Eppure, a pensarci bene, non è così male.
di Giuseppe Trainito
Inizia una giornata, una di quelle normali nella monotona e scontata routine:
caffè del mattino, doccia calda e si corre in ospedale tra codici maggiori, codici minori e fatica.
Ogni scalata, non importa quanto sia alta e ripida la salita, è un atto di fede e fatica. Si parte con entusiasmo eppure, dopo i primi passi, la strada si fa ripida, il respiro si accorcia e il peso dello zaino sembra raddoppiare. Ogni passo diventa una battaglia, una sfida. Il sudore bagna la fronte, le gambe tremano e il desiderio di arrendersi diventa una voce insistente nella mente. Ma poi, alle prime luci dell’alba, il sole caldo dona speranza a chi è abbastanza coraggioso da guardare l’orizzonte e quella paura, quella fatica, quei pensieri svaniscono come la schiuma di mare quando si infrange sugli scogli.
In fondo, la Malaysia è così:
parti carico, pieno di entusiasmo, felice e poi ti trovi davanti a una società profondamente diversa rispetto a quella in cui sei abituato a vivere e lavorare.
Il sistema sanitario malesiano, in fondo – almeno strutturalmente – non è così profondamente diverso da quello italiano: ci sono ospedali pubblici con lunghi tempi di attesa ma gratuiti, ospedali universitari con tempi di attesa intermedi ma con delle tariffe da pagare e ospedali privati a elevato costo con tempi di attesa inesistenti.
Ed è quando vedi qualcuno pagare per una trombolisi sistemica che dai valore a tutte quelle lamentele del tipo “qui non funziona niente!”
È profondamente diversa altresì l’organizzazione professionale intra ed extraospedaliera: non esistono solo medici neolaureati, medici specialisti e infermieri.
Esistono anche delle figure intermedie assai interessanti e profondamente rispettate che sono i medical officer ovvero medici neolaureati che devono dedicare 2 anni post laurea nei reparti più importanti come chirurgia, ortopedia, dipartimento d’emergenza; al termine di questi 2 anni, viene intrapreso un periodo di almeno 18 mesi nel reparto dove si ambisce di lavorare.
E durante questi 3 anni e mezzo si viene pagati per acquisire conoscenze e sostenendo un sistema ospedaliero delicato dall’equilibrio estremamente fragile.
Dopo questo periodo, per titoli, si può partecipare al concorso di selezione della specializzazione ma fino ai 40 anni: dopo, non si può partecipare e si rimane medical officer a vita!
Nonostante tutto, i medical officer hanno piena autonomia: possono eseguire procedure invasive e non, richiedere diagnostica e somministrare terapia. Ma per i casi particolari, si contatta lo specialista.
Quando sono arrivato, pensavo “che pacchia!” e invece no: nonostante abbiano più risorse quantitativamente e qualitativamente parlando rispetto a un dipartimento d’emergenza italiano delle stesse dimensioni, in Malaysia, ci sono malattie cardiovascolari a elevata prevalenza, malattie metaboliche a più alta incidenza rispetto che in Europa e il triplo dei codici maggiori.
E quei codici maggiori, sono codici maggiori di entità nosologiche che conosciamo, almeno in Italia, solo grazie alla letteratura e in cui ci imbattiamo raramente nella vita.
Chi aveva mai visto una stenosi sottovalvolare aortica?
Chi aveva mai visto una cardiopatia cianogena misconosciuta in un paziente di 18 anni?
3 mesi passano ma ti lasciano qualcosa dentro; 3 mesi in Malaysia passano ma piantano un seme che lentamente, crescendo, ti fa apprezzare le cose che prima davi per scontate.
Eppure, a pensarci bene, non è così male.