IL BLOG DI SIMEU

 

Lazzari felici

aprile 11th, 2025 | NO COMMENTS

di Mario Guarino

 

 

Anna ha gli occhi da fare invidia a Bette Davis.

Un intenso colore pervinca con sfumature verdi accentuate dalla violenza della scialitica e dalle meches bionde checontornano il viso. Ottantasei anni ben portati.

Asciutta e con poche rughe di espressione, vaga nel corridoio del pronto soccorso sotto il braccio del figlio Gennaro nella bellezza di una famiglia unita.

Da pochi giorni la diagnosi di demenza ha cambiato il modo di veder la madre, conquistando la dura consapevolezzadi un baratro incipiente e non di accentuazione degli spigoli caratteriali, come pensava. Così, prima il medico di base, poi il neurologo, il geriatra, il cardiologo… ad affollare quell’elenco di medicine da prendere. Ma stasera non regge, è agitata e confusa come non mai e alle undici di sera non c’è specialista che tenga. Quando la Punto grigia entra in camera calda, Anna scende e saluta tutti come se conoscesse. Un ragazzo risponde al saluto con l’unica mano rimasta libera dalla “Desault” che contiene la spalla appena ridotta che, solo adesso a dolore scomparso, gli parebellissima.

 

Emanuele riposa nella stanza effe. Un locale senza bagno del reparto di riabilitazione che accoglie la medicina d’urgenza e la sub-intensiva. La madre e la sorella Antonella, vegliano attente con la compagnia del televisore a volume annientato e che manda le notizie da Gaza. Spoglia come nulla, quella stanza che accoglie un giovane ragazzo accompagnato dalla sedazione palliativa, non nasconde la sua umile bellezza. Del resto così è stato condiviso dai medici, Antonella la madre e soprattutto da Emanuele. “Fiorista e non fioraio!” Solo due giorni primaappariva rizelato dal fatto che alcuni di noi confondevano i due mestieri. “Il fioraio, vende; il fiorista crea” diceva, primadel riposo indotto dai farmaci. Come non averci pensato prima che “prontosoccorsista o accettista” suonano alle nostre orecchie come “fioraio” offuscando la maestosa bellezza del nostro mondo, cadenzato dai ritmi dell’unica certezza: l’incertezza.

 

Angiolina ha voglia di parlare nel letto quattro dell’OBI che l’accoglie da qualche ora dopo che il 118 l’ha raccolta da terra per una caduta, che sarebbe stata stupida se non ci fossero i novantatre anni sulle spalle, e che ha messo arepentaglio il femore. Ha voglia di parlare anche grazie alla morfina che ha spento il dolore. Un passato da cassiera nella migliore pasticceria di Napoli, citata anche nel film “l’oro di Napoli” di Peppino Marotta.

 

Il sovraffollamento quotidiano tende a mollare la presa verso l’una di notte e si attendono gli esami. Cosimo è certo che la confusione di Anna non è dovuta alla demenza. La sonda accarezza l’addome ed una successiva manovradi disostruzione libera Anna da un intestino assopito dai numerosi farmaci degli ultimi giorni.

 

La voce di Angelo è pessima, non intonata e grave, ma le parole di “desiderio” accennata poco prima, viaggianonell’aria suggerite dal cellulare. Ne “l’oro di Napoli” fa da colonna sonora all’episodio “Teresa” nel quale una bellissima Silvana Mangano tenta di fuggire ad un destino beffardo.

 

Da sempre ho pensato che essere un medico o un infermiere d’urgenza sia un autentico privilegio e che questa vita non la puoi scegliere. Nessuno sceglierebbe un quotidiano complesso, difficile eppure estremamente affascinante. E’ lei che ti sceglie, come una Partenope incantatrice ti sussurra con voce soave nelle orecchie e, se ascolti, non hai scampo.

 

Angiolina il giorno dopo sarà dimessa con la promessa, da parte della nipote, di non lasciarla da sola.

Anna lascerà il pronto soccorso all’alba del giorno dopo, con l’intestino libero e la borsa svuotata di molti farmaci. Ilchiarore degli occhi abbaglierà Cosimo che ritornerà in shock-room tra un edema polmonare e uno shock-settico.

Emanuele farà giusto in tempo a tornare a casa in tarda mattinata del giorno successivo. La mamma non ha voluto lo spettro della morgue, ed il letto di casa raccoglie gli ultimi respiri, ma privi di angoscia, di un ragazzo falciato da un inarrestabile cancro della parotide.

 

E la bellezza? Cosa c’entra la bellezza con queste storie

 

E se non ci fossimo stati?

 

E se Anna, Emanuele, Angiolina e tutti gli altri non avessero trovati Angelo, Cosimo e questo immenso popolo di personee professionisti a farsi carico dei loro bisogni? E allora raccontiamola questa bellezza.

Inizi la necessaria contronarrazione che faccia onore alle divise sudate e sporche ai volti stanchi ed appagati….

 

Da pochi giorni abbiamo festeggiato il compleanno di un grande musicista.

Una sua bellissima canzone parla di lazzari felici e sembra perfetta per noi.

 

Simmo lazzari felici

Gente ca nun trova cchiù pace Quanno canta se dispiace

È sempe pronta a se vutta’ Pe nun perdere l’addore

Si haje asci’ po’ fatte ‘a croce Cammenanno nunpo’ fa’ pace Aiza ‘a capa e so’ tutte ‘nciuce Ca nun se ponno acchiappa’

E c’a faccia già scippata

‘A chesta musica ca è mariola Pe’ dinto ‘e carusielle S’arrobba ‘a vita e sona Sapenno ca è fernuta

E intanto passa stu Noveciento Passammo nujes’acconcia ‘o tiempo Si arape ‘o stipo saje addp’ staje

E nun te scuorda’ maje

E intanto passa stu Noveciento Cammisa ‘a fora’ncuorpo t’o ssient E riest all’erta tutt’a nuttata Pensanno addo’ si’ stato

Pensanno addo’ si’ stato

 

 

Non voglio più dare cattive notizie.

febbraio 22nd, 2025 | NO COMMENTS

di Alessandra Iorfida

 

Lho detto a una collega (e amica) laltro giorno, dopo aver comunicato a una paziente di avere un tumore. Era la terza volta in una settimana, e ogni volta spero sia lultima.

 

Ormai conosco il copione, e ogni volta vorrei non doverlo recitare. Non voglio essere colei che sa, colei che deve dire che quel gonfiore non era nulla di banale, che è una massa, che forse è un tumore, che bisogna fare accertamenti. E poi il silenzio, gli sguardi, la paura, le domande. Domande a cui, a volte, ho perfino paura di rispondere.

 

Cerco di rimanere distaccata, di non pensare a come si possa sentire una persona che riceve quelle parole da un medico giovane, dopo ore di attesa. Cerco di non immaginare il vuoto che possono aprire.

Ma non ci riesco. Ogni parola ha un peso anche per me. Perché anchio, sotto il camice, sono una persona. Anchio, ogni volta, sento un piccolo pezzo del mio cuore sgretolarsi.

 

Vorrei poter dire: “Mi sono sbagliata. Non è nulla di grave. Vorrei sorridere e spiegare che era solo una colica addominale, che quel pensiero che mi tormentava era infondato, che lecografia bedside mi aveva tratto in inganno. Vorrei condividere un sollievo, non un peso.

Il nostro lavoro di giovani medici in Medicina d’Urgenza è fatto di momenti come questi. Un lavoro che molti immaginano freddo, tecnico, quasi militare: una linea del fronte senza spazio per empatia o vulnerabilità. Ma questa immagine è lontana dalla realtà.

 

Siamo medici, ma siamo anche umani. E non possiamo fare a meno di empatizzare con i nostri pazienti. Vedere una madre disperata che stringe la mano del figlio malato, un anziano solo in cerca di conforto, una giovane donna che fissa il vuoto dopo una diagnosi inaspettata… ci fa soffrire. Non siamo insensibili, non abbiamo un muro a proteggerci il cuore. A volte quel muro è più fragile di quanto si creda.

Proviamo a costruirlo, è vero. Una barriera per non pensare che quelle persone potrebbero essere i nostri genitori, unamica, nostro fratello, noi stessi. Ma quella barriera si incrina spesso. E quando si rompe, sentiamo tutto: la paura, il dolore, la speranza. Tutto ci travolge.

 

Il nostro lavoro richiede un equilibrio delicato: essere distaccati quanto basta per non crollare, ma vicini abbastanza da non sembrare freddi. Una danza costante tra professionalità ed emozione, tra tecnica ed empatia. Non è un caso se, a volte, ci fermiamo per un respiro profondo prima di entrare in una stanza o se, tornando a casa, ci sentiamo svuotati, esausti.

 

Eppure, non cambierei questo lavoro per niente al mondo. Perché, anche nei momenti più bui, so di poter fare la differenza. So che, anche solo per un istante, posso essere un punto di riferimento, una luce nella tempesta. So che, anche quando non ci sono buone notizie da dare, ciò che conta è come le diamo: con rispetto, con umanità, con la consapevolezza che dallaltra parte c’è una persona che merita di sapere, ma anche di essere accompagnata in questo viaggio difficile.

 

Essere futuri Medici dUrgenza significa vivere costantemente al limite: tra la speranza e la realtà, tra il desiderio di salvare tutti e laccettazione che non sempre è possibile. Ma è anche un percorso di crescita, che ci rende più forti e consapevoli. Non solo dei nostri pazienti, ma anche di noi stessi.

Forse il vero compito del medico durgenza, quando sarò “grande”, sarà proprio questo: essere vicino al paziente in ogni momento, soprattutto in quelli più difficili, quando il mondo sembra crollare. Perché non basta curare, bisogna anche prendersi cura. In questo prendersi cura c’è la nostra vera forza, il senso profondo del nostro lavoro, e la flebile speranza che possiamo offrire anche nelle situazioni più disperate.

 

Prendere cura significa dare al paziente non solo risposte e trattamenti, ma anche una presenza umana, un ascolto attento. Significa affrontare insieme la paura di un esito infausto, sedersi accanto a chi ha appena saputo che la sua vita cambierà per sempre e dirgli, guardandolo negli occhi: “Non sei solo. Sono qui per te.”

 

Sempre più spesso diagnostichiamo tumori in Pronto Soccorso, spesso anche in fase avanzata, quando non c’è più nulla da fare. Vediamo persone arrivare dopo mesi, talvolta anni, in cui i loro sintomi sono stati trascurati o sottovalutati. Il Pronto Soccorso diventa così, per molti, lunico punto di accesso al sistema sanitario, un luogo dove finalmente ricevono una diagnosi, delle risposte, un conforto.

 

Non vorremmo che il Pronto Soccorso diventasse il luogo deputato alla diagnosi di queste patologie, ma la realtà è che ci troviamo sempre più spesso a dover sopperire alle carenze del sistema, prendendoci carico di storie che avrebbero avuto bisogno di un altro tipo di percorso. Questa non è una peculiarità italiana, ma una tendenza globale, come testimonia uno studio di Lancet Oncology¹ che ha rilevato una percentuale di prime diagnosi oncologiche in Pronto Soccorso che varia dal 24% al 42% a seconda della tipologia tumorale.

 

Il nostro lavoro, per quanto duro, è una scelta consapevole. Una scelta che comporta sacrifici, ma che regala anche momenti di profonda connessione umana. Ci sono istanti in cui la fatica svanisce, e rimane solo la gratitudine di chi abbiamo aiutato, il sorriso di chi abbiamo confortato, o la consapevolezza di aver fatto del nostro meglio. Perché, in fondo, è questo che conta: esserci, sempre.

 

E quando penso al futuro, immagino una Medicina in cui lempatia sia centrale, in cui nessuno debba mai sentirsi un numero, un caso clinico, un problema da risolvere. Voglio credere in un sistema sanitario dove ogni paziente si senta accolto, rispettato, compreso, visto. Un sistema in cui tecnologia e scienza avanzano di pari passo con l’umanità, senza mai dimenticare che al centro di tutto c’è la persona.

 

Non voglio più dare cattive notizie.

Ma se dovrò farlo, voglio farlo nel miglior modo possibile. Con umanità, con rispetto, con la consapevolezza che anche le parole più difficili possono essere un ponte, un modo per dire:

“Non sei solo. Io sono qui, con te.”

 

 

 

  1. Risk factors and prognostic implications of diagnosis of cancer within 30 days after an emergency hospital admission (emergency presentation): an International Cancer Benchmarking Partnership (ICBP) population-based study

    McPhail, SeanFilsinger, Brooke et al.

    The Lancet Oncology, Volume 23, Issue 5, 587 – 600

    https://doi.org/10.1016/S1470-2045(22)00127-9

Sono la figlia di una mamma tradita.

febbraio 2nd, 2025 | NO COMMENTS

di Barbara Campi, figlia

 

Oggi la mia mamma non c’è più e desidero scrivere qualche riga.

 

La mia mamma era una donna d’altri tempi ma al passo con gli attuali.

Come tutti con pregi e difetti ed oggi mi sento di dire che il suo più grande difetto fosse quello di mettere subito dietro agli affetti familiari un senso dello Stato e del dovere civico ammirevole.

E proprio questo è stato il maggior tradimento che potesse ricevere.

Infatti è stata proprio tradita da uno Stato a cui la sanità pubblica interessa zero.

 

A scanso di equivoci non mi riferisco ovviamente solo a questo governo ma al susseguirsi degli stessi, indipendentemente dal colore, poiché tutti padri dei finti finanziamenti (in realtà tagli) come vessillo.

 

La mia mamma ha trascorso l’ultima fase della vita su una brandina del pronto soccorso, soffrendo per giorni in un ospedale incolpevole, dove il personale medico e sanitario si spende ammirevolmente con dedizione e determinazione combattendo una sanità tanto in debito da obbligare i familiari dei degenti del PS a portare cibo e coperte per i propri cari.

Pena la fame, la sete ed il freddo.

 

Solo alla fine del suo tragitto si è trovato per mamma un letto in corsia.

La carenza di letti e di brandine è paradossale e vergognosa ed i parenti arrabbiati, ahimè, in discussione col personale. In quanto ultimi di una catena sono anch’essi vittime del degrado.

 

La mia mamma è andata in cielo tradita da ciò per cui non ha mai vacillato nel credere. Una beffa.

 

Il mio dolore è certo nella perdita ma parimenti la rabbia lo compensa perché quello che era stato il prima della Sanità è defunto negli anni. Lentamente.

Come lentamente si è spenta lei.

Lentamente e nella sofferenza.

Sua, nostra, del personale ospedaliero e di chi altri ci si trova.

E sono tanti.

Sono il popolo italiano.

Quello che negli anni vota.

E vota sempre meno perché non ci crede più.

 

Ma la mia mamma ci credeva stoicamente.

Sanità, istruzione e giustizia sono i cardini di uno Stato serio e coerente con i cittadini.

Mi sento di dire che il nostro Paese li abbia persi tutti e tre.

 

La mia mamma non c’è più ma a tutto il personale medico che ho incontrato dico solo un grande grazie per la quotidiana capacità di essere presenti, nonostante tutto.

A voi che un tempo non lontano vi hanno chiamato eroi aggiungerei un … sigh … dimenticati.

 

Concludendo, penso di meritare la possibilità di un augurio a tutti i conclamati coinvolti nella mala sanità, a chi l’ha fatta franca ed a chi semplicemente ignora lo stato delle cose, di trovarsi per una volta nei panni in cui mi ci sono, per loro colpa o indolenza, ritrovata io.

Inerme nel veder soffrire la persona che mi ha dato la vita.

Un sentito vergognatevi da parte mia che scrivo e da parte di chi sta soffrendo in silenzio.

La mia mamma non c’è più e per tutto il personale ospedaliero sarà un’altro giorno di guerra.

 

 

 

NOTA DEL PRESIDENTE SIMEU

PorgerLe le condoglianze è doveroso e sentito da parte nostra, anche se non cancella quanto avvenuto. Come Presidente SIMEU le dico che la risoluzione di questo problema rappresenta una priorità assoluta del quotidiano della nostra società scientifica a livello nazionale.

E’ importante che le voci e le storie dei cittadini entrino insieme alle nostre nelle sedi istituzionali di fronte ai decisori, con l’obiettivo di risolvere in modo coordinato e condiviso questa situazione insostenibile per tutti.

La ringrazio davvero per il tono Civile – inteso nel senso più alto del termine – del Suo scritto. 

 

 

 

 

 

 

 

L’Ecografo in Pronto Soccorso: Una Rivoluzione dal Punto di Vista di un Infermiere

gennaio 17th, 2025 | NO COMMENTS

di Alessio Luzi

 

Introduzione

Negli ultimi anni, il ruolo dell’infermiere in pronto soccorso è cambiato radicalmente grazie all’introduzione di nuove tecnologie. Tra queste, l’ecografo si è rivelato uno strumento essenziale per migliorare la qualità delle cure e la rapidità delle valutazioni infermieristiche. Come infermiere, ho avuto modo di formarmi riguardo l’utilizzo dell’ecografo e delle sue applicazioni. Ho avuto modo, quindi, di osservare da vicino l’impatto di questa innovazione sul nostro lavoro nel quotidiano e sui pazienti.

Questo articolo esplorerà l’utilizzo dell’ecografo in pronto soccorso dal mio punto di vista.

 

L’Importanza dell’Ecografia nel Contesto del Pronto Soccorso

L’ecografia in pronto soccorso non è una novità, ma la sua diffusione capillare e l’accessibilità a infermieri e altri operatori sanitari rappresentano un cambiamento significativo. Utilizzata per valutare rapidamente condizioni critiche, l’ecografia aiuta a prendere decisioni immediate, spesso salvavita. O, ancora meglio, aiuta ad allertare il medico in modo tempestivo e “mirato”. Questo perché una buona pratica (dopo una adeguata formazione) permette una valutazione differenziale da parte dell’infermiere. Specie nel contesto emergenza urgenza.

 

Valutazione Rapida e Precisa

In situazioni di emergenza, il tempo è infatti un fattore cruciale. L’ecografo permette di eseguire valutazioni rapide e precise di condizioni come l’emorragia interna, il pneumotorace e l’insufficienza cardiaca. Ad esempio, in un paziente politraumatizzato, un’ecografia può far ottenere una valutazione rapida di un danno d’organo, indirizzando immediatamente il trattamento appropriato. Si pensi alla FAST, o alla moderna eFAST, in pochi minuti si può davvero valutare la presenza di liquido nelle cavità o un pneumotorace.

 

Riduzione dei Tempi di Attesa

L’ecografo potrebbe ridurre significativamente i tempi di attesa in triage. Infatti la sua sensibilità e specificità sono elevate se lo strumento viene utilizzato da personale debitamente formato (l’ eFAST ha una sensibilità del 69-98% e una specificità 94-100%). Un paziente con dispnea, per esempio, può essere valutato in pochi minuti per escludere una patologia polmonare grave, come un pnx o un’edema polmonare. Oppure nel caso di  paziente con dolore toracico può essere valutata una finestra pericardica e confermare la presenza di zone anecogene intorno al cuore (oltre la normale quantità di 50 ml).

 

Il Ruolo dell’Infermiere nell’Esecuzione dell’Ecografia

Il compito dell’infermiere si è evoluto con l’introduzione dell’ecografo in pronto soccorso. Oltre alle tradizionali responsabilità di assistenza e supporto, l’infermiere è ora spesso coinvolto direttamente nell’esecuzione delle ecografie. Questo richiede però una formazione specifica e un aggiornamento continuo delle competenze.

 

Formazione e Competenza

Per poter utilizzare efficacemente l’ecografo, gli infermieri devono seguire corsi di formazione specifici. Questi corsi includono sia lezioni di teoria che di pratica, permettendo agli infermieri di acquisire le competenze necessarie per interpretare le immagini ecografiche. La formazione continua è essenziale per mantenere un alto livello di competenza e sicurezza.

 

Collaborazione Interdisciplinare

L’utilizzo dell’ecografo favorisce una maggiore collaborazione tra infermieri, medici e altri operatori sanitari. Le informazioni ottenute tramite ecografia possono essere condivise rapidamente con il team medico, facilitando una risposta coordinata e tempestiva alle emergenze.

 

Benefici per i Pazienti

Dal punto di vista del paziente, l’ecografo in pronto soccorso rappresenta un grande vantaggio. La possibilità di ottenere valutazioni rapide e accurate migliora l’esperienza del paziente e riduce l’ansia associata all’attesa per esami e risultati.

 

Sicurezza e Comfort

L’ecografia è una procedura non invasiva e priva di radiazioni, il che la rende sicura per tutti i pazienti, inclusi bambini e donne in gravidanza. Inoltre, la rapidità con cui possono essere eseguite le ecografie riduce significativamente il tempo trascorso in pronto soccorso, migliorando il comfort del paziente.

 

Specificità del ruolo

L’utilizzo dell’ecografo è importante anche quando si ha necessità di reperire un accesso periferico in un paziente con scarso patrimonio venoso. Non è raro, infatti, che in pronto soccorso (o nei reparti di degenza) si introduca un midline o un mini-midline per favorire il comfort del paziente ed evitare stravasi da farmaci. Inoltre, nella maggior parte dei casi, gli infermieri impiantano PICC sotto guida ecografica facendo parte, appunto, del PICC team ospedaliero. Ma non solo. L’ecografia ci viene in aiuto anche, ad esempio, nel paziente con globo vescicale o ipertrofia prostatica. Inserire un CV ed eseguire un controllo ecografico post procedura ci può aiutare a confermare la buona riuscita della pratica appena eseguita. L’ecogtafia bedside può, inoltre, aiutare l’infermiere a capire se il sondino naso gastrico è stato posizionato correttamente e che non vi siano complicanze con lo stesso (ad esempio tubo ripiegato su se stesso o altro). Logicamente la formazione e la pratica facilitano l’uso dell’apparecchio e la specificità dello stesso.

 

Trattamento Tempestivo

Con una valutazione (o una diagnosi infermieristica) tempestiva, i trattamenti possono essere iniziati più rapidamente, migliorando l’outcome dei pazienti. Per esempio, in caso di una sospetta rottura di aneurisma addominale, l’ecografia può facilitare la valutazione di triage e applicare il PDTA idoneo in pochi minuti, permettendo un intervento chirurgico urgente qualora il medico lo ritenesse idoneo (o confermasse la valutazione infermieristica).

 

Le mie conclusioni

L’introduzione dell’ecografo in pronto soccorso ha trasformato il modo in cui gli infermieri e il personale sanitario lavorano, migliorando significativamente la qualità delle cure fornite ai pazienti. Come infermiere, posso affermare con certezza che l’ecografo è uno strumento indispensabile che ha reso il nostro lavoro più efficiente e ha contribuito a dedicare percorsi di assistenza sempre più specifici. La continua evoluzione tecnologica e la formazione del personale sono fondamentali per massimizzare i benefici di questa preziosa innovazione.

 

RINGRAZIO SIMEU PER AVER DATO SPAZIO A QUESTE MIE RIFLESSIONI. Orgoglioso di essere. partecipe attivo di vostre iniziative.

 

Non ho fatto niente

dicembre 28th, 2024 | NO COMMENTS

di Maurizio De Giovanni

 

Io non ho fatto niente. Proprio niente.

Non è come voi pensate. Lo so, sembrerebbe proprio la stessa cosa, ma non è così. Io non ho fatto niente.

Niente a cui non sia stato costretto.

 

Mi ricordo quando l’ho vista, la prima volta. Eravamo ragazzi. Erano tantissimi anni, che ci conoscevamo. Eravamo diversi, allora; eravamo pieni di sogni e di speranze. Lei era la sorella di un mio compagno di scuola, e all’inizio mi era pure antipatica; poi, a forza di vederci, cominciammo a parlare e io capii che era lei che volevo vicino, era lei la persona con cui volevo stare.

Dopo la scuola cominciai da apprendista, nella grande fabbrica, e poi, quando mi passarono a tempo indeterminato, ci sposammo.

Adesso mi sembra il Paradiso, allora sembrava un purgatorio. Io lavoravo dalla mattina alla sera, lei spaccava i miei soldi in quattro per tirare avanti. Facemmo la fesseria di mettere da parte qualcosa e di comprare casa, col mutuo.

 

Il mutuo.

 

Fallo a rata variabile, mi disse il tizio in banca. Così magari i tassi scendono e tu ci guadagni. Quelli come me non guadagnano mai. Lo dovevo sapere.

Il bambino, che aveva sempre bisogno di qualcosa. Il mutuo che saliva, saliva. I lavori del palazzo, la macchina vecchia che si scassava in continuazione. Lei cominciò quasi subito a fare lavoretti, cuciva, era brava. Si andava facendo un nome, non guadagnava quanto me ma quasi.

Io mi ricordo come mi guardava. Con fiducia, amore, dolcezza. Mi guardava, e io capivo immediatamente quello che provava per me.

Mi sentivo curato. Anche se aveva tanto da fare, non mi faceva mancare mai la tuta stirata, il piatto caldo all’ora di pranzo. E la sera, quando guardavamo un po’ di televisione, stanchi morti tutti e due, si accoccolava vicino a me sul divano e si addormentava.

Era dura. Lo è sempre stata, durissima e in salita. Alla gente come noi nessuno regala niente. Ma ce la facevamo.

 

Finché.

 

Finché è venuta la crisi. Come una tempesta. Ma dico io, tutti questi professoroni che quando parlano alla tele o sui giornali sembrano sapere tutto, non potevano capire quello che stava succedendo? Come andava a finire?

E lo sapete, com’è andata. Prima la fabbrica ha bloccato le assunzioni, poi ha cominciato con la cassa integrazione.

Io me la sono cavata, per un paio d’anni. Lei per fortuna incrementava la clientela, adesso le persone venivano anche a casa a farsi prendere le misure; qualche volta me la dovevo preparare io, la cena, ma i soldi facevano comodo. I colleghi, specialmente quelli che facevano mezza giornata a casa, mi invidiavano perfino.

E poi a casa ci sono rimasto io. E un po’ alla volta non mi hanno pagato più.

 

All’inizio mi guardava ancora come prima. No, non proprio come prima; certo la faccia era la stessa, e anche gli occhi. Ma io, io lo sapevo che era preoccupata. Lo sapevo che pensava al fatto che, senza guadagnare un tubo, senza avere quel po’ di prestigio che ti dà il lavoro, un uomo non serve a niente. Ora lei era pure autosufficiente, magari io ero diventato un peso.

E giorno dopo giorno io l’ho vista, la vera espressione. Dietro le solite parole, dietro la fatica terribile, dietro i gesti normali, io sentivo la sua pietà.

Non che dimostrasse niente, sia chiaro; aveva pure ripreso a stirarmi tutto, a preparare pranzo e cena, forse proprio per dimostrarmi che aveva pietà di me. E anche se io me ne stavo al biliardo per tutto il giorno, e anche se avevo cominciato a bere un po’ troppo, non ha mai detto una parola. I soldi erano i suoi, ormai, ma si comportava come se ancora fossi io quello che manteneva la famiglia.

Però io lo sapevo, quello che aveva dentro. Aveva pietà di me.

Si vedeva da come si muoveva, da come parlava. Mi sentivo i suoi occhi dietro la nuca, sulle spalle, e se quando mi giravo all’improvviso era rivolta altrove, io lo capivo lo stesso.

 

Avevo cercato un altro lavoro, naturalmente. Ma ho cinquant’anni e la schiena spaccata, nessuno mi prende. Al biliardo siamo in tanti, nelle stesse condizioni. E lei, lei che quando alzavo la voce, perché uno ha pure diritto di stare un po’ incazzato, nelle mie condizioni, lei guardava a terra.

La sentivo, la pietà, ruotare nelle sue meningi, allargarsi con le dita nere ad agguantarle l’anima. Pietà. Pietà di me, del suo uomo. Di quello che l’aveva mantenuta per tutta la vita ammazzandosi di lavoro, e che ora non andava più bene perché di soldi a casa non ne portava più.

La prima volta ho creduto che avesse sbuffato. L’avevo sentita chiaramente, giuro; non avevo pensato che potesse essere un sospiro. Mi lamentavo perché il piatto era freddo, io mangiare cose fredde non lo sopporto, e lei ha fatto quel suono, un sospiro o altro, non so. La mano è andata per conto suo, io non ci ho nemmeno pensato.

Ha detto in giro che aveva sbattuto contro una porta; l’ho sentita parlarne alla vicina, chissà dove ho la testa, ha detto, e rideva. Meglio.

Poi è successo un altro paio di volte. Forse tre, al massimo. Non di più. Non so, mi faceva stare meglio. Ristabiliva i ruoli, mi faceva sentire di nuovo al mio posto, padrone in casa mia. I soldi erano suoi, il lavoro era il suo, la gente si scappellava davanti a lei, ma lei era quella che in casa doveva fare la moglie, cazzo. La moglie. Non il marito: il marito ero io.

L’unica cosa che non riuscivo a risolvere era quell’espressione. La pietà che teneva sotto la superficie.

Avesse avuto paura, o anche odio, sarei stato bene; lo avrei potuto sopportare. La paura è stare sotto, è essere inferiore. Andava bene, se aveva paura. Ma lei no, la paura non ce l’aveva, e nemmeno l’amore, quello era morto da tempo. Aveva pietà. Lo sapevo io, e lo sapeva lei.

 

Non ho fatto niente. Proprio niente, vi dico.

 

Ho fatto solo quello che avrebbe fatto chiunque, al posto mio. Quello che andava fatto.

Perché, vedete, una donna non può avere pietà del proprio uomo. Uno che ha tirato la carretta per tutta la vita e ancora l’avrebbe fatto, se non l’avessero buttato in mezzo alla strada come un vestito vecchio, come un rottame che non serve più a niente. Uno che ha cresciuto un figlio che lavora all’estero. Uno che una volta gli davano del lei, per strada, e non lo guardavano con disgusto, come fanno adesso.

Uno così non merita pietà. Merita rispetto.

E allora stamattina gliel’ho cancellata dalla faccia, la pietà. Gliel’ho cancellata a coltellate, una volta per tutte.

 

Io non ho fatto niente. Proprio niente.

 

E’ stata lei, che se l’è voluta. Adesso finalmente non ha più nessuna espressione. Nemmeno la faccia, ha più.

Però me lo ricordo ancora, quello sguardo. L’ha avuto fino all’ultimo.

 

Pietà. Pietà.

 

Io non ho fatto niente, sapete. Proprio niente.

 

 

 

CONSIDERAZIONI SUL TEMA DELLA VIOLENZA AD OPERATORI SANITARI E DOCUMENTO PROGRAMMATICO

dicembre 12th, 2024 | NO COMMENTS

di Vincenzo Natale

 

Dopo la grave aggressione avvenuta a Lamezia Terme nella notte del 11 novembre e a quelle purtroppo successive, si torna a interrogarsi su come mettere in sicurezza le professioni sanitarie che corrono più o meno lo stesso rischio di agressione di poliziotti e altre forze dell’ordine spesso anche con conseguenze sull’equilibrio psicologico, tale da compromettere il loro buon rendimento lavorativo.

 

POCA ATTENZIONE AL FENOMENO

 

Il clima è ormai esasperato le violenze verbali e fisiche si verificano tutti i giorni, il fenomeno delle aggressioni, se prima riguardava principalmente i medici ospedalieri dei Pronto Soccorso e le Guardie Mediche, ora sembra non risparmiare più nessun camice bianco.

Secondo uno studio condotto dalla SIMEU – Società Italiana di Medicina di Emergenza Urgenza – da me presieduta, il 45% degli aggrediti è donna, il 60% subisce minacce verbali, il 20% percosse, il 10% atti di vandalismo e il 10% violenza a mano armata.

 

Tanti medici vivono una condizione di profondo disagio.

I medici effettuano interventi, spesso complessi, fanno diagnosi, prescrivono cure: non dovrebbero doversi difendere da un’utenza spesso esasperata, che li considera responsabili di una realtà di cui sono invece le prime vittime.

Un clima “elettrico” tra medici e pazienti finisce inevitabilmente per complicare l’operato dei camici bianchi e di tutto il personale sanitario, che si trovano a lavorare sotto una forte pressione e soprattutto con un maggior timore di sbagliare. Non siamo disposti ad accettare di considerare “normale” essere aggrediti nello svolgere il nostro lavoro, un lavoro che tra non molto – in queste condizioni – in pochi vorranno ancora fare.

 

FATTORI DI RISCHIO

  • Strutture con organico e/o risorse insufficienti.
  • Organizzazione dei servizi (lunghe attese, affollamento, mancanza di informazioni, difficoltà nella comunicazione, orari non consoni).
  • Caratteristiche dell’utenza e precedenti esperienze negative (malattia, dolore prolungato e non adeguatamente trattato, abuso di alcol e droghe, ansia, aspettative inappropriate).

CONSEGUENZE FISICHE E PSICHICHE

  • Lesioni fisiche da lievi a gravi.
  • Disabilità temporanee o permanenti.
  • Traumi psichici.
  • Morte

DOCUMENTO PROGRAMMATICO DI ATTIVITÀ DA PERSEGUIRE PER RIDURRE IL FENOMENO DELLA VIOLENZA AGLI OPERATORI SANITARI

 

Nell’ottica dell’aumento del livello di tutela degli operatori sanitari occorre attivare iniziative sociali in applicazione alla LEGGE 14 agosto 2020, n. 113 disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie nell’esercizio delle loro funzioni.

 

A) Chiamando a raccolta Regione e associazioni di operatori e pazienti ed imponendo prioritariamente all’attenzione del Dipartimento della Salute la questione della qualità e della sicurezza delle cure. Come Federazione regionale degli Ordini dei medici chiedere l’istituzione di un tavolo tecnico permanente per lo studio di questo evento sentinella previsto dalle norme ministeriali. Deve esser realizzata una rilevazione precisa e attenta del fenomeno in tutte le sue forme, dalle meno gravi alle più gravi, anche al fine di effettuare comparazioni tra le varie realtà e di capire quali siano le situazioni da considerarsi maggiormente a rischio, per cercare di prevenirle.

 

B) I medici calabresi vogliono ristabilire una alleanza terapeutica on i pazienti ed i loro familiari, ricucendo il rapporto fiduciario tra operatori sanitari e cittadini, che viene continuamente interrotto dalle criticità e dalle carenze organiche e strutturali. Organizzazione dei corsi di comunicazione rivolti a tutte le figure professionali sensibili e delle campagne educazionali per le modalità di accesso ai servizi e di sensibilizzazione su tematiche sanitarie di particolare interesse sociosanitario. Gli strascichi psicologici sugli operatori sono meno rilevanti quando si sentono supportati dall’organizzazione per la quale lavorano, mentre possono risultare devastanti da un punto di vista professionale e personale quando l’operatore si sente lasciato solo ad affrontare il problema, dovendo magari tornare a lavorare nel luogo dove ha subito l’aggressione e con gli stessi pazienti.

 

C) Le Forze di Polizia, la Prefettura, la Questura e tutte le competenti Autorità insieme alle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, intervengano ANCHE CON ARRESTO IN FLAGRANZA DI REATO esercitando ogni loro potere al fine di ripristinare nei luoghi di lavoro del personale sanitario ed ausiliario, in cui accede il cittadino bisognoso di cure, la sicurezza necessaria a consentire un sereno ed efficiente svolgimento del proprio lavoro, senza sentirsi in apprensione per la tutela della propria incolumità fisica e potersi invece dedicare esclusivamente alla cura ed all’ascolto dei pazienti. Le Aziende Ospedaliere e Sanitarie nel segnalare questi episodi alle forze dell’ordine, anche se si tratta solo di minacce verbali o insulti, si costituiranno parte civile nell’eventuale processo penale e civile: questo perché, è bene ricordarlo, i medici e gli infermieri che prestano soccorso ai pazienti stanno svolgendo in quel momento pubbliche funzioni. Sono a tutti gli effetti pubblici ufficiali, come i poliziotti, i carabinieri.

 

D) Protocollo di intesa con i mass-media per una verifica dell’attendibilità di notizie evitando la pubblicazione di quelle non vere oppure “tendenziose”, con lo scopo di non disorientare i pazienti alimentando fra loro una condizione di incertezza e/o sospetto. Il miglioramento del clima di rapporto tra mezzi di informazione ed il mondo della sanità non può che portare a delle relazioni tra le parti più distese e leali oltre che ad una il più possibile obiettiva e costruttiva opera educativa sociale.

RIFLESSIONI DI FINE MANDATO

novembre 22nd, 2024 | NO COMMENTS

di Fabio De Iaco

Concludo in questi giorni il triennio di presidenza della Società Italiana di Medicina d’Emergenza Urgenza, e sento il dovere di trasmettere alcune riflessioni che spero possano essere utili in futuro.

 

La prima riflessione: sono stati tre anni entusiasmanti e impegnativi.

 

Essere il presidente significa vivere il peso della rappresentanza, ti impone il dovere dell’inclusività massima, della ricerca di sintesi: compiti normalmente onerosi ma davvero ardui in un tempo di problemi epocali.

 

Hai il dovere di interpretare le posizioni della comunità che rappresenti ma anche quello di elaborare tu stesso posizioni nuove, contando sul fatto che la tua comunità le faccia proprie. Ma soprattutto, se davvero vuoi agire nel concreto, hai il dovere e la difficoltà di non urlare inutili slogan in stanze vuote, ma di esprimerti in luoghi affollati di decisori e portatori d’interesse, i cui punti di vista sono spesso lontani dai tuoi.

 

È fondamentale mantenere l’indipendenza da istanze politiche e partitiche e distinguere con nettezza le nostre posizioni da quelle sindacali, senza mai derogare alla doverosa attività di tutela dei professionisti e del Servizio e all’affermazione di posizioni non sempre comode.

 

Ho speso, in tutto questo, il massimo impegno: saranno altri a decidere se ho risposto alle aspettative.

 

Il bilancio del triennio: credo giusto risalire a qualche settimana prima dell’insediamento del Consiglio Direttivo, al 17 novembre 2021 quando, Presidente Salvatore Manca, la presenza della SIMEU in Piazza Santi Apostoli, con un’iniziativa inedita e dalla forte risonanza mediatica, segnava uno dei momenti cardinali della nostra storia.

Era l’espressione pubblica di un ruolo sacrosanto della Società Scientifica: l’allarme e la difesa del Servizio e dei suoi professionisti, la difesa pubblica del diritto alla salute del cittadino. Le immagini e la rassegna stampa di quel giorno dimostrano quanto siamo stati preveggenti, quanto quell’iniziativa, per alcuni quasi scandalosa, sia oggi la posizione comune di tanti professionisti, non solo di Medicina d’Emergenza Urgenza.

La consigliatura che si chiude in questi giorni è nata in doverosa e preziosa continuità con la storia precedente, quasi che piazza Santi Apostoli sia stata il vero passaggio di consegne. Del resto qualunque consigliatura altro non è che un breve segmento di una linea continua ben più lunga:

è stato così e così dovrà essere per il futuro.

 

Le cose fatte in questi anni non sono poche.

 

Mi è difficile elencarle tutte, ma qualcosa va ricordato:

  • Il cambio del nome della disciplina (finalmente MEU!) e le equipollenze per i nostri specialisti sono il risultato inequivocabilmente ottenuto esclusivamente da SIMEU (esistono i documenti che lo dimostrano);
  • Una serie di provvedimenti ottenuti è il frutto anche di un’azione pressante della Società Scientifica sulle istituzioni: il sia pure parziale riconoscimento di un vantaggio pensionistico in quanto attività usurante, la libera professione per gli specializzandi, il recente riconoscimento di una prima differenziazione nel trattamento economico degli specializzandi, ecc.;
  • La partecipazione, tra le pochissime Società Scientifiche ammesse, al tavolo ministeriale sulla riforma dei Decreti Ministeriali 70 e 77 (ospedale e territorio): un lavoro purtroppo arenato nelle stanze del Ministero ma per noi comunque utile a meglio definire gli obiettivi prioritari;
  • L’istituzione di un “osservatorio SIMEU” che, seppure da meglio strutturare nel prossimo futuro, ha avuto il merito in questi anni di produrre dati sull’attività della Medicina d’Urgenza italiana che hanno suscitato amplissima eco, fino a giungere nei palazzi delle istituzioni, e soprattutto hanno illuminato il ruolo imprescindibile ma misconosciuto della nostra disciplina nel SSN;
  • L’ingresso, lo definirei stabile, in una serie di ambienti per noi indispensabili: il Ministero, le Commissioni Affari Sociali di Camera e Senato, AGENAS. Ricordo, a titolo di esempio, l’audizione in Commissione Camera per l’inchiesta nazionale sul Pronto Soccorso, culminata con la nostra presenza alla presentazione del relativo documento parlamentare, e l’audizione in Commissione sulla colpa medica al Ministero della Giustizia. Non cito, per doverosa riservatezza, altre attività tuttora in corso.
  • Internamente alla Società: la gestione di due congressi nazionali (Riccione e Genova) entrambi di grande successo, il varo del nuovo statuto societario e del relativo regolamento, l’istituzione del nuovo evento congressuale nazionale (la Biennale SIMEU) del quale avrete presto notizia, il lavoro incessante e finalmente strutturato con le Sezioni Regionali, la ristrutturazione del Centro Studi, l’attività continua (in linea con il passato) della Formazione SIMEU, la produzione di una quantità di linee guida in seno all’Istituto Superiore di Sanità in cooperazione con altre Società Scientifiche, l’istituzione di un gruppo di lavoro sulla Medicina delle Differenze, anche questa in stretta connessione con altre Società Scientifiche, la collaborazione con Federsanità sul tema delle aggressioni fino all’istituzione di un premio speciale per le aziende più meritevoli, la produzione di statement societaridi cruciale interesse per la nostra attività, la creazione di un evento di incontro con la Medicina Generale che proseguirà almeno per tutto l’anno prossimo, la prosecuzione dell’Accademia dei Direttori che, soprattutto nell’ultima edizione, ha mostrato un’altissima qualità di relatori e contenuti.
  • Un’attività particolare, alla quale tengo personalmente, iniziata con le raccomandazioni condivise sulla gestione in urgenza dei pazienti SMA (atrofia muscolare spinale), proseguita con la creazione di un prodotto formativo specifico molto apprezzato e che ci ha portato anche ai tavoli della Regione Puglia per la stesura di una delibera regionale sulla gestione in urgenza dei pazienti affetti da patologie neuromuscolari. Un’esperienza che si sta estendendo ad altre patologie neuromuscolari e che in questi mesi si sta allargando a tante patologie rare, anche non neurologiche. La concretizzazione dell’idea di una speciale alleanza non solo con altre Società Scientifiche, ma anche e forse soprattutto con le associazioni di pazienti.

C’è un altro risultato, inequivocabile, dell’ultimo triennio:

oggi SIMEU può vantare un livello di riconoscibilità e autorevolezza, nella pubblica opinione e in ambito istituzionale, mai raggiunto prima.

Siamo diventati un interlocutore tecnico privilegiato e autorevole, un soggetto pubblico ricercato e ascoltato, un attore riconosciuto e atteso nel panorama mediatico nazionale: ci siamo riusciti grazie al retaggio del nostro passato, che ci ha conferito la forza delle nostre affermazioni, e grazie all’impegno dell’intera struttura della SIMEU, che a questo scopo si era da tempo attrezzata, attraverso decisioni illuminate prese prima della mia presidenza.

Credo che questo sia un punto fondamentale per il futuro dell’intera Società Scientifica:

insieme all’entratura in ambito istituzionale consegniamo al prossimo direttivo i mezzi per poter portare avanti le nostre istanze con una risonanza nazionale e un’autorevolezza sulle quali non abbiamo mai potuto contare in precedenza.

 

Il futuro è denso di cose da fare:

progetti incompiuti di questo Direttivo, progetti mai intrapresi ma necessari e poi, naturalmente, risposte alle sollecitazioni che arriveranno da una situazione generale di estrema difficoltà e in costante evoluzione, che richiederà presenza continua a livello istituzionale e prontezza nelle conseguenti prese di posizione.

Sono certo che nel prossimo Consiglio Direttivo Nazionale ci saranno le forze e le intelligenze necessarie per portare avanti egregiamente il lavoro, sia dal punto di vista scientifico sia sotto il profilo pubblico e istituzionale.

 

Le parole chiave per il futuro non possono che essere PARTECIPAZIONE e UNITÀ:

non è uno slogan formale, ma una necessità cruciale per tutti noi.

 

In conclusione, il mio personale sentimento per questi tre anni è di vera gratitudine.

È stato un grande onore.

 

Un sincero grazie a tutti coloro che hanno partecipato:

Consiglio Direttivo, Ufficio di Presidenza, Segreteria nazionale, struttura della comunicazione, Sezioni Regionali, ecc …

Per gli anni che mi attendono da past-president intendo comportarmi secondo gli stessi valori di chi mi ha preceduto e ho avuto la fortuna di avere accanto:

offrirò il mio contributo attivo ma collaterale rispetto ai nuovi eletti, avendo ben chiaro che la linea continua della nostra attività esige un ricambio di persone che sostengo con forza.

 

In questi anni ho avuto il piacere di incontrare tanti di voi.

Custodirò molti bei ricordi, ma soprattutto una frase che mi è stata ripetuta molto spesso, il più grande riconoscimento che avrei potuto desiderare: “mi sento rappresentato”.

 

Voglio credere che questo significhi che siamo riusciti, senza mai nascondere le difficoltà, a trasmettere la nobiltà e la bellezza del nostro lavoro: anche solo questo sarebbe, ne sono certo, un grande risultato.

 

Un caloroso saluto e un augurio di buona fortuna per tutti noi.

Formazione, Confronto, Curiosità, Famiglia, Supporto

ottobre 31st, 2024 | NO COMMENTS

di Maria Pia Ruggieri

 

Con queste parole comincia la Sum School SIMEU 2024 a Bertinoro.

Sono le parole con cui 72 discenti, giovani medici e infermieri del mondo dell’urgenza, descrivono le aspettative rispetto alla scuola nella cerimonia di apertura. Sono parole pesanti, che chiedono sin da subito responsabilità e professionalità ai docenti ed agli organizzatori della Sum 2024.

 

Così inizia questa fantastica esperienza tutti insieme.

 

Nella cerimonia inaugurale si parla di Valorizzazione dei professionisti, di Ricerca e Formazione in medicina d’urgenza, di Intelligenza Artificiale in medicina d’urgenza, di Gestione delle maxiemergenze e di gestione del dolore nel setting dell’urgenza. Si affrontano sin da subito tematiche attuali emergenti, con entusiasmo e curiosità.

 

Nei giorni successivi presso il CEU di Bertinoro, suddivisi i discenti in 4 gruppi, si fa formazione pratica su postazioni, affrontando temi clinici fondamentali nel mondo dell‘urgenza, che vanno dall’arresto cardiaco, alla sepsi, all’ictus, alle urgenze pediatriche.

 

Il giorno successivo si affrontano in modo pratico le tecniche di procedure invasive in urgenza.

 

E si arriva al giorno del grande evento, la maxiemergenza all’aeroporto di Forlì: sirene, mezzi dei Vigili del Fuoco, ambulanze, Croce Rossa Italiana, 118 e tutti i discenti SIMEU, insieme a tutor SIMEU.

Dall’incendio domato dell’aereo, al soccorso con l’estrinsecazione delle vittime dall’aereo, al soccorso nei posti medici avanzati e poi nei pronto soccorso.

 

Ritmo, armonia, passione e professionalità di tanti professionisti, proprio come in un concerto di una grande orchestra, la metafora della Sum 2024.

 

Una novità di quest’anno sono stati i giochi di squadra serali – svolti dopo la cena – di team building dei discenti, dalla pittura relativa al tema ‘la musica dell’urgenza’ alla torre più alta di spaghetti e al lancio da 30 metri di un uovo senza che si rompesse.

 

Quanta creatività, quanta passione, quanto spirito di gruppo e quanta allegria.

Poi arriva il momento più bello e allo stesso tempo il più brutto:

le vostre parole,

i vostri commenti,

le vostre emozioni,

la vostra commozione per giorni vissuti come un sogno,

il bello …..

e il dispiacere di separarci,

che questa esperienza volga alla fine,

il ritorno pesante ad una quotidianità di un lavoro che entusiasma ma toglie anche serenità,

il brutto ….

 

Vi porterò nel cuore per tutta l’energia che avete dato alla Sum 2024, siete stati voi il valore aggiunto, siete stati il concerto più bello che potessimo ascoltare proprio come quello proposto all’apertura della Scuola:

dallo Spazio l’astronauta Sarah Gillis nella missione Polaris Dawn che ha suonato il violino per un’iniziativa di beneficienza, accompagnata sulla Terra – sulle note della colonna sonora di Star Wars «Il risveglio della forza» – dalle orchestre di Stati Uniti, Venezuela, Haiti, Svezia, Uganda e Brasile azzerando distanze e fusi orari.

 

Porterò nel cuore:

tutti i docenti della scuola, che hanno donato il loro sapere con il cuore oltre che con la competenza;

Enzo Mandola, organizzatore e pianificatore anche dell’imprevisto;

Andrea Fabbri e Antonella Cocorocchio sostegno nei momenti difficili e allegria pura in quelli di gioia, indispensabili per un confronto continuo per poter fare sempre meglio.

 

Un grazie a tutti, per sempre.

 

 

Alcuni momenti della Summer School SIMEU 2024. #fieridiMEU

Carenza di organico nei PS: una sindrome multisistemica.

ottobre 12th, 2024 | NO COMMENTS

di Paolo Groff

Il numero impressionante di borse di studio ministeriali non coperte per la specializzazione in Medicina d’Emergenza e Urgenza anche quest’anno lascia tutti gli operatori del settore in preda allo sgomento e all’amarezza. Si moltiplicano i contenuti, più o meno composti, di abbandono, rabbia e risentimento per un Servizio Sanitario Nazionale concretamente a rischio, amato e odiato al contempo, mai interamente capito per quello che vale, sostanzialmente sacrificato all’altare della “forza maggiore”.

Si ribadisce con forza che un settore dell’emergenza-urgenza umiliato ed indebolito compromette il funzionamento dell’intero sistema e che solo una politica fattiva di reclutamento e ritenzione degli operatori dell’emergenza potrebbe avere effetti frenanti in quella che sembra una inarrestabile parabola discendente. Tuttavia, solo un’analisi attenta della vastità del fenomeno a livello internazionale e della profondità e diversità delle sue radici potrebbe consentire l’efficacia di misure correttive giocoforza molteplici, dirette a più livelli, e tra loro anche differenti.

Il fatto è che in tutta Europa e in molte parti del mondo osserviamo un numero crescente di posti di formazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza lasciati vacanti con un crescente abbandono dei programmi di formazione; allo stesso modo un numero crescente di posti per infermieri e medici d’urgenza di ruolo rimangono scoperti nei servizi sanitari nazionali; mentre c’è un esodo sempre crescente di operatori dai dipartimenti di emergenza tramite pensionamento anticipato. È d’altro canto vero che questa situazione può avere un impatto significativo sulla fornitura attuale e futura di cure di alta qualità ai pazienti e che la perdita di personale qualificato non rappresenta solo una perdita economica, ma anche una perdita di competenza ed esperienza.

Concettualmente, se definiamo la pianificazione della forza lavoro medica come il collocamento del personale giusto, con le giuste competenze nel posto giusto al momento giusto per garantire che l’assistenza sanitaria venga erogata (1), possiamo identificare specifiche criticità alla sua realizzazione sia nella fase di input, o reclutamento, che nella fase di output o mantenimento in organico. Entrambe queste categorie di problemi dipendono da fattori storici, ambientali, psicologici e generazionali o sociologici.

Considerando innanzitutto gli aspetti storici, tra il 2007 e il 2009, una crisi economica senza precedenti colpì i paesi occidentali, e conseguentemente molti governi furono costretti ad attuare misure specifiche per ridurre la spesa. Una di queste fu la cosiddetta “razionalizzazione” dell’assistenza sanitaria. Come si può derivare dai dati ufficiali, prendendo ad esempio la situazione italiana (cfr elaborazione OASI su dati del Ministero della Salute), ciò portò a una riduzione degli ospedali di comunità e a una riduzione del numero globale di posti letto ospedalieri con una concentrazione delle cure in ospedali più grandi. Poiché queste azioni non furono accompagnate da un corrispondente aumento dell’assistenza sanitaria extraospedaliera si osservò un aumento degli utenti che si rivolgevano ai PS e conseguenti problemi di blocco dei ricoveri, da cui, a loro volta, sorsero problemi di sovraffollamento, boarding e peggioramento delle condizioni di lavoro per gli operatori.

Tornando ad una visione più generale, l’importanza dello stress lavoro-correlato è emersa a partire dai lavori dedicati al tema dieci anni fa, che hanno evidenziato come la presenza di un flusso incontrollato di pazienti e l’impossibilità di far coincidere domanda e offerta possano essere fattori induttori di stress fisico e psicologico nei medici d’urgenza con conseguente calo dell’autostima e del senso di realizzazione. Uno studio in particolare ha esplorato anche i meccanismi di reazione in un gruppo di dirigenti di struttura d’emergenza-urgenza nel Regno Unito, evidenziando come, in questa situazione, lo sforzo per ripristinare a tutti i costi un funzionamento efficace del DEA e per mantenere la propria leadership ottenendo un miglioramento per pazienti e colleghi possa diventare un fattore di stress di per sé se non accompagnato da riconoscimento e rinforzo da parte del gruppo (2).

La correlazione tra qualità della vita sul lavoro e problemi di fidelizzazione e permanenza del personale è emersa ben presto, in vari studi, tra i medici che riferivano di apprezzare la continua varietà del lavoro in pronto soccorso, le dinamiche del team ad esso intrinseche, la possibilità di insegnare ai giovani, ma di non sapere per quanto tempo sarebbero stati in grado di mantenere questo ritmo data l’impossibilità di fornire cure di qualità ai pazienti (3). È interessante notare che i medici intervistati proponevano di promuovere la frequenza dei laureandi al pronto soccorso per aumentare l’attrattività del settore e facilitare quindi il reclutamento e il ricambio del personale. L’interesse deriva dal fatto che probabilmente, all’epoca, non risultavano del tutto evidenti gli effetti di quello che oggi potremmo tranquillamente definire “un cambio generazionale”.

Le giovani generazioni di medici, infatti, presentano caratteristiche e atteggiamenti che le differenziano notevolmente dalle precedenti. Se le caratteristiche dei cosiddetti “boomer” si possono compendiare nel termine “sposati con il lavoro”, con una tendenza ad accettare lunghi ed “antisociali” turni lavorativi, e una sostanziale fedeltà (o caparbia persistenza?) al posto di lavoro, le giovani generazioni sembrano concepire un rapporto più equilibrato tra lavoro e vita privata, un lavoro che sia soprattutto appagante, efficace, e consenta loro di sperimentare realtà lavorative diverse (4). Queste caratteristiche, in un contesto caratterizzato da un sistema sanitario vincolato dall’austerità, carichi di lavoro pesanti, elevata intensità del lavoro stesso con difficoltà a garantire una formazione e un supporto clinico adeguati ai medici in formazione e dalle crescenti richieste di una popolazione di  utenti anziana e comorbida, hanno portato a una crisi nel reclutamento e nella fidelizzazione dei giovani medici che,  a sua volta, in un circolo vizioso, peggiora le condizioni di lavoro e la possibilità di fornire formazione e supporto clinico.

In una revisione integrata di 47 articoli che miravano a determinare i fattori causali che contribuiscono alla crisi di fidelizzazione dei giovani medici al mondo dell’emergenza-urgenza utilizzando evidenze raccolte direttamente da loro (5), emergono tre temi chiave che caratterizzano il sistema attuale.

La presenza di condizioni di lavoro insoddisfacenti, scarso supporto e qualità delle relazioni sul posto di lavoro e scarse opportunità di apprendimento e sviluppo, insieme a un tema generale di mancanza di flessibilità nell’organizzazione del lavoro stesso.

Questi fattori sembrano portare ai seguenti risultati: non sentirsi valorizzati; mancanza di autonomia; scarso equilibrio tra lavoro e vita privata e compromissione dell’assistenza ai pazienti.

Non può stupire quindi che un numero crescente di giovani medici scelga di non intraprendere questa strada o di deviare da essa.

E arriviamo così a parlare di sindrome da burnout.

Si tratta di una specifica condizione clinica lavoro-correlata che non va confusa con le situazioni di insoddisfazione per l’ambiente lavorativo di cui abbiamo parlato finora e che si riassume nella compresenza di tre fattori singolarmente misurabili in senso quantitativo: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotto senso di realizzazione personale. Deriva dall’esposizione prolungata a fattori stressanti che possono anche coincidere con fattori legati all’ambiente di lavoro già esposti. Tali fattori, tuttavia, si intersecano con il livello di ansia percepito dal paziente, eventuali contenuti depressivi, le modalità con cui l’individuo reagisce allo stress e alcune caratteristiche specifiche dell’individuo stesso.

Questa sindrome, di fatto, sembra essere più frequente negli operatori dell’emergenza-urgenza rispetto a quelli di altre specialità ed è stata segnalata in quest’ambito una prevalenza variabile tra il 25 e il 78% (6). In questo articolo ho evitato di parlare della pandemia da Covid-19 come causa diretta dei problemi di organico al pronto soccorso, poiché si ritiene comunemente che essa abbia avuto soprattutto il ruolo di esacerbare criticità preesistenti che già costituivano un problema globale. In ogni caso, un’indagine condotta da EUSEM (Società Europea di Medicina d’Urgenza) su 1925 operatori dell’emergenza-urgenza ha evidenziato una prevalenza di burnout tra essi che va dal 31% al 62%, a seconda che vengano utilizzati criteri diagnostici rigorosi o flessibili, nell’era post-pandemica, superiore a quella riportata nell’era precedente che era del 23-34% (7). Fatto interessante, l’analisi delle covariate evidenziava che il rischio di burnout era più alto nelle lavoratrici, negli infermieri, nei lavoratori impiegati esclusivamente nell’area del pronto soccorso (che non ruotano cioè sull’emergenza pre-ospedaliera e sulla Terapia semi-intensiva), in quelli con minore esperienza lavorativa e, per quanto riguarda l’argomento in questione, in coloro che lavorano in pronto soccorso sotto organico e in coloro che esprimono frequentemente l’intenzione di lasciare il pronto soccorso.

Quindi, il burnout, oltre ad avere conseguenze sulla sicurezza dell’organizzazione e del paziente, è causa di assenteismo e difficile ritenzione del personale.

È pertanto logico chiedersi se esistano interventi specifici in grado di ridurre lo stress occupazionale e/o il burnout in pronto soccorso. Una revisione di 14 articoli ha preso in considerazione l’efficacia in questo senso di interventi di tipo educativo (consapevolezza della propria salute e come preservarla, miglioramento della comunicazione in team ecc.), di interventi basati sulla mindfulness (intervento psicologico mirato ad aumentare la consapevolezza del presente e la capacità di accettazione) e di interventi diretti al miglioramento dell’organizzazione (8). Nonostante l’estrema eterogeneità dei lavori considerati, gli interventi di tipo educativo e quelli basati sulla mindfullness hanno dimostrato, in misura variabile, di essere efficaci nel ridurre lo stress e il burnout, mentre gli interventi diretti all’organizzazione hanno dato origine a risultati contrastanti. Ciò non dovrebbe sorprendere né scoraggiare gli sforzi in tal senso considerando che gli interventi organizzativi richiedono risorse aggiuntive per facilitare cambiamenti su larga scala e un periodo di valutazione più lungo e anche che esiste un grado diffuso di delusione tra gli operatori nei confronti della leadership, della gestione organizzativa, e una refrattarietà al cambiamento.

Ultimo ma non meno importante, c’è il problema emergente della violenza e della discriminazione di ogni genere sul posto di lavoro. Uno studio condotto in Svizzera ha mostrato come questi problemi colpiscano con frequenza non trascurabile le diverse categorie di lavoratori del settore sanitario.

Benchè i numeri assoluti possano sembrare irrisori rispetto a quanto usualmente riportato nel mondo dell’emergenza-urgenza, in particolare nel nostro paese e in tempi recenti (lo studio citato è stato condotto su una popolazione indifferenziata di operatori sanitari), ciò che è interessante è il fatto che la frequenza con cui questi eventi vengono segnalati è chiaramente correlata alla percezione di un cattivo clima lavorativo da un lato e dall’altro alla convinzione con cui gli operatori intendono cambiare o lasciare il proprio lavoro (9).

In conclusione, i problemi di personale nel PS sono il risultato di una sindrome multisistemica in cui giocano un ruolo fattori storici, ambientali, generazionali, psicologici e sociologici.

Pertanto, non è concepibile una soluzione univoca.

È necessario considerare interventi a livello di decisori politici, volti soprattutto a ridurre la pressione degli utenti sul PS (urgente promuovere un effettiva offerta di salute sul territorio); interventi a livello di organizzazione ospedaliera volti a promuovere il flusso dei pazienti e facilitare le dimissioni dal PS; interventi a livello di organizzazione del PS, volti a promuovere la flessibilità dei ruoli, il supporto clinico, l’adeguata rotazione dei turni; interventi a livello individuale volti al supporto educativo e psicologico alla costruzione del clima di squadra, ecc.(10).

Solo la piena comprensione della multidimensionalità del problema e della sua perversa natura di circolo vizioso in cui la carenza di personale e il cattivo clima di lavoro non possono che generare ulteriore carenza di personale e peggioramento del clima di lavoro potrà portare a soluzioni ragionate e plurali che non abbiano il carattere di aleatorietà, come aprire la finestra delle assunzioni o dei posti in specializzazione sul baratro di un vuoto assoluto.

  • Curson JA, Dell ME, Wilson RA et al. Who does workforce planning well? Team rapid review summary. International Journal Health Care Quality Assurance. 2010, 23 (10): 110-9
  • Fitzgerald K, Yates P, Benger J, Harris A. The psychological health and well-being of emergency medicine consultants in the UK. Emerg Med J. 2016; 0:1-6
  • James F, Gerrard F. Emergency medicine: what keeps me, what might lose me? A narrative study of consultant views in Wales. Emerg Med j. 2017; 0: 1-5
  • Humphries N, Crowe S, Brugha R. Failing to retain a new generation of doctors: qualitative insights from a high-income country. BMC Health Services Research. 2018; 18: 44
  • Lock FK, Carrieri D. Factors affecting the UK junior doctor workforce retention crisis: an integrative review. BMJ Open. 2022; 12: e059397. Doi: 10. 1136/bmjopen-2021-059397
  • Boutou A, Pitsiou G, Sourla E, Kioumis I. Burnout syndrome among emergency medicine physicians: an update of its prevalence and risk factors. Eur Rev Med Pharmacol Sci. 2019; 23: 9058-9065
  • Petrino R, Garcia-Castrillo Riesgo L, Basak Y. Burnout in emergency medicine professionals after 2 years of the Covid-19 pandemic: a threat to the healthcare system? Eur J Emerg Med. 2022; 29: 279-284
  • Xu HG, Kinoch K, Tuckett A, Eley R. Effectiveness of interventions to reduce emergency department staff occupational stress and/or burnout: a systematic review. JBI Evidence Synthesis. 2020. Doi: 10. 11124/JBISRIR-D-19-00252
  • Hammig O. Quitting one’s job or leaving one’s profession: unexplored consequences of workplace violence and discrimination against health professionals. BMC Health Services Research. 2023; 23: 1251
  • Wong ML, Chung AS. Strategies for provider well-being in the Emergency Department. Emerg Med Clin N Am. 2020. 38: 729-738

VIOLENZA OFF-LABEL

settembre 25th, 2024 | NO COMMENTS

di Gruppo Acqua _ SumSchool 2023

 

Venerdì sera, ore 22:15.

Suona il telefono della C.O. per un codice verde.

Partiamo e arriviamo al target.

Suono il campanello, ci apre un uomo, che scoprirò essere il cognato della persona A.

Trovo A su una sedia, con le braccia conserte, viso contratto. A sinistra invece la persona B, appoggiata alla porta della cucina, scuote la testa. A e B sono coniugi.

 

 

Chiedo cosa sia successo.

A racconta che B ha chiamato l’ambulanza senza motivo e che vorrebbe semplicemente che il coniuge si togliesse le ciabatte e si mettesse le scarpe così da poter andare a casa propria, in quanto la casa era quella del genitore di A.

 

 

Prendo da parte B che racconta di uno scontro acceso in casa con aggressione dal coniuge, non il primo episodio. A nega e accusa B di malattia mentale.

 

Chiedo come mai B non volesse andare a casa con il coniuge. B riferisce di non voler affrontare un viaggio in macchina di 50 km a quell’ora e di non volerlo fare con il coniuge.

 

 

La situazione è molto tesa, esco dalla casa e chiamo la Centrale Operativa per attivare i Carabinieri. Prendo da parte il cognato e gli chiedo di spiegarmi la situazione.

 

Mi riferisce che la situazione è diventata insostenibile, A vuole portare B via in una casa a 50 km di distanza per non lasciarlo nella stessa casa del genitore, in quanto sospetta una relazione extraconiugale tra i due.

 

Mi riferisce che i litigi sono costanti, che A e B sono sposati da molto. Mi racconta che ieri sua figlia ha assistito ad un litigio tra i due, nel quale A ha cercato di strangolare B con la cintura di sicurezza. Che per la rabbia ha sfondato il cancello di casa per portare via B da li.

Sta suggerendo a B di divorziare da tempo, ma B non lo fa perché ha paura della reazione del coniuge.

 

Rientro in casa, la situazione è invariata. A seduta che urla e B che non si sposta, ancora con le ciabatte.

 

Arrivano i Carabinieri, esco per spiegargli la situazione e chiarire i ruoli e riferire ciò che mi aveva raccontato il cognato.

 

I Carabinieri parlano con B e poi prendono A per raccogliere la sua versione dei fatti. Riesco finalmente a parlare con B senza che il coniuge ci interrompa.

 

Chiedo cosa vorrebbe fare e mi dice che vorrebbe semplicemente andare a dormire, chiudere questa giornata. Mi mostra il graffio sul braccio, dovuto all’aggressione di stasera.

 

Mi viene in mente che possiamo inventarci una scusa per giustificare un trasporto in ospedale. Diremo che c’è la necessità di ripetere la vaccinazione antitetanica vista la mancata copertura e la ferita sul braccio.

B mi guarda finalmente con uno sguardo leggermente più sereno e alleggerito.

 

Faccio salire B in ambulanza e nonostante l’opposizione di A partiamo per il Pronto Soccorso. Prendiamo un ingresso secondario, ma A ci ha seguito in macchina e ci trova ugualmente. Impediamo l’entrata e indirizziamo A verso l’ingresso principale, da cui comunque non potrà entrare.

 

Entro in Pronto Soccorso, faccio accomodare B su un letto, dico che potrà rimanere con noi per la notte e per tutto il tempo necessario a garantirgli un rientro protetto a casa.

 

A sta già ripetutamente suonando al triage, chiedendo di entrare.

Mi metto al computer per inserire il paziente, trovo l’anagrafica.

Scelgo il codice 2 di triage per violenza altrui.

 

A si chiama Francesca, donna di 50 anni. B invece si chiama Roberto, uomo di 55 anni.

 

Francesca sta mostrando un atteggiamento violento, perpetrato da molto tempo e l’escalation della violenza è evidente. La causa degli scontri è la gelosia. Una situazione in cui solitamente i ruoli sono invertiti. Il protocollo della gestione delle vittime di violenza di genere parla di donne, bambini o anziani fragili.

 

Mi sono sentita in una situazione di violenza off-label.

 

Come sanitari siamo abituati a non applicare discriminazioni di genere, età, provenienza.

Dobbiamo fornire l’assistenza e le cure in modo indiscriminato.

 

I dati statistici sono chiari, la violenza sulle donne in quanto tali è frequente, pericolosa per le vittime, spesso sottovalutata e dobbiamo aumentare la nostra sensibilità al problema per migliorare la nostra capacità di riconoscimento delle situazioni suggestive.

 

Ma la violenza non conosce limiti e può avvenire in coppie omosessuali o eterosessuali, indifferentemente verso uomini o donne.

 

 

 

GRUPPO ACQUA SUMMER SCHOOL SIMEU 2023

Giusy Falsetti, Nicole Fari, Federica Ferla, Brenda Gagliardi, Marta Manuali, Valentina Marega, Valeria Carrieri, Giulia Cester, Valentina Ciarrocchi, Mario Corciulo, Guendalina De Nadai, Luca Di Franco, Roberto Facchino, Ilaria Florica, Valentina Gaifas, Laura Giordano, Daria Giudici, Maria Vittoria Govetosa.

 


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