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Relazione

Traumatologia minore: medicina dell’evidenza nella cura delle ferite

Giulio Floris
Dirigente Medico S. C. Pronto Soccorso - Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Azienda Ospedaliera Brotzu, Cagliari.


Tra le patologie che più frequentemente si riscontrano nella attività di pronto soccorso sicuramente le ferite “superficiali” occupano un posto importante. Tali lesioni ricorrono in tutte le fasce d’età, isolate – in rapporto a traumi minori – o associate a traumi maggiori, o ancora associate a patologie mediche che determinano l’evento traumatico – come ad esempio una sincope che determina una caduta al suolo-.
Gli unici dati epidemiologici reperibili in letteratura indicano che nel 1996 negli USA sono state trattate 11 milioni di ferite traumatiche: la maggior parte di queste riguardava giovani adulti ed erano localizzate a livello di capo e collo (50%) e delle estremità (35%).[1][2][3]

L’obiettivo finale del trattamento delle ferite è di ottenere la chiusura funzionale con una cicatrice minima, il che si ottiene prevenendo l’infezione della ferita stessa.[1][2]
In uno studio del 1992 è stato dimostrato che non sempre il medico d’urgenza mette in atto le strategie migliori per ottenere questi risultati. [Howell J.M.,Ann Emerg Med 1992;21 :976-981 cit. in[1]] .

La valutazione delle ferite nel contesto di un politrauma, o comunque di un paziente critico deve essere eseguita nel corso dell’esame secondario: la cura iniziale deve sempre essere tesa alla stabilizzazione del paziente. Elemento cardine del trattamento della ferita è la raccolta anamnestica: l’obiettivo è di raccogliere informazioni sul rischio di complicanza della ferita – in definitiva il rischio di infezione – in modo da adeguare il trattamento stesso, medico e chirurgico.
Deve essere indagato il meccanismo d’azione lesivo, valutando la possibilità di ritenzione di corpi estranei o di infezioni, e il contesto in cui si determina (autolesionismo, aggressione da terzi, incidente sul lavoro, incidente domestico…).
Le ferite lacero contuse, in rapporto alla presenza di tessuti devitalizzati, hanno un maggiore rischio di infezione rispetto alle ferite da taglio. Così pure, in maniera abbastanza evidente le ferite visibilmente contaminate ab initio hanno maggiore rischio di infezione.[1] Le ferite da morso, animale o umano, comprese le cosiddette “lesioni da pugno stretto”, cioè le lesioni della regione metacarpo-falangea che si producono quando il pugno colpisce i denti dell’avversario, sono adalto rischio di infezione, sia a causa della elevata contaminazione da parte dei batteri presenti nel cavo orale che a causa del meccanismo lesivo lacero-contusivo con importante sofferenza dei tessuti. Il meccanismo lacero contusivo e la sofferenza tissutale è più evidente nel morso animale e nelle lesioni “a pugno stretto”, chenel morso umano occlusionale.[4]
Il tempo intercorso dalla lesione alla osservazione medica (età della ferita) è direttamente correlato con il rischio di infezione della ferita.
La maggiore età della ferita non preclude in assoluto la chiusura per prima intenzione, ma questa deve essere valutata anche sulla base degli altri fattori che incidono sul rischio di infezione (meccanismo lesivo, anamnesi patologica remota). Gli studi che valutano il tempo trascorso dal ferimento giungono a risultati ampiamente variabili, ma si può ritenere che una lesione delle estremità, senza altri fattori di rischio, possa essere chiusa per prima intenzione entro le 6 ÷ 10 ore dal ferimento; una ferita del viso o del cuoio capelluto può essere chiusa anche dopo 12 ore.[1][5] La scelta più appropriata sembra comunque essere quella di considerare ogni lesione come a sé stante, prima di decidere se suturare per prima intenzione, valutando il tempo trascorso dal ferimento, la sede della ferita, la sua contaminazione, il rischio di infezione, e il valore estetico della eventuale cicatrice residua,.[2][3] Le ferite che non possono essere chiuse per prima possono essere suturate dopo un periodo di 24-48 ore (chiusura primaria dilazionata) oppure lasciate guarire per seconda intenzione.[1][3] [6]
Alcuni fattori di rischio per la infezione delle ferite sono legati a condizioni patologiche preesistenti e all’età del paziente: età avanzata, diabete mellito, insufficienza renale cronica, malnutrizione, obesità, stato di immunodeficienza da qualsiasi causa, sono stati correlati con un maggiore rischio di infezione delle ferite traumatiche.[1][3]

Tabella 1: Fattori anamnestici che aumentano il rischio di infezione delle ferite [1]

Obbligatoria è la valutazione dello stato immunitariocontro il tetano.Nel 1995 sono stati registrati in Italia 136 casi di tetano, con un aumento del 32,3% rispetto all’anno precedente. Dei casi registrati dal 1991 al 1995 il 71,7% dei casi ha riguardato individui di sesso femminile, e il 70% dei casi aveva una età superiore ai 65 anni, nessun caso in età infantile o adolescenziale.
Nel 97% dei casi si trattava di individui che non erano mai stati vaccinati contro il tetano, mentre il restante 3% dei casi avevano ricevuto una vaccinazione incompleta o l’ultimo richiamo datava oltre i dieci anni.
Nella quasi totalità dei casi registrati dal Ministero della Salute Italiano il tetano era complicanza di una ferita traumatica minore per cui non era stata richiesta una visita medica.[7]La immunoprofilassi antitetanica, secondo lo schema approvato dal Ministero della Salute Italiano, rappresenta “…buona pratica clinica da osservarsi nel trattamento dei traumatizzati anche in occasione degli interventi di Pronto Soccorso…”[7]

Tabella 2: schema di profilassi antitetanica in caso di ferite [7]

L’esame obiettivo di una ferita verte sulla valutazione dei caratteri propri della ferita stessa (sede, lunghezza, profondità, coinvolgimento di strutture profonde [muscoli, ossa, tendini], valutazione del trofismo dei tessuti lesi, ricerca di corpi estranei) e sulla valutazione di un eventuale danno vascolare o neurologico associato.
La determinazione della sede insieme con la determinazione del meccanismo lesivo sono ilpunto di partenza per le ulteriori valutazioni obiettive: una lesione in corrispondenza di una articolazione deve indurre a cercare una lesione articolare (attraverso la esplorazione diretta della ferita o attraverso tecniche di imaging diagnostico rx); una lesione del palmo della mano deve indurre a cercare lesioni tendinee o neurovascolari; una ferita della pianta del piede deve indurre a ricercare un corpo estraneo.
La valutazione diretta di una ferita deve essere preceduta da una accurata anestesia: la stessa esplorazione e non solo la chiusura della ferita può essere intensamente dolorosa.
La tecnica di anestesia più semplice è la anestesia locale per infiltrazione, utilizzando lidocaina 2% o mepivacaina 2% ; può essere usata una miscela contenente adrenalina 1:200.000: ne deriva una maggiore durata della anestesia – secondaria alla vasocostrizione indotta dalla adrenalina con un ridotto wash out del farmaco -. L’uso delle miscele con adrenalina è però controindicato in presenza di vascolarizzazione terminale, come per esempio all’apice delle dita, sul pene, sulla piramide nasale, per l’evidente rischio di una prolungata ischemia; un anestesia prolungata può essere ottenuta utilizzando farmaci a più lenta ma prolungata azione, come la bupivacaina 0,5%. Il dolore legato alla infiltrazione locale può essere attenuato con il riscaldamento della soluzione anestetica, il suo tamponamento con bicarbonato di sodio, con la iniezione lenta e con l’utilizzo di aghi sottili.
La tecnica di infiltrazione con anestetico locale (con lidocaina, o bupivacaina o mepivacaina) può risultare dolorosa e pertanto difficile nei paziente pediatrici. In questi pazienti può essere effettuata una anestesia locale topica. Questa procedura è ampiamente descritta nella letteratura anglosassone e consiste nella somministrazione di una miscela di lidocaina, adrenalina e tetracaina, preparata estemporaneamente (non è disponibile commercialmente).

Tabella 3: Farmacocinetica e dose massima degli anestetici locali. Mod. da [8]

La miscela anestetica viene posta sulla ferita circa 20 minuti prima di qualsiasi procedura, utilizzando un tampone imbevuto se si utilizza la forma liquida. Siottiene così una competa abolizione della sensibilità dolorifica. La presenza di adrenalina nell’anestetico topico comporta le stesse limitazioni d’uso in rapporto alla sede della ferita che si hanno per la infiltrazione con miscele contenenti adrenalina.
Un prodotto in commercio (EMLA®), il cui utilizzo è indicato esclusivamente su cute integra, è stato comunque utilizzato con risultati soddisfacenti su ferite anche se dopo un tempo di attesa di 90 minuti circa [9]

Tabella 4: Anestesia topica.Mod. [9]


Tabella 5: istruzioni e dosaggi per la preparazione del LET. [http://www.fpnotebook.com]


Completata l’anestesia si può procedere con una accurata esplorazione della ferita: si deve valutare la presenza di contaminanti, di corpi estranei e la presenza di tessuti devitalizzati; la sottovalutazione di uno di questi elementi aumenta il rischio di infezione della ferita.
Se una accurata esplorazione non dimostra la presenza di corpi estranei, ma la dinamica del ferimento induce a ritenere elevata la probabilità della loro presenza, occorre utilizzare anche metodiche di diagnostica per immagini. Di queste la tecnica più semplice è la radiologia tradizionale, che è in grado di dimostrare la presenza di vetro, ceramica, denti, frammenti di osso, ghiaia, alcuni tipi di plastiche; non sono dimostrabili il legno e le spine vegetali e alcuni tipi di plastiche. È comunque sempre necessario eseguire radiogrammi in due proiezioni.[1][3][5]
La radiologia tradizionale è in grado di dimostrare la presenza di frammenti di vetro di circa 2 mm nel 99% dei casi, un frammento di 0,5 mm può essere visto nel 61% dei casi.[1]
L’ecografia può essere d’ausilio nella localizzazione di corpi estranei radiotrasparenti: l’ecografia ad alta risoluzione ha una sensibilità del 95-98% e una specificità del 89-98% nel rilevare corpi estranei di dimensioni superiori a 1x2 mm.[1]
Azienda Ospedaliera "G. Brotzu" - S. C. di Pronto Soccorso: Direttore Dott. Vittorio Schintu
P.le A. Ricchi 1, 09134 Cagliari - Tel. 070 53 95 94 Fax 070 53 94 88