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Un mondo a parte

di Lisa Fantauzzi                                                                                  

Quando ho deciso di iscrivermi al Corso di Laurea in Infermieristica ho da subito capito che mi sarebbe piaciuto essere un’infermiera di emergenza.

Il volontariato nella Pubblica Assistenza della mia città ed il tirocinio mi hanno sicuramente aperto gli occhi, ma man mano che gli studi proseguivano capivo sempre più che il mio posto era quello.

Ovviamente mi rendevo conto che per lavorare in emergenza occorrevano capacità e conoscenze molto specifiche ma, per fortuna, tenacia e determinazione non mi hanno mai abbandonata.

 

Arriva la laurea e dopo solo tre mesi eccomi in un ospedale di periferia, tra i corridoi del Reparto di Chirurgia dove non c’era turno in cui i colleghi non parlavano male del Pronto Soccorso.

Ricoveri che secondo loro si potevano evitare, fatti salire in reparto al cambio turno, magari con un ECG non refertato …

E più li sentivo lamentarsi e più cresceva la voglia di far parte di quel mondo e, dopo un anno, al secondo incarico, mi viene proposto il Pronto Soccorso dell’Ospedale della mia città, il terzo dell’Umbria per numero di accessi.

Un misto tra gioia e terrore per non essere all’altezza, ma dopo un attimo di esitazione è stato un si, un si durato 12 anni.

 

Da subito mi sono resa conto che il Pronto Soccorso ti dà tanto in competenze, professionalità e rapporti umani ma, allo stesso tempo, ti toglie tanto perchè da ogni turno ne esci provato sia psicologicamente che fisicamente.

Il Pronto Soccorso è così, se lo scegli devi essere consapevole che sarà dura, che devi essere pronto a tutto; anche quando sembra tutto tranquillo all’improvviso può scatenarsi il caos assoluto.

 

Io lo definisco “un mondo a parte proprio perché all’interno dell’ospedale non esiste un posto uguale a cominciare dal rapporto speciale che c’è con i colleghi infermieri e con i medici; qualcosa che si instaura solo nei dipartimenti di emergenza e che ti dà l’energia per affrontare ogni nuovo turno.

Con loro ci si può concedere uno sfogo, ci si può confrontare ma soprattutto contare; il più delle volte basta uno sguardo per capirsi, per cambiare atteggiamento, per cambiare strategia; se uno di noi è in difficoltà la “squadra” è sempre pronta a dare tutto il supporto possibile.

 

Ad inizio turno non sai mai cosa ti aspetta, a volte non fai nemmeno in tempo a mettere la divisa, a prendere le consegne, che c’è già qualcuno che ti chiede aiuto.

Il paziente di Pronto Soccorso, indipendentemente dal codice di gravità, esprime un bisogno di salute ed è spaventato, non sa bene quale sarà il suo percorso e cosa dovrà affrontare e, soprattutto, ha bisogno di essere rassicurato.

Ho imparato che a volte stringere una mano è metà della terapia, fermarmi un minuto a scambiare una parola può cambiare lo stato d’animo di quel paziente.

Una frase semplice come “sono qui con te per aiutarti” lo fa sentire al sicuro.

Soprattutto in questo tempo dove tutti sono con il dito puntato contro la Sanità Pubblica, dobbiamo essere ancora più abili nella comunicazione, trasmettere sicurezza ed essere attenti osservatori perché ogni paziente è portatore di una sua storia, di esperienze passate che noi non conosciamo.

 

Siamo noi professionisti a fare la differenza sulla qualità del servizio.

 

Ci sono state storie che ancora oggi porto nel cuore, mi hanno colpito e fatto scendere anche qualche lacrima, non mi vergogno a dirlo, ma alla fine delle giornate di lavoro sono sempre tornata a casa con la consapevolezza di aver dato il mio massimo.

Dopo 12 anni di ritmi frenetici, di tanta pazienza, di studio per mantenere adeguati livelli di conoscenza e competenza, si sono aperti nuovi scenari per me ma non vi nascondo che il “mio Pronto Soccorso” mi manca tanto.

Fiera di essere stata un’infermiera di pronto soccorso, rifarei la stessa scelta altre mille volte.

 

Orgogliosamente Infermiera DEA H San Giovanni Battista – Foligno (PG)

 

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