IL BLOG DI SIMEU

 

La disciplina MEU: per una rivoluzione contro l’esiguità del pensiero tecnicista

di Biagio Epifani

 

Efficienza, performance, produttività.

Sono questi gli orizzonti che oggi regolano il nostro agire di medici d’Emergenza.

L’apparato ci vuole convergenti. Come se il discorso aperto sulla Sanità fosse limitato alla gestione di una ‘disease’ assoggettabile ad una visione quantitativa, gestita da un algoritmo dal risultato prevedibile. Dunque trasformando il malato in consumatore, fatalmente guidato dalla medicalizzazione, comodo surrogato della gnoseologia, e orientato da un bisogno che chiude il tempo, ridotto ad un ‘tutto subito’, quell’eterno presente che impedisce la profondità di qualsiasi analisi.

Perdita della possibilità di capire la ‘illness’, quella prospettiva che rende il medico interprete e possibile soggetto che ‘cura’, nell’incertezza e nella variabilità, compagni di viaggio di chi vive accanto all’apparente non-senso della malattia.

 

Come SIMEU, società scientifica dei medici ed infermieri d’Emergenza, istituzione oggi ampliata a difesa della professione e dei valori che rappresenta, di fronte alla continua attribuzione di obiettivi incoerenti ed alla demolizione del nostro campo di applicazione, abbiamo chiesto ripetutamente una revisione dei parametri di valutazione per evidenziare gli esiti dei nostri interventi, dei provvedimenti economici e organizzativi chiari per fermare l’emorragia di personale, l’inequivocabile posizionamento della nostra disciplina tra quelle con il significato di pilastro imprescindibile del Sistema Sanitario Pubblico.

 

Come risposta, ancora oggi, riceviamo indicatori di performance quantitativi, certamente facili da gestire da remoto ma alieni rispetto all’ethos professionale, l’ingresso di figure professionali fuori o quasi dai percorsi della disciplina specialistica, l’accenno dispnoico a gratificazioni economiche non strutturali da premio scolastico.

Sempre presenti, nei luoghi e nei tempi degli accadimenti, talvolta soli anche nella decisione o nella pronuncia di parole difficili, testimoni di albe e tramonti, colti dall’insonnia del dubbio o dallo sfinimento, destinatari di una gratitudine sempre sussurrata, siamo a presiedere la moltitudine di vuoti sempre più vasti.

 

Unica categoria di medici senza attività privata, concentrati a migliorare la nostra capacità d’intervento con una continuità di training che abbiamo diffuso alla comunità, esempio unico di sincronicità tra prevenzione cura, sempre disponibili ad intervenire per le necessità dei nostri ospedali, costretti perfino a farci carico di attività “altre” nella nostra posizione di società scientifica, oggi assistiamo al depauperamento della nostra componente professionale, sostituita da chi ha appena terminato il corso di laurea o, nei casi peggiori, da medici gestiti da cooperative improvvisate, in aperta contraddizione con la necessità di garantire nell’Emergenza la presenza di medici preparati a tale attività ed il rispetto delle normative sugli orari di lavoro.

 

E nel clima di disastro incombente, anche altre componenti ospedaliere si affacciano oggi pensando di prendere una fetta dell’Emergenza, magari prefigurando vantaggi e ruoli.

 

Intanto è cambiata l’antropologia del paziente del Pronto Soccorso.

Le richieste variano da certificato di malattia, assegnazione di un posto in RSA, anticipazione di esami, attesa per un posto letto e quindi il cosiddetto boarding. Ancora, l’età avanzata dei pazienti, con medie ormai oltre gli 80 anni, affetti da patologie croniche che quasi sempre necessitano di riequilibri e tempi di gestione non corrispondenti al setting dell’Emergenza.

 

Il mondo in questo immediato post-covid è cambiato, e non è neanche migliore: l’illusorio e arrogante pensiero di poter controllare e gestire tutte le malattie è stato abbattuto ma, invece di generare consapevolezza, ha prodotto una nuova paura e la richiesta di ristabilire ad ogni costo e presto, quell’illusione, incentivata anche da qualche avventato discorso circa i prodigi della tecnologia, spinto anche a prefigurare la sostituzione del medico con qualche algoritmo digitale.

Con il paradosso che molti nostri concittadini si accodano per seguire idee che promettono lunga vita, sedotti dalla prospettiva di demolire il presunto potere occulto della ‘medicina ufficiale’. Una pervasività digitale che, nella più totale assenza di libertà, sta preparando il controllo dei bisogni e la residualità del pensiero critico. Abbiamo pensato ad un nuovo Umanesimo della Medicina, ne abbiamo fatto un congresso regionale in SIMEU, ma la risposta non c’è stata. Una gerontotecnocrazia, abituata alle proprie soluzioni standard, non riesce ad intercettare le aspirazioni che la componente più giovane esprime e, senza clamore, agisce.

La vita professionale, declinata nel tempo della sintonia con la vita extraprofessionale, in una visione di equilibrio e di recupero del concetto di misura, ha definitivamente preso il sopravvento.

 

Per capire questo cambiamento occorrono strumenti interpretativi nuovi, un pensiero divergente che possa indurre risposte originali contro la clausura financo delle nostre stesse opinioni.

 

I giovani emergentisti, sorretti dall’entusiasmo, hanno trovato sul loro cammino non la promessa del legittimo protagonismo che ogni professione reca con sé, ma la prospettiva di costituire solo l’argine all’arrembaggio del caos. La perdita di personale non ha radici ambigue né motivazioni superficiali: una professione impegnativa, esposta ad un rischio elevato, sempre più frequentemente destinataria di aggressioni e contenziosi, con una scarsa progressione di carriera e con una vite personali irregolari, richiede una valorizzazione inequivocabile da parte delle Istituzioni.

Significazione di una posizione insostituibile nel SSN: non solo in termini di essenziale e specifico riconoscimento economico ma, soprattutto, determinazione degli ambiti d’intervento che necessariamente devono escludere tutte quelle attività che nessuna attinenza hanno con l’emergenza e l’urgenza.

 

Quello che è accaduto si può ricostruire passo dopo passo, provvedimento dopo provvedimento, riconoscendovi l’incapacità nella previsione delle conseguenze.

Con quella acribia ragionieristica nel definire livelli minimi delle necessità organizzative sempre e solo considerando il ‘quanto serve’, giammai il ‘cosa serve’. Differenza sostanziale tra visione di progetto, e dunque crescita e flessibilità a lungo termine, e utilizzo del momento. Chiusura ad un qualunque respiro ampio per soccombere ancora una volta a quell’eterno quotidiano emergenziale, terreno di conquista per quei soggetti, che scaltramente sanno occupare i vuoti lasciati.

 

A caro prezzo per la sanità pubblica e per le nostre professionalità. Quelle stesse che poi, nel momento del bisogno, ci vengono richieste per i nostri cari.

 

Si sta giocando la partita, a tempo scaduto, sull’orlo di un baratro: ciascun politico che ha a cuore la difesa del SSN deve poter considerare il problema come assolutamente prioritario e porsi in ascolto delle proposte che la SIMEU, intercettando la voce dei professionisti impegnati sul campo e dei giovani delusi, sta presentando alle Istituzioni.

 

Presidente sezione regionale Veneto – Trento – Bolzano

 

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