VORREI ESSERE OMERO O MAGARI LUCIO DALLA… MA ANCHE DIODATO - Dott. Gaetano Diricatti

VORREI ESSERE OMERO O MAGARI LUCIO DALLA… MA ANCHE DIODATO
Dott. Gaetano Diricatti _ Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso - Pisa
 
Vorrei saper scrivere come quei grandi letterati che han saputo raccontare la magia, l’emozione e la reazione di due innamorati che si incontrano: “Penelope, agitata nel cuore, incerta se interrogare il marito o se andargli vicino, baciare il suo capo e prendere le sue mani… resta a lungo seduta, l’animo pieno di immoto stupore...”.
Anche certi cantautori hanno saputo descrivere quei momenti, fatti spesso di silenzi (“...mentre ballano si guardano e si scambiano la pelle... e cominciano a volare”) oppure di rumore, come canta un mio concittadino (“… che fai rumore qui. E non lo so se mi fa bene. Se il tuo rumore mi conviene”).
Ebbene sì, vorrei essere bravo come loro per descrivere un incontro tra moglie e marito, sposati da sessant’anni. Due persone normali che conducevano fino a pochi mesi fa una vita normale (come sa di bellezza e di felicità questa parola, in questo periodo di incertezze). Poi hanno dovuto entrambi intraprendere un viaggio, per motivi di salute: si sono sottoposti ad un “banale” intervento chirurgico, lei ad un intervento di protesi d’anca, lui ad un intervento sulla prostata. Fin qui niente di particolare se non fosse che entrambi sono andati incontro a quelle complicanze rare che comportano tutti gli interventi “banali” (sapete quando noi medici vi diciamo “Beh sì, potrebbe succedere ma in un caso su 10000...).
Così è iniziata per entrambi un’odissea, che li ha tenuti distanti per oltre tre mesi. Già, non posso certo usare il termine decorso perché quello di odissea rende meglio: in fondo, è meno penoso rimanere lontano dalla tua casa e dai tuoi affetti, passando da un ospedale all’altro, imbattendoti nei “mostri marini” che talvolta un’anestesia è in grado di scatenare nella tua psiche? È meno angosciante andare incontro all’ennesima notte in reparto, nel semibuio di una stanza, il suo dei monitor e lamenti del tuo vicino di letto che allontanano il silenzio… fino a sentire il “canto ammaliante di sirene” 8la morfina ti toglie il dolore ma ti può anche dare allucinazioni)?
Nel frattempo, per Carlo e Francesca (sono i loro nomi) il loro figlio rappresentava l’unico contatto, la staffetta che portava notizie, l’uno dell’altra, a volte confortanti, a volte deludenti.
Ad un certo punto i loro destini si sono rincrociati e si sono ritrovati ricoverati entrambi in medicina d’urgenza.
Sarebbe facile immaginare un lieto fine: ospitati nella stessa camera, finalmente di nuovo insieme!
Lei, però, ha uno shock settico, ha bisogno di una Terapia Subintensiva, di amine per tenere su la pressione e di monitor per sorvegliare i suoi parametri vitali. Lui, invece, può stare in un letto ordinario ma deve stare in isolamento perché, passando da un ospedale all’altro, ha preso il “batterio killer” la KPC- NDM.
Insomma, la sfortuna ha un talento eccezionale nel complicare le storie e si è rivelato anche beffardo quando, ad un certo punto, è sembrato inevitabile che lui rientrasse in RSA senza nemmeno riuscire a vedere la sua Francesca.
E’ stato in quel momento che ho avvertito in  tutti noi, medici, infermieri, OSS, specializzandi, il desiderio, il bisogno di intervenire: esattamente come quando, davanti alla crisi respiratoria, allo shock di un paziente, ci confrontiamo per trovare la soluzione ad un problema “clinico” , sono fiorite una serie di soluzioni al problema “”umano” (davvero sono così distinti i due problemi?) per permettere a Carlo e Francesca di rivedersi, sia pure per pochi minuti.
Francesca ha un’ulcera proprio sull’osso sacro (colpa di tante settimane di letto) che le impedisce di stare seduta però non ha più bisogno della noradrenalina per tenere su la pressione: l’ossicodone (due volte più potente della morfina) l’aiuterà ad alzarsi e a sedersi sulla poltroncina!
Inizia, così, il nuovo viaggio di Francesca, più breve ma più importante di tutti quelli che ha subito in queste settimane: solo dieci metri ormai la separano da Carlo.
A questo punto il racconto diventa facile: chi non riesce ad immaginare cosa succede quando finalmente, improvvisamente, inaspettatamente, gli occhi di Carlo e Francesca si incrociano? “…agitata nel cuore, incerta se interrogare il marito o se andargli vicino, baciare il suo capo e prendere le sue mani… resta a lungo seduta, l’animo pieno di immoto stupore...”.
Carlo è napoletano (era un giudice di pace, mi ha raccontato quando è arrivato in reparto) e con quello stile da gentiluomo che contraddistingue certi napoletani (altro che inferiori, i meridionali!) inizia a dire a Francesca quanto è ancora bella e quanto gli è mancata. Lei quasi si schernisce ma lo ricambia facendogli notare che sta bene con la barba.
Laura, la collega medico si scusa e si allontana dalla stanza; molti di noi sorridiamo ma non riusciamo a dire niente: abbiamo forse paura di ammettere che il nostro lavoro riesce a darci anche queste emozioni?
Dopo un po’ Francesca è stanca ma felice e chiede di ritornare a letto. Nel pomeriggio un’ambulanza riporta Carlo in RSA: speriamo sia l’’ultimo viaggio prima di rientrare definitivamente a casa.
Il giorno dopo, con mia grande meraviglia, trovo Francesca seduta sul letto, sorridente; lei, che fino al giorno prima non riusciva a stare seduta e non aveva appetito, oggi sembra quasi divorare la dieta blanda a lei assegnata. Mi ringrazia per averle permesso di rivedere il suo Carlo e di averle riacceso la speranza di poter ritornare a casa da lui…
…”Anna avrebbe voluto morie
Marco voleva andarsene lontano
Qualcuno li ha visti tornare
Tenendosi per mano”
#noiareanocovid

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