BUONA PASQUA? SÌ, BUONA PASQUA - Dott. Fabio De Iaco

BUONA PASQUA? SÌ, BUONA PASQUA…
Dott. Fabio De IacoMedico d'Emergenza Urgenza, Direttore di Pronto Soccorso e Medicina d'Urgenza AO Martini, Torino
 
Pasqua di Resurrezione: è un bel po’ che manco dalle chiese ma questa sera non smetto di pensarci. La Pasqua della mia infanzia era fatta di lunghe funzioni serali, a cominciare dalla benedizione dell’acqua e del fuoco. E poi c’era, a pranzo, mentre mia madre sfornava la pasta al forno, la benedizione urbi et orbi da San Pietro, trasmessa in Eurovisione dalla RAI, che per qualche minuto paralizzava operazioni gastronomiche degne di un ristorante stellato.
Quest’anno l’unica veglia possibile è quella dei Colleghi in Pronto Soccorso e in Subintensiva, tra tamponi e CPAP. E anche domani, come ogni anno, giungerà la benedizione urbi et orbi, ma da una Piazza San Pietro pazzescamente deserta.
Quante volte l’abbiamo detto: è cambiato il mondo. Eppure la cupezza non mi prende. C’è quest’espressione che continua a insistere nella mia testa: Pasqua di Resurrezione. Resurrezione è luce che vince le tenebre, vita che sconfigge la morte: che siamo credenti, atei o indecisi la Pasqua è simbolo di rinascita, è speranza, è l’annuncio di un futuro luminoso.
Un ottimismo che non trova giustificazioni, dal mio punto di osservazione. Abbiamo vissuto giornate spaventose e ancora oggi siamo sotto scacco: la presenza spettrale del virus è ovunque, è un velo grigio steso su ogni nostra azione, che filtra ogni nostro sguardo sul futuro. Chissà se andremo al mare, chissà se l’estate arriverà davvero…
In realtà non è vero che manco dalle chiese da tanto, anzi: da settimane trascorro del tempo nella cappella del mio Ospedale, trasformata in degenza. Dalla subintensiva, dove ventiliamo in CPAP, i pazienti che vanno meglio si spostano qui: non sono proprio resuscitati ma poco ci manca. È il reparto più allegro dell’ospedale. Gente che (posso dirlo?) ha visto la morte in faccia, ha vissuto giornate interminabili con la testa sigillata in un casco, guadagnandosi a fatica ogni singolo respiro, adesso vive la realtà di una corsia d’ospedale d’altri tempi. Dodici letti disposti su due file, in un grande ambiente dal soffitto altissimo (quanta aria!). Condividono racconti, mangiano insieme allo stesso tavolo, giocano a carte. E quando qualcuno vince il biglietto d’uscita si scatena l’applauso.
Tutto questo dentro la cappella dell’ospedale: anche i luoghi raccontano le loro storie. Sulle pareti, tra immagini sacre ed ex voto, ci sono dodici bocchette per l’erogazione dell’ossigeno. Tommaso Morra, indimenticato primario di Rianimazione di questo Ospedale, antesignano della Medicina delle Catastrofi in Italia, aveva voluto che la cappella fosse attrezzata per essere il fulcro del piano della maxiemergenza. L’ha usata solo per le esercitazioni, ma adesso è servita.  Un mese fa abbiamo scoperto che l’impianto era danneggiato. In pochi giorni è stato rimesso a nuovo, è stato rifatto l’impianto elettrico, in sagrestia sono stati installati i bagni per i pazienti. Abbiamo levato i banchi e portato i letti, il Crocifisso è rimasto, così come l’altare e le immagini sacre alle pareti. E adesso la luce che entra dalle finestre colorate (dipinte dai senza tetto di questo ospedale, altra storia che meriterebbe di essere raccontata) illumina gli infermieri che passano tra i letti. Sarà banale, ma non credo che esista altra maniera per aprire le chiese in giorni di quarantena.
All’ingresso abbiamo appeso una foto di Tommaso Morra: questo ospedale glielo doveva, o magari è solo un’inutile romanticheria. All’entrata, superata la parete di cartongesso comparsa in un’ora, si legge il nome della cappella: Santa Maria della Speranza. Sarà un caso…
Lo dicevo prima: ho un punto di osservazione particolare. Tutti noi sanitari ce l’abbiamo. Non è passato nulla, ci siamo ancora dentro. Mi accorgo di non aver ancora smaltito i giorni e le notti trascorse. Come tutti, troverò il sistema.
Ma dall’angoscia di quei momenti passo a Santa Maria della Speranza, ai malati che ricominciano a respirare.
E di nuovo mi ripeto: non importa che si creda o no, possiamo darci mille spiegazioni differenti, ma tutto questo esiste. Esiste il buio ed esiste la luce. Un futuro c’è.
E allora, dirsi Buona Pasqua ha un significato?  Per me sì. Che ognuno scelga il suo, di significato. Che ognuno scelga la sua Pasqua personale.
Ma Buona Pasqua.
Davvero.
A tutti noi.

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