IL BLOG DI SIMEU

 

Specialisti e specialità: gli infermieri della MEU

luglio 15th, 2024 | NO COMMENTS

di Alessio Luzi

Ci richiedono sempre più competenze per poter fare ciò che sappiamo fare meglio: il nostro lavoro.

 

Ci ritroviamo oggi, tra obblighi di legge o direttive aziendali, a dover formare il nostro profilo e ampliare i nostri curricula in modo impeccabile, quasi avessimo una data di scadenza sulle divise.

A volte è cosi, tante altre non lo è.

 

Fare l’infermiere della MEU sembra essere davvero divertente:

quando racconti agli altri che lavori al DEA, che provieni da oltre 15 anni di emergenza territoriale, che sei stato in terapia intensiva, ti vedono quasi come un super eroe. Ti chiedono: “Oh ma chissà quante ne hai viste! Raccontaci qualcosa, dai!”.

 

Nessuno, però, ti chiede mai: “Come ci si arriva? Come si diventa infermiere di Area critica?”  

E di conseguenza nessuno sa quanto si sacrifica e quanto si studia per arrivare fin dove sei ora.

Che poi magari per molti non è nemmeno il luogo ideale il pronto soccorso, magari per altri è la storia della propria vita.

Ci sono colleghi che al di fuori della sala rossa non respirano, si spengono,“muoiono”.

 

Ma per stare li come avrà fatto? Partiamo dal presupposto che oggi c’è la malsana abitudine, da parte di tutte le aziende, di prendere personale con zero esperienza (e non parlo solo di esperienza in Area critica ma proprio di neo laureati) e muoverli come pedine all’interno delle sale dei PS, dei DEA, sulle ambulanze.

 

Nel lontano 2017 è stata fatta una proposta di legge che mai è stata varata che prevedeva l’obbligo di avere quantomeno la specializzazione in area critica post formazione di base per poter lavorare nella MEU.

 

Ad oggi, difatti, non è cosi.

 

Parliamo poi degli obblighi (personali) di formarsi per essere sempre pronti a qualsiasi emergenza: BLSD, ALS, PBLSD, PALS, ATLS, PATLS, ECG, PICC, eFast … A questi aggiungiamo le letture, continue, sulla farmacologia, le nuove linee guida, i protocolli interni, gli aggiornamenti su presidi e procedure.

 

E ancora: gli ECM, obbligatori.

E poi i farmaci generici, i LASA, che ci portano sempre in confusione e dobbiamo rimanere lucidi, perché in urgenza quel farmaco può fare la differenza e non puoi permetterti di sbagliare.

Quindi leggi i bugiardini, installi applicazioni per conoscere l’emivita, la farmacodinamica, le interazioni. Compri manuali sulla ventilazione non invasiva e i nuovi ventilatori. Imposti la PEEP, i flussi, il tipo di ventilazione.

Nel mentre è arrivato un altro codice rosso e tu, che hai due mani, ti sdoppi e improvvisamente ti ritrovi con 4 braccia, due cervelli, 4 gambe. Ma un unico cuore.

 

A questo aggiungiamo il fatto che, oggi, non si è più solo esecutori ma veri e propri professionisti autonomi. Ne consegue che la regola: “ma a me l’ha detto il medico!” non va più bene.

Quindi se somministro un farmaco lesivo per il paziente (sbagliando diluizione, tempo, modo) ne pago le conseguenze in modo diretto. Ed ecco che qui subentra, per obblighi di legge, l’assicurazione professionale da stipulare di anno in anno.

 

“Bello fare lo specialista.”

 

E fin qui tutto bene, direte voi. Ma quando dici agli amici che lavori in pronto soccorso e loro si immaginano che la laurea dia diritto a tale posto non credono minimamente che  quel posto te lo sia sudato e guadagnato e che ogni giorno combatti contro il mondo intero per fare la differenza.

E già, il mondo intero.

 

Lo stesso mondo che ci gridava “eroi” ora ci urla “bestie!” quando vogliono essere gentili.

Siamo continuamente sotto attacco, sotto scacco, sotto pressione.

E nonostante questo non smettiamo mai di mostrare un sorriso e professionalità.

 

Siamo specializzati in questo. Siamo specializzati in Sanità pubblica, in pediatria, in geriatria, in psichiatria e in area critica.

Siamo liberi professionisti, stipendiati a contratto o lavoriamo in cooperative.

 

Ma queste cose non le raccontiamo in giro. Nemmeno quando stiamo massaggiando un paziente. Non diciamo ai parenti: “Ho due lauree, due master, una magistrale.” Tanto, per loro, saremo sempre e solo “giovanotto o signorina”, quelli a cui dare del “TU”.

 

E nonostante le parolacce che ci tirate dietro, le aggressioni che continuamente subiamo, rimaniamo nel nostro e mostriamo con orgoglio la divisa (a volte lacerata, consumata, sgualcita, scolorita) e ciò che sappiamo fare meglio: il nostro lavoro.

 

Quindi, cari amici, quello che sapete di noi, quello che decidiamo di raccontarvi, è solo una parte di quello che realmente succede.

 

Non soffermatevi solo sul “ wow, chissà quanta adrenalina in pronto soccorso!” ma anche sulla quantità di sacrifici che facciamo ogni giorno per poter stare dove stiamo: al nostro posto sudato e guadagnato.

Medicina delle Differenze in Dipartimento di Emergenza: una gentile innovazione

giugno 23rd, 2024 | NO COMMENTS

 

“ll futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”. Eleanor Roosevelt

 

di Elisa Pontoni

 

Per Medicina di Genere, oggi Medicina delle Differenze in una definizione piu’ inclusiva, si intende lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e malattia della persona.

 

La richiesta di una maggiore attenzione al sesso e al genere sta diventando centrale nella discussione più ampia sulle tematiche di equità nel diritto alla salute: una crescente quantità di dati epidemiologici, clinici e sperimentali suggeriscono notevoli differenze nell’insorgenza, progressione e manifestazioni delle malattie comuni a uomini e donne, sia in acuto che in cronico.

 

In Italia, come in molti altri paesi occidentali, è evidente il “paradosso donna”: nonostante le donne vivano più a lungo degli uomini, l’aspettativa di vita sana risulta essere equivalente tra i due sessi; uomini e donne usano diversamente i farmaci e altri interventi sanitari, per motivazioni biologiche (si ammalano diversamente) e socioculturali (hanno diversa attitudine alla salute e alle cure).

 

Il nostro paese, con il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere (in attuazione dell’articolo 3, comma 1, Legge 3/2018) ) si è dotato della prima legge in Europa sulla Medicina di Genere (legge Lorenzin); presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è stato inoltre istituito un Osservatorio volto al controllo dell’applicazione del Piano stesso nei  suoi quattro elementi fondanti: percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione; ricerca e innovazione; formazione e aggiornamento professionale; comunicazione e informazione.

 

Il fine è l’equità, i mezzi sono la ricerca, la promozione della conoscenza e l’attuazione di soluzioni pratiche e concrete; in quest’ottica, nelle nostra società scientifica nel dicembre scorso è stato istituito un gruppo di studio per la Medicina di genere nelle patologie tempo dipendenti, che ho il piacere di coordinare e del quale fanno parte, oltre al presidente nazionale Fabio De Iaco, Claudia Sara Cimmino, Pierangela Con, Anna Maria Ferrari, Catia Morellato, Daniela Pierluigi, Maria Pia Ruggieri, Maria Luisa Ralli, Sonia Zoanetti, Irene Cara, Andrea Fabbri, Paolo Pinna Parpaglia, Antonio Voza, Cristiano Perani.

 

La prima patologia tempo-dipendente con la quale ci siamo confrontati è la  sindrome coronarica acuta (ACS): le malattie cardiovascolari (CV) rappresentano la principale causa di mortalità nelle donne, che hanno ancora oggi una prognosi peggiore rispetto alla popolazione maschile.

 

Le donne tuttavia non ne sono consapevoli, talora tale consapevolezza è carente anche tra i professionisti del mondo sanitario; soprattutto nelle aree socio-economiche più svantaggiate, la popolazione femminile è spesso soggetta a discriminazione nell’accesso alle cure.

 

Esistono delle differenze di genere nei fattori di rischio cardiovascolari, con la recente definizione di fattori di rischio ginecardiologici, tra i quali annoveriamo l’ipertensione e il diabete gestazionale, la policistosi ovarica, la menopausa precoce; esistono delle differenze nella sintomatologia d’esordio della sindrome coronarica acuta, essendo squisitamente androcentrica la definizione di dolore toracico acuto (DTA) quale sintomatologia oppressiva retrosternale irradiata all’arto superiore sinistro.

 

Per migliorare la diagnosi differenziale del DTA in un’ottica di genere, l’8 marzo scorso, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, abbiamo promosso l’iniziativa “Diverse nel cuore”: nei Pronto Soccorso aderenti – che ringraziamo per lo sforzo compiuto nella partecipazione attiva – abbiamo valutato nel giorno indice dedicato alla popolazione femminile l’utilità del calcolo del Chest Pain Score, applicandolo alla popolazione non selezionata afferente al  Dipartimento di Emergenza e ricercando la diversa espressione di genere nella rappresentazione del sintomo. I dati raccolti, presentati nel corso dell’ultimo Convegno Nazionale svoltosi a Genova dal 30 maggio al 1 giugno scorso, confermano come anche nel mondo reale vi sia una diversa rappresentazione sintomatologica nei due sessi: nella popolazione femminile di età superiore ai 50 anni, il dolore retro sternale epigastrico non irradiato è risultata la descrizione sintomatologica maggiormente rappresentata.

 

La survey “Diverse nel cuore” si è svolta con il patrocinio di Fondazione Onda, Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna, nello spirito fondante di cooperazione proprio della società.

La SIMEU è stata inoltre invitata a partecipare, sotto l’egida dell’Istituto Superiore di Sanità, alla stesura di un Documento Italiano di Consenso Intersocietario sulla prevenzione e gestione delle malattie cardiovascolari nelle donne, documento che vede coinvolte le principali società scientifiche non solo cardiologiche interessate alla definizione del  percorso di prevenzione e cura delle malattie cardiovascolari femminili.

Alla nostra società è stato affidato il coordinamento della sezione dedicata alla cardiopatia ischemica acuta.

 

Studiare e riconoscere le differenze tra i sessi e i generi è solo il primo passo per garantire equità e appropriatezza della cura: il nostro gruppo di lavoro intende impegnarsi fattivamente in questa direzione.

 

Il tema della salute delle donne è cruciale nella discussione più generale sulla necessità di raggiungere una parità di genere. L’auspicio è che si faccia sempre di più per promuovere una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, sviluppando soluzioni di conciliazione vita-lavoro anche e soprattutto nel mondo dell’emergenza, nostro setting operativo.

 

La promozione di una gentile leadership al femminile e la crescente attenzione dedicata alle misure volte a contrastare la violenza contro le donne sono ulteriori elementi indispensabili per poter finalmente parlare di equità.

UNA FARMACIA NON È UN PRONTO SOCCORSO

giugno 12th, 2024 | NO COMMENTS

di Fabio De Iaco

Ennesimo caso di cattiva gestione e peggiore comunicazione di un evento potenzialmente letale!

 

Un signore di Alessandria di quasi cinquant’anni, di fronte alla necessità di un elettrocardiogramma urgente prescritto dal medico curante, viene inviato “per fare prima” nella farmacia più vicina.

 

Esegue l’esame, si avvia verso casa, e dopo 15 minuti il suo ECG viene “prontamente” refertato a distanza da Ancona, rivelando l’infarto in atto.

 

A quel punto, rintracciato telefonicamente dal farmacista, viene “esortato” a recarsi in Pronto Soccorso, dove finalmente riceve le cure del caso.

 

Tutto questo comunicato sulla stampa come “Storia a lieto fine: salvato da un elettrocardiogramma in farmacia”.

E non è l’unico caso…

 

Evidentemente, dopo tanti anni trascorsi a spiegare il significato della “catena del soccorso” e l’importanza dell’allarme precoce per gli eventi cardiovascolari, la rete dell’Emergenza Urgenza, secondo questa narrazione, può essere validamente sostituita dall’elettrocardiogramma eseguito in farmacia.

 

Non è neppure il caso di elencare gli errori enormi che si sono succeduti in questa storia, il cui lieto fine è reso possibile solo dalla gran fortuna del paziente, che ha rischiato un destino ben diverso.

Ovviamente siamo felici per lui.

 

Ma niente cancella l’ignoranza delle regole elementari del soccorso, la superficialità di una gestione potenzialmente letale, l’irresponsabilità e la pericolosità di un certo tipo di comunicazione,

 

In Italia esiste una Rete dell’Emergenza Urgenza sempre operativa che, dal primo allarme fino all’ospedale e oltre, ha come obiettivo la gestione di quelle che si chiamano “patologie tempo-dipendenti”.

Come quella del fortunato signore di Alessandria.

 

In un Servizio Sanitario Nazionale in chiara difficoltà l’apporto di tutti è benvenuto.

Ma snaturare la funzione della Medicina di Emergenza Urgenza, inventare nuovi percorsi antiscientifici e pericolosi, consentire comunicazioni fuorvianti, non fa bene a nessuno.

 

Soprattutto fa male ai cittadini.

 

 

 

Alcuni articoli che riportano la notizia di oggi e altre simili

https://radiogold.it/news-alessandria/378541-vita-salvata-valenza-farmacia-arrigoni/

https://www.federfarma.it/Edicola/Filodiretto/VediNotizia.aspx?id=25626

https://www.farmacista33.it/benessere/28336/telemedicina-ecg-in-farmacia-salva-paziente-accertato-attacco-cardiaco-in-corso.html

 

Le parole, qualche volta, ci salvano

maggio 15th, 2024 | NO COMMENTS

di Anna Arnone, Infermiera

 

Il verbo rivela moltissimo della nostra psiche e di come intendiamo i rapporti con gli altri: la scelta apparentemente casuale o automatica di come vogliamo intenderci diventa un’occasione di riflessione per scoprirci da nuove angolazioni.

 

Utilizzare determinate parole non è sempre sbagliato perché la lingua cambia in base al nostro uditorio, si gonfia, si modella e si assottiglia a seconda di chi ci ascolta e delle nostre intenzioni comunicative.

 

Talvolta, l’errore avvicina, fa sentire meno soli e rende simili.

Tuttavia, in una relazione di cura questo non deve accadere, per quanto si abbia fretta di rispondere prontamente all’urgenza della cura.

Ecco, vorrei che facessi altrettanto anche tu, vorrei che ti servissi delle parole con occhio lucido per rispondere sì alle tue necessità espressive, ma per seguire un fine comune, realizzare il bisogno dell’altro.

 

Ciò che regola ogni nostro discorso è la consapevolezza, ovvero la capacità di modularlo in base al contesto. Ogni nuovo inizio può dunque avvenire solo dopo un’analisi accurata, dopo un’attenta riflessione dei punti di forza e di debolezza delle parole adoperate, con un’osservazione sfaccettata degli errori più comuni.

Solo così potremo padroneggiare le parole e renderle pronte all’uso.

 

Dal mio punto di vista, il grande regalo che possiamo fare alla relazione di cura risiede in un’aggiunta, non in una sottrazione. In un tempo come il nostro, caratterizzato da grande velocità, distrazioni e prestazioni performanti, le parole rischiano di perdere la loro linfa, il suono melodioso del loro incanto.

Non deve esserci impoverimento: le parole meritano senza dubbio un altro trattamento, come i nostri pazienti.

 

Gli errori più comuni che commettiamo oggi rischiano di portarci alla deriva della relazione di cura, indebolita dalle questioni burocratiche, dalla presenza ridotta all’osso delle risorse umane.

La parola e la relazione di cura, assolto il loro compito, cercano nuove sponde, tendono la mano ad altri mondi, a nuovi orizzonti personali e comunicativi.

 

Come in una tempesta, i gesti e le parole accuratamente scelti sono in grado di portarci alla deriva o, al contrario, come una panacea, ci rivestono di morigeratezza e diventano il sicuro alleato alle insidie quotidiane, permettendoci di sperimentare e assolvere al nostro compito.

 

 

Tratto da Parole di cura. Come le parole possono migliorare le nostre relazioni (di cura)

Testardamente fiducioso

aprile 30th, 2024 | NO COMMENTS

di Rodolfo Ferrari

 

Scrivere. Per SIMEU. A SIMEU.

 

Bellissima opportunità, mi sono detto.

 

A questo punto si è configurato l’imbarazzo della scelta.

Scegliere un argomento.

Nel cosmo della Medicina d’Emergenza – Urgenza.

Mica facile. Mica facile, soprattutto se devo parlare di quel che conosco (non so fare altro), e se devo partire dalla mia esperienza, e dalla mia storia passata e presente in SIMEU.

 

Potrei parlarvi di formazione.

Di quanto stia finalmente caratterizzando la nostra disciplina come specialistica, di come le stia dando quella dignità negletta che abbiamo orgogliosamente sostenuto e rivendicato, di quanto sia necessaria per i neo-specialisti ed ancor più per i più esperti.

 

Potrei parlarvi di NIV, di come abbia rivoluzionato il mondo della MEU cambiando la storia di malattia di un sacco di persone, di come sia una competenza elettiva ed imprescindibile della nostra disciplina, di come sia tecnica rappresentativa nella forma e nella sostanza del core della MEU stessa, nella filosofia della non-invasività, tra efficacia ed appropriatezza.

 

Potrei parlarvi dei Consigli Direttivi Regionali, di quanto l’impegno e l’entusiasmo siano vivi e presenti, non solo futuribili, di come la nostra competenza stia giorno dopo giorno ritagliandosi spazio ed avendo nuova voce, in modo credibile, serio e costruttivo, su tavoli nei quali sino al recente passato non eravamo presenti né rappresentati.

 

Potrei parlarvi dei Medici della MEU, dei Medici in Formazione specialistica MEU, e degli Infermieri della MEU, e degli Autisti Soccorritori, e degli Operatori Socio Sanitari, e di quanto sia straordinario il nostro lavoro nella sua essenza, che non ha eguali, e di quanto sia disperatamente frustrante non poterlo concretizzare, tra carenze di quella Sanità Pubblica che cerchiamo disperatamente di difendere ogni giorno, e boarding, ed aggressioni, e mancato riconoscimento dei più banali ed evidenti diritti negati.

 

Potrei parlarvi della vigliaccheria che sta dietro ogni aggressione verso chi indossa una divisa che ne testimonia l’essere lì, il non arretrare, per potersi prendere cura. Di ogni intossicato, di ogni codice minore, di ogni “no-qualcosa”, di ogni famigliare incattivito con “la società”.

E potrei parlarvi dei rapporti con le Forze dell’Ordine.

 

Potrei parlarvi dei Direttori della MEU, frustrati dal non riuscire a premiare a sufficienza tutti coloro che lo meriterebbero, e dal faticare a valorizzare e far crescere tutti coloro che meriterebbero un’occasione in più, un’opportunità in più, per poi far crescere tutti, tutta la nostra disciplina, in modo esemplare, tra dono ed impegno, e migliorare il servizio e l’assistenza che ogni giorno disperatamente garantiamo.

 

Potrei parlarvi della pandemia, delle decisioni serie, sicure e competenti che abbiamo preso, del coraggio, della responsabilità, del senso del dovere, del servizio e dell’assistenza che non abbiamo mai fatto mancare, della risposta pronta ed efficace che nel dramma della tragedia che abbiamo vissuto ci ha portato a casa di ogni malato, della quantità e della qualità di quel che abbiamo fatto per primi, spesso noi soli.  E delle vite che abbiamo salvato; proprio così: né più né meno di questo.

 

Potrei parlarvi dell’iperafflusso, e del sovraffollamento, e del boarding. E a chi parla di collo dell’imbuto ricordare che noi siamo nel punto più stretto di una clessidra, tra le carenze del territorio e quelle dell’Ospedale, senza filtri in entrata e pieni di muraglie in uscita, nel bel mezzo di una guerra tra poveri che mette i professionisti contro ad alzare barricate e compartimenti stagni, per far finta di non sapere e di non vedere quel che accade alla cosiddetta porta dell’Ospedale.

 

Potrei parlarvi dei professionisti tappabuchi che colmano last-minute carenze nei nostri organici, e che spessissimo non sono adeguati, generano frustrazione e disillusione nei veri professionisti e nell’utenza, abbassano il livello dell’assistenza come fosse una cosa normale, compromettono l’immagine della nostra disciplina ed il nostro servizio. A costi vergognosi, e con un rapporto costi – benefici inaccettabile.

 

E potrei parlarvi con la stessa rabbia di quei nostri colleghi, pari grado della nostra medesima disciplina, che abbassano il livello, che non ci rappresentano, che però prendono per primi la parola e ledono la nostra immagine e la nostra credibilità di fronte ai nostri interlocutori, compromettono la nostra professionalità perseguendo altri obiettivi personali o attuano comportamenti lamentosi e distruttivi come alibi del proprio aver deciso di tirare i remi in barca.

 

Potrei parlarvi di Università, Regioni e Ministeri nei quali andare a scovare una volta per tutte le soluzioni alla crisi del Sistema Sanitario Nazionale e Regionale e della Sanità Pubblica che ci sta schiacciando. Per primi. Vittime insieme agli utenti, quelli stessi che per noi non paiono provare alcuna comprensione… non pretendo solidarietà o empatia.

 

Potrei parlarvi di salario, di carichi di lavoro, di 6 ore e 20, di indennità, di pensione, di lavoro usurante, di depenalizzazione. E dovrei. E ne dovremmo parlare a tutti, strenuamente. E di questioni caratterizzanti profondamente la nostra disciplina come la gestione pre-ospedaliera ed ospedaliera delle maxi-emergenze, e le Aree semintensive nel contesto della Medicina d’Urgenza. E ne dovremmo parlare a tutti, orgogliosamente.

 

Potrei parlarvi di priorità, di criticità, di complessità, di fragilità. Di emergenze, di urgenze tempo-dipendenti e di risposte ai più improbabili bisogni di salute. E sociali.

 

E potrei parlarvi delle morti improvvise, della comunicazione delle cattive notizie, e degli arresti ripresi, e di quelle condizioni di peri-arresto nelle quali si riesce a fare la differenza, di quella romantica sensazione di soddisfazione che ogni tanto si prova diluita nella stanchezza quando giunge alla fine il turno di notte e vedi arrivare il tuo cambio.

E di quello che vedi, nel bene e nel male, quando il cambio che arriva sei tu.

 

Potrei parlarvi della vita fuori dall’ospedale, e delle nostre incredibili e straordinarie e disperate famiglie.

 

Volevo parlarvi di Medicina d’Emergenza – Urgenza. Ho scritto di getto, e mi accorgo che, forse, i termini che ho più spesso utilizzato sono stati “disciplina” e “disperazione”.

Ed in realtà credo che dietro alle mie parole stia un’incrollabile speranza ed un’indisciplina che penso mi e ci porterà a realizzare quella speranza.

 

Passo e chiudo, perché sono convinto che, se rileggessi, probabilmente cancellerei, e troverei altro da scrivere.

Ma, esattamente come voi, non ho tutto questo tempo.

 

Quindi: buona la prima.

Indisciplinatamente speranzoso.

 

 

MEDICINA E MEDICINA D’URGENZA PER GIUNTA!

aprile 15th, 2024 | NO COMMENTS

di Giacomo e Vincenzo (papi) Menditto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Motteggi tra padre e figlio

 

“Un’idea di strada quindi, per quanto appena abbozzata e già piena di buche e ostacoli, io la ho già: voglio iscrivermi a Medicina per fare l’Urgentista!

 

Un vero e proprio attentato alle mie povere coronarie di padre quasi cinquantenne – io che ho provato a controllare fino ad ora tutti i fattori di rischio cardiovascolari non genetici – arriva da chi meno te lo aspetti:

mio figlio Giacomo, ultimo anno del Liceo.

 

E, aggiungo, tirato su fin da tenera età con l’unico intento di evitargli di diventare un medico (sob).

 

“Ok” dico, “allora cominciamo proprio dalle buche:

lo sai che ti aspettano anni di notti da passare in Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza?

Starai quasi sempre in piedi e alla fine del turno sarai stanco ed annientato.

Poi ti aspettano così tanti weekend con turni mattutini o pomeridiani che ‘spezzano’ le giornate alla grande che alla fine non saprai neppure più cosa significa la parola ‘finesettimana’: venerdì pomeriggio-sabato-domenica, sabato-domenica, domenica?

E non potrai nemmeno protestare più di tanto perché lavorerai a stretto contatto con i tuoi amici di sventura Infermieri che fanno orari tipo 6-14, 14-22 o 22-6 o, se proprio va bene, 7-14 e 14-21 ed una notte ogni 4 giorni …”

 

“Vogliamo passare agli ostacoli?

Troverai figli di papà, raccomandati, baroni a bizzeffe, donne e uomini spietati, arroganti, presuntuosi come in tutte le professioni, ma i veri ostacoli saranno in te, nelle tue preoccupazioni e nella tua coscienza …

Ti troverai, come me a suo tempo, a vedere i cartelli necrologici per strada insieme ai vecchietti già a 26 anni con il timore di riconoscere un nome in un tuo paziente (che speri di non avere dimesso).”

 

“Gli scrupoli per non avere fatto abbastanza saranno le tue Erinni perenni e, come i migliori investigatori, come Poirot, Scherlock o Montalbano, non ti ricorderai dei casi (clinici) brillantemente risolti, no!

Avrai davanti agli occhi quelli delle persone che non sei riuscito a salvare, anche se magari era impossibile farlo.”

 

Mi dici: “io voglio e diventerò un medico perché so essere la mia passione ed è quello che mi immagino di voler fare per i prossimi cinquant’anni.”

 

“Ecco” ti rispondo subito “lo Stato ti prenderà in parola e non ti permetterà di andare in pensione senza 50anni di lavoro!!! Questo almeno se rimani in Italia e non te lo consiglio! Abbiamo gli stipendi più bassi d’Europa o quasi, e se fai l’Urgentista non potrai nemmeno fare la Libera Professione.

In pratica, tu salverai vite umane a tonnellate ed i tuoi colleghi cureranno persone e avranno stipendi da intra-moenia molto più alti dei tuoi.

Non so chi te lo fa fare!”

 

“Ecco” replica lui, “le parole ‘non so’ dovrebbero essere alla base di qualsiasi lavoro, specialmente quello del medico …”.

 

Provo a controllarmi, ma non ci riesco.

“Non so dici: non saprai mai tante cose perché rischi di essere condannato civilmente e penalmente ogni giorno, perché rischi di prenderti le mazzate mentre fai il tuo lavoro, perché un giorno ti chiamano eroe e l’altro farabutto …”

 

“Dai papi, ne riparliamo…adesso vediamo insieme la TV, danno Doc o forse ER, due patatine e ci rilassiamo, ba bene (come diceva quando era piccolo)?”

 

“Ok” mi ha già convinto con il suo sguardo bello e speranzoso…

 

Penso che le serie TV mediche sono quasi tutte ambientate in una Emergency Room, che in fondo in Italia abbiamo solo sbagliato il nome, ma fare l’Urgentista è bellissimo!

 

 

 

Gli affetti altrui.

marzo 31st, 2024 | NO COMMENTS

di C.B. DEA Santa Maria Annunziata

 

Fin dai primi tirocini, la maggior parte degli studenti di infermieristica è bramosa di svolgere parte della propria formazione in un particolare Setting: il DEA.

L’idea di affinare tecniche e conoscenze in situazioni in cui il tempo è davvero prezioso, è estremamente eccitante.

 

In questo Setting vengono messi a dura prova i nervi e le capacità di ogni professionista che, sotto la pressione dei codici incalzanti, è tenuto non solo ad agire tempestivamente, ma anche a saper rispondere in maniera coerente, efficace ed efficiente alle improvvise e diverse esigenze che gli si presentano.

La frenesia che si continua a percepire anche dopo la Laurea è questa: ci aspetta una sfida ogni giorno!

Affiancamento dopo affiancamento, tra un corso di formazione e l’altro, l’Infermiere acquisisce sempre maggiori competenze che  vanno a costituire un bagaglio personale che si potrà poi utilizzare in ogni altro Setting lavorativo successivo.

 

Dal punto del coinvolgimento è un ruolo tanto provante quanto gratificante, anche se a volte ci capita di trascurare il lato emotivo di noi stessi e delle situazioni, delle persone, in cui ci imbattiamo durante il turno lavorativo.

Ad esempio la signora con frattura di femore è molto di più di un caso clinico! E’ una settantanovenne che vive sola, lontana dalla famiglia, amante dei reality show che la sera, per tenersi compagnia, passa le ore al telefono con la nipote.

Oppure, il ventenne che si è lacerato una falange, ha appena iniziato il suo primo impiego ed è preoccupato per il posto di lavoro.

 

Il nostro ruolo è denso di relazioni umane, cosi come lo è anche di coinvolgimento personale anche se, in prima battuta, la natura del Setting ci spinge ad essere estremamente competenti nella parte tecnica. Dopo una più attenta riflessione ci possiamo però  rendere conto che esige anche un grande coinvolgimento dal punto di vista relazionale.

 

Negli ultimi due-tre anni, come mai prima l’Infermiere è stato chiamato a rispondere a situazioni nuove e mutevoli, a partire dall’esperienza della pandemia iniziata nel 2020.

L’infermiere di Pronto Soccorso non è solo colui, che insieme al resto dei professionisti sanitari, è tenuto a rispondere alle esigenze della popolazione in modo rapido e efficace, ma è colui che ha dovuto imparare a gestire il problema delle distanze, delle solitudini, delle emozioni profonde e purtroppo spesso anche del lutto attraverso un filtro.

Ovattato nella sua bolla, separato da strati di guanti e materiale isolante, si è improvvisamente dovuto far carico di tante cose di grande impatto umano.

 

Il gap non è stato solo di tipo fisico, ma anche e soprattutto emozionale: la situazione creata dalla pandemia covid ci ha portato a dover imparare a salutare i cari morenti di fatto soli, ove possibile, attraverso non solo tute impermeabili, ma a volte attraverso uno schermo.

Negato il calore di una carezza, di una mano amica: abbiamo assistito a situazioni pesanti come amici che non si sono più visti, mogli e mariti che non si sono più baciati, figli e figlie, madri e padri che non si sono più abbracciati per un ultimo saluto.

 

Per noi infermieri è stata un esperienza disarmante: non aver avuto più tempo in una condizione in cui il tempo era già di per se sfuggente.

È come se una situazione già gravosa di per sé a causa della natura della morte stessa e della fatalità della vita, dove vige un senso incolmabile di dolore, a volte rancore e amarezza si fosse ulteriormente appesantita.

 

In quel momento la figura onnipresente con i pazienti dell’infermiere ha svolto un ruolo fondamentale. Gestire i processi della malattia non è mai semplice, ancora meno lo è stato ostacolati da una pandemia mondiale dove tutti erano a rischio e nessuno poteva assistere direttamente il proprio caro. L’Infermiere  a questo punto si è fatto carico anche degli affetti altrui.

 

L’idea di conforto sia per chi esalava gli ultimi respiri, sia per i familiari lontani, passava proprio attraverso la figura che in quel momento assisteva h24, minuto dopo minuto le persone, le uniche figure a poter essere in qualche modo vicine a chi soffriva in quel momento delicato.

Se prima questo ruolo era affidato alla famiglia, in quel momento era diventato del tutto nostro.

 

Forse questa esperienza ci è servita a sviluppare in questi anni successivi una diversa consapevolezza ed un’ attenzione maggiore all’importanza delle relazioni umane, anche nella quotidianità attuale al di fuori dalla bolla covid.

 

Anche dove e quando i minuti sono davvero contati, la qualità della relazione umana può fare la differenza.

 

SEPSIS’ARENA e BREVE CRONISTORIA DELLA FACULTY SEPSI

marzo 17th, 2024 | NO COMMENTS

di Fabio Causin

con Elisa Pontoni e Mario Calci

 

Il 20-21 febbraio scorso, nell’ambito delle attività promosse dalla Faculty Sepsi e per iniziativa del dr. Alessio Bertini, Direttore del Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza dell’Ospedale Maggiore, si è tenuto a Bologna l’evento SEPSIS’ ARENA.

 

Nelle due giornate del seminario, trenta fra relatori e moderatori si sono alternati in 11 Challenge con la partecipazione proattiva di 160 fra medici e infermieri provenienti da tutta Italia quali discenti: ciascuna Challenge vedeva il confronto fra due relatori sugli snodi più controversi dell’iter diagnostico terapeutico del paziente con sepsi.

Ogni speaker aveva a disposizione 15 minuti per dare forza alla propria posizione da prospettive non necessariamente contrapposte ma sicuramente diverse, lasciando poi altrettanto spazio alla discussione con il pubblico, guidata dai moderatori.

 

Il confronto è risultato entusiasmante, vivace e partecipato, stimolato dal livello delle relazioni sicuramente colte e impattanti. “Bellissima giornata di scienza!“ il commento di uno dei relatori.

 

Questo è l’ultimo evento, in ordine di temo, organizzato dalla Faculty Sepsi.

Ma da dove siamo partiti? Di seguito una premessa e una breve cronistoria della nostra attività.

 

E’ bene ricordare che la sepsi è una patologia acuta, evolutiva, ad elevata mortalità se non riconosciuta e trattata adeguatamente. Rappresenta la seconda causa di morte nelle terapie intensive ed è la decima causa di morte nei Paesi a reddito più elevato.

L’incidenza stimata a livello mondiale supera i 270 casi per 100.000 abitanti/anno con più di 2 milioni di casi di sepsi l’anno, e un tasso di mortalità che oscilla, a seconda delle aree interessate, tra il 20 e il 40%, ed è destinata ad aumentare.

 

In Italia la mortalità si attesta attualmente sui valori più elevati, intorno al 40%. Considerato che la sua incidenza è in continuo aumento a livello mondiale, la sepsi è destinata a gravare sempre di più sui sistemi sanitari.

Tra le cause responsabili dell’aumento di incidenza possiamo citare l’incremento del numero di anziani con numerose co-morbilità e l’aumentata sopravvivenza della popolazione oncologica, o in trattamento immunosoppressivo, così come l’uso crescente di procedure invasive e di devices. Intorno alla sepsi si muove l’intero SSN , dal territorio all’ospedale, passando per i Dipartimenti di Emergenza, per poi  trovare quale destinazione gran parte degli altri reparti e servizi del sistema.

 

2016- 2024     LE INIZIATIVE DELLA FACULTY SEPSI

La Faculty è nata A Milano il 16 marzo 2016 per iniziativa di alcuni iscritti SIMEU, medici e infermieri – Fabio Causin, Mario Calci, Riccardo Pini, Anna Maria Brambilla, Germana Ruggiano, Mariangela Mattiazzo, Alessio Bertini, Franco Aprà, Roberto Cosentini, Fabio De Iaco, Francesca Cortellaro – che si sono resi conto come la conoscenza  del problema “sepsi”non fosse diffusa omogeneamente e mancasse una offerta formativa.

Nella riunione costitutiva vennero indicate le seguenti linee di azione:

– il corso di formazione  venne considerato il mezzo più idoneo per la diffusione di conoscenze e competenze con articolazione in corso base, avanzato e  infermieristico.

– la Faculty si impegna’ nella revisione continua e nella analisi critica della letteratura scientifica

– venne promosso Il confronto multidisciplinare con gli specialisti interagenti nelle diverse fasi della gestione del paziente settico

 

Corso di formazione: Dal 2017 a oggi, con la sola interruzione del periodo pandemico, sono stati organizzati 25 corsi con la partecipazione di circa 600 discenti. Le regioni coinvolte sono state: Toscana, 6 corsi; Lombardia: 5 corsi; Veneto: 5 corsi; Sicilia: 3 corsi; Emilia Romagna: 2 corsi; Lazio: 1 corso; Friuli VG: 1 corso; Marche: 1 corso; Puglia: 1 corso

 

Consensus Conference:  nel  2017, considerato il livello di incertezza interessante molti degli aspetti cruciali nella gestione della sepsi,  e la scarsa forza delle raccomandazioni contenute nelle linee guida internazionali,  in larga parte sostenute dall’opinione degli esperti, la Faculty ritenne necessario effettuare una revisione della letteratura e raccogliere l’opinione dei professionisti italiani operanti nell’ambito del Pronto Soccorso, per valutare l’applicabilita’  delle (scarse, ndr) evidenze nella specifica realta’ italiana.

L’obiettivo era quello di definire la posizione della Societa’ Scientifica in merito alle principali questioni relative al riconoscimento precoce e gestione della sepsi in Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza, tenendo in considerazione lo specifico contesto organizzativo italiano.

Il lavoro della Consensus venne svolto nel biennio 2017 – 2018 e coinvolse a vario titolo un centinaio di iscritti SIMEU dando luogo ad un documento pubblicato sul sito della società scientifica:  (https://www.simeu.it/w/articoli/leggiArticolo/3821/leggi),

 

Nel 2021 si eseguì un aggiornamento delle raccomandazioni alla luce di nuove evidenze scientifiche e dell’ultima versione pubblicata nel 2021 delle linee guida della SSC.

L’insorgere della pandemia da SARS-CoV-2 ha inoltre suggerito l’opportunità di introdurre uno specifico capitolo al riguardo. La revisione della Consensus è pubblicata sul medesimo sito in data 29.11.2021

 

Confronto multidisciplinare: il percorso del paziente settico e’ complesso, multidisciplinare, è un film che vede tanti professionisti interagire e girargli attorno. Con questi presupposti nel 2023 per iniziativa del dr. Mario Calci venne organizzato a Udine il I° Seminario della Faculty, in cui il confronto dotto e collaborativo tra professionisti di diversa estrazione e competenza ebbe un indubbio successo.

Sull’onda di questo risultato si programmo’ SEPSIS’ ARENA, storia recente.

 

Una finestra sul futuro: la Faculty Sepsi intende proseguire nel percorso tracciato, mantenendo e incrementando  l’attività formativa con i corsi programmati sia per il personale medico che per quello infermieristico, perseguendo la multidisciplinarietà, in particolare attraverso il confronto con gli altri specialisti,  tramite la promozione di una consensus intersocietaria, sempre più necessaria e auspicabile, proprio per la caratteristiche peculiari della gestione di una patologia così complessa;  l’omogenea gestione della stessa su territorio nazionale rappresenta inoltre un ulteriore obiettivo sotteso dalla diffusione e promozione capillare di protocolli gestionali condivisi,  standardizzati e localmente applicabili

 

 

Un po’ di noi Triagisti per voi

febbraio 22nd, 2024 | NO COMMENTS

di Eni Bardhi

 

Mentre fuori c’era il silenzio, dentro il Pronto Soccorso di Lodi c’era invece rumore e paura. Nel 2020 il Covid ha solcato le distanze, le parole ai parenti dei nostri pazienti erano frammentate.

Dopo quella esperienza ci siamo detti che avremo reso il nostro Pronto Soccorso un luogo in cui l’accesso di una persona – specie quando le motivazioni dello stesso appaiano clinicamente rilevanti – non sarebbe mai più stato carico di preoccupazione, ansia o timori.

 

Quando non si conoscono le sorti del congiunto capita che si crei tensione nei famigliari in attesa e questo stato d’animo complica il nostro lavoro in quanto si accompagna a un livello elevato di aspettative nei nostri confronti rispetto alla possibilità di ricevere risposte rapide, puntuali, quanto più possibile esaurienti.

Oggi abbiamo disanimato le barriere e permesso ad un familiare di vivere con meno ansia e stress la lontananza dal proprio caro, tenendo conto proprio della sua sfera emozionale e sofferenza psicologica.

 

IL COMFORT DI ESSERE INFORMATI

 

L’obiettivo è rendere il nostro Pronto Soccorso un ambiente più confortevole nelle notizie, meno stressogeno per chi le attende. Con pochi passaggi, presso i PS di Lodi e Codogno, è infatti attivabile uno speciale servizio di messaggistica che, mediante sms, aggiorna i famigliari in tempo reale su tutti gli spostamenti e gli esami richiesti per il paziente.

 

Al fine di assicurare l’attivazione di tale servizio – a partire dalla fase di Triage – la nostra ASST ha reso campo obbligatorio il reperimento di un numero di cellulare del familiare a cui giungeranno tutte le informazioni grazie al nuovo sistema informatico First Aid.

Il consenso a tale servizio è espresso dal paziente stesso al quale viene garantito il diritto alla Privacy.

 

Tutti i giorni in turno si percepisce come uno dei bisogni fondamentali della persona che chiede aiuto sia quello di essere capito, non solo nel senso clinico e diagnostico, ma anche relazionale. Mediante la personalizzazione dell’assistenza al bisogno di salute, entriamo in relazione con i nostri pazienti mediante una visione globale: una relazione fondata su una comunicazione bidirezionale valida in Triage poiché svolta da professionisti della salute.

 

IL PRONTO SOCCORSO COME OSSERVATORIO

 

Come Referente Aziendale nella ASST Lodi indirizzo il Triage infermieristico orientandolo ai nuovi bisogni di salute della popolazione in linea con le evidenze scientifiche più recenti, in risposta alle attuali esigenze dei contesti operativi, nel rispetto della sicurezza delle cure, con un’attenzione particolare nei riguardi dei soggetti portatori di vulnerabilità / fragilità come ad esempio i minori, gli over 75, le  persone con patologie psichiatriche, i soggetti in situazione di emarginazione sociale, i portatori di handicap e le vittime di violenza.

 

Il Pronto Soccorso, è in qualche modo in questo senso un luogo “privilegiato”, dove purtroppo con frequenza ci si trova ad osservare episodi di violenza fisica e psicologica sulle categorie fragili, donne, bambini e anziani e disabili, manifesti oppure sommersi e casi di violenza assistita, soprattutto per quanto riguarda i minori.

 

La figura all’interno della struttura sanitaria che rappresenta il primo contatto con la persona maltrattata o abusata è proprio l’infermiere di Triage che, mediante assegnazione del codice viola, inserisce tale paziente nel percorso identificato per la specifica gestione.

A queste persone si riserva uno spazio adeguato dove si possano sentire accuditi e protetti, garantendo una presa in carico da parte di tutta l’equipè della sala visita a cui vengono assegnati.

 

Lo stesso vale per gli anziani: le condizioni di fragilità non modificano il codice di gravità ma ai soggetti più deboli viene assegnato una priorità di accesso mediante l’assegnazione del codice argento che, a parità di codice numerico, riserva precedenza in sala visita.

 

ANNULLARE LE ATTESE

 

Abbiamo inoltre compreso che il tempo di attesa dei nostri pazienti poteva trasformarsi in tempo assistito.

 

Visti l’Accordo del 1/08/2019, La DGR n. XI/2672 del 16/12/2019 e il Decreto della DG Welfare n. 785 del 28/01/2022b, che indicavano di standardizzare il processo di accettazione e presa in carico a livello regionale attraverso la diffusione e applicazione di algoritmi codificati, promuovere la presa in carico infermieristica, attraverso la condivisione di protocolli di avvio del percorso diagnostico e terapeutico nelle diverse aree del Pronto Soccorso e di riorganizzare e segmentare il flusso delle persone assistite all’interno dello stesso – con particolare attenzione alla complessità clinico-assistenziale ed al numero / tipo di prestazioni previste nei diversi motivi di accettazione a Triage – la Direzione delle Professioni Socio Sanitarie, la Direzione Generale unite all’impegno di tutto il gruppo di lavoro sul Triage, hanno inteso promuovere tali attività presso la nostra ASST per dare risposte concrete ai bisogni di salute dei nostri cittadini.

 

A tal fine, si sono implementati i percorsi di presa in carico infermieristica, proposti come percorsi assistenziali di diagnosi e cura inseriti in appositi protocolli.

 

E’ stato necessario prevedere di organizzare e diversificare la presa in carico della persona assistita, iniziando precocemente l’attività diagnostico / assistenziale che non ha motivo di essere posticipata ed abbiamo analizzato nel dettaglio, le caratteristiche dei flussi di accesso ai nostri PS, classificati per segni e sintomi, principalmente a maggior frequenza di presentazione.

 

Questo ha significato concretamente, creare nuove soluzioni organizzative per fornire la miglior risposta ai bisogni di salute che la persona presenta all’ingresso del PS, utilizzando al meglio le potenzialità delle risorse infermieristiche presenti.

Ad oggi il gruppo di lavoro degli infermieri di Lodi e Codogno può applicare 4 protocolli di presa in carico infermieristica:

  • dolore toracico,
  • dolore addominale,
  • analgesia
  • trauma minore

facilitando la gestione di particolari situazioni clinico assistenziali, riducendo sensibilmente il tempo di permanenza della persona assistita in PS.

 

ECCO ALCUNI DATI

 

Come esempio su efficacia del metodo > sono stati presi in carico nel 2023 dal 01/07 al 31/12 un totale di 2325 pz con accesso per dolore toracico, con tempi medi di presa in carico pari a 13 minuti rispetto ad un tempo medio di presa in carico nel 2022 di 3 ore e 5 minuti. 

Il fine è quello di attuare il più corretto approccio valutativo ma realizzare, già dall’ inizio del percorso di cura il Triage stesso, un’adeguata e rapida presa in carico della persona.

 

Al termine della valutazione l’infermiere, assegnato il codice di riferimento, può attivare il percorso diagnostico terapeutico assistenziale più appropriato tra quelli previsti dalla nostra organizzazione, ottimizzando i tempi di presa in carico e trattamento e contribuendo alla diminuzione dei tempi di attesa globale.

 

IL RUOLO DEL TRIAGISTA

 

Il “direttore artistico“ dei flussi e delle modalità di lavoro del PS è l’infermiere che esercita la funzione di triage perché è l’unico professionista dell’équipe che si trova ad avere tutte le informazioni e gli strumenti per governare i critici e strutturati processi di PS. L’infermiere triagista conosce più informazioni di chiunque altro e dirige l’orchestra in modo deciso ma armonico accompagnando il pz con note delicate. Siamo strateghi ed empatici nonostante leader con un ruolo complesso ed estremamente articolato. Il nostro è un ruolo difficile, un lavoro intenso che aumenta con il crescere dei nostri pazienti e con l’intensità delle cure necessarie e per questo siamo da riconoscere e sostenere”.

 

Ringraziamenti:

E’ ad oggi possibile parlare di questo grazie alla lungimiranza e fiducia affidatami dal Direttore della Direzione Aziendale delle Professioni Socio Sanitarie dott.ssa Donatella Vasaturo e dal suo staff. Ringrazio il gruppo di lavoro Triage che mi ha accompagnato e continua a farlo: Deborah Sarina e Ferruccio Marconi, l’infermiere coordinatore del PS di Lodi Lavinia Proca e l’infermiere coordinatore del PS di Codogno Giorgio Milesi.

 

 

 

 

 

 

 

RINGRAZIO QUOTIDIANAMENTE I TRIAGISTI CON CUI LAVORO PER SVOLGERE QUESTO RUOLO SEMPRE NEL MIGLIOR MODO POSSIBILE.

 

Il bando AREU in Lombardia secondo SIMEU

febbraio 6th, 2024 | NO COMMENTS

di Luciano D’Angelo – Presidente regionale SIMEU Lombardia

 

Il Pronto Soccorso è in difficoltà: si tratta di un problema tutt’altro che banale, potrebbe essere la fase iniziale di un reale cedimento del Servizio Sanitario e questo, a sua volta, potrebbe avere una ricaduta devastante sulla tenuta sociale.

 

Può sembrare un’affermazione azzardata, ma non lo è.

 

Le richieste di soccorso, non solo di tipo sanitario ma ormai anche di tipo sociale sono, in parte, ascoltate solo da una parte del “sistema”: quello aperto sempre, in tutte le ore del giorno e tutti i giorni dell’anno … più dei Carabinieri, più del Prete … il servizio di pronto soccorso.

 

Le cause sono complesse, si confondono nelle scelte politico-amministrative scellerate degli ultimi 2-3 decenni. Siamo un Paese ad elevato sviluppo tecnologico, in grado di formare professionisti di livello eccellente (investendo peraltro risorse “ingenti”) che trattiamo poi da garzoni di bottega, degni di una modesta “paghetta” e di nessun diritto, spalancando le porte per la loro fuga all’estero.

 

Continuiamo a tollerare un sistema a più livelli in cui coabitano, con diritti e doveri molto differenti, professionisti medici “dipendenti” – più o meno in rapporto esclusivo – e professionisti “liberi”, con regole evidentemente poco efficaci e con un risultato globale di salute che si commenta da solo.

 

Per non parlare degli Infermieri e degli altri operatori sanitari.

 

I Pronto Soccorso, soprattutto quelli dei grandi centri, sono a tutti gli effetti un ambito in cui molti diritti di tutela della dignità delle persone passano in secondo piano: non rare le immagini di alcuni report giornalistici che ci mostrano situazioni da bolgia Dantesca. Basta una virosi stagionale (non scomodiamo le pandemie), bastano dei periodi di caldo estivo superiore alle medie per far precipitare nella confusione, nel burnout degli staff professionali, nelle manifestazioni di rabbia e violenza.

 

Gli ingredienti sono noti: riduzione progressiva dei posti letto per acuti negli ospedali, insufficiente offerta del territorio (medicina generale, riabilitazioni, lungodegenze, ecc.), esiguità del personale, sempre più tartassato e sempre meno valorizzato. Probabilmente non vi è un vero “disegno” in tutto ciò (vedi abbattere il pubblico a favore del privato) ma solo, purtroppo, incapacità e arrogante ignoranza.

 

A questo si aggiunge, quale ingrediente perfetto, la totale incomprensione e per certi versi anche una certa dose di menefreghismo dei cittadini. Sino a quando non ne sono direttamente coinvolti. E allora si passa dal silenzio alla rabbia.

 

Si può invertire la rotta: forse, ma occorre non perdere più un solo istante. Il Prof. Nino Caltabellotta della Fondazione GIMBE e i referenti dell’Istituto Mario Negri, hanno fatto analisi di dettaglio e indicato alcune strategie.

Anche la nostra società scientifica SIMEU da anni guarda alle problematiche, denuncia a gran voce la situazione e propone soluzioni.

Ma bisogna volerle applicare.

 

BASTERANNO I MEDICI RECLUTATI CON IL “BANDO AREU”?

La carenza di medici, ma anche e forse soprattutto di infermieri, nel sistema emergenza-urgenza è un problema oggettivamente rilevante.

 

Al di là delle cause che hanno portato a questo livello critico, per cercare delle soluzioni occorre avere ben chiaro che il primo obiettivo da perseguire – per trovare professionisti disposti a lavorare “nel sistema” – è riformare profondamente il sistema stesso.

 

La Lombardia ha, per la prima volta e con la delibera di fine luglio 2023 promossa dall’Assessore Guido Bertolaso, stabilito delle regole per delineare il ruolo e la funzione dei professionisti che lavorano nella Linea dell’Emergenza, sia pre-Ospedaliera – 118 per intenderci – che intra-ospedaliera, Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza.

 

E’ un primo passo, importante: ora servirà affrontare in modo reale la medicina, del territorio e rivedere i percorsi di formazione dei professionisti della salute, che rappresenta un altro capitolo tanto complesso quanto vasto.

 

Il ricorso ai cosiddetti “gettonisti” reclutati da Società di Servizi è un fenomeno reso possibile dallo sfruttamento di particolari voci di bilancio delle Aziende Sanitarie: si è trattato di un’azione a suo tempo “probabilmente necessaria”, ma che ha prodotto una distorsione imprevista di tutto il sistema di reclutamento di professionisti, soprattutto rispetto le retribuzioni molto maggiori dei riferimenti istituzionali e con regole molto diverse.

 

Nel tentativo di controllare questa nuova realtà, la Direzione Generale del Welfare Lombardo ha scelto di istituire una sorta di “albo” di libero-professionisti da impiegare, mediante contratti diretti stipulati poi dalle varie Aziende Sanitarie, indicando la retribuzione secondo 3 fasce dipendenti dal possesso di Specializzazione o meno, dal tipo di Specializzazione stessa o dallo status di medico in formazione specialistica. L’Agenzia Regionale dell’Emergenza Urgenza (AREU) è stata incaricata di effettuare le selezioni e creare l’albo dei professionisti.

 

E’ la soluzione ideale?

Certamente vi sono dei margini di incertezza: i professionisti potrebbero scegliere di migrare in Regioni vicine alla Lombardia dove trovare contratti più vantaggiosi, potrebbero crearsi delle differenze significative tra diverse Aziende Ospedaliere in funzione della loro “attrattività” di tipo economico.

 

Come affermato dal collega dott. Stefano Paglia, Consigliere nazionale SIMEU, anch’egli operativo in Lombardia “Il passaggio dalle coop all’elenco regionale potrebbe creare qualche difficoltà, ma aver stabilito una tariffa unitaria è importante perché evita la gara al rialzo dei compensi. Ora ci si auspica che anche le altre Regioni applichino lo stesso modello»

 

Bisognerà quindi valutare l’impatto una volta avviata questa nuova modalità di organizzazione.

 

Certo è che la vera soluzione del problema dell’Emergenza, passa attraverso una riorganizzazione del sistema, un’azione efficace sul territorio, su nuovi percorsi di formazione. La posta in gioco è pesante, si tratta della sostenibilità e sopravvivenza dell’intero Servizio Sanitario.

 

Per questo motivo come società scientifica stiamo cercando da tempo di sensibilizzare l’opinione pubblica sollecitando un’alleanza attiva tra operatori e cittadini, la cui reazione costruttiva sarebbe davvero fondamentale.

 

 

Un estratto di questo articolo è stato pubblicato sul settimanale OGGI in edicola dal 8 febbraio 24

 





SIMEU - SOCIETA' ITALIANA di MEDICINA D'EMERGENZA-URGENZA

Segreteria Nazionale:
Via Valprato 68 - 10155 Torino
c.f. 91206690371 - p.i. 2272091204

E-mail: segreteria@simeu.it
pec: simeu@pec.simeu.org
Tel. 02 67077483 - Fax 02 89959799
SIMEU SRL a Socio Unico

Via Valprato 68 - 10155 Torino
p.i./c.f. 11274490017
pec: simeusrl@legalmail.it