UOCCHIE C’ARRAGGIUNATE (occhi che ragionate) - Dott.ssa Claudia Sara Cimmino

UOCCHIE C’ARRAGGIUNATE (occhi che ragionate)
Dott.ssa Claudia Sara Cimmino _ specialista in medicina d’urgenza MCAU CTO di Napoli
 
Dottorè al triage c’è un’aggressione, ehm volevo dire un codice rosa”. Emanuela ha lo sguardo preoccupato, lo rivelano le pupille sgranate oltre il “muro” di plastica della visiera. È una giovanissima infermiera con l’amore per l’urgenza e una particolare passione per il “percorso rosa”.
Mi guarda cercando una sicura intesa, trovata puntuale dopo solo un istante. Sono certa che già è stata messa nella stanza rosa, adibita ora anche a deposito dei DPI. Finisco la richiesta degli esami del paziente con l’anemia e corro da lei. Mi concentro sul rispetto del tempo di attesa del codice giallo e penso che debba assolutamente visitarla entro quei famosi venti minuti che, nei congressi contro la violenza sulle donne, tendo sempre a sottolineare. Ma d’improvviso l’incertezza mi assale: “ed ora? Come farò ad ottenere un approccio empatico se sono tutta nascosta da tuta, mascherina visiera e guanti?”. Senza accorgermene parlo ad alta voce. Anche il fonendo è ricoperto da una pellicola, ma rimane uno strumento. Nella violenza di genere “lo strumento” è spesso la parola e l’espressione, la comunicazione.
Gabriella è di spalle e la scena mi riporta per la prima volta, da quando è scoppiata questa maledetta pandemia, a quella che era la mia vita quotidiana. Senza distinzione tra infetto o non infetto, sospetto o non sospetto, realtà che ora sembra così lontana… Anche la stanza rosa sembra accogliermi in maniera sommessa. Le locandine dei film scelti, da noi donne del pronto soccorso per arredarla, appaiono sbiadite messe in ombra dagli scatoloni di calzari e visiere.
Mi presento, la guardo negli occhi e mi sento così distante ora che lei non può vedere le mie espressioni, che dobbiamo mantenere il distanziamento, che anche il modo di visitare un paziente sembra essere cambiato.
Mi guarda e comincia lentamente e con titubanza a raccontarmi la sua storia.
È un attimo e mi rendo conto di non aver capito niente…
mio marito, ex marito perché ci stiamo separando, mi ha aggredito. Dice che non voglio fargli vedere la bambina.  Ma come faccio a stare tranquilla che non la porta in giro con il rischio di infettarsi?!
Già penso io, come fai?
La guardo. Negli occhi il terrore.
Il terrore di chi si è innamorata e poi ha scoperto la violenza, la mancanza di fiducia in sé stessa, il terrore di una madre che ha paura di una bestia ed un virus. Angoscia che anche la sua bambina diventi una vittima.
I pensieri si susseguono velocemente e mi rendo conto che quella che prima poteva essere definita “una situazione difficile” ora diventa “impossibile”.
Penso a quella bimba che di colpo si è trovata a non avere più una famiglia normale, a non poter uscire, a non capire il perché. E che in fondo il covid non è l’unico mostro con cui deve imparare a combattere già così piccola…
La visiera si appanna. Gabriella se ne accorge e continua a raccontarmi la sua storia con ulteriori dettagli, quasi come se ci fosse più confidenza tra di noi.
Il contatto è stabilito, oltrepassando oceani di TNT e lattice, di plastiche e diffidenze.
Nonostante la paura.
Al triage c’è Umberto, appassionato di musica e profumi. Oggi lui sceglie la playlist e, inconsapevolmente, lascia andare una vecchia canzone napoletana “uocchie c’arraggiunate” Gli occhi parlano. Gli occhi comunicano. L’empatia passa, da lì anche ai tempi del COVID.

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