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EMERGENZA AMBULANZE: UN PROBLEMA SOLO CONTINGENTE O LEGATO AL TAGLIO DEI POSTI LETTO?

Dopo la crisi dello scorso 9 gennaio ora preoccupa l’annunciato picco dell’influenza

Se la giornata di mercoledì 9 gennaio è stata una giornata nera, per il blocco delle ambulanze nei pronto soccorso della Città di Roma, da più parti del mondo medico arriva ora l’allarme per un possibile nuovo collasso del sistema dell’emergenza-urgenza in occasione del picco delle influenze previsto entro fine mese.

Durante l’ultima emergenza romana, nella lettera alle autorità cittadine e ai responsabili dei pronto soccorso con cui Livio De Angelis, responsabile della centrale operativa del 118 di Roma, lanciava l’allarme, denunciando il blocco di 23 ambulanze nei pronto soccorso cittadini che, ormai pieni, non potevano più accettare pazienti, De Angelis affermava: “Da ieri sera (martedì 8 gennaio, ndr) abbiamo circa il 20% delle ambulanze ferme, bloccate ai pronto soccorso perché lì non ci sono letti dove mettere i pazienti e devono usare le nostre barelle”. Affermazione a cui la Regione Lazio aveva subito risposto con una nota: “Il blocco delle ambulanze è un problema che si trascina da anni, di cui soffrono tutte le regioni, e che, come i vertici dell’Ares hanno specificato alla presidente Polverini, è assolutamente precedente al piano di rientro sanitario e non correlato al taglio dei posti letto”.

Categorico invece il commento sui fatti dello scorso 9 gennaio da parte del Tribunale dei Diritti del Malato-Cittadinanza Attiva “Se si tagliano i posti letto prima di aver dotato il territorio dei servizi adeguati, questo è il risultato – ha dichiarato Giuseppe Scaramuzza, coordinatore nazionale del Tribunale a Il Sole24Ore Sanità (http://www.sanita.ilsole24ore.com/art/regioni-e-aziende/2013-01-09/polveriera-lazio-ambulanze-ares-151958.php) – e, Roma ne è in questo momento esempio lampante, a pagarne le conseguenze sono i cittadini. Da almeno due anni denunciamo lo stato di emergenza dei pronto soccorso, non solo nella capitale, e la carenza nell’assistenza territoriale”.

Entro la fine di gennaio è previsto il picco dell’influenza stagionale di quest’anno, e si potrebbe arrivare a 400.000 casi, contro i 200.000 della prima settimana di gennaio, quella dell’emergenza delle ambulanze romane. Un’esplosione di influenze che sembra sia da mettere in relazione anche alla decisione di molti cittadini quest’anno di non vaccinarsi, dato che emerge da un’indagine condotta da Adnkronos. Secondo la ricerca sarebbero ben il 25% al Nord e addirittura il 60% in alcune regioni del Sud in meno rispetto al 2011. Circa un milione e mezzo di persone che hanno rinunciato al vaccino antinfluenzale, probabilmente anche in seguito al caso scoppiato lo scorso ottobre per il ritiro dal commercio di alcuni lotti di vaccino antinfluenzale considerati potenzialmente non sicuri per la salute.

 

7 Responses to “EMERGENZA AMBULANZE: UN PROBLEMA SOLO CONTINGENTE O LEGATO AL TAGLIO DEI POSTI LETTO?”

  1. admin_simeu Says:

    Ancora sul previsto picco delle influenze arriva il monito del ministro Balduzzi “Rivolgetevi al pronto soccorso solo in caso di vera necessità”
    http://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/medicina/2013/01/27/Gia-1-6mln-colpiti-influenza-visite-medici-raddoppiate-_8149774.html

  2. Luigi Elisei Says:

    Io credo che il sovraffollamento dei Pronto Soccorso italiani, che riconosce tante cause come tutti sappiamo, sia diventato così dirompente negli ultimi 2-3 anni proprio per il taglio – indiscriminato – dei posti letto. Vorrei affrontare un aspetto del nostro problema, quello dei tanti pazienti con pluri-patologie ad evoluzione cronica, facendo una breve premessa.Tutte le malattie Acute e Critiche (es. Infarto, Ictus, Setticemia, Trauma grave) sono TEMPO-DIPENDENTI e necessitano di un approccio GLOBALE e RAPIDO gestito da diversi MEDICI SPECIALISTI. Invece le patologie Croniche (quali lo scompenso cardiaco, la bronchite cronica, il diabete e tante tante altre) sono, se non complicate, TEMPO-INDIPENDENTI (cioe’ non necessitano di una valutazione urgente in Pronto Soccorso) e pur avendo egualmente e ancor piu’ bisogno di un approccio GLOBALE, la gestione di tali pazienti deve essere di UN SOLO MEDICO (quello di famiglia o quello di medicina generale). Questo schematismo “concettuale” mal si concilia, ovviamente, con la realtà dei malati ma permette di capire che forse la nostra organizzazione sanitaria non è pienamente efficace e efficiente. Infatti se è vero che la risposta assistenziale alle malattie acute e gravi e’ molto migliorata negli ultimi 10-15 anni (vedi l’introduzione su tutto il territorio nazionale del sistema 118 e l’organizzazione sempre più diffusa di reparti di Pronto Soccorso di eccellente livello collegati in rete con i centri più qualificati di riferimento), non altrettanto può dirsi, secondo me, per l’ assistenza dei malati con malattie croniche o di quelli con sequele invalidanti e – da ultimo ma non perché meno importanti – quei tanti pazienti anziani spesso abbandonati, anche in strutture istituzionalizzate, che hanno soltanto bisogno di pura e semplice assistenza para-sanitaria. Troppo spesso questi pazienti finiscono in Pronto Soccorso, dove possono aspettare ore, permanere a lungo in barella, incontrare un medico che non conosce nulla della loro storia clinica. La conseguenza di questo stato di cose si traduce da un lato in sovraffollamento dei PS con spreco di risorse umane e tecnologiche, dall’altro in assistenza a volte indegna e indecorosa. Io credo che sia un errore programmare l’assistenza ospedaliera solo in grandi ospedali; la realtà Italiana di tanti piccoli ospedali (quelli da riconvertire) offre una grande opportunita’ per il mantenimento di strutture di base (chirurgia per piccoli interventi a degenza breve, medicina generale come negli ospedali di una volta, aree di assistenza riabilitativa e di lungo-degenza, servizi diagnostici essenziali) alle quali il medico di famiglia può facilmente accedere e, anzi, può diventarne protagonista attivo e importante insieme ai colleghi ospedalieri. È chiaro che un tale ospedale non può gestire i malati acuti e gravi, ma questo modello a cosiddetta “bassa intensità di cure” unito ad un efficiente sistema di trasferimento per i malati acuti, gravi o complicati può essere la risposta utile. Un tale piccolo ospedale potrebbe essere chiuso la notte (cioè non accettare ricoveri) così come avviene per tante cliniche private, anche convenzionate con il nostro SSN, con risparmio di spesa e senza riduzione della sua efficacia. Forse un futuro migliore, per il nostro sistema sanitario, e’ in un ritorno al passato.

  3. Giorgio Carbone, Presidente nazionale Simeu Says:

    Mi sembra che Luigi abbia ancora una volta evidenziato il “mondo reale”.
    Oramai assolutamente condizionati da protocolli, linee guida e percorsi perdiamo di vista l’aspetto olistico dei nostri pazienti. Tutti noi sappiamo che l’IMA del novantenne magari demente e allettato da anni non può e non deve rispondere allo stesso percorso del sessantenne o settantenne senza gravi precedenti, indipendentemente dagli interessi di chi deve fare i “numeri” (angioplastiche/anno); oppure ancora, sedare le nostre frustrazioni a causa delle ormai così rare situazioni di vera emergenza in PS.
    Concordo nel trasferire l’organizzazione dell’intensità di cura dall’ospedale al territorio e cioè a tutto il sistema. Anzi forse la strada giusta è rappresentata proprio dal contrario, l’intensità di cura deve rappresentare il metodo di “care” proprio a partire dal territorio inteso in senso lato (medicina di famiglia, assistenza sociale integrata, servizi infermieristici, 118 fino agli ospedali diurni).

  4. Andrea Fabbri Says:

    Luigi ha inquadrato correttamente il problema, tuttavia non si può non considerare che se non si definiscono i ruoli delle figure professionali e sopratutto le regole dell’ingaggio, i pazienti cronici finiranno sempre per interrompere i loro percorsi ambulatoriali o a bassa intensità di cura, per rientrare nei percorsi dell’urgenza perchè fare con il dito il magico numero 118 e attivare la macchina dell’emergenza è la soluzione apparentemente più rapida: peccato che in carenza di risorse disponibil, l’utilizzo della macchina dell’emergenza per questi soggetti sia spesso un inaccettabile spreco.

  5. Alessio Bertini Says:

    Tutto giusto quello fin qui detto, ma il vero problema è: come ne usciamo? Da un alto abbiamo la drastica e progressiva riduzione dei posti letto, dall’altro una sempre maggiore richiesta di prestazioni da parte di una popolazione sempre più anziana e sempre più complessa e al “terzo polo” (che nessuno si offenda per favore!) la medicina difensiva o forse ancor più spesso una medicina “poco riflessiva” che, come diceva giustamente Giorgio, applica pedissequamente protocolli a prescindere da chi li “subisce”. In questo triangolo “delle Bermude” si rischia spesso di perdere la bussola, ma questo è il mare in cui noi Medici d’Urgenza navighiamo costantemente. La verità è che i protocolli e le LG sono fatti per i 75enni al massimo e quindi nella nostra attività di “ultrageriatri” d’urgenza dovremmo soprattutto usare il buon senso. La Medicina d’Urgenza è sì tempo dipendente, ma non per questo deve essere priva di riflessione! I 10sec per 10min del CRM possono anche diventare 10min per le prossime 24h, se si tratta di valutare l’appropriatezza di un trattamento o il rischio di sconfinare nell’accanimento terapeutico.
    Poi c’è il problema più grosso, già sottolineato da tutti, che il “sistema” non è preparato per niente ad affrontare la “deospedalizzazione”: molti (ma non tutti per fortuna) medici di MMG (soprattutto nelle aree urbane) hanno demandato pressochè completamente la gestione clinica dei loro pazienti più complessi allo specialista ospedaliero e vi ricorre per qualsiasi problema. Più o meno la stessa cosa accade in molte strutture riorganizzate come “low care” in cui anche i pazienti anziani e pluripatologici ivi collocati per trascorrere le ultime fasi della loro vita vengono reinviati ai PS al minimo accenno di acuzie (febbre, diarrea, dispnea, etc) soprattutto se questo avviene durante le ore notturne e i festivi in cui il medico di famiglia è irreperibile. Last but not least, il problema della definizione, in questo mare magnum di pluripatologici cronici, dello stadio terminale di malattia. C’è una diffusa e a mio avviso pericolosissima rinuncia (talvolta addirittura consapevole) da parte della categoria (medici) ad affrontare le problematiche del fine vita. Pz oncologici, cardiopatici, neurolesi, nefropatici, BPCO, etc che progrediscono verso le fasi terminali delle loro patologie senza che nessuno (!!!!) si PRENDA CURA di affrontare questa problematica, se non con i pazienti, almeno con i loro familiari.
    Siccome i primi due punti del triangolo sono lontani dal nostro controllo, credo che potremmo provare a lavorare sul terzo (appropriatezza delle cure, capacità di comunicazione ed empatia) che ritengo siano “skills” fondamentali per i medici d’urgenza. I tempi ce lo chiedono e ce lo chiederanno sempre più. Forse potrebbe anche essere anche un nuovo ambito formativo……

  6. lerza roberto Says:

    Concordo pienamente con tutto quello che ho letto fin qui sulle cause del sovraffollamento legate principalmente all'”inefficienza” del territorio ed alla medicina difensiva. Provo a lanciare una provocazione su due aspetti che, seppur in misura minore, a mio giudizio contribuiscono a complicare il nostro lavoro . Il primo riguarda il 118: probabilmente la situazione non è uguale su tutto il territorio nazionale ma io ho l’impressione che i trasporti in ambulanza di pazienti in PS stiano progressivamente aumentando (non così le urgenze) e cioè che stia venendo meno una certa azione di filtro per cui con eccessiva facilità si invia un mezzo di soccorso per trasportare al PS anche situazioni poco gravi. Ovviamente l’arrivo di un paziente barellato condiziona l’approccio e può contribuire ad aumentare la confusione (spesso finchè qualcuno non lo visita il paziente non viene fatto scendere dalla barella anche se potrebbe tranquillamente aspettare in sala d’attesa).
    Il secondo aspetto riguarda l’atteggiamento di molti medici ospedalieri (dei reparti di degenza e ambulatori ) che stanno prendendo l’abitudine di inviare in PS quei pazienti che riferiscono disturbi o hanno dei sintomi che li preoccupano. Cioè, anzichè farsi carico dei loro pazienti, trovano più semplice scaricarli sulle spalle dell’indaffaratissimo medico del PS e proseguire nella loro routine che non deve essere disturbata da inconvenienti. Per fare degli esempi , il cardiologo manda a noi il paziente ambulatoriale che ha trovato in fibrillazione atriale oppure quello che gli riferisce di aver avuto dolore toracico il giorno prima e così via. Non è così da voi ? A volte ho la sensazione che siamo rimasti gli ultimi (e forse gli unici) che alla fine una decisione la prendono e si assumono delle responsabilità. Anche noi facciamo della medicina difensiva, ma se facessimo come certi colleghi avremmo i pazienti anche sul tetto dell’ospedale……

  7. Fabio De Iaco Says:

    I Colleghi che hanno commentato sino ad ora hanno detto moltissimo. Ed ovviamente concordo con quanto detto. Vorrei però aggiungere un nuovo punto di vista sulla questione.
    Da qualche giorno gira su Twitter una citazione che recita:
    “IL MEDICO (ma io aggiungo D’EMERGENZA URGENZA) È IL CANARINO NELLA MINIERA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE”.
    Non ne avete bisogno, ma vi ricordo ugualmente che il canarino nella miniera sostituiva i moderni sistemi di controllo dei gas nell’aria: morto il canarino, scappano tutti.
    Per quanto mi riesca difficile vedere molti di voi nei panni del canarino o del cardellino, il paragone fa pensare.
    Ma soprattutto diventa ancora più suggestivo nel momento in cui vi cito una frase di Greg Henry, ex Presidente dell’ACEP il quale due giorni fa, nella sua lettura inaugurale ad un interessante congresso sul rischio clinico negli USA, si è espresso come segue:
    “IL DIPARTIMENTO D’EMERGENZA È IL FONDO DELLA GABBIA PER CANARINI CHE È IL NOSTRO SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE”,
    frase che riassume molto bene la nostra situazione, le prerogative ambientali nelle quali ci muoviamo e la considerazione della quale godiamo in genere.
    È evidente che l’ornitologia, sorprendentemente, dovrebbe essere materia d’insegnamento nella nostra Scuola di Specialità…
    Buona fortuna a tutti.
    Fabio

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