IL BLOG DI SIMEU

 

“Infermiere! Infermiere!”

di Anna Arnone

 

È questa la parola più pronunciata, urlata, sussurrata e ascoltata durante il giorno in quel tumulto di voci, allarmi, campanelli, rumori di passi, grida, silenzi.

 

Nella Medicina d’Urgenza dell’ospedale più grande del Mezzogiorno il tempo non ha misura e il giorno si confonde con la notte. In un continuo susseguirsi di incessanti turni dal momento in cui il paziente viene preso in carico nell’unità operativa fino alla sua dimissione.

 

Quando il paziente accede in questo nuovo confine si sente smarrito, disorientato, spesso non ha con sé un cellulare per parlare con i suoi cari, sta terribilmente scomodo su una barella che l’ha trasportato dal pronto soccorso, si sente solo, un peso.

 

Ed è qui che l’infermiere entra in scena, gli spiega dove si trova e quale trattamento dovrà fare, gli chiede di cos’ha bisogno; il care e il core diventano indissolubili, con un meccanismo innato e autentico. In altre circostanze non c’è tempo di parlare, bisogna fare presto, è necessario correre e tirare fuori il paziente dal vortice dell’emergenza: un arresto cardiaco improvviso allertato dai monitor appena posizionati, un’insufficienza respiratoria contenuta con la ventilazione non invasiva prontamente collocata attraverso una maschera facciale che non lascia spazi sul volto.

 

C’è fame d’aria e c’è fame di salvezza.

 

In questi ultimi tempi anche l’infermiere ha fame d’aria: deve proteggersi e deve proteggere, deve coprirsi e deve coprire naso e bocca.

Ma non basta.

Bisogna vestirsi interamente, lasciando scoperti gli occhi visibili solo attraverso una visiera. “C’è il Covid qui? Io voglio andare a casa! Ho paura!”

Lo smarrimento cresce e lascia posto all’angoscia.

“No signora, stia tranquilla, stiamo proteggendo noi e soprattutto voi!” è questa la frase più detta durante la giornata.

A volte non basta, bisogna ripeterlo più e più volte.

 

La Medicina d’Urgenza non è solo una Medicina d’Urgenza, ma è una porta di accesso dal mondo esterno, quasi diretta sul pronto soccorso, un tempo un lazzaretto sovraffollato di folle di parenti accanto ai propri cari, barelle vicinissime senza alcun distanziamento e ora solo un triste ricordo.

 

Quella porta accoglie da sempre come oggi tipologie diverse di pazienti verso i quali è richiesta una forte competenza infermieristica, eterogenea, complessa, efficace al fine di saper rispondere agli specifici bisogni dell’individuo.

 

Non si tratta solo di un ruolo ma una sfida continua con sé stessi e un lavoro di team numeroso, compatto e per questo vincente.

 

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