IL BLOG DI SIMEU

 

Lo sconforto della Medicina d’Urgenza

agosto 10th, 2022 | NO COMMENTS

di Federico Marini

 

Caro Sistema Sanitario Nazionale,

 

mi presento:  mi chiamo “Medicina d’Urgenza”.

 

Non mi sto presentando per caso, lo sto facendo ora perché, nonostante siano passati oltre 13 anni dalla mia prima apparizione, non abbiamo ancora avuto modo di conoscerci veramente. Quantomeno sembra che la mia presenza sia ancora in penombra rispetto alla restante parte delle colleghe “Medicine” a tuo carico e sento il bisogno di chiarire alcune questioni che, ad oggi, non sono state ben definite.

 

Il mio ruolo è quello di gestire le condizioni acute, riuscire a stabilizzare il paziente riconoscendo la causa che lo ha portato alla mia attenzione ed affidarlo alla collega che ha più esperienza nella gestione terapeutica della malattia. In poche parole gestisco l’emergenza o l’urgenza clinica.

 

Prima di essere “d’Urgenza” però, io sono “Medicina” e come tale mi occupo della persona che ho davanti. Se mi si chiede un bicchiere d’acqua per la sete, offro l’acqua. Se mi si chiede un lenzuolo lo porgo. Se il paziente deve essere spostato in un’altra zona dell’ospedale per ricevere altro tipo di assistenza lo sposto. Nonostante non sia strettamente pertinente alla mia specializzazione, lo è sicuramente per la mia scelta di vita.

 

Ognuna di noi prima di specializzarsi ha scelto di essere “Medicina”, ognuna di noi in un momento della vita ha avuto quell’idea di poter far del bene, perché è da questa idea che nasciamo; dal tentativo di evitare la sofferenza altrui, che è probabilmente il desiderio più puro dell’essere umano.

Anche io come le altre nasco così, pura e sognatrice, combattente ma caritatevole.

 

Probabilmente essendo giovane ricordo ancora molto bene il giuramento di Ippocrate o forse l’appellativo “d’Urgenza” mi porta a correre in aiuto anche quando non sarebbe proprio di mia competenza, fatto sta che l’emergenza pandemica l’ho praticamente gestita tutta io, con l’aiuto di alcune colleghe che, attraverso i media, davano le loro indicazioni…a distanza.

 

Lo so che noi giovani dobbiamo fare la gavetta e che se c’è un problema rognoso, scomodo o semplicemente pesante è l’ultimo arrivato che deve farsene carico; il perché non mi è stato mai completamente chiaro ma “si è sempre fatto così” e lo accetto.

 

Ciò che però digerisco con fatica è la totale assenza di aiuto da parte di chi, come me, ha scelto di aiutare il prossimo, di essere dalla parte del bisognoso, dalla parte dell’essere umano.

 

Le condizioni morbose che portano il malato da noi non sono mai sempre le stesse, lo sappiamo; la collega Igea si occupa proprio della variabilità epidemiologica delle malattie, studiando come l’interazione genotipo-ambiente condizioni quello che poi io ritrovo al triage.

 

Quindi io mi organizzo e segnalo, con il ruolo secondario di sentinella, la variabilità e l’eventuale cambio di incidenza delle malattie di fronte la mia porta.

 

Chi mi conosce sa che sono molto umile, vedo la morte ogni giorno, non riuscirei mai a vantarmi di aver salvato qualcuno quando accanto ne ho persi altri cinque, al tempo stesso riconosco però la mia capacità di adattamento alle condizioni di emergenza, credo di essere nata proprio per questo!

 

Ad oggi però sembra che questa situazione io la stia gestendo completamente da sola. Nella mia unità ho pazienti della collega “Cardiologia” in attesa di coronarografia, instabili, a rischio di vita, buttati in una barella. Ho pazienti della collega “Neurologia” con meningiti batteriche accanto a pazienti immunodepressi. Gestisco pazienti della collega “Ematologia” destinati ad isolamento nel percorso dedicato alle malattie infettive. Osservo occlusioni intestinali che durano settimane senza indicazione da parte della collega “Chirurgia” né ad intervento né ad andare a casa. Curo polmoniti della collega “Pneumologia” mandandoli a casa prima del ricovero. Così come i pazienti con sincope, quelli con scompenso cardiaco con indicazione ad “ottimizzazione terapeutica prima del ricovero”, come se la specialista fossi io. Senza parlare delle polmoniti Covid della collega “Infettivologia”, ma lei lo sappiamo, questo periodo è stata impegnata in diverse trasmissioni televisive, forse sarebbe meglio lasciarla riposare; e così li ricovero da me, con tutte le indicazioni stringenti e soffocanti per evitare la diffusione del virus…che valgono solo in Ospedale.

 

Tutto questo mentre una paziente viene ricoverata in stanza singola, privata per rifarsi il seno.

 

Ciò significa che io, oltre a gestire la fase acuta, sto prendendo il ruolo delle mie colleghe, pur non avendone competenza. Nonostante la megalomania che contraddistingue chi decide di seguirmi, l’assenza di un percorso dedicato e di una valutazione da parte delle colleghe più esperte, non fa altro che danneggiare il paziente, il malato che si presenta in pronto soccorso, ovvero, potenzialmente, ognuno di noi.

 

Il tutto viene gestito mentre sento il terreno tremare sotto le gambe, perché non ho più le forze: chi mi ha scelto è stanco e molte persone mi hanno abbandonato, con le poche unità rimaste faccio fatica persino ad essere “Medicina” … e me ne vergogno.

 

Caro SSN, potrei non riuscire più a gestire tutto questo, se da parte delle “colleghe” e da parte tua non ci sarà una decisa presa in carico delle condizioni a loro destinate.

 

Chiedo una responsabilizzazione da parte di tutta la politica, perché ad oggi, la mia sensazione è che sto gestendo da sola la mutevolezza patologica alle nostre porte.

 

Otto mesi per omicidio colposo

luglio 23rd, 2022 | NO COMMENTS

di Fabio De Iaco

 

Il titolo di giornale è un colpo allo stomaco: “Morto dopo sette ore al Pronto Soccorso, condannato l’infermiere che lo classificò codice verde”.

La condanna: otto mesi per omicidio colposo.

 

Chi conosce il Pronto Soccorso non può non percepire una profonda dissonanza tra l’evento drammatico e l’esito giudiziario: può l’agire personale di un singolo professionista essere l’unica causa punibile del fallimento (vero o presunto, qui poco importa) di un intero sistema?

 

La Medicina d’Emergenza Urgenza (in questo caso il Pronto Soccorso) non può essere banalmente ridotta a un semplice atto medico o infermieristico: è organizzazione, è stratificazione del rischio, è valutazione probabilistica, è continua collaborazione interprofessionale. È un sistema complesso di ingranaggi che consente di gestire decine di milioni di accessi, richieste, visite, ogni anno. In un rapporto numerico tra professionisti e pazienti che, senza l’organizzazione, decreterebbe il fallimento immediato della disciplina.

 

Il triage è l’elemento cruciale del sistema: senza una valutazione professionale della priorità della visita ogni Pronto Soccorso crollerebbe in un’ora. E per questa valutazione occorre una competenza specifica, con buona pace di coloro che disquisiscono di codici e colori senza neppure conoscere la differenza tra i concetti di priorità e gravità. La competenza sul triage è dell’infermiere, che per legge si forma con specifici corsi e applica protocolli complessi, mettendosi sulle spalle la responsabilità dei flussi di Pronto Soccorso. E gli innumerevoli esiti positivi del Pronto Soccorso, quelli che, giustamente, non fanno scalpore e non finiscono sui giornali, sono dovuti anche alla continua e professionale opera degli infermieri di triage.

 

Sono affermazioni banali per gli addetti ai lavori ma diventano necessarie quando, come in questo caso, al clamore mediatico di una sentenza corrisponde la solita ondata di commenti a discredito della professionalità degli infermieri, pronti a coprire di fango un professionista la cui responsabilità sarà comunque ancora oggetto di ulteriori gradi di giudizio.

 

Insomma, che sia chiaro: il triage è competenza di un unico professionista, l’infermiere.

 

Stabilito questo, alcune considerazioni generali sono dovute, pur non volendo né potendo entrare nello specifico di una sentenza di cui attendiamo le motivazioni.

 

Primo: per definire la responsabilità del professionista è necessario rispondere a due domande:

  • C’è stato errore (inteso come deviazione rispetto a protocolli e buone pratiche)?
  • C’è un nesso di causalità tra l’eventuale errore e l’esito infausto?

 

Domande cruciali che generano altri interrogativi, tra i quali:

  • c’è stata qualche decisione non conforme al protocollo aziendale?
  • le informazioni emerse durante il dibattimento erano tutte disponibili al professionista?
  • quali condizioni sono state certificate dalla visita medica (parametri, esami, ecc.)?
  • qual era la situazione di affollamento e quale traffico è stato registrato in quelle ore?

Leggeremo le motivazioni della sentenza.

Ma è un fatto che per rispondere a questi interrogativi è necessaria una profonda e certificabile conoscenza del mondo del Pronto Soccorso. Ma qui, per esperienza comune pluriennale, è lecito immaginare che le consulenze tecniche di cui ci si è avvalsi non siano giunte da professionisti di Medicina d’Emergenza Urgenza.

 

Pongo una semplice domanda: nel corso del processo è stato interpellato un infermiere esperto di triage? O un direttore di Pronto Soccorso? Sarebbe logico giudicare un evento accaduto in UTIC senza una consulenza di cardiologia? O in dialisi senza un nefrologo? Tuttavia quando l’imputato è il Pronto Soccorso ogni altro specialista è autorizzato a fornire pareri tecnici.

 

Secondo: è probabile che il giudizio dipenda da un’interpretazione rigida dei tempi d’attesa correlati al codice di triage. Ma i tempi previsti nei protocolli di triage sono indicativi: obiettivi ai quali mirare compatibilmente con la situazione di impegno dell’intera struttura. La stessa attesa di oltre sei ore per un codice verde (com’è accaduto nel caso in questione) è certamente il risultato di una situazione di affollamento, di carico di lavoro del Pronto Soccorso superiore alle risorse disponibili. Così come non è stata rispettata la tempistica d’attesa per il codice verde, perché si dovrebbe pensare che sarebbe stato possibile per un codice giallo?

 

Terzo: il triage ha subito un’evoluzione migliorativa. Non è un caso se questa Società Scientifica ha licenziato, da anni, nuove linee guida, di concerto con la Conferenza delle Regioni, che ancora attendono di essere applicate diffusamente sul territorio nazionale. Non è azzardato pensare che con il triage a cinque livelli la priorità del paziente sarebbe stata differenziata rispetto alla moltitudine indistinta di codici verdi generata dal triage a quattro codici. E l’insufficienza del sistema non può essere imputata al professionista che applica l’unico protocollo disponibile e validato.

 

In questa storia ci sono vari livelli di lettura: per prima c’è la dimensione umana, dei singoli sfortunati protagonisti.

A partire dalla persona purtroppo deceduta, dai suoi famigliari, dalle persone a lui vicine: la vicinanza e la solidarietà sono, ovviamente, fuori discussione. Pur conoscendola bene, alla morte improvvisa in Pronto Soccorso non ci abitueremo mai, e continueremo a considerarla una sconfitta.

E poi c’è l’infermiere condannato: non c’è alcuna volontà di sottrarci alla valutazione della responsabilità del singolo professionista (non lo facciamo mai, ogni volta che mettiamo una firma o eseguiamo una procedura). Ma una condanna per omicidio colposo è un peso tremendo, al quale ci sentiamo tutti esposti quotidianamente, e del quale non vogliamo immaginare le conseguenze personali e famigliari.

 

Ma c’è un altro livello di lettura, non meno importante: è pensabile continuare a ignorare l’assoluta peculiarità della Medicina d’Emergenza Urgenza? Si può proseguire a trattare l’attività di Pronto Soccorso come quella di qualunque altro reparto dell’ospedale? Possiamo ignorare ancora le enormi difficoltà attraverso le quali i nostri professionisti continuano a fornire un servizio vitale? Si può mettere ogni giorno in gioco la responsabilità dei singoli di fronte alle enormi carenze del sistema?

 

Sono domande che attendono risposte adeguate, dalle quali dipende non solo la sopravvivenza della disciplina, ma soprattutto la disponibilità futura di un servizio insostituibile per la salute dei cittadini.

 

L’importanza di questa sentenza è enorme: in futuro potrà fare giurisprudenza, condizionare i comportamenti, determinare la disponibilità stessa degli infermieri a proseguire in un’attività gravosa, di grande responsabilità, usurante e non valorizzata.

Per tutti questi motivi, ma anche per la vicinanza dovuta a un collega in difficoltà, restiamo accanto al nostro infermiere e gli offriamo totale sostegno.

Happy birthday to the Italian Territorial Emergency Service (118): thirty years of your valuable service.

luglio 8th, 2022 | NO COMMENTS

di Erika Poggiali e Greta Barbieri

 

 

Questo editoriale è stato recentemente pubblicato sull’Emergency Care Journal 2022, volume 18:10689 ed è dedicato con affetto al ricordo dell’amato e stimato collega dr. Vincenzo Rodi, medico del 118 di Piacenza.

 

 

 

 

Emergency Department and 118, “Guglielmo da Saliceto” Hospital, Piacenza, Italy

Sunday 27th March 2022 marked 30 years of activity of the Italian Territorial Emergency Service, also known as “118”, which was officially set up in Italy on 27th March 1992 by a presidential decree, with the aim of creating a single number for sanitary emergencies that would operate 24 hours a day, seven days a week, free of charge throughout the country.

The Bologna train station massacre in 1980 showed the need of a system that went beyond the willingness and goodwill of individuals: coordination was mandatory to provide the best possible care for the type of trauma or injury suffered. It took 10 years before the first 118 unit was set up in Bologna on 1st June 1990 on the occasion of the football World Cup, with the simultaneous activation of this service in Udine. From that moment on, Bologna and Udine were linked for the first time to an operations centre that answered to the single number 118, but it would take another two years for the service to be available throughout the country.

The first service to cover an entire province was set up in Gorizia in 1991, chosen as a laboratory by the Friuli-Venezia-Giulia Region which, together with Emilia-Romagna, was the first region to activate the service. In 1990, “Bologna Soccorso” was still an independent unit, but it was already responding to the 118 number.

The “118” service, as it is today, was subsequently established by the “De Lorenzo Decree” signed by the President of the Republic Francesco Cossiga on 27th March 1992, and published in the Gazzetta Ufficiale n. 76 of 31st March 1992, where the 118 operations centres were also set up in the other cities, based on the innovations introduced in Bologna. It was a truly pioneering service that has evolved over time with the main aim of reducing avoidable deaths and disabilities linked to accidents or sudden pathological conditions, by responding to requests for assistance through a complex fleet of vehicles diversified by type of assistance and coordinated by an operations centre. Operators who answer the single number (112 for 11 Italian regions, and 118 for the others) today can make an initial assessment and then send the most suitable vehicle and professionals for the type of assistance required. The team arriving on site, after stabilising the patient, will take him or her to the hospital that can guarantee the best treatment, which does not necessarily have to be the nearest one. There has been a shift from the “scoop and run” to the “stay and play” model with the emergence of experts, such as doctors and nurses in the 118 service.

From 20th to 27th March, there was a week of celebrations throughout Italy, which began on Sunday 20th March in Rome with a parade of doctors, nurses, rescue drivers, 118 emergency service operators, Red Cross, Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze (A.N.P.A.S) and Misericordie volunteers from all over Italy along Via della Conciliazione to St Peter’s Square, where they attended the Pope’s Angelus. The Roman parade kicked off the celebrations, which were held in all Italian regions, in a programme of events promoted by the scientific societies SIEMS (the Italian Society of Emergency Medical Services) and SIIET (the Italian Society of Territorial Emergency Nurses), by voluntary organisations and by technical and professional rescue associations. For all the week, in the gazebos scattered throughout the country, people were able to meet doctors, nurses, technicians and rescuers, to receive information material, to attend a demonstration of cardiopulmonary resuscitation and try it out on the dummies used for training rescuers, under the guidance of experts. In addition, monuments and symbolic places in various Italian cities were lit up in blue, the colour of the emergency. A meeting was also held in Rome between the scientific emergency societies and the political forces, providing an opportunity to discuss a system that now, more than ever, needs to evolve and become more efficient and homogeneous throughout the country. According to Guido Villa, scientific head of SIEMS, a reform of the 118 system is now necessary. Quoting his words, “a revision of the 118 system is needed to standardise the existing system as much as possible and to take a more modern view, in order to ensure better efficiency and adequate operational effectiveness”. Even today, the Italian 118 system is still affected by many differences due to the territorial policies, that prevent the creation of an efficient and homogeneous system at national level. In order to take a picture of the differences between the various regions, SIEMS and SIIET have conducted a survey in our country outlining the situation of the pre-hospital rescue system in the first six months of 2021. The solutions are well expressed in the Riva Charter, signed in September 2021. The document summarises in 13 points the steps needed for an efficient and homogeneous system at national level, which range from a greater integration with the hospital to coordination between the various professional figures. The Riva Charter determined a “watershed”, since it is for the first time ever a shared document drawn up with all the actors of the territorial emergency system: physicians, nurses, scientific societies, rescuers, federations, voluntary associations (Croce Rossa, A.N.P.A.S. and Misericordie d’Italia).

The COVID-19 emergency has taught us that this reform must be carried out rapidly through a single centralised system, that corrects immediately the territorial inhomogeneity. Although they have a crucial role in the natural history of the patient, territorial emergency physicians do not see their position adequately valued. This is determined by the complete dichotomy existing between the territorial system and the hospital system in most of Italian areas. A particular mention goes to the world of volunteering, a reality widely spread in the Italian territory, that represents a great cultural wealth and a working resource in the context of the territorial emergency. However, this figure must be correctly framed with specific legislation.

Mario Balzanelli, the national president SIS118, said that “the 118 Territorial Emergency System is an asset of the nation, it is an asset of each and every one, inalienable, because 118 is the country’s life-saving shield”, and as doctors working in our regional 118 service, we strongly believe in these words. We hope that the reform will standardise the work of 118 personnel and guarantee the correct recognition of all the professional figures (doctors, nurses, rescuers) who are the basis of the stability and professionalism of the Italian 118 service.

 


Figure 1. Rome, 20th March 2022 (courtesy of Enrico Lucenti, 118 Piacenza, Emilia-Romagna).
Figure 2.
Piacenza, Palazzo Gotico, 26th March 2022. The 118 Service of Piacenza

 

 

 

 

 

Leggi anche:

http://www.ausl.pc.it/news/1055/emergency-care-journal-l-editoriale-firmato-da-erika-poggiali.html

https://www.facebook.com/399163806842963/posts/pfbid02b49QmaB5TGyqZEdcByoyvF2YVz5KG7cBSCLXUYRM2EkPhW6g9SMJ2keE5EWRdCXwl/

Considerazioni su un “genere” particolare

giugno 23rd, 2022 | NO COMMENTS

di Maria Pia Ruggieri

 

Tema moderno e attuale è la “salute di genere”.

Ma cos’è la “salute” di “genere”?

 

E’ il benessere psichico e fisico di un individuo, la salute, il risultato dell’influenza di differenze biologiche, socio-economiche e culturali: il genere.

 

Ma esiste anche un “genere urgentista’?

E quali sono le varianti che condizionano la “salute del genere urgentista’?

 

Intanto definiamo “urgentista”.

E’ un professionista appassionato dell’idea che – in poco tempo con tutte le proprie conoscenze e competenze e soprattutto con grande umanità – si deve salvare una vita, si deve alleviare la sofferenza di un individuo, si deve comunicare la perdita di una persona cara ai familiari, si deve gioire e piangere nello stesso tempo. Si deve fare tutto quello che si può per tutti coloro che bussano alla porta del Pronto Soccorso, per tutti coloro che richiedono l’intervento di una ambulanza, sempre: di notte, di giorno, durante le festività e durante le ferie degli altri.

 

Ecco, il “genere urgentista” è questo:

un misto di emozioni, nozioni, competenze pratiche, flessibilità e capacità di adattamento, nelle situazioni più difficili e più complesse, vissute come una sfida da vincere per il malato; un professionista con il camice vissuto dopo un turno, con la mascherina oramai incollata sul viso, con le rughe e le occhiaie scolpite sul volto dopo un turno di notte, con il cuore gonfio di dolore dopo una vita persa, con il cuore esplosivo di gioia per aver ridato il sorriso a qualcuno.

 

Le varianti che condizionano la salute dell’urgentista – quella che dovrebbe essere il benessere psichico e fisico in situazioni già complesse per tipologia di lavoro – sono le risorse a disposizione (operatori sanitari, colleghi, strumenti, farmaci, tecnologia, ….), l’ambiente attrezzato (sala dell’emergenza, reparto di medicina d’urgenza, letti monitorizzati di subintensiva, osservazione breve intensiva in PS,…), il riconoscimento della professionalità da parte degli altri colleghi specialisti, delle direzioni aziendali, dei cittadini.

Dico “riconoscimento della professionalità” e non “dell’eroicità” perché di eroico non ci sarebbe davvero nulla se si facesse semplicemente il proprio lavoro – quello scelto – nelle condizioni previste per quella attività.

 

E invece cosa succede oggi?

Il “genere urgentista” purtroppo non gode di buona salute.

E’ demotivato, stanco, afflitto perché non trova corrispondenza tra la scelta motivazionale fatta e quello che è la realtà in cui lavora.

Le varianti infatti sono solitudine, tanta fatica, tanti rischi, aggressività, nessun (o scarso) riconoscimento, risorse non sufficienti.

 

Se il “genere urgentista” si è gravemente ammalato anche il servizio pubblico del PS e del 118 rischia di ammalarsi irreversibilmente. Salviamo il PS ed il 118 e tutti gli operatori che ci lavorano.

Proviamoci! Non molliamo!

 

La dott.ssa Ruggieri al XII Congresso Nazionale SIMEU

Lavorare in emergenza urgenza spesso ti frega.

giugno 5th, 2022 | NO COMMENTS

di Giorgia Cammarata

 

Potrà sembrare strano, ma ci si ritrova a lavorare in ambito dell’emergenza-urgenza per svariati motivi. Ad alcuni sarà capitato dopo aver visto una delle tante serie tv, ad altri per famigliari o conoscenti operanti già nello stesso settore, qualcuno dopo un tirocinio durante il corso di studi, oppure semplicemente per caso perché consapevoli che trovarsi in prima linea ad aiutare il prossimo è qualcosa che spesso ti porta ad una condizione di appagamento e di grande benessere.

Indubbiamente è una scelta che può piacere o non piacere, ma se piace, molte volte ti porta ad una condizione irrinunciabile.

Tanti potrebbero essere i motivi per non farsela piacere: turni massacranti e senza soste, aggressioni verbali, fisiche e anche psicologiche. Poi situazioni drammatiche davanti al finevita, condizioni di competizione professionale e, di non minor importanza, una remunerazione assolutamente inadeguata.

 

Eppure se piace, basta una sola e ben riuscita rianimazione per farti capire quanto è particolare e travolgente lavorare con pazienti estremamente critici.

Mi sono chiesta più volte se lavorare in emergenza è una scelta o è l’emergenza che sceglie te. Ti pone davanti a continue sfide, ti porta a ripudiarla in continuazione, ti sfinisce, ti annoia, ma poi si sa che è difficile riuscire a lavorare in un contesto diverso.

 

Lavorare in emergenza significa spesso rimanere fregati.

 

Fregati dal tempo, che inesorabile passa e scandisce tutto. Dal momento in cui timbri e sai che possono succedere tante cose o niente, al fatto che esso stesso sarà il tuo nemico più grande contro cui dovrai lottare. La sconfitta non è prevista, o quasi, ma è quando avviene che forse restano i segni peggiori. Quei segni che ti portano metterti in discussione facendoti sentire terribilmente impotente.

Fregati nel cuore: per le forti scariche di adrenalina ogni volta che ti ritrovi in una situazione critica che, anche col passare del tempo, sono sempre le stesse. Poi l’affetto ti lega ai colleghi con cui condividi le battaglie di ogni turno.

Fregati nella mente: più sai e più vorresti sapere e non smettere mai di imparare, aggiornarsi, cambiare piano improvvisamente. Mente che non saprà più stare senza un algoritmo. Poi interviene il grande desiderio di conoscenza e di imparare. Imparare che ogni emergenza non è mai uguale a un’altra; imparare che e è solo la condivisione della tua serenità che può dar sollievo ad un paziente spaventato; imparare dal collega che ha più esperienza di te e ne ha viste tante più di te; imparare quanto è fondamentale il gioco di squadra, ma in particolare imparare a valorizzare la sacralità della vita per tutte le volte che hai lottato tanto per mantenerla ed è andata male.

 

Lavorare nell’emergenza significa anche lottare per farsi valere, per far capire quanto è difficile, dinamico, instabile e precario il filo che al giorno d’oggi ci tiene legati ad essa e che troppo spesso si tende a svalorizzarla.

Lottare per far capire quanto possa essere gratificante lavorare in reparti di emergenza, ma che non può più bastare che lo sia solo a livello personale.

Lavorare in emergenza è una battaglia quotidiana alla vita che imperterrita, come la vita stessa, ti pone davanti ad infinite sfide.

 

 

Federico, infermiere MEU di radicata passione

maggio 24th, 2022 | NO COMMENTS

Ciao a tutti,

sono Federico, ho 33 anni e da quasi 11 anni lavoro come infermiere. Ho scelto questa professione per passione.

Fin da piccolo sono stato sempre affascinato dal mondo ospedaliero e chiedevo a mia madre, anche lei infermiera, di portarmi a vedere il pronto soccorso e le ambulanze. Ancora non esisteva il 118 nella nostra regione, mamma mi portava in croce rossa insieme a lei per farmi vedere le ambulanze. Quando sentivo una sirena ero sempre curioso di sapere cosa fosse accaduto e curiosare su cosa stessero facendo.

Sin dalle elementari alla domanda cosa vuoi fare da grande, la mia risposta era l’infermiere.

Poi sono cresciuto e per avvicinarmi a questo mondo a soli 14 anni mi iscrissi al corso da Pioniere in Croce Rossa Italiana, passavo interi pomeriggi in sede a sistemare le ambulanze ed a fare attività di centralino visto che essendo minorenne non potevo salire in ambulanza… Poi finalmente arrivarono i 18 anni e dopo alcuni mesi in cui facevo i trasporti secondari, riusci’ ad effettuare i turni nell’ambulanza del 118 della Croce Rossa.

Da questo momento capisco ancora di più che non potevo scegliere un altro lavoro, appena finito il liceo mi iscrissi al test di ammissione per infermieristica ed al primo tentativo riuscii ad entrare. Ho passato 3 anni universitari stupendi, quando facevo l’università il tirocinio era a scelta e dopo i reparti di medicina e le varie specialistiche di chirurgia arrivai al terzo anno. Da qui nessuno poteva togliermi dal fantastico mondo dell’emergenza, feci il tirocinio in rianimazione, in terapia intensiva post operatoria ed in pronto soccorso.  Ovviamente scelsi la tesi con infermieristica di area critica su un tema che nella mia regione ancora non era in uso e non era nemmeno presente in ospedale, mi misi in contatto con colleghi di altre realtà e con dei paramedici del 911 di New York per avere informazioni sull’accesso intraosseo è così scrissi questa tesi.

Il giorno della discussione fu’ una novità per i docenti ascoltare un tema che non conoscevano.

Appena laureato riesco subito ad entrare a lavorare in una cooperativa convenzionata come infermiere di 118. Iniziai a frequentare corsi riguardanti l’ambito dell’emergenza-urgenza. Poi partecipai ad un avviso pubblico ed a Dicembre 2013 fortunatamente mi chiamarono in ospedale e mi assegnarono al reparto di terapia intensiva post operatoria cardiochirurgica. Preso dall’entusiasmo iniziai a studiare i libri che trattavano questo argomento ed in particolare la gestione dei pazienti in ecmo, la posizione organizzativa del dipartimento di emergenza-urgenza sapendo che mi piaceva tanto lavorare in questo ambito spesso mi mandava a coprire dei turni in rianimazione.

Ma non riuscivo ad abbandonare il mio pensiero costante di lavorare in pronto soccorso, però, pensavo anche che l’esperienza che stavo facendo era davvero stimolante e professionalmente valida. Dopo 2 anni feci di tutto per essere spostato in pronto soccorso e da lì fu’ solo un divenire continuo. Iniziai ad imparare tante cose e di nuovo mi ritrovavo a voler conoscere e formarmi su cose che fisicamente già facevo in terapia intensiva ma che non avevo mai approfondito. Con questa esperienza arrivò la SIMEU, già ero iscritto ad ANIARTI ma lavorando in pronto soccorso iniziai a seguire la SIMEU che mi permise di fare dei bellissimi corsi e l’esperienza più bella fu’ la Summer School nel 2019.

Nel 2021 sono diventato coordinatore regionale dell’Umbria e ci fu’ un altro importante passo dal pronto soccorso sono finito a lavorare nel 118. Fino ad arrivare ad oggi, nel 2022, lavoro ancora in 118.

 

Se qualcuno mi chiedesse se sono felice del mio lavoro la mia risposta è un super Siiiii.

Lavorare in emergenza è la cosa più bella che ci possa essere, ci sono tante soddisfazioni, tante arrabbiature, si fanno tante “risate” ma anche tanti pianti, bisogna dare anima e corpo per affrontare situazioni difficili, rassicurare i pazienti ma soprattutto sostenere i famigliari, avere conoscenze teoriche e pratiche e non avere paura nell’affrontare i soccorsi. Per non avere paura bisogna formarsi continuamente ed avere il coraggio di provare a fare cosa nuove per cercare di risolvere le emergenze.

 

Ogni soccorso è diverso. Spesso mi sono trovato davanti alla morte di persone giovane ed aime’ anche di bambini, questi eventi ci segnano la vita e ci aiutano a crescere ma resteranno sempre impresse nella nostra mente. Comunque l’episodio più emozionante di cui sono stato partecipe in prima persona fu’ effettuare un RCP mentre mi trovavo all’interno di un bar insieme a mio nipote di 2 anni.

 

Questa è la storia che più mi ha fatto piangere per l’emozione. 

Stavamo facendo merenda con il mio nipotino quando un signore inizio’ a chiedere se ci fosse un medico, prontamente lascio le cose sul bancone e mi paleso come infermiere del pronto soccorso, questo uomo mi dice “allora venga! abbiamo bisogno di lei”, esco dal bar e c’era una persona a terra incosciente, subito chiamai la centrale del 118 e comunicai che mi trovavo io sul posto e che c’era un uomo incosciente. Poi mi avvicinai ed iniziai la rianimazione affidando mio nipote ad un poliziotto che si trovava lì. Dopo poco passo’ un mio amico, anche lui con sua figlia – poco più grande di mio nipote – lui e’ un soccorritore di un’associazione di volontariato. A questo punto iniziammo la RCP alternandoci fino all’arrivo dell’ambulanza infermieristica, la collega giunta sul posto mi chiese di continuare ad aiutarli.

Mio nipote piangeva disperato perchè lo avevo lasciato con uno “sconosciuto” ma non potevo fare diversamente. Appena applicammo il defibrillatore questo ci permise di scaricarlo. Nel frattempo arrivo’ il medico, iniziammo la terapia farmacologica e poi nuovamente ritmo defibrillabile … Dopo circa 25 minuti dal mio inizio della RCP il paziente riprese il respiro spontaneo e i colleghi del 118 lo caricarono e trasportarono in ospedale.

Quella volta è stata una delle poche in cui non riuscivo a smettere di piangere dalla felicità e della tensione.

Finalmente ripresi il mio nipotino. Mi informai di tutto il decorso e dopo una settimana il paziente era già a reparto e non aveva riportato nessun danno neurologico.

 

Questa storia la porterò sempre nel mio cuore insieme a tante altre che mi hanno lasciato un segno. Spero di continuare sempre a formarmi, a crescere e di non perdere mai l’entusiasmo nel lavorare in emergenza.

 

C’è un tempo per ogni cosa.

maggio 5th, 2022 | NO COMMENTS

di Stefano Paglia

 


Lo sappiamo da sempre.

 

C’è stato un tempo in cui credere e scommettere che questo lavoro fosse possibile, perché di questo si tratta, lavoro.

 

C’è stato un tempo in cui fare questo lavoro che in teoria non esisteva e farlo bene, strappando letteralmente a morsi margini di autonomia crescente e credibilità nonostante il medico di Pronto Soccorso fosse, a tutti gli effetti, qualcosa di poco definibile e la medicina d’emergenza urgenza una utopia in cui molti si rifiutavano di credere.

 

C’è stato un tempo in cui supportare in tutti i modi le nascenti specialità e mettere a disposizione dei nuovi Direttori, troppo spesso al loro primo contatto con il PS, tutto quello che sapevamo speravamo e credevamo dovesse essere fatto in e per il PS e per la nostra nuova disciplina.

 

C’è stato un tempo in cui gioire per i primi frutti di tanto impegno e per la consapevolezza che le giovani generazioni c’erano ed erano preparate, spesso più di noi, motivate e pronte.

 

C’è stato un tempo per sperare in un futuro migliore e per l’ottimismo.

Poi c’è stato il tempo del dolore della sofferenza e della morte e, ammettiamolo, della paura.

 

E dopo tutto questo, quando se esistesse giustizia al mondo o anche solo il tanto invocato karma, ci sarebbe stato il tempo di raccogliere i frutti della nostra resilienza e godere finalmente di un momento di serenità.

E invece…

 

Sono ancora tempi cupi, tempi difficili e grigi in cui tutto sembra volgere al peggio e in questo desolante panorama generale non fa nemmeno più notizia la lenta agonia a cui la nostra professione sembra essere condannata.

Quindi che fare?

 

Rassegnarsi e prendere atto del fatto che la precarizzazione dei PS, l’esternalizzazione dei nostri reparti  come per le lavanderie, le mense e i servizi di molti dei nostri ospedali è un fatto storico e inesorabile? Accettare l’idea che non è colpa di nessuno, che è un problema strutturale, che è colpa dei governi precedenti, delle università, dei sindacati, della magistratura, delle cavallette?

E diciamolo una volta per tutte non è forse ora di ammettere che è anche un po’ colpa nostra?

 

Colpa nostra perché se oggi come nelle vecchie barzellette prendessimo 10 medici d’urgenza, di PS e di 118 vecchi e giovani e li chiudessimo in una stanza in conclave senza cibo o acqua dicendogli di uscire solo con un progetto condiviso per rendere credibile il nostro futuro forse non uscirebbero proprio.

 

Perché ammettiamolo, come si fa a credere in una professione quando noi per primi ancora oggi dopo più di 10 anni dalla nascita della nostra specialità facciamo ancora fatica a avere una visione comune sul nostro ruolo e sul nostro futuro. Il presente è complesso ed è impossibile pensare di uniformarlo in tempi brevi ma come potremo renderci credibili se non siamo tutti concordi sul futuro. Su cosa dobbiamo ambire ad essere?

 

Siamo divisi ammettiamolo, medici di PS, medici d’urgenza, medici delle Medicine d’Urgenza, medici del territorio, del 112, del 118,  medici delle subintensive, medici precari, medici strutturati, medici di cooperativa, medici privati e medici del servizio pubblico e poi gli infermieri e il loro ancor più variegato modo.

 

Ognuno con i suoi problemi, le sue priorità le sue visioni e i suoi progetti. Nulla di sbagliato in tutto questo ma non possiamo non ammettere che forse anche questo è un problema.

Se non riusciremo a convergere su una progettualità unitaria non avremo la forza di fare richieste unitarie

Se non sappiamo cosa chiedere come possiamo pretendere di essere ascoltati?

Da queste riflessioni nasce una domanda, che tempo è questo?

Che dobbiamo fare?

 

Io credo serva una costituente dell’emergenza urgenza in Italia qualcosa che si muova in linea con quanto avvenuto a Riva del Garda e con quello che sta avvenendo in parlamento con la proposta di legge Mugnai attualmente in discussione. Serve aver e un progetto che renda il nostro lavoro finalmente fattibile fino alla pensione senza doverci smenare la salute fisica o mentale, avviene già in buona parte del resto del mondo, non raccontiamoci che non è possibile.

 

Serve anche però alzare la testa e pretendere subito, oggi non domani, il mantenimento di promesse fatte, basta parlare di riconoscimenti economici, basta parlare di riduzione dell’orario di lavoro e di lavoro usurante, basta parlare di depenalizzazione della colpa medica. Ora dobbiamo OTTENERE riconoscimenti economici, riconoscimento del lavoro usurante e depenalizzazione della colpa medica.

 

Qualcuno potrebbe obiettare che queste sono tematiche sindacali e noi non siamo e non abbiamo un sindacato unico che ci rappresenti (altro grave errore).

E’vero non siamo un sindacato ma siamo tanti, siamo stanchi e soprattutto abbiamo ragione. Lo sappiamo noi, lo sanno i cittadini, lo sanno i sindacati e i politici di tutti i livelli dai Comuni alle Regioni e anche al Governo.

 

Allora a sei mesi da quel 17 novembre, dopo fiumi di parole e ben pochi fatti concreti tiriamo su la testa perché nessuno di noi vuole portare l’onta di aver assistito inerme allo scempio del sistema d’emergenza urgenza senza fare nulla.

 

Sapete che tempo penso sia questo?

Penso sia il tempo di continuare a lottare per rivendicare ciò che è giusto e ciò che ci spetta perché noi non difendiamo solo i nostri diritti ma anche i diritti di tutti coloro che senza di noi di diritti sanitari non ne hanno.

 

Conviene ancora fare l’infermiere? E soprattutto lavorare in emergenza urgenza?

aprile 23rd, 2022 | NO COMMENTS

di Giovanni Del Rio

 

“Ah ma allora c’è ancora qualcuno orgoglioso ed entusiasta di fare questo lavoro…perchè sai, tanti dei tuoi colleghi che ho incontrato in questi ultimi tirocini sono delusi e demotivati, e soprattutto sono pentiti di fare l’infermiere ….”

 

Ammetto che l’aver sentito queste parole da parte di uno studente del 3° anno di infermieristica mi hanno dato un pò fastidio, mi hanno fatto capire ancora meglio come anche la nostra professione stia subendo un’involuzione negli ultimi anni, ed esso sia al tempo stesso un monito per la situazione che pian piano si sta delineando anche nel nostro quotidiano.

 

Negli ultimi due anni, con l’avvento del COVID-19, tutta la popolazione mondiale ha visto stravolgere la propria vita lavorativa e famigliare, ha ridisegnato i rapporti umani. Per alcuni però ha significato vedere stravolta letteralmente il proprio lavoro, ha visto minare e far vacillare le proprie certezze, proprio a causa di questo “mostro” improvviso e sconosciuto, che nel giro di pochi giorni cominciava a mietere vittime una dietro l’altra.

 

Da quel fatidico 20 febbraio 2020, primo caso accertato in Italia, tutto il mondo sanitario, ed in primis medici ed infermieri dell’emergenza urgenza, si sono trovati davanti ad una malattia ignota e a segni e sintomi sconosciuti, a trovarsi per la prima volta in vita loro completamente in balia degli eventi, totalmente impreparati ad un evento simile…

 

Ma è proprio in questi momenti così delicati e unici, che si è mostrata tutta la nostra preparazione, tutta la nostra resilienza e voglia di non mollare mai, tutto il nostro spirito di voler aiutare i nostri pazienti a tutti i costi, anche a scapito della propria salute e della propria vita.

 

In oltre due anni, tutti noi infermieri, sia del mondo dell’emergenza urgenza, sia colleghi, che dalla notte al mattino si sono trovati catapultati in reparti covid creati nella notte, si sono ritrovati a dover curare le persone prima ancora dei pazienti, delle quali non avevamo certezza potessero arrivare a fine turno, non avevamo certezza che potessero salutare ancora i loro cari …

 

Non avevamo certezze neanche noi infermieri, professionalmente parlando, perché abbiamo ancora tutti davanti agli occhi i primi giorni, le prime settimane passate a contrastare una pandemia senza dispositivi di protezione adeguati, senza conoscere esattamente come si trasmetteva e per quanto sarebbe durato.

Da qui si alimentava in noi la più grande paura, cresceva il terrore di poterlo portare a casa e trasmetterlo ai nostri cari, ai nostri figli …

 

Tanti di noi infermieri in questi anni hanno perso colleghi, hanno perso amici, hanno perso familiari, ma mai è mancata la volontà di dare il proprio contributo, mai è mancata il desiderio di poter trovare o dare un aiuto concreto ed efficace per porre fine alla pandemia. Molti di noi sapevano quando iniziava il proprio turno, ma mai quando sarebbe finito, perché vi era sempre qualcosa da fare, perché ci si aiutava uno con l’altro  … perché non si voleva lasciare da solo il paziente tutte quelle ore da solo in barella ad aspettare un ricovero che non arrivava mai, oppure doveva essere trasferito in un’altra città perchè non bastavano i posti letto ….

 

Quante mani abbiamo stretto fra le nostre mentre il paziente esalava i suoi ultimi respiri, quanti pazienti abbiamo aiutato a dare l’ultimo saluto perchè le condizioni erano troppo gravi … Quanti viaggi in ambulanza con i pazienti covid (magari in CPAP o ossigeno terapia, per cui terreno fertile per i dropplet) nella speranza di poter arrivare in tempo, mentre in noi vi era anche la sacrosanta paura di ammalarsi e portarlo a casa …

 

Potrei andare avanti per ore a scrivere di quello che abbiamo passato in questi due anni, ma non è questo il momento nè il luogo, possiamo discutere per settimane che siamo sottopagati, che non vediamo riconosciuti i nostri diritti, che non vediamo riconosciuti i nostri titoli di studio, ma non è questo il momento nè il luogo…

 

Sono il primo a sapere, e perché no a reclamare, che l’infermiere di oggi ha molteplici competenze, ha un expertise di notevole spessore, ha un background che lo colloca di diritto fra i principali attori nel sistema della sanità nazionale.

 

Ma con il mio intervento di oggi, vorrei semplicemente per un momento, far ritornare in mente a tutti i colleghi perché abbiamo scelto di ESSERE infermiere, non di fare l’infermiere …

 

Io ho scelto di essere infermiere tanti anni fa, e non perché sono un medico mancato, ma perché volevo essere proprio questo, fin da ragazzo, come possono testimoniare i miei genitori e tutti i miei amici fin dall’epoca.

Ho scelto di essere un infermiere, per di più nel mondo dell’emergenza urgenza, perchè ho la possibilità di stare di fianco al malato nei suoi momenti più critici e importanti, perché grazie alla mia preparazione e alle mie competenze ho la possibilità di dare una speranza a quella persona di poter riabbracciare i suoi cari anche nelle situazioni più drammatiche.

 

Ho scelto di essere un infermiere perché nel momento del bisogno, quando mai ne avrò bisogno, vorrei trovare un collega al mio fianco con la mia stessa passione e voglia di fare la differenza, senza mai scordarsi il lato umano delle persone.

 

Lavorare in un’unità operativa di emergenza urgenza comporta tanti sacrifici, personali e familiari, comporta avere turni lavorativi stravolti dall’oggi al domani,  comporta una preparazione continua e non sempre riconosciuta, comporta far parte di un team dove alcune dinamiche talvolta possono far vacillare il gruppo, ma è proprio il gruppo stesso a trovare la forza per uscirne più forti e uniti di prima …

 

Per cui volendo rispondere al quesito iniziale: SI’ vale assolutamente ancora la pena ESSERE un infermiere e non cambierei mai il mio lavoro con nessun altro, così come non potrei più lavorare in nessun reparto che non sia all’interno del mondo dell’emergenza urgenza.

 

Ovviamente sono solo alcune mie considerazioni, e per questo ho chiesto a diversi colleghi infermieri – soci SIMEU – di portare alla vostra attenzione anche la loro esperienza, cosa significhi anche per loro essere un infermiere di emergenza urgenza. I loro contributi saranno presto pubblicati su questo blog.

 

Per ultimo, concedetemi un particolare pensiero rivolto a tutte le famiglie dei colleghi deceduti per covid in questi anni, o ai colleghi che si sono ammalati in maniera grave per essere stati infermieri fino all’ultimo.

 

E’ anche per tutti voi che ogni giorno cercate di onorare al massimo il nostro lavoro, il nostro ESSERE INFERMIERE.

Sovraffollamento in Pronto Soccorso

marzo 29th, 2022 | NO COMMENTS

di Daniela Pierluigi

I – DEFINIAMO IL FENOMENO PER MEGLIO  COMPRENDERLO

 

I sovraffollamenti in P.S. sono destinati ad avere ripercussioni sull’intero sistema ospedaliero e sull’emergenza territoriale.

Il fenomeno è complesso, poiché le esigenze di rapida risposta delle strutture di P.S. alle necessità  diagnostiche e terapeutiche degli utenti trovano ostacoli “strutturali” in fattori non legati a specifiche situazioni di emergenza (cioè, che non  giustificano l’adozione delle misure PEIMAF),  bensì a variabili umane e organizzative la cui effettiva incidenza non sempre è bene rappresentata dai dati statistici.

Il c.d. Overcrowding,dunque, in maniera necessariamente generica è definibile come il risultato di  fattori tradizionalmente distinti tra: di ingresso (input), interni strutturali (troughput) e di uscita (output).

Per “Fattore inputsi intende un eccessivo estemporaneo accesso di utenti al Pronto Soccorso, avallandosi così l’equazione: sovraffollamento = sovraccarico = sproporzione tra domanda (cioè pazienti in attesa) e complesso dei fattori organizzativi, umani e professionali a disposizione della struttura, nonché capacità di “filtro” del territorio.

Come si può intuire, di tali carenze è difficile fornire un quadro statistico preciso e uniforme.

Gli elementi successivi consentono, invece, valutazioni meno empiriche, con elaborazione di possibili correttivi.

 

I c.d. Fattoritroughput”  sintetizzano, infatti, l’aumento dei tempi di attesa in P.S., riconducibili ai tempi di boardinge al numero e alla rapidità di consulenze specialistichee di esami strumentali.

I c.d. “Fattori  output” identificano invece fenomeni quali la carenza di posti-letto(con la variabile della gravità della casistica clinica che può prolungare la permanenza del Paziente nella Struttura) e la ridotta offerta delle strutture territoriali per Pazienti deboli, ma che non richiederebbero ricovero.

 

Il sovraffollamento ha gravi conseguenze.

 

Sui pazienti: peggioramento degli outcome, aumento della mortalità, ritardi di valutazione e trattamento, aumento dei tempi di degenza, rischio di nuovo ricovero a breve termine, ridotta soddisfazione del paziente, esposizione agli errori.

Sugli operatori: mancata aderenza alle linee guida di buona pratica clinica, aumento dello stress e del burn out, aumento degli episodi di violenza verso gli operatori stessi.

Sul sistema: aumento della lunghezza di permanenza in Pronto Soccorso e della degenza in ospedale.

 

Le risposte consigliabili per le Aziende Sanitarie partono, dunque, proprio dall’ esigenza di definire adeguati indicatori – statici e dinamici – da adottarsi e applicarsi in maniera uniforme, in tempo reale e con diffusione e scambio dei dati.

A ciò dovrebbe conseguire la precisa definizione delle soglie di criticità, delle modalità di risposta immediata e della ottimizzazione dei percorsi diagnostici e/o di consulenza.

 

II – I POSSIBILI CORRETTIVI

 

Il Ministero della Salute nell’agosto del 2019 ha emanato delle linee guidain cui venivano comprese anche quelle riguardanti il sovraffollamento. Tali linee guida sono state recepite da molte regioni tra cui la Liguria  e prevedonol’adozione di correttivi di natura organizzativa, statistica e operativa quali:

  • definizione / aggiornamento degli standard numerici necessari per i posti letto di P.S.
  • elaborazione / aggiornamento di un regolamento operativo per la gestione dei posti letto
  • potenziamento della funzione bed management, con il fine di un migliore governo delle fasi di ricovero e dimissione
  • ridefinizione delle misure straordinarie per i periodi di maggior carico nei ricoveri urgenti
  • predisposizione di percorsi specifici per situazioni di urgenza e per consulenze specialistiche
  • monitoraggio dei tempi medi di ricovero e censimento degli scollamenti dai valori rilevati
  • passaggio deltriage a cinque colori
  • predisposizione di percorsi fast trackper agevolare la presa in carico dei pazienti a bassa complessità
  • istituzione di admission / discharge roomsper avvantaggiare il deflusso dei Pazienti all’interno dell’ospedale
  • definizione di modalità organizzative che consentano la dimissione anche nei giorni feriali
  • previsione di accordi di rete con strutture che non hanno ruolo nella emergenza-urgenza per la disponibilità di posti letto per patologie acute e sub-acute
  • elaborazione di procedure di dimissione protetta dal P.S. con immediata presa in carico territoriale
  • elaborazioni di percorsi per ottimizzare il trasferimento del paziente nell’ambito delle reti hub spoke, con il coinvolgimento dei bed manager
  • istituzione di strutture OBI specialistiche
  • attivazione di percorsi per specifiche patologie urgenti, gestite direttamente dagli specialisti mediante day service, telemedicina o contatto telefonico con il paziente
  • sviluppo di un “cruscotto informatico” analitico, che consenta di evidenziare in tempo reale la disponibilità di posti letto delle diverse UUOO, le dimissioni previste, la data di ingresso dei pazienti nei singoli reparti, consentendo così la programmazione del numero medio di dimissioni giornaliere
  • sviluppo di procedure di monitoraggio degli accessi in P.S. dei pazienti provenienti da strutture residenziali

Da ricordare anche la possibile soluzione see and treatche consente all’infermiere di trattare autonomamente patologie minori, in sede di triageed eventualmente con il supporto del medico.

Le sopra indicate previsioni programmatiche dettate dal Ministero e riprese da molte regioni  devono, sempre e comunque, essere definite nella loro specifica operatività in base alle varie realtà ospedaliere.

 

La circolazione e il reciproco confronto  delle  singole esperienze di tutti gli operatori del settore (anche utilizzando lo strumento del blog) è un fattore fondamentale al fine di  portare alla loro piena efficienza strumenti organizzativi e operativi previsti proprio in vista della migliore erogazione del servizio diagnostico / terapeutico al Paziente.

Maxi Emergenze in Pronto Soccorso. La gestione intraospedaliera dei pazienti esposti a sostanze pericolose e armi di distruzione di massa. L’esperienza del “TEAM PEIMAF”- E.O. Galliera di Genova.

marzo 15th, 2022 | NO COMMENTS

di  G. Pittaluga, I. Cabona, M. Bisio – D.E.A Ospedali Galliera Genova

 

Le situazioni di emergenza che esulano dalla routine e che necessitano  di risposte coordinate,  di natura  sanitaria e tecnica, possono trovare causa in eventi interni o esterni alla struttura ospedaliera.

Ad esempio :

  • l’incendio, esempio classico di emergenza interna.
  • il terremoto, evento naturale esterno che può coinvolgere anche la struttura ospedaliera.
  • l’evento (civile – industriale – terroristico) coinvolgente o meno sostanze pericolose di natura CBRNE.

Si può definire  “Incidente Maggiore”[1]Qualsiasi incidente in cui la collocazione, il numero, la gravità o il tipo dei feriti ancora vivi richieda risorse straordinarie

Queste situazioni mettono in crisi il normale svolgimento delle attività ospedaliere sotto il duplice aspetto dei danni strutturali  e del concomitante, repentino e diversificato aumento di richiesta di assistenza sanitaria.

Ogni ospedale deve dotarsi di due Piani di Emergenza[2]distinti e complementari per rispondere a queste situazioni:

  • Piano di Emergenza Generale (Antincendio ed Evacuazione)
  • Piano Emergenza Intraospedaliero Massiccio Afflusso Feriti – PEIMAF.

Si riporta di seguito la definizione di PEIMAF proposta dalla Società Italiana di Chirurgia d’Urgenza e del Trauma[3]:  il Piano di Emergenza per il Massiccio Afflusso di Feriti  va inteso come “… quell’insieme di disposizioni organizzative e procedurali che consente ad un ospedale di far fronte ad una Maxi-emergenza traumatologica mantenendo uno standard di trattamento dei pazienti paragonabile a quello garantito al paziente singolo“.

L’organizzazione di un piano di risposta alle Maxi Emergenza  ha il proprio primo fine nel salvataggio di più vite possibile, trattando rapidamente molte delle vittime.

Alle lesioni di natura traumatica possono talvolta sovrapporsi quelle provocate da sostanze dannose Chimiche – Batteriche – Radiologiche – Nucleari (CBRN).

È acclarato che l’afflusso di feriti anche contaminati presso le strutture di  Pronto Soccorso inizia ben prima che la notizia dell’accaduto sia di pubblico dominio e prima che il sistema di soccorso extraospedaliero, sia sanitario che tecnico, possa fornire utile riscontro .

Le sfide principali sono:

  • Riconoscere precocemente le situazioni coinvolgenti sostanze pericolose.
  • Proteggere gli operatori sanitari (primi ricevitori).
  • Proteggere gli ambienti ospedalieri da contaminazioni secondarie.
  • Formare gli operatori sulle corrette procedure di decontaminazione delle vittime.
  • Costruire Sistemi di Protezione adatti alle caratteristiche delle varie strutture Ospedaliere.

Trova conferma, poi, la convinzione che nel corso di una maxi-emergenza il trattamento di vittime anche contaminate non sia semplice o immediato, comportando  difficoltà ulteriori rispetto a quelle già presenti nella messa in atto dell’organizzazione di un PEIMAF, tra cui:

  • la mancata decontaminazione delle vittime.
  • l’auto-contaminazione degli operatori.
  • la contaminazione crociata degli ambienti.

 

Dal 2012 il D.E.A. dell’Ente E.O. Galliera di Genova organizza corsi di formazione sulle Maxi Emergenze e sul Piano Emergenza Intraospedaliero Massiccio Afflusso Feriti (P.E.I.M.A.F.)

Nel 2018 il “Team PEIMAF” ha introdotto nella parte pratica dei propri corsi una specifica sessione riguardante il trattamento di vittime potenzialmente contaminate C.B.R.N., ponendosi come principale focus lo studio di tali aspetti delle Maxi Emergenze, le procedure di lavoro e l’utilizzo dei relativi Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), con l’ individuazione delle ragioni e dei correttivi alle contaminazioni residue sulle vittime e sugli operatori .

Ove non correttamente considerate, tali situazioni possono cagionare:

  • per le vittime, progresso di danno locale da contatto e sistemico.
  • per le persone che non coinvolte direttamente nell’evento e che soggiornano all’interno del DEA, rischio di danno da contaminazione crociata.
  • per le aree interne del DEA, contaminazione crociata.
  • chiusura del DEA per impossibilità a mantenere le attività di soccorso.

Questa esperienza ci ha consentito di migliorare le nostre abilità nell’affrontare dette situazioni. Ci ha reso altresì consapevoli dei vantaggi della disponibilità di mezzi e procedure per contrastare i suddetti fenomeni e dei potenziali rischi connessi alla mancata acquisizione e al non corretto rispetto di tali procedure.

Nel corso dell’ attuale pandemia, in particolare nelle fasi di maggior pressione,  il personale (sanitario e non) ha lavorato con i D.P.I. e le procedure provate durante i corsi e adattate alla situazione contingente.

Con la ripresa generale delle normali attività in tutto il Paese e specificamente dei corsi di formazione in presenza, è nostra intenzione di continuare la nostra esperienza di analisi e e raccolta di dati sullo specifico tema, possibilmente condividendola con ogni potenziale interessato.

Team PEIMAF.

 

 

 

 

 

 

 

[1]    Major Incident Medical Management and Support 2004 edizione italiana Centro Scientifico Editore a cura di Michele Michelutti.

[2]  https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1996-05-17&atto.codiceRedazionale=096A2986

[3]    http://www.sicut.net/wp-content/uploads/2017/06/PEMAF-SICUT.pdf


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🔴 Massimo Cirri e Paolo Labati hanno recentemente ospitato a Caterpillar Radio2 la dott.ssa Marina Civita, #medico d’#emergenza #urgenza e Direttore di Unità Complessa a Pinerolo in Piemonte, nella Rubrica settimanale da loro pensata per poter idealmente entrare nei #prontosoccorso italiani attraverso il quotidiano vissuto dei #professionisti #SIMEU.❗️ “Sono un medico di pronto soccorso nell’anima. Il #PS è il cuore dell’ospedale, si accoglie ogni genere di problematica, anche la solitudine”. La salute in #Italia è per tutti dal 1978 ma “non bisogna dare per scontata la #sanitàpubblica, occorre difenderla e averne rispetto, se la perdessimo non ci sarebbe più una porta sempre aperta per tutti.” #fieridiMEU📌 Il nuovo appuntamento è anticipato a questa sera, alle 18:20/18:30. Sintonizzatevi! #MEU #GOLDENdoctors #GOLDENmedicine #infermieri #specializzandi #prontosoccorsoinprimalinea #fieridivoi ... Vedi altroVedi meno
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LA PRIMA GIORNATA DI STUDI IN EMERGENZA URGENZA è "un evento totalmente nuovo dedicato alle maggiori novità in ambito #scientifico". Lo ribadisce il dott. Beniamino Susi che riferirà su una patologia tempodipendente ad alta mortalità e ancora più alta disabilità: l’emorragia cerebrale.Mancano pochi giorni allo scadere dell’EARLY BIRD (fino al 30 aprile 2025).PROGRAMMA COMPLETO #biennaleSIMEU e ISCRIZIONI👉🏼 www.simeu.it/w/congresso2025/booking_box#fieridivoi #fieridiMEU #prontosoccorso #medici #infermieri #specializzandi #GOLDENdoctors #GOLDENmedicine #MEU #primalinea ... Vedi altroVedi meno
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È il dott. Francesco Quaglia da Pietra Ligure l’ospite di "Codice Rosso #prontosoccorso" la rubrica settimanale di Caterpillar Radio2 della scorsa settimana.❗️ Un #medico di #emergenza #urgenza in turno nonostante il braccio ingessato a causa di un incidente in scooter! "Ho avuto una radiografia a km zero. 😅 La mia condizione attuale crea empatia nei pazienti con trauma! Alla fine funziona!" l’ironico commento! 🔵 Vi invitiamo ad ascoltare tutta la testimonianza e a collegarvi stasera attorno alle 19 per scoprire il "nuovo pezzo di mondo’" raccontato con curiosità da Massimo Cirri, Sara Zambotti e Paolo Labati. #fieridivoi#fieridiMEU #infermieri #spacializzandi #GOLDENdoctors #GOLDENmedicine #piusiamomegliofacciamo #primalinea #MEU #SIMEU ... Vedi altroVedi meno
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BIENNALE SIMEU, Prima Giornata di Studi in Emergenza Urgenza.Un nuovo evento guida alla #formazione, sostegno alla comunità #professionale di #medici #infermieri #specializzandi #meu, un programma scientifico di valore ma anche incontro. Lo spirito è bene interpretato dal Vicepresidente nazionale dott. Mario Guarino.Evento accreditato ECM.LE ISCRIZIONI CONTINUANO: EARLY BIRD fino al 30 Aprile.Bari, 28 e 29 maggio 2025, Hotel Nicolaus#fieridivoi #fieridimeu #prontosoccorso #GOLDENdoctors #Goldenmedicine #piusiamomegliofacciamo #biennalesimeu #emergenza #urgenza #PrimaLinea ... Vedi altroVedi meno
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