DI CORSA IN SOLITUDINE IN EMERGENZA - Dott.ssa Silvia Fiumana

DI CORSA IN SOLITUDINE IN EMERGENZA
Dott.ssa Silvia Fiumana _ Medico 118 Forlì
 
Come ogni volta mi vesto in arancione e inizia il mio turno. E’ sera. Scendo di corsa le scale al cambio. Prendo la radio, saluto il mio regolatore, un sorriso con gli equipaggi dietro le nostre mascherine e si parte. Di corsa al box. E’ tutto un po’ diverso ora, ai tempi del COVID. Checklist della MIKE, i farmaci ci sono, gli elettromedicali sono a posto e poi si controllano i kit: visiere, FFP2, mascherine chirurgiche, camici, cuffiette, tute, guanti, calzari, tutto pronto. Siamo pronti. Tempo di comprare la prima bottiglietta d’acqua e nella tua tasca suona la selettiva. Rosso avanzato. Le uniche informazioni che hai sono: rosso, respiratorio, 78 anni, cosciente, dolore toracico, febbre da alcuni giorni. Mentre leggi sei già di corsa, sfrecci con la MIKE in strade deserte, si è fatto buio, le sirene quasi non servono, non c’è nessuno per la strada. Arrivi e non sai bene cosa troverai una volta salite le scale. Ti vesti, doppio guanto, visiera, mascherina, il fonendoscopio che poi sarà da sanificare, ricontrolli, c’è tutto. Di corsa sali, il tuo infermiere è già su. Preservi il più possibile il tuo equipaggio e da medico, nel ruolo che hai, ti esponi in prima persona, lasci fuori l’autista, lasci fuori chi puoi perché in questo momento bisogna volersi bene, fare gioco di squadra e preservarsi a vicenda. I camici verdi svolazzano, il mio infermiere con me ha una taglia troppo piccola per lui. Ecco il paziente. Ti presenti, “Sono il medico, ora siamo qui, stia tranquillo, cosa è successo?”. Tachipnea, respiro addominale, peso toracico, diabetico. ABCDE. Applichi quello che sai, quello che fai sempre, ostacolato dai presidi, la visiera si appanna e il doppio guanto non ti aiuta. A pervie, B satura male, ventila, ma saturazione non regge, apri l’ossigeno, Venturi, 31%, sostieni B. Passi a C, ECG traccia monitor, fai un 12 derivazioni, lo valuti in 30 secondi, non segni di STEMI, minimo slivellamento in V5-V6, pressione a posto, battito regolare, frequenza accelerata. Procedi. Valuti D, rapidamente E, farmaci, anamnesi, comorbidità, febbre. Raccogli tutto, tesserino sanitario, farmaci, documentazione, guardi il tuo infermiere e sì, carichiamo. Si può partire. Poi in tutta questa corsa chirurgicamente organizzata, sincrona ed efficace ti fermi. Guardi gli occhi di quella moglie che impietrita osserva la nostra operatività attorno a suo marito. Silenziosa, occhi gonfi e mani tremanti ti chiede se può venire in ospedale, se può fare qualcosa, sapere qualcosa restando a casa. A quel punto al tuo ABCDE decidi che c’è una F da aggiungere nel tuo protocollo, oggi più che mai ai tempi di questa pandemia globale e di questa inesorabile solitudine umana di chi porti via e di chi lasci a casa. In quella F c’è la consolazione, il rincuoro, l’umanità, la comprensione, la rassicurazione, l’empatia. Lasci che saluti suo marito, rallenti, ti fai lasciare un numero di telefono, le stringi le mani e la rassicuri, consapevole che forse non lo riporterà più a casa e consapevole che quello potrebbe essere il loro ultimo saluto. Poi riparti, di corsa, carichi, morfina, CPAP, ossigeno ad alti flussi, la pressione tiene. Sala emergenza. Scrivi la scheda, lasci il tuo paziente e ti ricordi sulla porta di quella F nuova nel tuo protocollo, allora torni indietro. Rallenti. Lui sorride con la sua morfina in circolo, lo saluti e gli dici “Forza e coraggio”. Con le sue mani rugose e quella fastidiosa CPAP in volto ti guarda e alza il pollice verso l’alto, con un sorriso negli occhi. Sorridi anche tu dietro la tua mascherina, il cuore si riempie e di nuovo di corsa riparti. Procedi con la svestizione, qui ci vuole accortezza, precisione, non toccare nulla, guanto sporco, guanto pulito, visiera, occhio alla maschera, il tuo collega ti aiuta, prima il camice, poi il resto, spruzzini, odore di amukina e disinfettanti. Ed eccoti di nuovo pulita, pronta col la radio in tasca per un altro intervento ove forse ti vestirai di nuovo come da spedizione sulla Luna. Quello che porto con me da un’esperienza così intensa come quella di lavorare oggi in 118 è tanto. In primo piano il gruppo, lo spirito di collaborazione, la solidarietà tra noi, l’aiutarsi e il proteggersi a vicenda ancora più di quello che mai avessi respirato fino ad ora in questa grande famiglia, poi c’è tutto il resto con cui fare i conti, la paura per te stesa che scotomizzi ogni volta che indossi quella divisa, il timore di portare qualcosa a casa per cui continui a proteggere le persone a cui vuoi più bene tenendole lontane da te, la paura che vedi ogni volta negli occhi di chi fa questo lavoro da più tempo di te, l’angoscia di chi porti via e di chi resta a casa. Tutto ciò ruota attorno ad un fulcro centrale che slatentizza in maniera evidente  e potente la fragilità estrema dell’uomo nella solitudine del suo essere umano. Il turno finisce. Fiera di fare parte di tutto questo, mi ricorderò ancora una volta in più quanto il rincuoro dell’animo sia fondamentale nei giorni di oggi per far sì che il senso di vuoto e impotenza non uccidano la speranza. Forte della forza del mio gruppo torno al lavoro con un sorriso in volto pronta per il prossimo turno. Forza e coraggio.

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