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Il calo degli accessi in Pronto soccorso per il 2012 non significa che l’Emergenza abbia risolto i suoi problemi

giovedì, giugno 13th, 2013

 

di @SilviaAlparone

 

Nel 2012 i Pronto soccorso italiani hanno registrato un milione di accessi in meno rispetto all’anno precedente. Lo ha sottolineato l’Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Secondo quanto scrive l’agenzia di stampa Ansa,  “stando ai dati trasmessi dalle Regioni al sistema informativo Emur del ministero della Salute per il 2012, si e’ passati da 14.479.595 del 2011 a 13.433.427 del 2012”.  Giovanni Bissoni, nell’editoriale al nuovo Quaderno di Monitor, collana supplementi della rivista dell’Agenas, attribuisce il dato in parte alla crisi economica in seguito alal quale i cittadini rinunciano sempre di più alle cure sanitarie, e in parte all’efficacia delle cure territoriali. “L’Agenas – scrive ancora l’Ansa – ha effettuato un monitoraggio in varie Regioni, dal quale è emerso come sia riconosciuto un ruolo centrale, nel contenimento degli accessi impropri al Pronto soccorso, ai medici del territorio, siano essi il medico di continuità Assistenziale, la guardia medica o il medico di medicina generale. Queste figure professionali, infatti, vengono coinvolte nel 92,9% dei casi, seppur con diverse modalità collaborative.

Su quest’ultimo punto in particolare è intervenuto Giorgio Carbone, presidente nazionale Simeu, in una nota diffusa ai giornali:

Il dato recentemente reso pubblico da Giovanni Bissoni, presidente Agenas, sul milione di accessi in meno nei Pronto soccorso italiani nel 2012 non è assolutamente indice del fatto che i problemi cronici dell’emergenza sanitaria, e in particolare di quella ospedaliera, siano risolti o anche solo migliorati.

Innazitutto il problema principale dei Pronto soccorso non è l’elevato numero di accessi, ma il boarding, cioè lo stazionamento dei pazienti, che dopo aver ricevuto, quasi sempre rapidamente la visita del medico dell’emergenza, poi restano spesso in barella nei corridoi del Pronto soccorso, perché la carenza di letti per acuti nei reparti per i ricoveri ordinari spesso non permette di concludere il loro percorso di cura ospedaliero in tempi ragionevoli. E a seguito dei tagli sulla sanità pubblica, che riguardano tutte le regioni, i letti disponibili negli ospedali sono sempre meno a fronte di un insufficiente incremento del numero di posti letto per la post-acuzie e soprattutto la mancanza della rete di sostegno sociale, il tutto con conseguente e progressivo aggravamento del boarding.

I percorsi di cura sul territorio, a cui Giovanni Bissoni attribuisce in parte il minor numero di accessi in Dea e che sarebbero davvero una fondamentale e concreta risposta al problema del sovraffollamento dei pronto soccorso, ancora non esistono: quasi tutte le regioni sono ancora sguarnite di Cap e Case della salute funzionanti e seriamente integrate con i percorsi dell’assistenza ospedaliera.

In conclusione il calo di accessi al Pronto soccorso non può essere inteso come segnale della soluzione di un problema, quanto piuttosto è interpretabile come risultato delle campagne di dissuasione dall’abuso delle strutture di emergenza ospedaliera da parte di casi clinici più lievi, che in alcune regioni, con l’introduzione del ticket sui codici bianchi, si vedono oggi attribuire interamente il costo delle prestazioni mediche eseguite. Un fattore che, in tempi di grave recessione economica, può incidere effettivamente sulla decisione di rivolgersi alla struttura di emergenza ospedaliera”.

Chiusi gli ambulatori Med del Lazio: un’operazione di maquillage sanitario

mercoledì, aprile 24th, 2013

di @SilviaAlparone

Si è concluso in Lazio il periodo di sperimentazione del progetto Ambulatori MED “percorso veloce codici bianchi e verdi”.

Gli ambulatori erano stati attivati apartire dall’ 15 aprile dello scorso anno in 11 ospedali di Roma e provincia. Il progetto prevedeva la presenza dalle ore 8 alle 20, per tutto l’arco della settimana, in un ambiente prossimo al pronto soccorso, di un medico di medicina generale, che doveva farsi carico dei pazienti con codici più bassi, attribuiti in fase di triage dal personale dell’emergenza: i codici bianchi e parte dei codici verdi.

Gli AmbuMed sono considerati eredi degli Ambulatori Blu, attivati per l’emergenza influenzale del 2012, fra il 16 gennaio e il 16 marzo dell’anno passato. I dati dei flussi dei pazienti negli ambulatori del percorso blu già non erano statisticamente significativi: per il periodo 17 gennaio/13 marzo 2012, in sette strutture di PS del Lazio – di cui due Dea di primo livello e 3 Dea di secondo a Roma e tre PS/Dea in provincia – risulta che ogni ambulatorio abbia visto transitare in media 2-3 pazienti al giorno.

La sperimentazione degli AmbuMED ha confermato questa tendenza.

La chiusura degli Ambulatori Med – afferma Francesco Pugliese, presidente Simeu Lazio – non provoca alcun disagio nella gestione dell’emergenza ospedaliera.

I dati diffusi in questi giorni su alcuni quotidiani parlano di 33 mila pazienti visitati nelle 11 strutture ospedaliere della regione Lazio in cui la sperimentazione è stata condotta, nell’arco di poco meno di un anno: significa 3.000 pazienti in media per ogni struttura, e quindi 8 pazienti visitati in 12 ore in ciascun ospedale.

“Non sono questi i numeri di un’attività che possa seriamente alleviare i problemi del Pronto Soccorso – commenta Pugliese – e ancora una volta abbiamo assistito a un’operazione di maquillage, che non incide sul problema del sovraffollamento. La sua sospensione non genera “caos”, come denunciato in questi giorni: il problema dei servizi di emergenza ospedaliera è lo stazionamento dei pazienti in attesa di ricovero nei reparti, problema articolato, la cui soluzione implica una riorganizzazione dei percorsi all’interno dell’ospedale e sul territorio. L’attività degli ambulatori Med non incideva affatto sui flussi di questi pazienti, che sono i casi più gravi, quelli che risultano avere necessità di ricovero ospedaliero e a cui, in fase di triage, viene attribuito un codice di priorità più alto, dal verde al rosso: i pazienti visti dai medici di Medicina generale negli ambulatori della sperimentazione erano prevalentemente codici bianchi, tutti casi cioè che si rivolgono impropriamente ai pronto soccorso e che dovrebbero invece trovare risposta alle loro richieste sul territorio. Ed è lì quindi che gli ambulatori di Medicina generale dovrebbero essere aperti, nell’ambito dei distretti territoriali, non negli ospedali dove si rischia piuttosto di duplicare un servizio già esistente – quello dei servizi territoriali – con una conseguente duplicazione anche dei costi.

Dell’argomento si sono occupati prevalentemente i quotidiani di Roma città e i periodici di settore. Tra questi:
Il Messaggero, http://www.ilmessaggero.it/roma/roma_ambulatori_anti_caos_chusi_medici_base/notizie/272313.shtml

Quotidiano sanità, http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=14535

e, con la posizione di Simeu: http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=14596

 

Triage: un sistema in divenire

mercoledì, marzo 27th, 2013

Il Congresso nazionale di Riccione e le linee d’indirizzo all’analisi del Tavolo ministeriale su Triage e Obi

 

di Silvia Alparone

 

Una partecipata e vivacissima due giorni dedicata al triage: il Congresso nazionale di Riccione del 21 e 22 marzo scorsi è stato l’occasione per fare il punto su come migliorare il sistema di accesso al pronto soccorso, per rispondere in maniera più efficace alle richieste dei pazienti e ottimizzare l’organizzazione del lavoro degli operatori.

 

A dodici anni dalle prime linee guida ufficiali sul Triage (2001), il Congresso di Riccione ha scattato un’istantanea della situazione così com’è oggi e su quali sono i primi sviluppi necessari.

 

Se nel 2001 le linee guida del Ministero della Salute indicavano la necessità per tutti i pronto soccorso con più di 25 mila accessi all’anno di dotarsi di un Triage, oggi il sistema triage è diffuso in oltre l’85% delle strutture ospedaliere su tutto il territorio nazionale e la necessità principale è di omogeneizzare le procedure nelle diverse regioni. A tale scopo nel 2010 è nato il Coordinamento nazionale triage, promotore del congresso di Riccione, che riunisce rappresentanti di alcune regioni italiane, in cui si erano creati gruppi organizzati di professionisti per curare il miglioramento e l’implementazione della metodica, e le società scientifiche Aniarti, Simeu e Gft.

 

Il coordinamento ha elaborato le linee di indirizzo sul triage (già pubblicate sulla rivista Agenas, Monitor n.29), uno dei documenti da cui parte il lavoro del Tavolo ministeriale su Triage e Obi che produrrà le nuove linee guida ufficiali.

 

Nel documento si parla in particolare di:

  • Portare da quattro a cinque i codici di priorità del triage, distinguendo due categorie all’interno del codice verde, che oggi rappresenta oltre il 60% dei casi del pronto soccorso e che comprende casi molto diversi tra loro per patologia e gravità, nell’ottica della riduzione del rischio clinico
  • Ripensare il ruolo dell’infermiere, aumentandone l’autonomia, mettendolo nelle condizioni di valutare il paziente e impostarne il percorso assistenziale
  • Ridefinire i percorsi in pronto soccorso in base all’intensità di cure necessarie per ciascun caso: per i codici a bassa priorità, sono in corso fasi avanzate di sperimentazione per invio autonomo del triagista ad alcuni specialisti (fast track) o addirittura un percorso completamente gestito dall’infermiere (See and Treat in Toscana)
  • Individuare un sistema di valutazione per attività e outcome del triage

 

Sullo stesso tema in un recente articolo di Quotidiano Sanità, Beniamino Susi, responsabile area Triage di Simeu, ha commentato la Raccomandazione numero 15 del Ministero della Salute, elaborata lo scorso febbraio e intitolata “Morte o grave danno conseguente a non corretta attribuzione del codice triage nella Centrale operativa 118 o all’interno del Pronto Soccorso”. Il documento evidenzia cinque pilastri su cui devono sempre basarsi le procedure al fine di evitare problemi: l’individuazione certa dei protocolli; l’identificazione certa del paziente; la rivalutazione dell’utente in attesa; la formazione del personale addetto al triage; l’attenzione all’ambito logistico-strutturale.

 

La discussione su come migliorare il sistema resta aperta insieme ai lavori del Tavolo ministeriale su Triage e Obi.

 





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