IL BLOG DI SIMEU

 

C’è un tempo per ogni cosa.

di Stefano Paglia

 


Lo sappiamo da sempre.

 

C’è stato un tempo in cui credere e scommettere che questo lavoro fosse possibile, perché di questo si tratta, lavoro.

 

C’è stato un tempo in cui fare questo lavoro che in teoria non esisteva e farlo bene, strappando letteralmente a morsi margini di autonomia crescente e credibilità nonostante il medico di Pronto Soccorso fosse, a tutti gli effetti, qualcosa di poco definibile e la medicina d’emergenza urgenza una utopia in cui molti si rifiutavano di credere.

 

C’è stato un tempo in cui supportare in tutti i modi le nascenti specialità e mettere a disposizione dei nuovi Direttori, troppo spesso al loro primo contatto con il PS, tutto quello che sapevamo speravamo e credevamo dovesse essere fatto in e per il PS e per la nostra nuova disciplina.

 

C’è stato un tempo in cui gioire per i primi frutti di tanto impegno e per la consapevolezza che le giovani generazioni c’erano ed erano preparate, spesso più di noi, motivate e pronte.

 

C’è stato un tempo per sperare in un futuro migliore e per l’ottimismo.

Poi c’è stato il tempo del dolore della sofferenza e della morte e, ammettiamolo, della paura.

 

E dopo tutto questo, quando se esistesse giustizia al mondo o anche solo il tanto invocato karma, ci sarebbe stato il tempo di raccogliere i frutti della nostra resilienza e godere finalmente di un momento di serenità.

E invece…

 

Sono ancora tempi cupi, tempi difficili e grigi in cui tutto sembra volgere al peggio e in questo desolante panorama generale non fa nemmeno più notizia la lenta agonia a cui la nostra professione sembra essere condannata.

Quindi che fare?

 

Rassegnarsi e prendere atto del fatto che la precarizzazione dei PS, l’esternalizzazione dei nostri reparti  come per le lavanderie, le mense e i servizi di molti dei nostri ospedali è un fatto storico e inesorabile? Accettare l’idea che non è colpa di nessuno, che è un problema strutturale, che è colpa dei governi precedenti, delle università, dei sindacati, della magistratura, delle cavallette?

E diciamolo una volta per tutte non è forse ora di ammettere che è anche un po’ colpa nostra?

 

Colpa nostra perché se oggi come nelle vecchie barzellette prendessimo 10 medici d’urgenza, di PS e di 118 vecchi e giovani e li chiudessimo in una stanza in conclave senza cibo o acqua dicendogli di uscire solo con un progetto condiviso per rendere credibile il nostro futuro forse non uscirebbero proprio.

 

Perché ammettiamolo, come si fa a credere in una professione quando noi per primi ancora oggi dopo più di 10 anni dalla nascita della nostra specialità facciamo ancora fatica a avere una visione comune sul nostro ruolo e sul nostro futuro. Il presente è complesso ed è impossibile pensare di uniformarlo in tempi brevi ma come potremo renderci credibili se non siamo tutti concordi sul futuro. Su cosa dobbiamo ambire ad essere?

 

Siamo divisi ammettiamolo, medici di PS, medici d’urgenza, medici delle Medicine d’Urgenza, medici del territorio, del 112, del 118,  medici delle subintensive, medici precari, medici strutturati, medici di cooperativa, medici privati e medici del servizio pubblico e poi gli infermieri e il loro ancor più variegato modo.

 

Ognuno con i suoi problemi, le sue priorità le sue visioni e i suoi progetti. Nulla di sbagliato in tutto questo ma non possiamo non ammettere che forse anche questo è un problema.

Se non riusciremo a convergere su una progettualità unitaria non avremo la forza di fare richieste unitarie

Se non sappiamo cosa chiedere come possiamo pretendere di essere ascoltati?

Da queste riflessioni nasce una domanda, che tempo è questo?

Che dobbiamo fare?

 

Io credo serva una costituente dell’emergenza urgenza in Italia qualcosa che si muova in linea con quanto avvenuto a Riva del Garda e con quello che sta avvenendo in parlamento con la proposta di legge Mugnai attualmente in discussione. Serve aver e un progetto che renda il nostro lavoro finalmente fattibile fino alla pensione senza doverci smenare la salute fisica o mentale, avviene già in buona parte del resto del mondo, non raccontiamoci che non è possibile.

 

Serve anche però alzare la testa e pretendere subito, oggi non domani, il mantenimento di promesse fatte, basta parlare di riconoscimenti economici, basta parlare di riduzione dell’orario di lavoro e di lavoro usurante, basta parlare di depenalizzazione della colpa medica. Ora dobbiamo OTTENERE riconoscimenti economici, riconoscimento del lavoro usurante e depenalizzazione della colpa medica.

 

Qualcuno potrebbe obiettare che queste sono tematiche sindacali e noi non siamo e non abbiamo un sindacato unico che ci rappresenti (altro grave errore).

E’vero non siamo un sindacato ma siamo tanti, siamo stanchi e soprattutto abbiamo ragione. Lo sappiamo noi, lo sanno i cittadini, lo sanno i sindacati e i politici di tutti i livelli dai Comuni alle Regioni e anche al Governo.

 

Allora a sei mesi da quel 17 novembre, dopo fiumi di parole e ben pochi fatti concreti tiriamo su la testa perché nessuno di noi vuole portare l’onta di aver assistito inerme allo scempio del sistema d’emergenza urgenza senza fare nulla.

 

Sapete che tempo penso sia questo?

Penso sia il tempo di continuare a lottare per rivendicare ciò che è giusto e ciò che ci spetta perché noi non difendiamo solo i nostri diritti ma anche i diritti di tutti coloro che senza di noi di diritti sanitari non ne hanno.

 

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