bhutia S, Wong PF. Once versus twice daily low molecular weight heaprin for the initial treatment of venous thromboembolism. Cochrane Database Systematic Rev 2013; Issue 7. [DOI: 10.1002/14651858.CD003074.pub3] Link

  4. Holbrook A, Schulman S, Witt DM, et al. Evidence-based management of anticoagulant therapy. Antithrombotic therapy and prevention of thrombosis, 9th ed: American College of Chest Physicians Evidence-based Clinical Practice Guidelines. Chest 2012; 141 (2 suppl): e152S-e184S. Link

  5. Garcia P, Ruiz W, Loza Munarriz C. Warfarin initiation nomograms for venous thromboembolism. Cochrane Database Systematic Rev 2013; Issue 7. Art: CD007699. [DOI: 10.1002/14651858.CD007699.pub2] Link

Quali farmaci per il mal di denti? Può aiutarci l’NNT

lunedì, settembre 2nd, 2013

di Ciro Paolillo,

MD Medicina d’Urgenza Azienda Ospedaliero Universitaria Udine

@EDstudy

www.alifeatrisk.com

 

Da poco sono passate le 3 di notte, finalmente si respira, la sala di attesa del Pronto Soccorso si è svuotata, si assapora un meritato caffè.

Aiutatemi” dice a bassa voce un giovane presentatosi trafelato con del ghiaccio sulla guancia “ieri il mio dentista mi ha tolto il dente del giudizio ed ho un male cane”.

L’aspetto è sofferente, la guancia è lievemente gonfia riesce a malapena ad aprire la bocca, si intravede la sutura in seta, per fortuna non sta sanguinando.

Il dentista di fiducia aveva prescritto una profilassi antibiotica e come analgesico dell’ibuprofene 200 mg X 3.

Effettivamente il mal di denti dopo una estrazione fa tanto male, i farmaci a disposizione sono tra i più disparati, FANS, paracetamolo, oppioidi, cortisone. Certamente in questi tipi di dolore la terapia combinata è più efficace, ma come ci si può districare tenendo d’occhio da un lato l’efficacia e dall’altro le dosi e gli effetti collaterali?

L’NNT (Number Need to Threat) può essere di aiuto in questo caso: indica il numero di pazienti che bisogna trattare usando un determinato farmaco o ricorrendo ad una combinazione di più farmaci paragonati ad un placebo, affinchè un solo paziente veda ridotto del 50% il suo mal di denti dopo circa 4 ore, in pratica più basso è il valore dell’NNT maggiore è l’efficacia della terapia. (vedi tabella allegata).

La combinazione ibuprofene – paracetamolo sembra essere la squadra vincente: insieme hanno miglior efficacia che da soli, agiscono con meccanismi diversi e soprattutto usandoli in modo combinato possono essere prescritti a dosaggi inferiori riducendo in tal modo i fastidiosi effetti collaterali.

Secondo le raccomandazioni dei dentisti americani (www.ada.org) il nostro malcapitato che riferisce un dolore severo andrebbe trattato con 400-600 mg di ibuprofene + 500 mg di paracetamolo ogni 4 – 6 ore, e se il dolore persistesse si può aggiungere come terza molecola l’idrocodone 10 mg ogni 4 – 6 ore.

Il trattamento del mal di denti nei pazienti da poco sottoposti ad estrazioni dentarie è una sfida quotidiana, certamente la terapia combinata può essere un’arma vincente, ma va cucita di volta in volta come un abito tenendo conto delle caratteristiche e dei fattori di rischio del paziente.

Tanto ancora resta da focalizzare: meglio prescrivere la terapia al bisogno o ad intervalli prefissati? Un anestetico locale long-acting iniettato nell’ambulatorio dentistico prima di alzarsi dal lettino potrebbe essere utile?

In attesa che in un futuro non troppo lontano la genetica potrà dire la sua predicendo se una terapia potrà essere o meno efficace sfruttiamo il buon NNT.

 

Per chi volesse approfondire:

  • PA Moore, Combining ibuprofen and acetaminophen for acute pain management after third-molar extractions, JADA 1 Agosto 2013 vol 144 pagg 898-908
  • EV Hersh, Precribing reccomendations for the treatment of acute pain in dentistry, Compendium pubblicato nell’aprile 2011. Scaricabile gratuitamente dal sito www.dentalaegis.com (sezione compendium).

 

COCHRANE CORNER: colecistectomia laparoscopica immediata o in elezione in pazienti con colecistite acuta?

mercoledì, luglio 31st, 2013

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

@P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali.

L’impiego della tecnica laparoscopica per l’intervento di colecistectomia in paziente con patologia litiasica delle vie biliari costituisce una pratica standard ormai ampliamente diffusa e consolidata (1). Ciò che risulta essere a tutt’oggi fonte di discussione è il timing dell’intervento in caso di colecistite acuta. Vi sono due possibilità: intervenire immediatamente, durante l’episodio acuto, oppure attendere che il processo infiammatorio si “raffreddi”, posticipando la procedura di almeno 6 settimane. Quest’ultimo approccio risulta essere assolutamente maggioritario nella pratica attuale.

La decisione circa quando intervenire dipende come sempre dal bilancio tra rischi e benefici delle due strategie. Da un lato, l’intervento in elezione espone al rischio di complicanze legato alla permanenza dei calcoli nelle vie biliari: recidiva o mancata risoluzione della colecistite, colica biliare, colangite, pancreatite acuta e ittero colestatico. Per altro verso, si ritiene che la colecistectomia laparoscopica in urgenza si correli ad un maggior rischio di complicanze intra-operatorie quali la lesione del dotto biliare principale e la necessità di convertire l’intervento in una colecistectomia a cielo aperto (dovuta più frequentemente alla mancata visualizzazione del triangolo di Calot a causa della flogosi stessa).

La prima revisione dello stesso gruppo di ricerca, del 2006, già dimostrava che la colecistectomia in urgenza rappresentava una procedura sicura, in grado di ridurre la durata del ricovero ospedaliero (2), conclusioni venivano confermate dall’aggiornamento successivo del 2009 (3). Anche una revisione sistematica di un altro gruppo, pubblicata nel 2008, riportava l’assenza di differenze statisticamente significative tra il trattamento precoce e quello tardivo in termini di conversione alla procedura open e di insorgenza di complicanze (4).

La Revisione Cochrane

Titolo: Early versus delayed laparoscopic cholecystectomy for people with acute cholecystitis.

Autori: Gurusamy KS, Davidson C, Gluud C, Davidson BR.

Citazione bibliografica:Cochrane Database of Systematic Reviews 2013, Issue 6. Art. No.:

CD005440. DOI: 10.1002/14651858.CD005440.pub3.

Link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23813477

Obiettivo: Valutare i rischi e i benefici della colecistectomia laparoscopica precoce rispetto alla colecistectomia in elezione in pazienti con colecistite acuta.

Studi inclusi: trial randomizzati controllati che confrontano pazienti con colecistite acuta sottoposti ad intervento di colecistectomia laparoscopica precocmente o in elezione.

Outcome primario: Mortalità a 90 giorni, lesione della via biliare principale, altre complicanze gravi, qualità della vita.

Outcome secondari: necessità di conversione alla procedure open, durata complessiva del ricovero ospedaliero, durata dell’intervento, tempo necessario al rientro al lavoro.

N°. di studi inclusi: 6

Qualità degli studi inclusi: tutti gli studi sono ad elevato rischio di bias; questo perché in nessuno di essi è presente un confronto in cieco. In altri termini, tanto il medico quanto il paziente erano al corrente del gruppo di trattamento cui erano stati assegnati. L’introduzione del cieco, quanto meno per il paziente, avrebbe richiesto l’impiego di una colecistectomia laparoscopica simulata, cosa che avrebbe posto dei dubbi sull’eticità dello studio.

N° di pazienti: 488

Risultati: i risultati sono sintetizzati nella tabella seguente.

 

Outcome

Peto OR (95% I.C.)

Qualità dell’evidenza

Mortalità

Non calcolabile perché l’evento non si è verificato.

Molto bassa

Lesione della via biliare principale

0,49 (0,05 – 4,72)

Molto bassa

Altre complicanze gravi

1,29 (0,69 – 2,72)

Molto bassa

Necessità di conversione alla procedure open

0,89 (0,63 – 1,25)

Molto bassa

Durata complessiva del ricovero ospedaliero (gg)

-4,12 (-5,22 – -3,03)

Moderata

Durata dell’intervento (min)

-1,22 (-3,07 – 0,64)

Moderata

Tempo per il rientro al lavoro (gg)*

-11 (-19,61 – -2,39)

Molto bassa

 

Tabella 1. Risultati della revisione Cochrane. RR minori di 1 segnalano una superiorità dell’intervento precoce. Nessuno studio riportava dati riguardanti la qualità della vita. (*) Dati basati sui i risultati di un singolo studio.

Interpretazione – conclusioni

Questa meta-analisi non presenta dimensioni sufficienti per misurare differenze statistiche tra le due strategie terapeutiche né per quanto riguarda la mortalità, né per le lesioni del dotto biliare principale e per altre complicanze gravi: per esempio, per rilevare eventuali differenze significative in termini di lesioni della via biliare principale sarebbe necessario un RCT che arruolasse un campione di circa 77.854 pazienti! Essendo poco probabile che vengano avviati studi di queste proporzioni, l’unica speranza è che si aggiungano in futuro trial più piccoli i cui risultati, valutati in modo aggregato nell’ambito di meta-analisi, possano fornire risultati con intervalli di confidenza meno ampi e dunque più affidabili.

Per quanto riguarda il dato sulla durata complessiva del ricovero, questo fa riferimento alla durata complessiva del follow up. Nel gruppo dei pazienti trattati precocemente, i giorni complessivi di ricovero erano circa 4 mentre in quelli operati elettivamente 9. Ciò è dovuto al fatto che i pazienti nel gruppo di trattamento in elezione andavano incontro a due ricoveri, quello dell’evento acuto e quello dell’intervento.

Un ultima osservazione: nei singoli studi, i pazienti venivano operati dopo 6-12 settimane dall’episodio acuto. Ma quali sono le liste d’attesa per l’intervento nel mondo reale? E’ possibile che nel caso in cui l’attesa per l’intervento sia maggiore aumenti anche il rischio di complicanze correlate alla persistenza di calcoli nelle vie biliari.

In conclusione, evidenze di bassa qualità porterebbero a ipotizzare che in pazienti con colecistite acuta, la colecistectomia laparoscopica precoce sarebbe ugualmente sicura rispetto a quella in elezione e permetterebbe di ridurre i tempi di ricovero.

Bibliografia

  1. Keus F, de Jong JA, Gooszen HG, van Laarhoven CJ. Laparoscopic versus open cholecystectomy for patients with symptomatic cholecystolithiasis. Cochrane Database Syst Rev. 2006 Oct 18;(4):CD006231. Link

  2. Gurusamy KS, Samraj K. Early versus delayed laparoscopic cholecystectomy for acute cholecystitis. Cochrane Database Syst Rev. 2006 Oct 18;(4):CD005440. Link

  3. Gurusamy KS, Samraj K, Gluud C, Wilson E, Davidson BR. Meta-analysis of randomized controlled trials on the safety and effectiveness of early versus delayed laparoscopic cholecystectomy for acute cholecystitis. Br J Surg 2010; 97: 141-150. Link
  4. Siddiqui T, MacDonald A, Chong PS, Jenkins JT. Early versus delayed laparoscopic cholecistectomy for acute cholecystitis: a meta-analysis of randomized clinical trials. Link

 

I farmaci antiaggreganti peggiorano la prognosi dei pazienti con trauma cranico

martedì, maggio 21st, 2013

Lo dimostra il primo studio multicentrico promosso da Simeu pubblicato sulla rivista scientifica “Critical Care”


La terapia di prevenzione per patologie cardiovascolari condotta con la somministrazione di farmaci antiaggreganti contribuisce negativamente sulla prognosi dei pazienti con trauma cranico.

L’evidenza scientifica di questa, che fino ad oggi era solo un’ipotesi, arriva dai risultati del primo studio multicentrico promosso da Simeu pubblicato su Critical Care, fra le principali riviste scientifiche internazionali dell’area dell’emergenza.

Lo studio, dal titolo “Effetti della terapia con farmaci antiaggreganti sui pazienti con trauma cranico”, ha coinvolto un campione di 1.558 pazienti adulti con diagnosi di pronto soccorso di trauma cranico lieve, moderato o severo, in trenta centri ospedalieri su tutto il territorio nazionale e specialisti della medicina d’emergenza-urgenza e della neurochirurgia, e fornisce per la prima volta evidenza scientifica di una consapevolezza diffusa in emergenza, ma mai provata fino a oggi.

La ricerca assume particolare rilevanza in considerazione dell’aumentato impiego dei farmaci antiaggreganti a scopo di prevenzione del rischio cardiovascolare nella popolazione generale, e del fatto che, probabilmente come conseguenza dell’impatto sui giovani delle campagne di prevenzione contro gli incidenti stradali, l’età media delle vittime di traumi per incidente si è progressivamente alzata.Nel Nord Italia, ad esempio, il 5% della popolazione assume antiaggreganti, e il 30% di questo campione ha più di 65 anni. Dalla ricerca condotta dal gruppo di studio si evince che i soggetti traumatizzati che assumono antiaggreganti hanno più complicanze a breve termine, e un esito più sfavorevole a lungo termine.

Referenti e coordinatori dello studio sono stati Andrea Fabbri, direttore del Dipartimento di emergenza, del Presidio Ospedaliero Morgagni-Pierantoni, dell’Azienda Usl di Forlì, e Franco Servadei, direttore della struttura complessa di Neurochirurgia-Neurotraumatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma.

L’articolo è disponbile gratuitamente on line sul sito internet della rivista Critical Care e su PubMed, la principale banca dati biomedica accessibile anche questa gratuitamente on line.

L’Acep aderisce alla Campagna “Choosing Wisely”

venerdì, marzo 1st, 2013


di Paolo Balzaretti, redazione blog Simeu

 

Il 20 febbraio, con un post sul suo blog ufficiale, “The Central Line”, l’Acep ha reso noto di aver segnalato la sua disponibilità ad aderire alla Campagna “Choosing Wisely”.

La campagna “Choosing Wisely”

Si tratta di un iniziativa dell’ Abim (America Board of Internal Medicine) che si prefigge come scopo principale quello di assistere e incoraggiare medici e pazienti a riflettere e confrontarsi circa test e procedure che potrebbero essere inutili e, in alcuni casi, addirittura dannose. Il progetto coinvolge da un lato importanti Società Scientifiche mediche e dall’altro Associazioni che rappresentano gli interessi dei pazienti. Il mezzo attraverso il quale vuole garantire questo supporto è costituito dalla pubblicazione, a cura delle Società Scientifiche coinvolte, di liste di test o procedure le cui necessità deve essere messa in discussione. Una lista completa delle Società aderenti la si può trovare sul sito.

A partire da quattro principi fondamentali, l’idea è quella di modellare l’assistenza medica in modo che:

  • sia sostenuta da prove di efficacia
  • eviti la ripetizione di test o procedure cui il paziente è già stato sottoposto
  • sia priva di rischi
  • sia veramente necessaria

Tutte le liste prodotte finora sono liberamente consultabili dal sito dell’iniziativa. Per ulteriori aggiornamenti sulla campagna, è possibile seguire l’hashtag #ChoosingWisely su Twitter (account: @ABIMFoundation), collegarsi alla pagina Facebook o seguire il blog “The Medical Professionalism Blog”.

EMPills si è già occupata di “Choosing Wisely” con un post.

L’adesione dell’Acep a “Choosing Wisely”

Inizialmente l’ACEP non aveva aderito all’iniziativa temendo che le sue istanze non fossero compatibili con la natura della medicina d’urgenza e che potessero creare problemi di natura medico-legale nonché di rimborso assicurativo. Il College aveva comunque avviato i lavori di una Task Force interna che valutasse quali test e procedure, in medicina d’urgenza, potessero essere considerati inutili e dunque eliminabili, consentendo un risparmio di risorse.

Questo gruppo di lavoro ha effettivamente confermato che procedure considerabili superflue secondo i criteri di Choosing Wisely esistono anche in Pronto Soccorso, e, a seguito della revisione dei risultati del loro lavoro, è stato deciso di aderire alla Campagna.

La prima lista dell’ACEP dovrebbe essere pubblicata a giugno. Alcuni, come Joe Lex, già avanzano alcune proposte (non più TC encefalo a pazienti che hanno sincopato o il d-dimero a tutti, per esempio).

Voi cosa pensate? Quali test (e in quale situazione) sono a vostro parere superflui in Medicina d’Urgenza?

Fateci sapere.

Mubee – Medicina d’Urgenza Basata sulle Evidenze di Efficacia

martedì, febbraio 12th, 2013

Cercare le prove di efficacia: porsi le domande giuste

di Paolo Balzaretti

Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza dell’azienda ospedaliera “Ordine Mauriziano” di Torino

 

E’ ancora più facile giudicare lamente di unuomo dalle suedomande chedalle sue risposte.”

Pierre-Marc-Gaston, duc de Lévis (1764-1830), Maximes et réflexions sur différents sujets de morale et de politique (Paris, 1808): Maxim xvii.

Spesso, nella nostra pratica quotidiana, ci troviamo di fronte a quesiti cui non sappiamo rispondere, una situazione da alcuni autori definita di “dissonanza cognitiva”. Una possibile reazione, negativa, è quella della colpa e della vergogna. Un’altra, più positiva, è quella di tradurre questo disagio nello stimolo a cercare una risposta, ampliando il proprio bagaglio culturale (1).

Quando dobbiamo cercare nuove informazioni, il primo strumento cui pensiamo di far ricorso, oggigiorno, è Internet. L’enorme quantità di informazioni che il Web ci mette a disposizione rappresenta allo stesso tempo una risorsa impagabile per arricchire la nostra conoscenza e una pericolosa minaccia, laddove le informazioni vengano acquisite senza un’opportuna contestualizzazione e valutazione critica.

Per mezzo di questo post e dei prossimi a venire, tenteremo di illustrare e discutere alcuni elementi di base della ricerca di informazioni scientifiche sulla Rete e in generale nella letteratura biomedica affinché ciò possa diventare parte modo di fare medicina.

Cosa stiamo cercando? “Background” e “foreground” questions.

Fin dall’inizio, i promotori dell’EBM hanno sottolineato come il primo passo per cercare in modo efficace informazioni è quello di porre dei quesiti chiari e completi, cui effettivamente sia possibile fornire risposte pertinenti (1). Secondo una delle impostazioni classiche è possibile, partendo da una domanda formulata correttamente, giungere al tipo di studio che può fornirci la risposta più valida e quindi al database dove cercarlo. Tale approccio è sintetizzato nella figura 1.

 

Fig. 1. Dalla domanda al luogo ideale dove cercare la risposta

Una volta dunque che abbiamo maturato un quesito clinico, dobbiamo chiederci se appartiene alle “background questions” o alle “foreground questions”. Le prime riguardano le conoscenze biologiche e cliniche di base, normalmente acquisite durante le propria formazione, ma il cui continuo progredire impone spesso la necessità di tornare a rivederle, magari per comprendere meglio il meccanismo d’azione di un nuovo farmaco o i presupposti di un dato semeiologico. Esempi di queste domande sono: “qual’è la composizione della placca aterosclerotica?”, oppure “quali sono i batteri più frequentemente coinvolti nelle polmoniti acquisite in comunità?”. Fonte più adeguate cui attingere risposte, in questo caso, sono i libri testo cartacei, quelli online e talvolta le review.

Le “foreground questions” riguardano problemi maggiormente legati alla pratica quotidiana, correlate al continuo accumularsi di nuovi dati forniti dalla ricerca o al confronto con situazioni che per la loro peculiarità ci risultano nuove o comunque inusuali. Rientrano in questo gruppo quesiti del tipo “Qual è l’accuratezza diagnostica della procalcitonina per la diagnosi di infezione in pazienti post-chirurgici?” oppure “quale farmaco è più efficace per trattare il dolore in corso di colica renale?”.

Modellare le proprie domande: il formato “PICO”

Una volta chiarito che il nostro interrogativo rientra tra le “foreground questions”, è possibile riformularlo secondo il formato PICO (Patient – Intervention – Comparison – Outcome) (2). Anche se a prima vista l’idea di un unico strumento rigido nel quale “imbrigliare” i nostri dubbi più diversi possa sembrare limitante, a mio avviso il suo utilizzo ci consente di creare domande più complete e chiare, consentendoci ottenere risultati dalla ricerca più precisi, come ipotizzato da un piccolo studio pilota (3).

Le quattro parti sono così distinte:

  • Paziente: popolazione, gruppo di soggetti nel quale è calato il nostro quesito.
  • Intervento: trattamento, test diagnostico, strumento prognostico sulla cui performance ci interroghiamo;
  • Confronto: trattamento, test diagnostico, strumento prognostico rispetto al quale vogliamo misurare la prestazione dell’Intervento;
  • Outcome (“esito”): parametro che abbiamo scelto di utilizzare per stimare la performance dell’Intervento rispetto al Confronto.

Le domande possono essere ulteriormente modellate in rapporto all’area clinica di provenienza; a questo proposito utilizzeremo lo schema proposto dalla “Users’ Guides to the Medical Literature” basato su 5 aree differenti: terapia, effetti avversi, diagnosi, diagnosi differenziale, prognosi (4).

Una sintesi del processo, con relativi esempi, è sintetizzata nella tabella seguente.

Paziente

Intervento

Confronto

Outcome

TRATTAMENTO Popolazione di interesse Opzione terapeutica Opz. terapeutica alternativa Esito di interesse
Esempio Pazienti con TEP e segni di disfunzione ventricolare destra Trombolisi Eparina a basso peso molecolare Sopravvivenza
Quesito riformulato In pazienti con TEP e segni di funzione ventricolare destra, la trombolisi rispetto all’eparina a basso peso molecolare migliora la sopravvivenza?

Paziente

Intervento

Confronto

Outcome

EFFETTI AVVERSI Popolazione di interesse Trattamento/test diagnostico Trattamento/test diagnostico alternativo Evento avverso di interesse.
Esempio Pazienti con ictus ischemico Eparina a basso peso molecolare a dosi profilattiche Nessun trattamento Complicanze emorragiche intracraniche
Quesito riformulato

In pazienti con ictus ischemico, la somministrazione di eparina a basso peso molecolare a dosi profilattiche si correla ad una maggiore incidenza di complicanze emorragiche rispetto a nessun trattamento?

Paziente

Intervento

Confronto

Outcome

DIAGNOSI Popolazione di interesse Test diagnostico Test diagnostico alternativo Corretta definizione del disturbo
Esempio Pazienti con trauma toracico Ecografia polmonare Rx torace Diagnosi di pneumotorace
Quesito riformulato In pazienti con trauma toracico, l’ecografia rispetto all’Rx torace permette una diagnosi più accurata di pneumotorace?

Paziente

Intervento

Confronto

Outcome

DIAGNOSI DIFFERENZIALE Popolazione di interesse Iter diagnostico appropriato/abituale Distribuzione delle possibili cause
Esempio Pazienti con dolore addominale Anamnesi – esame obiettivo – TC addome Possibili cause
Quesito riformulato In pazienti con dolore addominale, studiati per mezzo dell’anamnesi, dell’esame obiettivo e della TC dell’addome, quali sono le possibili cause del disturbo?

Paziente

Intervento

Confronto

Outcome

PROGNOSI Popolazione di interesse Fattore prognostico presente Fattore prognostico assente Esito di interesse

Esempio

Pazienti con ictus

Febbre

Apiressia

Recupero funzionale soddisfacente

Quesito riformulato

In pazienti con ictus, coloro che sviluppano febbre, rispetto a colore che permangono apiretici, presentano una ridotta probabilità di raggiungere uno recupero funzionale soddisfacente?

Spero che questa tabella così estesa non scoraggi troppe persone. Superata la diffidenza iniziale, l’utilizzo del formato PICO permette di avere le idee più chiare su cosa si cerca e consente di ottenere risposte più utili anche al lavoro, per esempio nel confronto con i consulenti.

Nel prossimo post proseguiremo con la flow chart che abbiamo presentato facendo una panoramica sulla forma che assumono le informazioni nella letteratura scientifica, ovvero gli articoli.

Per approfondire

  1. Straus SE, Glasziou P, Richardson WS, Haynes RB. Evidence-Based Medicine. How to Practice and Teach it. 4th ed. Edinburgh: Churchill Livingstone Elsevier; 2011. Chapter 1, Asking answerable clinical questions; p.13-27.

  2. Richardson WS, Wilson MC, Nishikawa J, Hayward RSA. The well-built clinical question: a key to evidence-based decisions. ACP J Club 1995; 123(3): A12-3. [link]

  3. Schardt C, Adams MB, Owens T, Keitz S, Fontelo P. Utilization of the PICO framework to improve searching PubMed for clinical questions. BMC Med Inform Decis Mak 2007; 7:16. [link]

  4. Guyatt G, Meade MO, Richardson S, Jaeschke R. What is the question?. In: Guyatt G, Rennie D, Meade MO, Cook DJ, editors. Users’ Guides to the Medical Literature. A manual for Evidence-based Clinical Practice. 2nd ed. McGraw Hill Medical; 2008.

La diagnosi radiologica di polmonite

lunedì, gennaio 28th, 2013

 

di Paolo Balzaretti

Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza dell’azienda ospedaliera “Ordine Mauriziano” di Torino

 

La polmonite rappresenta una diagnosi frequente in Pronto Soccorso e la radiografia del torace rappresenta una tappa importante dell’iter diagnostico (1). Ciò nonostante esistono pochi dati circa la sua accuratezza diagnostica nella pratica clinica quotidiana.

Il lavoro di cui ci apprestiamo a parlare, pubblicato nella sezione “ahead of print” dell’American Journal of Emergency Medicine (2), rappresenta un tentativo di colmare questo vuoto.

Sintesi dello studio

Si tratta di un’analisi secondaria di uno studio osservazionale prospettico condotto su pazienti giunti in PS con sintomi acuti cardio-respiratori per i quali il medico accettante richiedeva almeno un accertamento diagnostico nel sospetto di embolia polmonare (3).

L’obiettivo dello studio è quello di calcolare sensibilità e specificità della radiografia per individuare opacità polmonari utilizzando la TC (effettuata sempre con mezzo di contrasto) come reference standard: per questo sono stati inclusi solo pazienti che erano stati sottoposti contemporaneamente ad entrambe gli esami.

Sono stati arruolati complessivamente 3423 pazienti, i quali si presentavano per tosse, dispnea (nel 75,7% dei casi) o dolore toracico. L’incidenza di opacità polmonari rilevata utilizzando la TC era pari al 5,6%. La sensibilità dell’Rx per addensamenti polmonari è pari al 43,5% (C.I. 95% 36,4%-50,8%) e la specificità al 93% (C.I. 95% 92,1%-93,9%). Da questi ho stimato un LR+ pari a 6,15 e un LR- pari a 0,72.

Osservazioni

Il limite principale di questo lavoro risiede nel fatto che l’accuratezza dell’Rx torace è stata valutata a partire da una popolazione di soggetti con un sospetto clinico diverso (tromboembolia polmonare), cosa che comporta dei seri limiti all’applicabilità. E’ molto probabile, infatti, che il profilo clinico e demografico del paziente con sospetta polmonite sia diverso da quello con sospetta TEP; per esempio, si può ipotizzare che i primi presentino più frequentemente tosse e febbre e che abbiano un età più avanzata rispetto a quella della coorte in esame (la cui mediana è tra 52 e 54 anni).

Ciò chiarirebbe in parte anche la bassa incidenza di addensamenti polmonari. Un’altra spiegazione risiederebbe nel fatto che, essendo la decisione di effettuare la TC a carico del medico accettante, si sia soprasseduto alla TC nei casi in cui i sintomi e il quadro Rx fossero stati concordanti e fortemente suggestivi di polmonite.

La stima di sensibilità potrebbe essere in parte sovrastimata per la possibile presenza di diagnostic review bias: i radiologi avevano accesso all’index test (Rx torace) quando interpretavano il reference standard (la TC), cosa che può falsamente aumentare la concordanza tra le due refertazioni (4). Per altro verso l’elevata prevalenza di soggetti obesi (BMI > 30), pari al 36% circa del totale, potrebbe aver influito negativamente sulla possibilità di individuare opacità, magari di piccole dimensioni.

Altri studi

Nonostante l’ampio impiego, non sono state prodotte molte evidenze circa l’impatto diagnostico dell’Rx torace nella diagnosi di polmonite. Gli unici dati confrontabili sono quelli pubblicati da Esayag e colleghi (5) derivanti da uno studio osservazionale prospettico in cui pazienti ricoverati in PS e reparti di Medicina Interna con sospetta polmonite venivano sottoposti a Rx torace a letto e a TC ad alta risoluzione senza m.d.c. (impiegato come reference standard). I risultati di questo lavoro sono riassunti nella seguente tabella:

 

Studio

N° di pazienti

Prevalenza di polmonite (%)

Sensibilità (%)

Specificità (%)

LR+

LR-

Esayag 2010*

58

53

65

74

2,49

0,48

Self 2012

3423

5,6

43,5

93

6,15

0,72

 

Tab. 1. Confronto dei risultati di accuratezza diagnostica dell’Rx torace in PS per la diagnosi di polmonite. *: si considerano i risultati ottenuti considerando gli esami ritenuti incerti come positivi (situazione in cui registrava la migliore accuratezza diagnostica).

I risultati dei due studi sono difficilmente confrontabili: le popolazioni sono nettamente diverse, come dimostrato dai valori di prevalenza di malattia, assai distanti, e dall’età media, molto superiore nello studio di Esayag (83,6 anni); anche la tecnica impiegata (Rx in ortostatismo rispetto ad Rx a letto) è molto diversa. In entrambe i casi la performance dell’Rx torace è piuttosto modesta; in particolare l’elevata percentuale di falsi negativi non permette di escludere in modo sicuro la diagnosi qualora il sospetto clinico sia elevato.

Perché l’Rx torace ha una bassa sensibilità? La ragione principale sembrerebbe essere la sovrapposizione di specifiche strutture del torace ai campi polmonari, impedendone un’accurata esplorazione (in particolare l’area retro-cardiaca, le basi polmonari e gli apici) (5).

Conclusioni

L’accuratezza diagnostica della radiografia del torace per la diagnosi di polmonite è modesta; in particolare, in caso di sospetto clinico elevato, un esame negativo non è in grado di escludere la malattia. Dato che la prognosi dei pazienti che necessitano di ricovero ospedaliero per il sospetto clinico di polmonite in assenza di evidenza radiologica di malattia è sovrapponibile a quella dei pazienti Rx torace diagnostica (6), in caso di forte sospetto clinico, è prudente non ritenersi falsamente rassicurati da una “lastra pulita” ma proseguire con gli accertamenti diagnostici o l’osservazione clinica.

Bibliografia

  1. Mandell LA, et al. Infectious Diseases Society of America/American Thoracic Society consensus guidelines on the management of community-acquired pneumonia in adults. Clin Infect Dis. 2007; 44 Suppl 2: S27-72. [PubMed]

  2. Self WH, et al. High discordance of chest x-ray and computed tomography for detection of pulmonary opacities in ED patients: implications for diagnosing pneumonia. Am J Emerg Med 2012; DOI: 10.1016/j.ajem.2012,08.041. [PubMed]

  3. Courtney DM et al. Clinical features from the history and physical examination that predict the presence or absence of pulmonary embolism in symptomatic emergency department patients: results of a prospective, multicenter study. Ann Emerg Med 2010; 55: 307-315. [PubMed]

  4. Whiting P, et al. Sources of variation and bias in studies of diagnostic accuracy: a systematic review. Ann Intern Med 2004; 140(3): 189-202. [PubMed]

  5. Esayag Y, et al. Diagnostic value of chest radiographs in bedridden patients suspected of having pneumonia. Am J Med 2010;123:88.e1-6. [PubMed]

  6. Basi SK, Marrie TJ, Huang JQ, Majumdar SR.Patients Admitted to Hospital with Suspected Pneumonia and Normal Chest Radiographs: Epidemiology, Microbiology, and Outcomes. Am J Med 2004; 117: 305-311. [PubMed]





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