LE BOE E LE CREPE - Dott. Giuseppe Ruocco

LE BOE E LE CREPE
Dott. Giuseppe Ruocco _ Internista Pronto Soccorso Rho (MI)
 
Quando si è a giocare sul bagnasciuga con le spalle al mare non si ha mai la reale percezione di quello che potrebbe accadere. 
E’ una visuale univoca, a tratti distorta, che ci da’ sicurezza per un verso ma dall’altro ci toglie la visione d'insieme. Cosi è facile essere travolti da un’ondata non vista, che non t‘aspettavi e per questo ti coglie impreparato. La spasmodica ricerca di certezze, misurando in maniera compulsiva i parametri vitali, è solo un puerile e goffo tentativo di scacciare gli eventi che invece arrivano puntuali come sgraditi ospiti di fine serata. L’ondata ti travolge una prima, una seconda, una terza volta  allontanandoti da quella riva che era la tua zona di sicurezza. Il primo pensiero è quello che non ti aspetti, quello che è stato li buono per un mese e che ora affiora prepotente. E non è “perché a me?!”ma un più insolito “ perché non a me?!” . 
Già, perché non a me?! Perché la mia storia dovrebbe essere diversa da uno dei tanti che son passati in questo posto?! Si ho una splendida famiglia, una moglie e dei figli fantastici. Ma è questo che fa realmente la differenza?! Perchè i miei affetti dovrebbero essere diversi da chi freneticamente cercava di comunicare con la moglie prima di essere intubato o da chi cercava il conforto di un figlio il giorno della festa del papà?! Allora no che non può essere una discriminante almeno non più di quanto lo possa essere vivere come un buon italiano medio.  Il  secondo pensiero è di colpa: dove ho sbagliato?! Cosa ho sottovalutato?!qual’è l’errore, la leggerezza, la sottovalutazione che mi ha portato ad abbassare la guardia?! La risposta è che come sempre questo lavoro non regala certezze e se lo si vuole continuare a fare bisogna accettare l‘errore. Come diceva un mio professore l’errore non bisogna  solo accettarlo ma bisogna  andare a cercarlo! Perchè se non gli lasciamo lo spazio che merita  l’errore finisce col travolgerci in maniera definitiva e senza pietà. Allora in un certo senso bisogna accettarlo, porgergli l’una e l’altra guancia e ringraziarlo perché ci ha fatto capire ancora una volta che siamo fortunatamente umani; e che facciamo la cosa giusta sbagliando.
Quello che succede dopo è una  lavatrice o meglio una centrifuga di emozioni. Ti sconvolge, stravolge, ti rivolta, strizza via il superfluo e rimani solo strappato dalla tua rassicurante quotidianità. 
Perché stavolta siamo dall’altra parte, impauriti, a essere il complemento oggetto di gesti e rituali che conosciamo bene, all’interno di frasi declinate per abbattere la tensione e la paura di ogni paziente.   Già…la paura. Deve essere stata il primo segno che chi  mi conosce avrà letto nel mio sguardo. La paura non è solo la spia di un cortocircuito ma è anche il sentimento che più di tutti lascia scoperti, sorpresi, improvvisamente vuoti. E non è banalisticamente il timore che qualcosa possa andare storto quanto piuttosto la consapevolezza che non hai (e forse non avrai)  la lucidità per essere estraneo a te stesso il giusto che basta per poterti curare. Chi custodirà il custode? Chi si farà carico di questa vicenda, la mia, e tenterà di ricondurla sui binari ordinari della gestione clinica?! Ed è qui che ho scoperto che in mezzo alla tempesta non ti salva solo il saper nuotare o avere l‘imbarcazione più robusta quanto piuttosto sapere riconoscere le boe, i punti fermi che possono darti riferimento e ristoro. Cosi vedere un gesto familiare, sentire una voce amica, incrociare uno sguardo che riconosci sotto una mascherina, dormire  su una barella scomoda ma di cui conosci ogni leva e bullone è l’inizio per riappropriarsi di quella straordinaria normalità che è il più atteso degli outcome. Ed è cosi che forse inizia la risalita. 
Sono stato fortunato inutile negarlo; E non solo perché ho ricevuto cure mediche adeguate ma perché prima di curare la mia infezione polmonare qualcuno si è preso cura di me.
Ricordo di aver letto in questi giorni di una antropologa che ha affermato che il primo gesto che ha diversificato l‘uomo dagli animali è stato la scoperta di un nostro antenato con frattura di femore adeguatamente calcificificatasi. Fosse stato lasciato a sé stesso sarebbe morto di fame, di stenti, o preda di animali selvatici. Invece qualcuno  l’aveva portato al sicuro, lo aveva nutrito, gli aveva dedicato il suo tempo affinché guarisse. 
E questo ancora  resta l’unica cosa che ci distingue: essere umani! Con tutte le paure, le tensioni, le emozioni, le menate inutili che ci riempiono l’ esistenza ma che ancora ci salvano. Proseguirò come tutti coloro che son sospesi in questo limbo in cui la vita sembra freezata e messa in pausa, a distanza di sicurezza dalla paura e con un cuore sdrucito e rattoppato da tutto questo peso a tratti insostenibile. E da ogni cicatrice riprenderò la mia normalità perché in fondo “c’ è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra luce”!  
Buona rinascita a tutti

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