“HANNO UCCISO L’UOMO RAGNO” … E LA MEDICINA D’URGENZA - Dott.ssa Emanuela Cataudella

“HANNO UCCISO L’UOMO RAGNO” … E LA MEDICINA D’URGENZA
Dott.ssa Emanuela Cataudella _ Medico presso il PS Medicina d'Urgenza dell'Ospedale San Carlo Borromeo di Milano
 
A nome dei colleghi del Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza dell’Ospedale San Carlo Borromeo Milano ASST Santi Paolo Carlo
Quante volte siamo rimasti incantati davanti allo schermo nel vedere un film di fantascienza; quello sfarfallio interiore che ti pervade durante ogni scena d’azione. Non puoi fare a meno che tifare per quei supereroi, ne conosci l’identità fin dalla prima scena ma ti piace pensare che dietro a quella maschera e a quel mantello c’è un’identità ignota e inarrivabile, lotti con loro contro il nemico, ti innamori con loro, temi per la loro incolumità anche se sai che la scena finale sarà sempre un inno al bene che trionfa sul male. Il mondo è salvo e noi torniamo alla vita di tutti i giorni con una strana e irrequieta tranquillità. Davvero il mondo è salvo?
Sono passati più di due mesi dalla scena iniziale di un film che mai avremmo voluto interpretare. Il nemico invisibile e silenzioso si è fatto strada nella mente e nel corpo di ognuno di noi. E sopraffatti dalla paura abbiamo cercato disperatamente i nostri supereroi.
È arrivato il momento di abbassare la mascher(ina) e presentarci per quello che siamo e che vogliamo essere. Professionisti; non supereroi. Esseri umani; non supereroi.
Quando ci è stato comunicato che ci saremmo dovuti preparare ad una maxi-emergenza sanitaria noi eravamo pronti. Non per il coronavirus, quel nemico non lo conoscevamo anche se ne percepivamo la gravità. Sapevamo che il nostro lavoro sarebbe stato ancora più intenso del solito, dovevamo curare ma anche studiare e conoscere. Ma noi eravamo pronti. Chi lavora in pronto soccorso-medicina d’urgenza è pronto, ha studiato per questo. Ci siamo concentrati totalmente sui pazienti, sulla gestione clinica ed emotiva dei malati e delle loro famiglie. Ci siamo dimenticati delle nostre di famiglie. Abbiamo dovuto apportare continui cambiamenti, dei locali, delle nostre abitudini, del modo di approcciare al malato. Abbiamo curato il corpo e l’anima di persone private degli affetti e impauriti. E quella paura che si diffondeva anche nella nostra di anima l’abbiamo riposta in un cantuccio; per noi non c’era tempo né per la paura né per il dolore.
Ma ci siamo talmente concentrati sul nostro lavoro che per mesi abbiamo eliminato inconsciamente dalla nostra percezione il fatto che si parlava di noi come degli eroi; supereroi osannati.
Ma noi non abbiamo nessun mantello, non abbiamo nessun superpotere e non vogliamo averlo.
Ciò che abbiamo sempre dato, prima e durante la pandemia, e che sempre daremo si chiama professionalità, si chiama studio, sia chiama passione. In quella trincea noi ci siamo sempre vissuti. I nostri pronto soccorso sono stati sempre la nostra Gotham City.
Le istituzioni ci hanno applaudito; ma dov’erano le istituzioni quando, in questi anni, abbiamo chiesto aiuto, quando provavamo a risolvere da soli seri problemi quali il sovraffollamento; dov’erano quando affrontavamo il disagio di spazi troppo piccoli, di mancanza di supporti tecnologici adeguati, mancanza di posti letto, di percorsi per il malato inesistenti, di carenza costante di personale che ci ha sempre costretti a turni disumani.
Dov’è tutte le volte che sorreggiamo un sistema che rischia ogni giorno di implodere, dovendo sopperire costantemente alla carenza del supporto territoriale.
Si è lasciato credere, negli anni, in un silenzio omertoso, che a farla da padrona era sempre e solo la malasanità.
Ci hanno vestiti a festa per l’occasione, con maschera e mantello. Ci hanno marchiato con la S di supereroe per far credere che la nostra sia una missione e non una professione, per far credere che possiamo volare tra i tetti e distruggere la Kryptonite spavaldi e incuranti dei pericoli. Bugie!
Oggi, più che mai, è arrivato il momento di trovare delle soluzioni serie e reali per i nostri pronto soccorso e per le nostre medicine d’urgenza. Quegli applausi hanno incoraggiato la nostra passione ma non bastano, non servono.
Oggi, più che mai, chiediamo a gran voce alle istituzioni di ascoltare i nostri progetti, di trasformare questa tragedia in una rivoluzione sanitaria. Ne abbiamo bisogno noi e i nostri pazienti.
Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di rispetto per un lavoro che amiamo ma che non può continuare a farci del male. Un lavoro che in questi mesi di pandemia ci ha lasciato profonde ferite ma soprattutto ci ha lasciato quell’amara consapevolezza che nulla cambierà.
Ma il nostro grido d’aiuto, unito a quello della popolazione che non merita supereroi ma professionisti messi nelle condizioni più adatte per compiere al meglio il loro lavoro, va ascoltato.
Lasciamo che l’uomo ragno sconfigga da solo Kraven come si addice ad un vero supereroe.
Noi, invece, da semplici esseri umani proviamo a salvare insieme il nostro sistema sanitario.

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