IL BLOG DI SIMEU

 

Le terapie sub intensive e la medicina d’urgenza

di Franco Aprà, Fabio Causin, Andrea Purro

 

Lo sviluppo della medicina degli ultimi cinquant’anni è stato caratterizzato da straordinari progressi tecnologici e conoscitivi. Pazienti sempre più critici, cioè gravi ed instabili, possono essere trattati con successo. L’impiego delle conoscenze e delle tecnologie ha comportato la necessità di aumentare l’intensità con cui infermieri e medici si occupano dei loro pazienti: la prima grande riduzione della mortalità per infarto del miocardio si è avuta con l’apertura delle unità coronariche cioè luoghi dove il malato veniva defibrillato nel più breve tempo possibile.

Il fattore umano nell’ assistenza e cura non è stato sostituito da nessuna tecnologia, anzi maggiore è la quantità e la qualità della tecnologia impiegata maggiore è l’impiego di lavoro infermieristico e medico.

Queste necessità organizzative e di impiego delle risorse umane ha portato ad una divaricazione tra strutture ad alta intensità di cura, le terapie intensive, e le strutture a bassa intensità di cura, le degenze ordinarie. Ciò ha comportato gravi problemi per collocare correttamente i pazienti: se da una parte spesso il paziente viene ricoverato in strutture con una intensità troppo bassa, altrettanto spesso il paziente viene ricoverato impropriamente in strutture ad alta intensità. E si tratta non solo di un problema di risorse economiche, ma anche di danni generati dalla troppa intensità: l’uso di dispositivi e macchine, ma anche le pratiche intensive possono nuocere anche gravemente al paziente che non ne ha bisogno.

Per questi motivi, soprattutto nel mondo anglossassone, si sono andate sviluppando unità di terapia intermedie tra la massima intensità e la degenza ordinaria. Sono state chiamate in vari modi (High dependency unit, subintensive unit, semintensive unit, intermediate unit, weaning unit, ecc.) con caratteristiche diverse: monoorgano (respiratorie, cardiologiche, neurologiche, metaboliche, ecc.), postchirurgiche e perichirurgiche (terapia intensiva postoperatoria TIPO), specialistiche o polivalenti, collegate alle terapie intensive (stepdown unit).

Allo stato attuale, nonostante che alcuni enti regolatori abbiamo previsto la necessità della presenza di questo tipo di unità che chiameremo di terapia subintensiva, non esistono standard universalmente accettati né sulle dotazioni né sulla organizzazione di queste unità.

In Italia le esperienze, come spesso avviene, sono molto diverse e quasi sempre legate a particolari realtà locali.

Grossolanamente possiamo ricordare le unità coronariche, che sono le più diffuse e più studiate, anch’esse con una grossa disparità di caratteristiche , le unità di terapia respiratoria, su cui è stato fatto il miglior lavoro di standardizzazione, ma poco diffuse, le unità perichirurgiche, le stroke unit, le aree sub intensive stepdown delle terapie intensive ed alcune terapie sub intensive legate a situazioni particolari (insufficienza epatica, disturbi metabolici, ecc.).

E la medicina d’urgenza? Storicamente le prime medicine d’urgenze nate alla fine degli anni settanta avevano un’area di ricovero dotate di tecnologia di monitoraggio, che venivano usate per i pazienti che, pur non essendo ricoverati in terapia intensiva, richiedevano un’attenta monitorizzazione clinica e maggiore intensità diagnostica e terapeutica. Con l’affermarsi della medicina d’urgenza come disciplina, l’attenzione si è rivolta principalmente sul pronto soccorso per ovvi motivi di maggiore impatto organizzativo. La situazione delle aree di sub intensive ha preso diverse strade: in alcuni casi si tratta di vere e proprie terapie intensive, in altre poco più di reparti di degenza ordinari. Ogni realtà ha diversi tipi di dotazione organica e tecnologica e di conseguenza con tipologie completamente diverse di pazienti. Nonostante lo sforzo della SIMEU e di alcune amministrazioni regionali, siamo ben lontani da una minima standardizzazione sul campo.

L’interesse per questo tipo di unità dovrebbe essere molto grande per il medico d’urgenza perché, nella sua preparazioni e nelle sue attitudini professionali, c’è la confidenza con il paziente critico e i suoi problemi, l’abitudine ad utilizzare tecnologie che definirei smart rispetto a quelle della terapia intensiva. Infine la capacità di gestire la dimensione clinica del paziente, che è molto più complessa del singolo problema di salute, su cui invece usualmente si focalizzano i setting di cura ad alta intensità.

E’ nato tra i medici d’urgenza un “moto spontaneo” per conoscersi e confrontarsi nel tentativo di capire cosa si sta realmente facendo, di valorizzare tutta questa attività e di averne riconoscimento. Questo lavoro è in continuità con quello già svolto dalla SIMEU fino ad adesso. La novità è la volontà di costituire un gruppo di subintensivisti disposti a confrontarsi e a misurare il lavoro svolto. Attualmente è in corso il censimento volontario delle strutture, seguiranno incontri tra coloro che avranno aderito e saranno programmate sessioni sull’argomento in alcuni congressi regionali della SIMEU.

Gli argomenti di discussione nei prossimi mesi saranno importanti: il carattere delle sub intensive (multidisciplinare o legata unicamente al pronto soccorso), l’organizzazione, gli standard, la formazione di infermieri e medici che vi lavorano, i rapporti con gli altri specialisti interessati alle subintensive.

Essere innovativi, scientificamente affidabili, professionalmente bravi e collaborativi è la strada maestra che permetterà ai medici d’urgenza di essere presenti ed attivi anche in questo nuova trasformazione della medicina in Italia e nel mondo.

L’indirizzo mail per aderire al progetto è: subintensiva@gmail.com

 

 

 

 

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