IL BLOG DI SIMEU

 

SUM.SCHOOL SIMEU 2025 > Bertinoro, 20-24 settembre

agosto 27th, 2025 | NO COMMENTS

di Anna Maria Brambilla

 

Sono stata invitata a dirigere la Summer School della Simeu per l’edizione di quest’anno 2025 e per me è davvero un grande onore.

 

Sappiamo che nella Medicina d’Urgenza ogni giorno è una sfida. Dietro una decisione rapida, un caso complesso, una manovra salvavita, un lavoro di squadra c’è sempre una formazione solida, continua e condivisa.

 

Anche quest’anno la sfida della “Sum.school SIMEU” è quella di riunirci per condividere dei momenti di formazione e scambio di esperienze, medici e infermieri “giovani” insieme a medici e infermieri da “più tempo” professionisti.

 

L’edizione 2025 che si svolgerà dal 20 al 24 settembre sarà a Bertinoro, un piccolo borgo medievale in provincia di Forlì-Cesena, ricco di storia e contesto ideale per vivere un’intensa esperienza, luogo già sperimentato dalle ultime edizioni.

 

La Sum.School non è semplicemente una “summer school”: è la “somma” del nostro insegnare e imparare, una sorta di laboratorio in cui la Medicina d’Urgenza prende vita, si rinnova e si rafforza, grazie all’energia delle nuove generazioni.

 

Nelle giornate della Sum.School i partecipanti verranno condotti dai diversi docenti delle molteplici Faculty della Simeu a cimentarsi nella discussione di casi clinici complessi per allenare la capacità decisionale e il pensiero critico sui differenti temi che riguardano la sepsi, il dolore, l’insufficienza respiratoria, il trauma e non solo.

 

Saranno coinvolti nell’esercitarsi anche in procedure invasive, nella gestione delle vie aeree, nell’uso della ecografia d’urgenza, della ventilazione non invasiva e nella interpretazione dell’elettrocardiogramma: tutti strumenti fondamentali per chi lavora occupandosi dei malati critici.

 

Ci sarà uno spazio dedicato a una simulazione sulla maxiemergenza per imparare a non trovarsi impreparati in nessuna occasione.

 

In alcune giornate vivremo insieme dei momenti di focus su comunicazione, leadership, gestione del team e decisioni sotto pressione, le cosiddette non-technical skills, indispensabili per chi opera nell’urgenza. Coloro che hanno scelto questo lavoro già da un po’ di anni, condivideranno le loro motivazioni sul perché lavorare nella urgenza e perché farlo in SIMEU.

 

Non da ultimo il “leitmotiv” della Sum.School per quest’anno sarà “il lavoro ideale”.

 

Il futuro lavorativo è in mano alle nuove generazioni.

Verrà chiesto a ogni gruppo di pensare, ragionare e condividere le proprie idee su quale ci si aspetta sia il lavoro ideale nell’ambito della medicina d’emergenza urgenza, dal contenuto fino alla forma:

come il Pronto Soccorso deve affrontare le esigenze della popolazione?

Per quali malattie?

Quali sfide per i prossimi anni con i cambiamenti così rapidi in tanti aspetti della vita del mondo?

Con quali risorse?

Con quale obiettivo?

Con quali strumenti?

Con quali strutture?

 

Ognuno dovrà dare sfogo alla propria intelligenza, fantasia e passione!

Confido che verranno costruiti dei modelli interessanti su cui si potrà, perché no, lavorare nei prossimi anni in SIMEU per affrontare le varie problematiche che esistono nella sanità odierna.

 

Tutte le giornate saranno vissute in piena condivisione tra medici e infermieri, come avviene nella vista quotidiana.

 

E alla sera grandi giochi di team building e serata speciale finale dove verrà richiesto ai partecipanti di mostrare le proprie capacità musicali, canore, artistiche in tutti i sensi.

 

Questo importantissimo evento è stato costruito con la disponibilità di tutto il Board Scientifico al quale va tutto il mio grazie di cuore.

 

Per ultimo, mi aspetto grandi cose da questi giorni:

la partecipazione di ognuno con passione, fantasia e voglia di mettersi in gioco, di conoscere, di farsi conoscere… solo così potrà essere un’altra Sum.School SIMEU indimenticabile, come lo è stata in ogni edizione passata.

 

A PRESTO!

“Buon compleanno, vita mia!”

luglio 21st, 2025 | NO COMMENTS

di Sossio Serra

 

Il turno di aprile è un groviglio di linee e nomi, una ragnatela fitta che ci intrappola tutti prima ancora di rendercene conto.
Ogni casella un’ombra, ogni turno un peso.

 

Quella notte… la vedo subito, come una macchia d’inchiostro sul foglio bianco, ma la lingua mi si impasta, le parole non trovano la strada per uscire.
Ho dimenticato di chiedere di non mettermi di notte proprio quel giorno, ed ora, con un turno la cui composizione è un vero e proprio incastro forzato, non ho il coraggio di parlare.

 

Il pronto soccorso di notte è il solito ventre oscuro che ingoia ansie e paure.
Si parte con due urgenze, subito.
Un blocco atrio-ventricolare che lotta contro il ritmo della vita, un addome acuto che urla silenziosamente il suo dolore.

 

Poi, un’affollata calma apparente, la lunga teoria di codici azzurri, bianchi e verdi, gente con la tosse, la febbre, malesseri di ogni tipo, piccole ferite che sembrano ingigantirsi nel buio.

Nessuna tregua, un nastro trasportatore di sofferenza e corpi stanchi, senza interruzioni fino al mattino.
Le sette passate da poco, la luce fioca dell’alba che inizia a farsi strada, l’infermiera del triage arriva di corsa: “Dottore, una signora… dice che deve spingere. Subito in ambulatorio, altrimenti ce lo fa qui, sul pavimento.”

La stanchezza evapora di colpo, l’ambulatorio si trasforma in una sala parto improvvisata.

Poche spinte, un vagito acuto che rompe il silenzio carico di attesa, per fortuna arrivano anche ostetrica e ginecologa ad aiutarci.
Un piccolo essere umano, sgualcito e potente, che annuncia il suo arrivo al mondo.

 

Un groppo alla gola, gli occhi che bruciano un po’, come spesso succede quando la vita trionfa.

 

Un’energia enorme che ci pervade tutti, difficile da descrivere, si dice sia l’energia della vita.
La situazione si tranquillizza e solo allora mi ricordo del cellulare, non lo tocco più dall’inizio del turno.

Una piccola costellazione di notifiche.

Messaggi di mia moglie e dei miei bimbi, di mia madre e di qualche amico che non si dimentica mai.

Rispondo a tutti, poche righe veloci per raccontare la piccola, grande meraviglia appena accaduta.

 

La risposta di mia madre è la prima ad arrivare: “Stupendo, una coincidenza bellissima! È nato il tuo stesso giorno, alla tua stessa ora!
Buon compleanno, vita mia!”

 

Si torna a casa con un’energia nuova, una leggerezza inaspettata.
Le coincidenze della vita, i piccoli miracoli che questo mestiere ti regala quando meno te lo aspetti.

 

Una notte di compleanno così… non capita a tutti.

 

Mi vengono in mente i biglietti speciali che si scrivono per i neonati.

A questo bambino, nato un po’ di anni dopo di me, alla stessa ora, auguro la capacità di tendere una mano a chi ne ha bisogno e la forza di inseguire le passioni che gli scaldano il cuore.

 

Alla fine e senza neanche rifletterci più tanto, è quello che ho cercato di fare anche questa notte.

 

Non lasciateci soli

luglio 7th, 2025 | NO COMMENTS

di Associato SIMEU

 

Appello dei medici e degli infermieri dell’emergenza urgenza a fronte del taglio estivo dei posti letto

 

Non ci sarà un’emergenza nazionale COVID a giustificare scelte cliniche forzate, obbligate dalla necessità di allineare la riduzione dei posti letto per acuti con la domanda di ricoveri ospedalieri, che da sempre aumenta nel periodo estivo (ebbene sì, le ferie sono ancora un diritto e l’estate ha il brutto vizio di presentarsi ogni anno).

 

Non ci sarà la benevolenza di cittadini già esasperati da liste di attesa infinite, irraggiungibilità del proprio Medico di Famiglia, salti mortali per tenere in equilibrio lavoro, cura dei figli in vacanza dalla scuola e assistenza ad anziani in casa, sempre più spesso malati e non autosufficienti.

 

Non ci saranno social media e giornalisti indulgenti di fronte all’ ”ennesimo caso di malasanità”

 

Non ci sarà la politica a parlare chiaramente ai propri elettori, condividendo le oggettive difficoltà nel dover garantire il diritto costituzionale di accesso alle cure a tutti i malati acuti- sempre più cronici riacutizzati – e diffondendo nella popolazione la consapevolezza che gli ospedali, in estate, semplicemente non ce la fanno più.

 

Alle porte dell’estate rimarremo ancora una volta da soli.

 

Soli a mediare, a fare da cuscinetto, tra le legittime aspettative e l’insufficienza delle risorse. Ad inventarci quotidianamente nuove soluzioni a problemi che si ripresentano ogni anno un po’ più gravi dell’anno precedente, esponendo gli infermieri ed i medici dell’emergenza-urgenza al rischio di una “impotenza acquisita” che solo la più solida motivazione individuale può fronteggiare. Ma che evidentemente non basta più e fa fuggire ogni giorno un altro valido professionista.

 

Il prontosoccorso non può essere lasciato da solo a fronteggiare IL problema del Servizio Sanitario Nazionale: come garantire le cure ed i ricoveri ospedalieri a chi ne ha bisogno quando la domanda cresce e l’offerta si riduce.

 

NON LASCIATECI SOLI

 

Abbiamo bisogno di aiuto, di condividere questo fardello che ci schiaccia.

Abbiamo bisogno di vera condivisione delle scelte cliniche, di riflessione etica e deontologica che si traducano in linee di indirizzo sull’accesso agli ospedali per acuti. A queste condizioni, non ce la si fa.

 

Abbiamo bisogno che tutto il Servizio Sanitario Nazionale si mobiliti.

Se cade la prima linea, cade tutto il resto.

 

L’emergenza in un abbraccio

giugno 15th, 2025 | NO COMMENTS

di Matteo De Giorgi

 

L’ultima notte è andata male

Come tutte le ultime

E aspetto il giorno

Con nuova speranza

 

 

28/09/2024

 

Smonto notte e mi dirigo verso Bertinoro, a tre ore da me c’è una scuola magica rappresentata da SIMEU, la società scientifica dell’emergenza urgenza

 

Sono le 8:00 del mattino ed in auto, nel traffico padovano, penso se ho preso tutto ciò che mi serve e conto a mente pantaloni, camicie, felpe, calzini, mutande ecc.

Scoprirò molto presto che non era questo l’essenziale.

 

Arrivo a Bertinoro, sono stanco, la notte in PS è andata male ed il viaggio stancante, eppure inizia subito il mio entusiasmo e come in una magia il mio corpo si rivitalizza e mi rispecchio nel volto di tanti giovani ragazzi sorridenti e curiosi.

 

Non conosco nessuno, eppure, mi sembra di conoscerli tutti.

 

È il momento della registrazione mentre nel giardino dell’albergo è servito l’aperitivo di benvenuto.

Ne approfitto per fare conoscenza.

Ho un’ora e voglio sfruttarla tutta.

Mi presento a Guido, Flavio, Genny, Tommaso, Gaia, Teodora, Matteo, Mattia e ognuno di loro mi dà la carica giusta, quella che a volte la corsia mi strappa via. È la voglia che mi ha spinto in pronto soccorso.

È la voglia che mi accompagna a sceglierlo ancora ed ancora …

 

Allora c’è ancora chi vive di questa voglia? Basta accenderla.

 

Ora siamo riuniti in una chiesa (che strana location penso) e dopo una breve presentazione del corso ci viene chiesto cosa ci ha spinto lì ad uno ad uno. 69 professionisti vengono interrogati su una cosa che sembra banale ma non lo è.

 

È bello come ognuno di loro dica qualcosa che mi riguarda, che almeno una volta ho pensato anch’io. Sono uno degli ultimi, non mi piace espormi, di base sono abbastanza introverso e riferire qualcosa di personale davanti a tante persone mi intimidisce, ma l’occasione è giusta e in fondo – come ho detto – mi sembra di conoscere tutti.

 

Quindi prendo il microfono, mi presento e dico la mia: ENTUSIASMO, ancora nessuno l’aveva detto quindi ho pensato fosse necessario dirlo … Io da SIMEU ricerco e ritrovo l’entusiasmo. Perché? Perché spesso il nostro lavoro ci lascia sconfitti e per rinascere ci serve l’entusiasmo.

 

Passano le giornate tra formazione frontale, simulazioni e casi clinici e ogni sera i giochi di gruppo che uniscono tutti. Qui hanno proprio pensato a tutto.

 

Impariamo a conoscere i nostri referenti, medici ed infermieri ed impariamo a conoscerci meglio anche tra di noi e capisco di essere al posto giusto, dove tutto prende la forma e la forza che ricercavo.

 

Sembra di essere davvero in un luogo magico ma non lo è.

Siamo noi, ognuno di noi che ogni giorno in corsia abbraccia con energia e voglia questo lavoro e che lo ama nonostante tutto, non serve specificarlo perché sappiamo tutti cos’è quel tutto, eppure lo abbracciamo.

 

Sono solo cinque giorni eppure mi hanno lasciato molto.

Nuove nozioni, nuove emozioni e nuove amicizie e tutto ciò contribuisce a migliorare giorno per giorno noi ed il nostro lavoro.

 

Tutto ciò è un abbraccio.

Il vostro abbraccio.

Grazie!

 

Matteo De Giorgi, infermiere del pronto soccorso Sant’Antonio, Padova

 

LA CURA INIZIA DALLA PORTA.

giugno 3rd, 2025 | NO COMMENTS

di Emiliano Fanicchia

 

L’autonomia infermieristica in triage: cuore, competenza e responsabilità al primo contatto.

 

Vent’anni in Pronto Soccorso ti insegnano che ogni secondo può fare la differenza. Ti insegnano a leggere i silenzi, a interpretare lo sguardo di chi entra con il dolore stampato sul volto e a decidere, in pochi istanti, quale sarà il suo percorso di cura. Il triage non è un semplice filtro: è un atto clinico, un momento di valutazione specialistica in cui l’infermiere esercita la sua autonomia in modo pieno e consapevole.

 

Questa autonomia non nasce per caso. È frutto di studio, formazione continua, esperienza e – soprattutto – di una profonda responsabilità etica e professionale. In triage l’infermiere non si limita a “smistare” pazienti, ma li prende in carico, li ascolta, li osserva e li valuta clinicamente. È un processo complesso, delicato, che richiede lucidità, competenza e una prontezza che solo chi vive ogni giorno nell’urgenza può comprendere.

 

 

La presa in carico: un gesto di cura che inizia al primo sguardo

 

 

Quando un paziente varca la soglia del Pronto Soccorso, il primo professionista che incontra è l’infermiere di triage. In quell’istante nasce una relazione, seppur breve, ma carica di significato. Prendere in carico significa riconoscere la persona, coglierne le vulnerabilità e valutarne i bisogni in modo rapido ed efficace. Non è un compito meccanico, ma un atto di cura consapevole e profondamente umano.

 

La presa in carico infermieristica in triage si basa su capacità comunicative raffinate, sull’empatia e sull’osservazione clinica. Il paziente non è solo un codice numerico: è una storia, una sofferenza, un vissuto che si presenta in una forma spesso confusa e urgente. L’infermiere esperto sa leggere tra le righe, sa quando un dolore toracico “banale” è in realtà il preludio a un infarto, sa quando un addome dolente nasconde un’urgenza chirurgica.

 

 

La valutazione infermieristica: rapidità e accuratezza

 

 

L’infermiere di triage è chiamato a compiere una valutazione clinica rapida e precisa, spesso in pochi minuti. Deve raccogliere dati, analizzarli, fare una sintesi e attribuire un codice di priorità che determinerà l’intero percorso del paziente. Non si tratta solo di rilevare parametri vitali, ma di comprendere il quadro clinico nella sua complessità.

 

Qui entra in gioco la competenza specialistica: conoscenza delle linee guida, capacità di interpretazione dei segni e sintomi, abilità decisionali. L’autonomia infermieristica si esprime in ogni scelta, nella capacità di fare una diagnosi infermieristica e di attivare immediatamente i protocolli, quando necessario, ad esempio, il fast track, prescrivere esami preliminari o somministrare farmaci in caso di dolore acuto.

 

 

La gestione del dolore: un diritto, una priorità

 

 

Tra le responsabilità più rilevanti dell’infermiere di triage vi è la gestione del dolore. Il dolore non è solo un sintomo: è un’urgenza, un’esperienza soggettiva che merita attenzione e rispetto. Troppo spesso, ancora oggi, viene sottovalutato o mal gestito, soprattutto nelle fasi iniziali del percorso.

 

L’infermiere, grazie alla sua autonomia, può – e deve – valutare il dolore in modo sistematico e attuare strategie di sollievo nel rispetto delle procedure previste. La scala NRS, la VAS, la FLACC per i bambini: strumenti validati che consentono una misurazione oggettiva e ripetibile. Ma oltre alla scala, c’è il cuore: c’è la capacità di vedere oltre, di capire quando un paziente non riesce a esprimere il proprio dolore ma lo comunica con il corpo, con lo sguardo, con l’irrequietezza.

 

Somministrare un analgesico al triage, quando previsto, non è solo un gesto tecnico: è il riconoscimento del diritto alla cura, è alleviare una sofferenza inutile. È anche questo che rende l’infermiere di emergenza urgenza una professione straordinaria: la possibilità di cambiare il corso degli eventi, di restituire dignità, fin dal primo momento.

 

 

Una competenza che richiede formazione e visione

 

 

L’autonomia in triage non è un lusso né un’improvvisazione. È un atto clinico che poggia su solide basi scientifiche e richiede aggiornamento costante. Richiede la capacità di lavorare in team, di comunicare con medici e colleghi, di documentare correttamente ogni passaggio.

 

In un mondo sanitario che cambia, dove le risorse sono spesso scarse e i carichi di lavoro elevati, l’autonomia infermieristica rappresenta una risorsa preziosa. Riduce i tempi di attesa, migliora la sicurezza, garantisce un accesso più equo alle cure. Ma soprattutto valorizza il ruolo dell’infermiere come professionista autonomo, capace, responsabile.

 

 

La forza di chi accoglie e guida

 

 

In questi vent’anni, ho visto centinaia di colleghi al triage. Ognuno con il proprio stile, con la propria umanità, con la propria esperienza. Ma tutti uniti da una stessa visione: essere il primo sguardo, la prima voce, la prima mano tesa. Essere il punto fermo nel caos.

 

L’autonomia infermieristica in triage non è solo una questione di competenze: è una questione di identità, di orgoglio professionale, di passione. È sapere che, in quel momento, sei tu a fare la differenza. E quando, alla fine del turno, ripensi a quel paziente a cui hai riconosciuto un codice rosso al volo, o a quel bambino a cui hai alleviato il dolore, sai che – ancora una volta – ne è valsa la pena.  Sempre.

 

 

Infermiere U.o.c. Pronto Soccorso Policlinico Tor Vergata di Roma

Consigliere Infermiere CDN SIMEU

Docente Faculty Nazionale Triage SIMEU

 

Lazzari felici

aprile 11th, 2025 | NO COMMENTS

di Mario Guarino

 

 

Anna ha gli occhi da fare invidia a Bette Davis.

Un intenso colore pervinca con sfumature verdi accentuate dalla violenza della scialitica e dalle meches bionde checontornano il viso. Ottantasei anni ben portati.

Asciutta e con poche rughe di espressione, vaga nel corridoio del pronto soccorso sotto il braccio del figlio Gennaro nella bellezza di una famiglia unita.

Da pochi giorni la diagnosi di demenza ha cambiato il modo di veder la madre, conquistando la dura consapevolezzadi un baratro incipiente e non di accentuazione degli spigoli caratteriali, come pensava. Così, prima il medico di base, poi il neurologo, il geriatra, il cardiologo… ad affollare quell’elenco di medicine da prendere. Ma stasera non regge, è agitata e confusa come non mai e alle undici di sera non c’è specialista che tenga. Quando la Punto grigia entra in camera calda, Anna scende e saluta tutti come se conoscesse. Un ragazzo risponde al saluto con l’unica mano rimasta libera dalla “Desault” che contiene la spalla appena ridotta che, solo adesso a dolore scomparso, gli parebellissima.

 

Emanuele riposa nella stanza effe. Un locale senza bagno del reparto di riabilitazione che accoglie la medicina d’urgenza e la sub-intensiva. La madre e la sorella Antonella, vegliano attente con la compagnia del televisore a volume annientato e che manda le notizie da Gaza. Spoglia come nulla, quella stanza che accoglie un giovane ragazzo accompagnato dalla sedazione palliativa, non nasconde la sua umile bellezza. Del resto così è stato condiviso dai medici, Antonella la madre e soprattutto da Emanuele. “Fiorista e non fioraio!” Solo due giorni primaappariva rizelato dal fatto che alcuni di noi confondevano i due mestieri. “Il fioraio, vende; il fiorista crea” diceva, primadel riposo indotto dai farmaci. Come non averci pensato prima che “prontosoccorsista o accettista” suonano alle nostre orecchie come “fioraio” offuscando la maestosa bellezza del nostro mondo, cadenzato dai ritmi dell’unica certezza: l’incertezza.

 

Angiolina ha voglia di parlare nel letto quattro dell’OBI che l’accoglie da qualche ora dopo che il 118 l’ha raccolta da terra per una caduta, che sarebbe stata stupida se non ci fossero i novantatre anni sulle spalle, e che ha messo arepentaglio il femore. Ha voglia di parlare anche grazie alla morfina che ha spento il dolore. Un passato da cassiera nella migliore pasticceria di Napoli, citata anche nel film “l’oro di Napoli” di Peppino Marotta.

 

Il sovraffollamento quotidiano tende a mollare la presa verso l’una di notte e si attendono gli esami. Cosimo è certo che la confusione di Anna non è dovuta alla demenza. La sonda accarezza l’addome ed una successiva manovradi disostruzione libera Anna da un intestino assopito dai numerosi farmaci degli ultimi giorni.

 

La voce di Angelo è pessima, non intonata e grave, ma le parole di “desiderio” accennata poco prima, viaggianonell’aria suggerite dal cellulare. Ne “l’oro di Napoli” fa da colonna sonora all’episodio “Teresa” nel quale una bellissima Silvana Mangano tenta di fuggire ad un destino beffardo.

 

Da sempre ho pensato che essere un medico o un infermiere d’urgenza sia un autentico privilegio e che questa vita non la puoi scegliere. Nessuno sceglierebbe un quotidiano complesso, difficile eppure estremamente affascinante. E’ lei che ti sceglie, come una Partenope incantatrice ti sussurra con voce soave nelle orecchie e, se ascolti, non hai scampo.

 

Angiolina il giorno dopo sarà dimessa con la promessa, da parte della nipote, di non lasciarla da sola.

Anna lascerà il pronto soccorso all’alba del giorno dopo, con l’intestino libero e la borsa svuotata di molti farmaci. Ilchiarore degli occhi abbaglierà Cosimo che ritornerà in shock-room tra un edema polmonare e uno shock-settico.

Emanuele farà giusto in tempo a tornare a casa in tarda mattinata del giorno successivo. La mamma non ha voluto lo spettro della morgue, ed il letto di casa raccoglie gli ultimi respiri, ma privi di angoscia, di un ragazzo falciato da un inarrestabile cancro della parotide.

 

E la bellezza? Cosa c’entra la bellezza con queste storie

 

E se non ci fossimo stati?

 

E se Anna, Emanuele, Angiolina e tutti gli altri non avessero trovati Angelo, Cosimo e questo immenso popolo di personee professionisti a farsi carico dei loro bisogni? E allora raccontiamola questa bellezza.

Inizi la necessaria contronarrazione che faccia onore alle divise sudate e sporche ai volti stanchi ed appagati….

 

Da pochi giorni abbiamo festeggiato il compleanno di un grande musicista.

Una sua bellissima canzone parla di lazzari felici e sembra perfetta per noi.

 

Simmo lazzari felici

Gente ca nun trova cchiù pace Quanno canta se dispiace

È sempe pronta a se vutta’ Pe nun perdere l’addore

Si haje asci’ po’ fatte ‘a croce Cammenanno nunpo’ fa’ pace Aiza ‘a capa e so’ tutte ‘nciuce Ca nun se ponno acchiappa’

E c’a faccia già scippata

‘A chesta musica ca è mariola Pe’ dinto ‘e carusielle S’arrobba ‘a vita e sona Sapenno ca è fernuta

E intanto passa stu Noveciento Passammo nujes’acconcia ‘o tiempo Si arape ‘o stipo saje addp’ staje

E nun te scuorda’ maje

E intanto passa stu Noveciento Cammisa ‘a fora’ncuorpo t’o ssient E riest all’erta tutt’a nuttata Pensanno addo’ si’ stato

Pensanno addo’ si’ stato

 

 

Non voglio più dare cattive notizie.

febbraio 22nd, 2025 | NO COMMENTS

di Alessandra Iorfida

 

Lho detto a una collega (e amica) laltro giorno, dopo aver comunicato a una paziente di avere un tumore. Era la terza volta in una settimana, e ogni volta spero sia lultima.

 

Ormai conosco il copione, e ogni volta vorrei non doverlo recitare. Non voglio essere colei che sa, colei che deve dire che quel gonfiore non era nulla di banale, che è una massa, che forse è un tumore, che bisogna fare accertamenti. E poi il silenzio, gli sguardi, la paura, le domande. Domande a cui, a volte, ho perfino paura di rispondere.

 

Cerco di rimanere distaccata, di non pensare a come si possa sentire una persona che riceve quelle parole da un medico giovane, dopo ore di attesa. Cerco di non immaginare il vuoto che possono aprire.

Ma non ci riesco. Ogni parola ha un peso anche per me. Perché anchio, sotto il camice, sono una persona. Anchio, ogni volta, sento un piccolo pezzo del mio cuore sgretolarsi.

 

Vorrei poter dire: “Mi sono sbagliata. Non è nulla di grave. Vorrei sorridere e spiegare che era solo una colica addominale, che quel pensiero che mi tormentava era infondato, che lecografia bedside mi aveva tratto in inganno. Vorrei condividere un sollievo, non un peso.

Il nostro lavoro di giovani medici in Medicina d’Urgenza è fatto di momenti come questi. Un lavoro che molti immaginano freddo, tecnico, quasi militare: una linea del fronte senza spazio per empatia o vulnerabilità. Ma questa immagine è lontana dalla realtà.

 

Siamo medici, ma siamo anche umani. E non possiamo fare a meno di empatizzare con i nostri pazienti. Vedere una madre disperata che stringe la mano del figlio malato, un anziano solo in cerca di conforto, una giovane donna che fissa il vuoto dopo una diagnosi inaspettata… ci fa soffrire. Non siamo insensibili, non abbiamo un muro a proteggerci il cuore. A volte quel muro è più fragile di quanto si creda.

Proviamo a costruirlo, è vero. Una barriera per non pensare che quelle persone potrebbero essere i nostri genitori, unamica, nostro fratello, noi stessi. Ma quella barriera si incrina spesso. E quando si rompe, sentiamo tutto: la paura, il dolore, la speranza. Tutto ci travolge.

 

Il nostro lavoro richiede un equilibrio delicato: essere distaccati quanto basta per non crollare, ma vicini abbastanza da non sembrare freddi. Una danza costante tra professionalità ed emozione, tra tecnica ed empatia. Non è un caso se, a volte, ci fermiamo per un respiro profondo prima di entrare in una stanza o se, tornando a casa, ci sentiamo svuotati, esausti.

 

Eppure, non cambierei questo lavoro per niente al mondo. Perché, anche nei momenti più bui, so di poter fare la differenza. So che, anche solo per un istante, posso essere un punto di riferimento, una luce nella tempesta. So che, anche quando non ci sono buone notizie da dare, ciò che conta è come le diamo: con rispetto, con umanità, con la consapevolezza che dallaltra parte c’è una persona che merita di sapere, ma anche di essere accompagnata in questo viaggio difficile.

 

Essere futuri Medici dUrgenza significa vivere costantemente al limite: tra la speranza e la realtà, tra il desiderio di salvare tutti e laccettazione che non sempre è possibile. Ma è anche un percorso di crescita, che ci rende più forti e consapevoli. Non solo dei nostri pazienti, ma anche di noi stessi.

Forse il vero compito del medico durgenza, quando sarò “grande”, sarà proprio questo: essere vicino al paziente in ogni momento, soprattutto in quelli più difficili, quando il mondo sembra crollare. Perché non basta curare, bisogna anche prendersi cura. In questo prendersi cura c’è la nostra vera forza, il senso profondo del nostro lavoro, e la flebile speranza che possiamo offrire anche nelle situazioni più disperate.

 

Prendere cura significa dare al paziente non solo risposte e trattamenti, ma anche una presenza umana, un ascolto attento. Significa affrontare insieme la paura di un esito infausto, sedersi accanto a chi ha appena saputo che la sua vita cambierà per sempre e dirgli, guardandolo negli occhi: “Non sei solo. Sono qui per te.”

 

Sempre più spesso diagnostichiamo tumori in Pronto Soccorso, spesso anche in fase avanzata, quando non c’è più nulla da fare. Vediamo persone arrivare dopo mesi, talvolta anni, in cui i loro sintomi sono stati trascurati o sottovalutati. Il Pronto Soccorso diventa così, per molti, lunico punto di accesso al sistema sanitario, un luogo dove finalmente ricevono una diagnosi, delle risposte, un conforto.

 

Non vorremmo che il Pronto Soccorso diventasse il luogo deputato alla diagnosi di queste patologie, ma la realtà è che ci troviamo sempre più spesso a dover sopperire alle carenze del sistema, prendendoci carico di storie che avrebbero avuto bisogno di un altro tipo di percorso. Questa non è una peculiarità italiana, ma una tendenza globale, come testimonia uno studio di Lancet Oncology¹ che ha rilevato una percentuale di prime diagnosi oncologiche in Pronto Soccorso che varia dal 24% al 42% a seconda della tipologia tumorale.

 

Il nostro lavoro, per quanto duro, è una scelta consapevole. Una scelta che comporta sacrifici, ma che regala anche momenti di profonda connessione umana. Ci sono istanti in cui la fatica svanisce, e rimane solo la gratitudine di chi abbiamo aiutato, il sorriso di chi abbiamo confortato, o la consapevolezza di aver fatto del nostro meglio. Perché, in fondo, è questo che conta: esserci, sempre.

 

E quando penso al futuro, immagino una Medicina in cui lempatia sia centrale, in cui nessuno debba mai sentirsi un numero, un caso clinico, un problema da risolvere. Voglio credere in un sistema sanitario dove ogni paziente si senta accolto, rispettato, compreso, visto. Un sistema in cui tecnologia e scienza avanzano di pari passo con l’umanità, senza mai dimenticare che al centro di tutto c’è la persona.

 

Non voglio più dare cattive notizie.

Ma se dovrò farlo, voglio farlo nel miglior modo possibile. Con umanità, con rispetto, con la consapevolezza che anche le parole più difficili possono essere un ponte, un modo per dire:

“Non sei solo. Io sono qui, con te.”

 

 

 

  1. Risk factors and prognostic implications of diagnosis of cancer within 30 days after an emergency hospital admission (emergency presentation): an International Cancer Benchmarking Partnership (ICBP) population-based study

    McPhail, SeanFilsinger, Brooke et al.

    The Lancet Oncology, Volume 23, Issue 5, 587 – 600

    https://doi.org/10.1016/S1470-2045(22)00127-9

Sono la figlia di una mamma tradita.

febbraio 2nd, 2025 | NO COMMENTS

di Barbara Campi, figlia

 

Oggi la mia mamma non c’è più e desidero scrivere qualche riga.

 

La mia mamma era una donna d’altri tempi ma al passo con gli attuali.

Come tutti con pregi e difetti ed oggi mi sento di dire che il suo più grande difetto fosse quello di mettere subito dietro agli affetti familiari un senso dello Stato e del dovere civico ammirevole.

E proprio questo è stato il maggior tradimento che potesse ricevere.

Infatti è stata proprio tradita da uno Stato a cui la sanità pubblica interessa zero.

 

A scanso di equivoci non mi riferisco ovviamente solo a questo governo ma al susseguirsi degli stessi, indipendentemente dal colore, poiché tutti padri dei finti finanziamenti (in realtà tagli) come vessillo.

 

La mia mamma ha trascorso l’ultima fase della vita su una brandina del pronto soccorso, soffrendo per giorni in un ospedale incolpevole, dove il personale medico e sanitario si spende ammirevolmente con dedizione e determinazione combattendo una sanità tanto in debito da obbligare i familiari dei degenti del PS a portare cibo e coperte per i propri cari.

Pena la fame, la sete ed il freddo.

 

Solo alla fine del suo tragitto si è trovato per mamma un letto in corsia.

La carenza di letti e di brandine è paradossale e vergognosa ed i parenti arrabbiati, ahimè, in discussione col personale. In quanto ultimi di una catena sono anch’essi vittime del degrado.

 

La mia mamma è andata in cielo tradita da ciò per cui non ha mai vacillato nel credere. Una beffa.

 

Il mio dolore è certo nella perdita ma parimenti la rabbia lo compensa perché quello che era stato il prima della Sanità è defunto negli anni. Lentamente.

Come lentamente si è spenta lei.

Lentamente e nella sofferenza.

Sua, nostra, del personale ospedaliero e di chi altri ci si trova.

E sono tanti.

Sono il popolo italiano.

Quello che negli anni vota.

E vota sempre meno perché non ci crede più.

 

Ma la mia mamma ci credeva stoicamente.

Sanità, istruzione e giustizia sono i cardini di uno Stato serio e coerente con i cittadini.

Mi sento di dire che il nostro Paese li abbia persi tutti e tre.

 

La mia mamma non c’è più ma a tutto il personale medico che ho incontrato dico solo un grande grazie per la quotidiana capacità di essere presenti, nonostante tutto.

A voi che un tempo non lontano vi hanno chiamato eroi aggiungerei un … sigh … dimenticati.

 

Concludendo, penso di meritare la possibilità di un augurio a tutti i conclamati coinvolti nella mala sanità, a chi l’ha fatta franca ed a chi semplicemente ignora lo stato delle cose, di trovarsi per una volta nei panni in cui mi ci sono, per loro colpa o indolenza, ritrovata io.

Inerme nel veder soffrire la persona che mi ha dato la vita.

Un sentito vergognatevi da parte mia che scrivo e da parte di chi sta soffrendo in silenzio.

La mia mamma non c’è più e per tutto il personale ospedaliero sarà un’altro giorno di guerra.

 

 

 

NOTA DEL PRESIDENTE SIMEU

PorgerLe le condoglianze è doveroso e sentito da parte nostra, anche se non cancella quanto avvenuto. Come Presidente SIMEU le dico che la risoluzione di questo problema rappresenta una priorità assoluta del quotidiano della nostra società scientifica a livello nazionale.

E’ importante che le voci e le storie dei cittadini entrino insieme alle nostre nelle sedi istituzionali di fronte ai decisori, con l’obiettivo di risolvere in modo coordinato e condiviso questa situazione insostenibile per tutti.

La ringrazio davvero per il tono Civile – inteso nel senso più alto del termine – del Suo scritto. 

 

 

 

 

 

 

 

L’Ecografo in Pronto Soccorso: Una Rivoluzione dal Punto di Vista di un Infermiere

gennaio 17th, 2025 | NO COMMENTS

di Alessio Luzi

 

Introduzione

Negli ultimi anni, il ruolo dell’infermiere in pronto soccorso è cambiato radicalmente grazie all’introduzione di nuove tecnologie. Tra queste, l’ecografo si è rivelato uno strumento essenziale per migliorare la qualità delle cure e la rapidità delle valutazioni infermieristiche. Come infermiere, ho avuto modo di formarmi riguardo l’utilizzo dell’ecografo e delle sue applicazioni. Ho avuto modo, quindi, di osservare da vicino l’impatto di questa innovazione sul nostro lavoro nel quotidiano e sui pazienti.

Questo articolo esplorerà l’utilizzo dell’ecografo in pronto soccorso dal mio punto di vista.

 

L’Importanza dell’Ecografia nel Contesto del Pronto Soccorso

L’ecografia in pronto soccorso non è una novità, ma la sua diffusione capillare e l’accessibilità a infermieri e altri operatori sanitari rappresentano un cambiamento significativo. Utilizzata per valutare rapidamente condizioni critiche, l’ecografia aiuta a prendere decisioni immediate, spesso salvavita. O, ancora meglio, aiuta ad allertare il medico in modo tempestivo e “mirato”. Questo perché una buona pratica (dopo una adeguata formazione) permette una valutazione differenziale da parte dell’infermiere. Specie nel contesto emergenza urgenza.

 

Valutazione Rapida e Precisa

In situazioni di emergenza, il tempo è infatti un fattore cruciale. L’ecografo permette di eseguire valutazioni rapide e precise di condizioni come l’emorragia interna, il pneumotorace e l’insufficienza cardiaca. Ad esempio, in un paziente politraumatizzato, un’ecografia può far ottenere una valutazione rapida di un danno d’organo, indirizzando immediatamente il trattamento appropriato. Si pensi alla FAST, o alla moderna eFAST, in pochi minuti si può davvero valutare la presenza di liquido nelle cavità o un pneumotorace.

 

Riduzione dei Tempi di Attesa

L’ecografo potrebbe ridurre significativamente i tempi di attesa in triage. Infatti la sua sensibilità e specificità sono elevate se lo strumento viene utilizzato da personale debitamente formato (l’ eFAST ha una sensibilità del 69-98% e una specificità 94-100%). Un paziente con dispnea, per esempio, può essere valutato in pochi minuti per escludere una patologia polmonare grave, come un pnx o un’edema polmonare. Oppure nel caso di  paziente con dolore toracico può essere valutata una finestra pericardica e confermare la presenza di zone anecogene intorno al cuore (oltre la normale quantità di 50 ml).

 

Il Ruolo dell’Infermiere nell’Esecuzione dell’Ecografia

Il compito dell’infermiere si è evoluto con l’introduzione dell’ecografo in pronto soccorso. Oltre alle tradizionali responsabilità di assistenza e supporto, l’infermiere è ora spesso coinvolto direttamente nell’esecuzione delle ecografie. Questo richiede però una formazione specifica e un aggiornamento continuo delle competenze.

 

Formazione e Competenza

Per poter utilizzare efficacemente l’ecografo, gli infermieri devono seguire corsi di formazione specifici. Questi corsi includono sia lezioni di teoria che di pratica, permettendo agli infermieri di acquisire le competenze necessarie per interpretare le immagini ecografiche. La formazione continua è essenziale per mantenere un alto livello di competenza e sicurezza.

 

Collaborazione Interdisciplinare

L’utilizzo dell’ecografo favorisce una maggiore collaborazione tra infermieri, medici e altri operatori sanitari. Le informazioni ottenute tramite ecografia possono essere condivise rapidamente con il team medico, facilitando una risposta coordinata e tempestiva alle emergenze.

 

Benefici per i Pazienti

Dal punto di vista del paziente, l’ecografo in pronto soccorso rappresenta un grande vantaggio. La possibilità di ottenere valutazioni rapide e accurate migliora l’esperienza del paziente e riduce l’ansia associata all’attesa per esami e risultati.

 

Sicurezza e Comfort

L’ecografia è una procedura non invasiva e priva di radiazioni, il che la rende sicura per tutti i pazienti, inclusi bambini e donne in gravidanza. Inoltre, la rapidità con cui possono essere eseguite le ecografie riduce significativamente il tempo trascorso in pronto soccorso, migliorando il comfort del paziente.

 

Specificità del ruolo

L’utilizzo dell’ecografo è importante anche quando si ha necessità di reperire un accesso periferico in un paziente con scarso patrimonio venoso. Non è raro, infatti, che in pronto soccorso (o nei reparti di degenza) si introduca un midline o un mini-midline per favorire il comfort del paziente ed evitare stravasi da farmaci. Inoltre, nella maggior parte dei casi, gli infermieri impiantano PICC sotto guida ecografica facendo parte, appunto, del PICC team ospedaliero. Ma non solo. L’ecografia ci viene in aiuto anche, ad esempio, nel paziente con globo vescicale o ipertrofia prostatica. Inserire un CV ed eseguire un controllo ecografico post procedura ci può aiutare a confermare la buona riuscita della pratica appena eseguita. L’ecogtafia bedside può, inoltre, aiutare l’infermiere a capire se il sondino naso gastrico è stato posizionato correttamente e che non vi siano complicanze con lo stesso (ad esempio tubo ripiegato su se stesso o altro). Logicamente la formazione e la pratica facilitano l’uso dell’apparecchio e la specificità dello stesso.

 

Trattamento Tempestivo

Con una valutazione (o una diagnosi infermieristica) tempestiva, i trattamenti possono essere iniziati più rapidamente, migliorando l’outcome dei pazienti. Per esempio, in caso di una sospetta rottura di aneurisma addominale, l’ecografia può facilitare la valutazione di triage e applicare il PDTA idoneo in pochi minuti, permettendo un intervento chirurgico urgente qualora il medico lo ritenesse idoneo (o confermasse la valutazione infermieristica).

 

Le mie conclusioni

L’introduzione dell’ecografo in pronto soccorso ha trasformato il modo in cui gli infermieri e il personale sanitario lavorano, migliorando significativamente la qualità delle cure fornite ai pazienti. Come infermiere, posso affermare con certezza che l’ecografo è uno strumento indispensabile che ha reso il nostro lavoro più efficiente e ha contribuito a dedicare percorsi di assistenza sempre più specifici. La continua evoluzione tecnologica e la formazione del personale sono fondamentali per massimizzare i benefici di questa preziosa innovazione.

 

RINGRAZIO SIMEU PER AVER DATO SPAZIO A QUESTE MIE RIFLESSIONI. Orgoglioso di essere. partecipe attivo di vostre iniziative.

 

Non ho fatto niente

dicembre 28th, 2024 | NO COMMENTS

di Maurizio De Giovanni

 

Io non ho fatto niente. Proprio niente.

Non è come voi pensate. Lo so, sembrerebbe proprio la stessa cosa, ma non è così. Io non ho fatto niente.

Niente a cui non sia stato costretto.

 

Mi ricordo quando l’ho vista, la prima volta. Eravamo ragazzi. Erano tantissimi anni, che ci conoscevamo. Eravamo diversi, allora; eravamo pieni di sogni e di speranze. Lei era la sorella di un mio compagno di scuola, e all’inizio mi era pure antipatica; poi, a forza di vederci, cominciammo a parlare e io capii che era lei che volevo vicino, era lei la persona con cui volevo stare.

Dopo la scuola cominciai da apprendista, nella grande fabbrica, e poi, quando mi passarono a tempo indeterminato, ci sposammo.

Adesso mi sembra il Paradiso, allora sembrava un purgatorio. Io lavoravo dalla mattina alla sera, lei spaccava i miei soldi in quattro per tirare avanti. Facemmo la fesseria di mettere da parte qualcosa e di comprare casa, col mutuo.

 

Il mutuo.

 

Fallo a rata variabile, mi disse il tizio in banca. Così magari i tassi scendono e tu ci guadagni. Quelli come me non guadagnano mai. Lo dovevo sapere.

Il bambino, che aveva sempre bisogno di qualcosa. Il mutuo che saliva, saliva. I lavori del palazzo, la macchina vecchia che si scassava in continuazione. Lei cominciò quasi subito a fare lavoretti, cuciva, era brava. Si andava facendo un nome, non guadagnava quanto me ma quasi.

Io mi ricordo come mi guardava. Con fiducia, amore, dolcezza. Mi guardava, e io capivo immediatamente quello che provava per me.

Mi sentivo curato. Anche se aveva tanto da fare, non mi faceva mancare mai la tuta stirata, il piatto caldo all’ora di pranzo. E la sera, quando guardavamo un po’ di televisione, stanchi morti tutti e due, si accoccolava vicino a me sul divano e si addormentava.

Era dura. Lo è sempre stata, durissima e in salita. Alla gente come noi nessuno regala niente. Ma ce la facevamo.

 

Finché.

 

Finché è venuta la crisi. Come una tempesta. Ma dico io, tutti questi professoroni che quando parlano alla tele o sui giornali sembrano sapere tutto, non potevano capire quello che stava succedendo? Come andava a finire?

E lo sapete, com’è andata. Prima la fabbrica ha bloccato le assunzioni, poi ha cominciato con la cassa integrazione.

Io me la sono cavata, per un paio d’anni. Lei per fortuna incrementava la clientela, adesso le persone venivano anche a casa a farsi prendere le misure; qualche volta me la dovevo preparare io, la cena, ma i soldi facevano comodo. I colleghi, specialmente quelli che facevano mezza giornata a casa, mi invidiavano perfino.

E poi a casa ci sono rimasto io. E un po’ alla volta non mi hanno pagato più.

 

All’inizio mi guardava ancora come prima. No, non proprio come prima; certo la faccia era la stessa, e anche gli occhi. Ma io, io lo sapevo che era preoccupata. Lo sapevo che pensava al fatto che, senza guadagnare un tubo, senza avere quel po’ di prestigio che ti dà il lavoro, un uomo non serve a niente. Ora lei era pure autosufficiente, magari io ero diventato un peso.

E giorno dopo giorno io l’ho vista, la vera espressione. Dietro le solite parole, dietro la fatica terribile, dietro i gesti normali, io sentivo la sua pietà.

Non che dimostrasse niente, sia chiaro; aveva pure ripreso a stirarmi tutto, a preparare pranzo e cena, forse proprio per dimostrarmi che aveva pietà di me. E anche se io me ne stavo al biliardo per tutto il giorno, e anche se avevo cominciato a bere un po’ troppo, non ha mai detto una parola. I soldi erano i suoi, ormai, ma si comportava come se ancora fossi io quello che manteneva la famiglia.

Però io lo sapevo, quello che aveva dentro. Aveva pietà di me.

Si vedeva da come si muoveva, da come parlava. Mi sentivo i suoi occhi dietro la nuca, sulle spalle, e se quando mi giravo all’improvviso era rivolta altrove, io lo capivo lo stesso.

 

Avevo cercato un altro lavoro, naturalmente. Ma ho cinquant’anni e la schiena spaccata, nessuno mi prende. Al biliardo siamo in tanti, nelle stesse condizioni. E lei, lei che quando alzavo la voce, perché uno ha pure diritto di stare un po’ incazzato, nelle mie condizioni, lei guardava a terra.

La sentivo, la pietà, ruotare nelle sue meningi, allargarsi con le dita nere ad agguantarle l’anima. Pietà. Pietà di me, del suo uomo. Di quello che l’aveva mantenuta per tutta la vita ammazzandosi di lavoro, e che ora non andava più bene perché di soldi a casa non ne portava più.

La prima volta ho creduto che avesse sbuffato. L’avevo sentita chiaramente, giuro; non avevo pensato che potesse essere un sospiro. Mi lamentavo perché il piatto era freddo, io mangiare cose fredde non lo sopporto, e lei ha fatto quel suono, un sospiro o altro, non so. La mano è andata per conto suo, io non ci ho nemmeno pensato.

Ha detto in giro che aveva sbattuto contro una porta; l’ho sentita parlarne alla vicina, chissà dove ho la testa, ha detto, e rideva. Meglio.

Poi è successo un altro paio di volte. Forse tre, al massimo. Non di più. Non so, mi faceva stare meglio. Ristabiliva i ruoli, mi faceva sentire di nuovo al mio posto, padrone in casa mia. I soldi erano suoi, il lavoro era il suo, la gente si scappellava davanti a lei, ma lei era quella che in casa doveva fare la moglie, cazzo. La moglie. Non il marito: il marito ero io.

L’unica cosa che non riuscivo a risolvere era quell’espressione. La pietà che teneva sotto la superficie.

Avesse avuto paura, o anche odio, sarei stato bene; lo avrei potuto sopportare. La paura è stare sotto, è essere inferiore. Andava bene, se aveva paura. Ma lei no, la paura non ce l’aveva, e nemmeno l’amore, quello era morto da tempo. Aveva pietà. Lo sapevo io, e lo sapeva lei.

 

Non ho fatto niente. Proprio niente, vi dico.

 

Ho fatto solo quello che avrebbe fatto chiunque, al posto mio. Quello che andava fatto.

Perché, vedete, una donna non può avere pietà del proprio uomo. Uno che ha tirato la carretta per tutta la vita e ancora l’avrebbe fatto, se non l’avessero buttato in mezzo alla strada come un vestito vecchio, come un rottame che non serve più a niente. Uno che ha cresciuto un figlio che lavora all’estero. Uno che una volta gli davano del lei, per strada, e non lo guardavano con disgusto, come fanno adesso.

Uno così non merita pietà. Merita rispetto.

E allora stamattina gliel’ho cancellata dalla faccia, la pietà. Gliel’ho cancellata a coltellate, una volta per tutte.

 

Io non ho fatto niente. Proprio niente.

 

E’ stata lei, che se l’è voluta. Adesso finalmente non ha più nessuna espressione. Nemmeno la faccia, ha più.

Però me lo ricordo ancora, quello sguardo. L’ha avuto fino all’ultimo.

 

Pietà. Pietà.

 

Io non ho fatto niente, sapete. Proprio niente.

 

 

 


Post di Facebook

❗️ #SIMEU denuncia da sempre la necessità di urgenti misure che possano delineare gli scenari futuri dell’#emergenza #urgenza e del suo ruolo senza incertezze all’interno del #SSN.🔴 Accanto alla richiesta di provvedimenti non si è mancato di indicare le possibili soluzioni affinché gli #specialisti #MEU, impegnati nelle strutture di #prontosoccorso e 118, abbiano le giuste tutele #professionali e siano incentivati a scegliere o continuare a scegliere la disciplina.👉 Ne parla il Past President, dott. Fabio De Iaco, in un’intervista pubblicata su Tecnica Ospedaliera di luglio.#GOLDENdoctors #GOLDENmedicine #fieridivoi #medici #infermieri #specializzandi #fieridiMEU ... Vedi altroVedi meno
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Chi manda avanti il mondoMichele Serra1 agosto 2025Come capita a molti, mi sono fatto male (caduta in scooter) e sono finito in #ambulanza al #prontosoccorso. Milano, ospedale Fatebenefratelli. E come capita a molti, anche se non a tutti, sono stato prima soccorso, poi visitato, medicato, radiografato, suturato, disinfettato, incerottato come una mummia, infine dimesso perché non avevo niente di rotto.I pronto soccorso non sono luoghi facili. C’è il #dolore e lo spavento, c’è quello che urla, quella che piange, quello che non vuole aspettare, ci sono il #sangue, il pallore, lo sgomento, l’attesa e la #paura. Ci si sente più indifesi, più guardinghi, più irascibili. In questo mare procelloso, mi è sembrato che #soccorritori e #barellieri, #infermieri e #medici, fossero forti e tranquilli, e non so se sarei capace di altrettanto. Ho avuto la fortuna (il caso a volte parla molto chiaro) di essere accolto e assistito da una specie di pool di sole #donne, con l’eccezione dell’infermiere siciliano — di Licata — che mi ha portato in radiologia. Attorno alla mia #barella insanguinata c’erano tre giovani #dottoresse e una giovanissima #infermiera che, se il mondo funzionasse per il verso giusto, dovrebbe essere nominata #primario entro una settimana.Ho pensato che il mondo funziona, incredibilmente, e a dispetto delle sue spaventose tare, per merito delle #persone. Che sono le persone, una per una, a impedire che prevalga il caos. Il mondo sembra disfarsi fino a che qualcuno, in fin dei conti non per obbligo ma per senso del dovere, provvede a rammendarlo. Voglio ringraziare le innominate donne in #camice che mi hanno #soccorso, sopportato e #curato. Le ho sentite mie simili, e mi è sembrato che anche loro mi trattassero come un loro simile. Per il #serviziosanitarionazionale: hip hip hurrà! E guai a chi non lo premia, non lo aiuta, non lo porta in palmo di mano. ... Vedi altroVedi meno
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❗️ Torniamo sul tema scadenza dei contratti dei #medici a chiamata con il Vicepresidente nazionale #SIMEU Dott. Mario Guarino che, in una intervista recentemente passata su RTL 102.5, commenta anche il provvedimento che avrebbe dovuto rendere strutturale lo “scudo penale” per i #professionisti #sanitari attraverso un disegno di legge delega presentato dal #MinistrodellaSalute.#GOLDENmedicine #GOLDENdoctors #infermieri #specializzandi #emergenza #urgenza #prontosoccorso #prontosoccorsoinprimalinea #fieridivoi #fieridiMEU #MEU ... Vedi altroVedi meno
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