Salute e Delitto
Sono medico in servizio al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Livorno.
Da gennaio 2012, mese del disastro della Costa Concordia, ho ricevuto, pur essendomi io sempre e solo “inchinato” al mio giuramento e ai miei doveri, sei avvisi di garanzia, almeno fino ad ora, tutti con l’accusa di omicidio colposo.
E’ un’accusa che mi ferisce profondamente.
Innanzitutto ferisce la mia onestà individuale e professionale, poiché la mia esperienza con la Giustizia Italiana mi ha portato a constatare che tentare in tutte la maniere di essere un bravo cittadino e un bravo medico non è sufficiente a garantirmi il posto tra i probi.
In secondo luogo mina l’alleanza terapeutica tra il me medico e il paziente che può apparire, quest’ultimo, non solo un soggetto bisognevole di cure ma, spesso, come un possibile “avversario”.
In terzo luogo mina la mia serenità, che dovrebbe invece essere una prerogativa costante del medico a beneficio dei suoi pazienti, poiché viene alimentato il timore che ogni scelta clinica, per quanto ponderata il cui esito non può mai essere certo a priori, potrebbe essere motivo di una disavventura giudiziaria.
Mi capita ormai abitualmente che, quando leggo i quotidiani locali, alla notizia di una morte inaspettata il mio primo pensiero corra alla speranza che quella persona non sia stata di recente un malato da me visitato e dimesso.
Dei sei avvisi di garanzia, in quattro casi il procedimento è stato archiviato su richiesta del PM, in uno sono giunto al cospetto del GUP che ha decretato il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste, anche qui dopo richiesta di archiviazione del PM, per il sesto sono ancora in attesa della decisione del GIP.
In totale sono ad ora 13 anni e mezzo nei quali, a parte pochissime settimane, sono costantemente sotto indagine, quasi io fossi un serial killer, con le ripercussioni che, pur in presenza di uno spirito forte e determinato, si possono facilmente immaginare.
Sono perfettamente consapevole dell’obbligatorietà dell’azione penale e non posso non riconoscere, con sentimento di gratitudine che, fino ad ora, pur dovendo io essere fatto oggetto di indagine, i Magistrati con cui sono venuto a contatto hanno mostrato ogni benevolenza nei miei confronti, non per un indebito favoritismo, ma sicuramente perseguendo i canoni giuridici da cui devono essere ispirati.
Invece non ho potuto non constatare un accanimento, forse strategico, dei legali di controparte nei miei
confronti, anche a dispetto di risultanze tecniche e di richieste di archiviazione o non luogo a procedere del Pubblico Ministero. Accanimento nel presentare opposizione su opposizione nella tendenza a continuare a prediligere il rito penale rispetto al civile, stante la diversa rapidità procedurale, ma, così,ulteriormente prolungando l’ambascia del medico che, invece, dovrebbe essere messo rapidamente nelle condizioni psicologiche di meglio provvedere alla salute di tutti.
Il riconoscimento della mia innocenza non mi ha mai dato diritto ad una qualche forma di ristoro per tutto l’ingiusto disagio che mi è stato provocato, disagio che, comunque, non mi ha fatto mancare dal mio posto di lavoro neppure per un giorno in questi anni.
L’idea che mi sono fatto dopo tanto tempo è che vi sia un eccessivo potere del singolo nel denunciare come reato un esito indesiderato in Medicina, pur non avendo le competenze necessarie a comprendere l’accaduto e in questo senso a me pare, dal mio personale e forse fallibile punto di osservazione, che l’azione penale, per quanto obbligatoria, è però avviata in risposta ad una percezione soggettiva del denunciante, tanto è vero che non si indaga su tutti gli eventi indesiderati – per esempio su alcuni casi di morte senza una ragione evidente – ma lo si fa quando e perché un comune cittadino, addolorato e arrabbiato per la perdita o la malattia inguaribile di una persona cara, può sospettare e far sospettare come criminale un atto di cura.
La morte o l’evento indesiderato nel mio mestiere non sono sempre inattesi, nessun medico potrà mai vantare il 100% di successi e in Medicina evento indesiderato non può essere inteso come sinonimo di reato.
Che un malato possa peggiorare e morire non può non essere messo in conto e questo non può essere considerato equivalente a morire per il crollo di un ponte o il precipitare con una funivia o da un ponteggio non manutenuti o per carenza di sistemi di sicurezza.
Se ci si riflette con ponderatezza ci si potrà rendere conto che noi medici possiamo essere accusati quando ci imbattiamo in un’eventualità che la statistica aveva già anticipato come possibile, e talora addirittura probabile.
Esiste un’altra categoria professionale, così capace di fornire costantemente lavoro alle Procure, pur già caricate di altre mille necessarie incombenze, quando, dopo il tempo e le risorse spese nei nostri confronti, veniamo giudicati esclusi da ogni responsabilità fino al 97% delle volte?
In definitiva credo fortissimamente, e spero di averne mostrato le ragioni e ottenuto la comprensione del mio eventuale pubblico, che la depenalizzazione dell’atto medico debba essere ormai e finalmente riconosciuta come operazione di Legge irrinunciabile anche in Italia, per riguardo nei confronti nostri e degli stessi Tribunali.
Depenalizzazione dell’atto medico che non deve essere vista come aprioristico motivo di rigetto del riconoscimento di giustizia verso chi ha subito davvero un torto dal Sistema Sanitario, torto che può essere portato in giudizio in sede civile, tranne, è ovvio, nei casi di dolo o quelli che attraverso il rito civile siano dimostrati essere gravati da evidente colpa personale inescusabile.
Per via civile l’accusatore si deve caricare almeno dell’onere della prova.
Dovrebbe essere ormai acquisito che le condizioni di lavoro dei professionisti in Pronto Soccorso sono al limite della sopportazione umana, che, pur essendo un servizio essenziale, non si riesce ad ottenere l’arruolamento del personale necessario, non ultimo dei motivi proprio la frequenza e la pervicacia con cui veniamo condotti di fronte al Giudice.
Dovrebbe essere evidente che se il cittadino non riceve sempre un buon servizio il più delle volte la responsabilità risiede nel contesto generale e locale e non per colpa del singolo medico, eppure adoperando la via penale è il singolo medico ad essere perseguito e logorato.
Non sto qui a ribadire concetti ormai triti e ritriti sulle condizioni della Sanità, sul trattamento lavorativo ed economico del personale o sulla spesa riducibile se non fossimo costretti alla medicina difensiva, quella per cui si richiedono esami spesso inutili e costosi ma che servono alla costruzione di alibi preformati (non si sa mai), o quella che ci induce a trascorrere più tempo a compilare diari clinici invece che curare fattivamente i pazienti, al fine di precostituire memorie difensive che potrebbero rivelarsi opportune al momento giusto poiché “quello che non è stato scritto vuol dire che non è stato fatto”.
Nel frattempo, però, in attesa della vera depenalizzazione, mi piacerebbe fosse resa oggettiva la definizione di reato perseguibile d’ufficio in campo sanitario, che si richiedesse che l’esposto di un familiare sia suffragato da qualche elemento misurabile, che si esaminassero quo ante, di fronte ad esperti, il comportamento clinico e le decisioni del medico e, se ritenuti plausibili nel contesto, si evitasse la sua
Incriminazione.
Che si evitasse, in definitiva, l’automatismo che conduce, ora inevitabilmente, dall’esposto all’accusa e da questa, ancora in mancanza di un reato certo, alla ricerca di prove, tra cui quelle tanatologiche, per esprimere un giudizio che non potrà che essere più facile a posteriori.
Ho scritto tre volte negli ultimi anni, su questo argomento, al Sig. Presidente della Repubblica e ai Sigg. Ministri della Salute e della Giustizia, non ho mai ricevuto risposta diretta, ma vedo che il problema è discusso in questi alti livelli istituzionali ed è spesso citato sulla Stampa.
Mi sia consentito di chiedere che venga fatto l’ulteriore, definitivo e concreto passo avanti.
Ogni piccolo contributo, forse anche questo mio, spero possa portare finalmente a far depennare dal Codice Penale ogni accostamento tra i concetti di Salute e Delitto.