IL BLOG DI SIMEU

 

Archive for the ‘Medicina’ Category

Angioedema: Consensus conference italiana

mercoledì, aprile 16th, 2014

di Bartolomeo Lorenzati, medico d’urgenza Aso S.Croce e Carle di Cuneo

@BatoLorenzati

L’angioedema è una causa frequente di accesso in ED e si presenta come edema della cute e delle mucose, localizzato al volto, al cavo orale, alla lingua, alle labbra o alla laringe creando un ostruzione delle vie aeree potenzialmente fatale, o localizzato alla parete addominale inducendo a volte ad interventi laparoscopici non necessari.

L’edema interessa il derma, il sottocute e i tessuti sottomucosi. Il meccanismo fisiopatologico alla base è un aumento della permeabilità vascolare ed una vasodilatazione a livello della cute e degli strati sottomucosi che conducono ad uno stravaso di plasma.

Le forme più comuni sono mediate dall’istamina o dalla bradichinina. Le prime, responsive agli anti-istaminici, steroidi ed adrenalina, sono causate dalla degranulazione mastocitaria in primis successiva a reazioni allergiche. Le seconde, responsive ai nuovi farmaci anti-bradichinita tipo la callicreina, l’icatibant etc sono le forme ereditarie o acquisite di deficit della proteina C1-esterasi o forme associate all’assunzione di ACE-inibitori.

Recentemente sulla rivista Internal and Emergency Medicine è stato pubblicato un Consensus Statement (link) sviluppato da un panel multidisciplinare di cui fanno parte anche i soci SIMEU prof. Giuliano Bertazzoni, membro del Centro Studi SIMEU, dott. Maurizio Chiesa e dott. Paolo Cremonesi.

Il documento è stato frutto di una rigorosa revisione della letteratura scientifica, che ha posto maggior attenzione ai lavori pubblicati dopo il 2008, data di entrata in commercio dei nuovi farmaci per il trattamento specifico anti-bradichinina.

Dalla Consensus è risultato:

  • l’importanza di una pronta diagnosi e di un rapido trattamento con farmaci specifici, per evitare la progressione della sintomatologia. Si pone l’accento sulla gravità e la potenziale evolutività dell’angioedema “behind the teeth”.
  • in base all’esperienza clinica degli esperti i pazienti devono essere classificati come codice rosso (life-threatening condition) in presenza di angioedema del volto, della cavità orale e del collo o quando il paziente lamenta sensazione di gonfiore nella gola associato a disfonia, cornage, distress respiratorio (> 30 atti/min) o desaturazione (<90%); come codici gialli (not life-threating condition, ma che necessitano di un osservazione) in presenza di edema al volto, alla cavità orale, alle alte vie aeree, di dolori addominali, di disfagia, di sensazione di gonfiore alla gola, ma in assenza di segni e sintomi oggettivi; come codice verde (minor severity) in presenza di edema cutaneo non localizzato al volto (estremità, area genitale etc).
  • gli episodi associati al rilascio dell’istamina sono solitamente scatenati da un trigger individuabile (puntura d’insetto, cibo o farmaci) e l’insorgenza dell’edema è repentina, spesso associata ad orticaria e prurito.
  • gli episodi associati alla bradichinina non sono solitamente associati ad orticaria e a volte sono correlati a forme famigliari ed ereditarie, anche se circa il 25% degli episodi non sono presenti in cluster famigliari.
  • ai farmaci classicamente utilizzati per gli attacchi acuti (steroidi, anti-istaminici ed adrenalina), negli ultimi anni, si sono aggiunti farmaci specifici per le forme causate da deficit di C1-inibitore:
  1. C1 inibitori di derivazione plasmatica: Bertinet (20Ui/Kg ev, Cinryze 1000U ev più ulteriori 1000U ev in caso di assenza di risposta dopo 60’)
  2. C1 inibitore ricombinante: Ruconest (50Ui/Kg ev)
  3. Icatiban: Firazyr (30 mg/3 mL sc, più 30 mg sc ogni 6 ore per un massimo di 90 mg nelle 24h)
  4. Ecallantide: (30 mg sc)

 

  • qualora tali farmaci non siano disponibili, si può utilizzare il plasma fresco congelato in off-label (2 unità per pazienti < 90 Kg; 3 unità per pazienti >90Kg)
  • i pazienti devono rimanere in osservazione clinica sino alla completa risoluzione della sintomatologia se classificati come codice rosso in triage, per almeno 6 ore per i codici gialli e i codici verdi possono essere dimessi non appena i sintomi migliorano.
  • al momento della dimissione anti-istaminici e corticosteroidi devono essere proseguiti per alcuni giorni.

Gli attacchi di angioedema possono essere fatali e costituiscono una sfida per il personale d’emergenza. La comprensione fisiopatologica, una maggiore consapevolezza della sua esistenza e la conoscenza dell’armamentario terapeutico specifico a nostra disposizione sono cruciali per il trattamento tempestivo ed appropriato.

Consiglio pertanto di leggere la sopracitata Consensus che risulta essere molto esaustiva ed estremamente utile per il nostro lavoro quotidiano.

Frattura emodinamicamente instabile di bacino: ecco le linee guida anche a firma Simeu

venerdì, marzo 28th, 2014

di Paolo Balzaretti, redazione blog Simeu

@P_Balzaretti


Il problema della frattura pelvica emodinamicamente instabile è uno dei più rilevanti nell’emergenza-urgenza sia dal punto di vista clinico, per la necessità di agire tempestivamente per fermare il sanguinamento, sia dal punto di vista organizzativo, in quanto la sua gestione richiede la collaborazione di diversi specialisti, dal medico d’urgenza al radiologo, dal chirurgo generale all’ortopedico.

Nel corso del tempo non è mai stato raggiunto un consenso definitivo, quantomeno in Italia, su quale possa essere la migliore strategia di trattamento. Per questo, su iniziativa di un gruppo di chirurghi generali dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, è stata indetta una Consensus Conference per giungere alla redazione di linee guida condivise sulla materia, che sono state infine pubblicate pochi giorni fa’ sul World Journal of Emergency Surgery (link). Sono state coinvolte le principali Società Scientifiche italiane interessate, tra cui la SIC (Società Italiana di Chirurgia), la SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva), la SIRM (Società Italiana di Radiologia Medica) e SIMEU, rappresentata dal dott. Andrea Fabbri, primario del Pronto Soccorso – Medicina d’Urgenza – 118 dell’Ospedale Morgagni – Pierantoni di Forlì e Coordinatore del Centro Studi della Società.

Il documento è frutto di un processo rigoroso: innanzitutto l’acquisizione delle evidenze, commissionato dal Comitato Organizzatore a due documentaristi, volto a rispondere a tre chiari quesiti: quali pazienti emodinamicamente instabili necessitano di una stabilizzazione pelvica pre-peritoneale? Quali pazienti emodinamicamente instabili necessitano di fissazione esterna? Quali pazienti emodinamicamente instabili necessitano di angiografia urgente? A partire dalle evidenze di letteratura sono state formulate una serie di raccomandazioni, con indicazione per ognuna della relativa forza e del grado di evidenza sottostante, secondo l’approccio del CeVEAS di Modena. Le raccomandazioni sono state integrate da un algoritmo che sintetizza, in maniera chiara, i passi che si debbono affrontare per gestire il paziente al meglio, in accordo con le evidenze attuali.

Vi consigliamo dunque di leggere questo importante documento per poter interagire al meglio con gli altri specialisti coinvolti nel trattamento di questi pazienti particolarmente complessi.

L’affidabilità delle linee guida: un’intervista al dottor Primiano Iannone

mercoledì, marzo 19th, 2014

di Paolo Balzaretti, redazione blog Simeu

@P_Balzaretti


Le linee guida rappresentano da sempre una tipologia di lavoro scientifico molto discussa. Tra i limiti che da sempre ne hanno ostacolato la diffusione ci sono le difficoltà di adottare indicazioni diagnostico-terapeutiche create in altri contesti geografici e culturali, l’eccessiva rigidità e complessità di alcuni documenti e i dubbi riguardo all’affidabilità del processo che conduce alla loro pubblicazione.

A proposito di quest’ultimo punto, il dott. Iannone, primario della Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso dell’Ospedale di Chiavari, ha recentemente pubblicato su JAMA Internal Medicine un’interessante analisi del grado di evidenze che sta alla base delle linee guida pubblicate da importanti società scientifiche internazionali. Abbiamo colto l’occasione per intervistarlo e approfondire ulteriormente questi temi.

Dott. Iannone, potrebbe sintetizzarci gli obiettivi e risultati del vostro lavoro?

L’obiettivo principale è stato – attraverso un case study – valutare i limiti degli attuali strumenti e metodi utilizzati per giudicare l’affidabilità delle raccomandazioni presentate dalle linee guida. Finora, l’aderenza a griglie valutative predefinite come l’AGREE e la concordanza delle raccomandazioni fra linee guida sullo stesso argomento emanate da fonti diverse erano ritenute sufficienti per ritenerle credibili. Noi abbiamo dimostrato il contrario, poiché ben tre linee guida nominalmente “evidence based” di rinomate società scientifiche fornivano raccomandazioni erronee sull’uso del dronedarone, se misurate col metro del sistema GRADE, il più sofisticato, rigoroso ed esplicito sistema di produzione di raccomandazioni, messo a punto, tra gli altri, dal mio grande e compianto maestro Alessandro Liberati. Ciò invita i lettori ad una maggiore cautela nell’interpretare le raccomandazioni delle linee guida soprattutto in presenza di conflitto d’interessi dichiarato o sospetto e evidenti difetti metodologici, e stimola le società scientifiche a produrre linee guida di maggiore qualità. Questo non vuol dire che le linee guida, soprattutto quelle prodotte da organismi governativi come NICE, SIGN o l’OMS, in assenza di conflitto d’interessi, con solide basi metodologiche, e con la partecipazione di tutti gli stakeholders – non solo degli specialisti, quindi- non debbano essere prese in seria considerazione. Purtroppo, invece, le linee guida delle società scientifiche erano poco affidabili vent’anni fa e lo rimangono spesso tuttora.

Parte del vostro lavoro di analisi si è concentrato sui potenziali conflitti di interesse degli estensori dei documenti, derivanti dai loro legami con le industrie farmaceutiche. Secondo Lei questi rapporti possono influenzare significativamente il processo di preparazione delle linee guida?

Il conflitto d’interessi non basta dichiararlo: bisogna gestirlo e neutralizzarlo e, come dice Lisa Bero, esiste un limite oltre il quale è inaccettabile.

Un’ampia gamma di evidenze suggerisce che il conflitto d’interessi sia in grado di influenzare significativamente l’affidabilità delle linee guida. Nel case study che abbiamo analizzato, quello del dronedarone, vi era una presenza pervasiva di esperti con forti legami con la casa produttrice del farmaco. Addirittura le Linee Guida europee, le più sbilanciate a favore del dronedarone, avevano nel panel il prinicipal investigator di uno dei maggiori trials – sponsorizzati- su quel farmaco. Si badi bene che il conflitto d’interessi non è solo di natura economica. Può essere anche di natura intellettuale, come nel caso succitato, e del tutto in buona fede. L’importante è riconoscerlo, ammetterlo e controllarlo. C’è anche chi sostiene che le linee guida debbano essere fatte da persone prive del tutto di conflitto d’interessi. Soprattutto se le evidenze sono oggettive, come quelle scaturite dai trials, non c’è alcun bisogno di esperti “conflicted” per decidere se una determinata raccomandazione possa essere sostenuta o no ma buon senso clinico, onestà scientifica e, magari, maggiore attenzione ai genuini interessi dei pazienti e della società nel suo complesso.

C’è una crescente consapevolezza del fatto che in letteratura c’è una maggiore disponibilità di informazioni riguardanti l’efficacia dei nuovi farmaci piuttosto che la loro sicurezza: è d’accordo? Ciò può influire sulle raccomandazioni pubblicate?

Certamente. Si è spesso propensi a dimenticare che i trials possono – se ben condotti – dare informazioni affidabili sulla efficacia dei trattamenti. Gli effetti collaterali, invece, soprattutto se rari e inattesi, sono molto meno rilevabili con questo strumento di indagine, ed è per questo che occorre moltissima cautela prima di raccomandare nuovi trattamenti che magari conferiscono vantaggi clinici marginali – quando ci sono – e poi si scopre che sono dannosi. Le raccomandazioni cliniche dovrebbero incorporare questo principio di cautela, ma spesso non lo fanno.

Quali sono i passi più importanti che possono essere intrapresi per aumentare l’affidabilità delle linee guida?

Innanzitutto, sarebbe bene che le società scientifiche specialistiche che sono le maggiori indiziate di produrre raccomandazioni fallaci si aprissero di più all’apporto di metodologi privi di conflitti di interesse, richiedendo il supporto e il know – how di organizzazioni governative (NICE, OMS, SIGN) con esperienze solide in questo ambito, per convertirsi a un maggiore rigore. Di fatto ancora oggi molte Linee Guida che si dichiarano evidence based in realtà sono basate sul consenso di esperti (spesso in conflitto d’interessi). Il metodo GRADE è lo strumento più idoneo per produrre raccomandazioni evidence based, ma anche qui non basta dichiararlo nei metodi della linea guida (come nel nostro case study hanno fatto i canadesi): bisogna dimostrare di aver seguito passo passo gli step previsti dal GRADE. Attenzione: il GRADE non elimina la soggettività insita in qualunque raccomandazione clinica, ma rende esplicite e chiare le dimensioni valutative che inducono il panel a decidere sulla forza (forte o debole) della raccomandazione e sulla sua direzione: rilevanza degli outcomes, precisione delle stime, congruenza dei risultati fra studi diversi, difetti metodologici degli studi primari, bilancio complessivo fra vantaggi e svantaggi, preferenze dei pazienti, costi e risorse. Solo e soltanto le raccomandazioni che tengono conto di tutti questi fattori si possono realmente considerare credibili.

In secondo luogo, non si vede proprio il bisogno che ogni società scientifica produca la sua linea guida su un argomento trito e ritrito. Nel caso della fibrillazione atriale, ne abbiamo analizzate ben tre, tutte rilasciate in un breve lasso di tempo e praticamente sulle stesse evidenze. Erano proprio necessarie o ne bastava una? Una maggiore coordinazione fra le medical specialty societies sarebbe quindi auspicabile.

Del conflitto d’interessi si è già detto, ma certamente le relazioni fra case farmaceutiche e società scientifiche specialistiche vanno riviste, per evitare che le loro linee guida non finiscano per diventare (sempre più) strumento di marketing surrettizio, invece che di orientamento clinico.

Vi è inoltre l’importante aspetto legato alla composizione del panel degli esperti ed estensori delle linee guida: medici generalisti, metodologi, pazienti dovrebbero affiancare in proporzione adeguata gli “esperti” per evitare il cosiddetto “good intention bias”. E’ noto che gli specialisti sovrastimano i benefici e sottostimano i rischi dei trattamenti e forniscono raccomandazioni tendenzialmente sbilanciate, pur se animati dalle migliori buone intenzioni.

Ma soprattutto, tenuto conto che gli strumenti di valutazione formale della qualità delle linee guida (come l’AGREE) non catturano adeguatamente la questione essenziale – cioè se le loro singole raccomandazioni sono affidabili o no e i nuovi criteri IOM sono forse troppo restrittivi per un loro utilizzo routinario, lo spirito critico degli utilizzatori rimane la migliore misura per favorire il miglioramento di questi strumenti decisionali. Un cosiddetto “public marketplace” delle Linee Guida, con “quotazioni” stabilite da un dibattito sul web, moderato, ospitato da una organizzazione autorevole, spassionato e pubblico del loro valore, come è stato suggerito, potrebbe essere un grande strumento a favore dei medici, pazienti e decisori. Oltre che degli estensori delle linee guida stesse, ovviamente.

La campagna a favore della Scuola di specializzazione in Medicina di emergenza-urgenza ancora su Sanità del Sole 24 ore

martedì, marzo 11th, 2014

 

L’iniziativa di martedì scorso 5 marzo in difesa della Scuola di Specializzazione in Medicina di emergenza-urgenza, contro la riduzione del numero di borse di studio per gli aspiranti urgentisti compare ancora su Sanità del Sole 24 ore di oggi, martedì 11 marzo. Sul numero in distribuzione questa settimana Valeria Donati, in qualità di rappresentante Giovani Simeu e specializzanda Meu racconta i motivi del flash mob che si è tenuto a Roma davanti al Ministero dell’Istruzione.

 

La lotta al dolore in urgenza: Simeu in un articolo del Corriere Salute

venerdì, febbraio 7th, 2014

@SilviaAlparone

 

Su circa tre milioni di accessi ai Pronto Soccorso gli analgesici sono usati in Italia solo in pochissimi casi: il paziente è trattato secondo le procedure necessarie al singolo caso, ma senza una cura specifica per il dolore implicito nella patologia specifica o nella lesione.

E’ il risultato di un’indagine Simeu, tradizionalmente impegnata nella lotta contro il dolore: i corsi per medici e infermieri organizzati dalla faculty Sau, Sedazione e analgesia in urgenza, hanno coinvolto nel 2013 operatori sanitari di tutta Italia. E il programma dei corsi prevede un fitto calendario di appuntamenti anche per il 2014. Sarà presto disponibile sul sito della società l’elenco degli appuntamenti con le date, città per città. Scopo del corso Sau è proprio trasmettere agli operatori le corrette procedure per gestire e alleviare il dolore del paziente di pronto soccorso, soprattutto nel caso si tratti di bambini o anziani.

Di tutto questo si parla oggi in un articolo del Corriere Salute, con un’intervista a Fabio De Iaco, responsabile faculty Sau di Simeu.

I corsi di sedazione e analgesia sono rivolti al personale sanitario coinvolto nell’attività di pronto soccorso, medici e infermieri. Nel 2013 hanno partecipato specialisti non solo di Medicina d’urgenza ma anche di Anestesia e rianimazione, Pediatria, Ginecologia e Medicina interna.

COCHRANE CORNER: La terapia antibiotica combinata con aminoglicosidi nei pazienti con sepsi

martedì, gennaio 28th, 2014

 

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

@P_Balzaretti

Nei pazienti con sepsi è necessario avviare tempestivamente una corretta terapia antibiotica, la quale sarà, nella maggior parte dei casi, empirica, a causa dell’impossibilità di sapere in tempi brevi quali siano i micro-organismi responsabili. La scelta degli antibiotici da impiegare deve basarsi sulla sospetta sede di infezione, l’ambito in cui si è sviluppata (per esempio a casa, in sede ospedaliera), l’anamnesi del paziente e i profili locali di sensibilità agli antibiotici dei micro-organismi isolati (1). Un terapia antibiotica empirica non corretta si correla con un incremento della mortalità.

Gli aminoglicosidi hanno fatto parte per lungo tempo delle terapie antibiotiche combinate per diverse sindromi infettive. Sono progressivamente emerse, però, evidenze di letteratura secondo cui la loro introduzione in schemi di terapia combinata non avrebbe alcuna utilità. Quest’ultimo tema è quello della revisione sistematica Cochrane di cui ci occuperemo in questo post.

Evidenze attuali

Proviamo a sintetizzare le indicazioni attuali all’impiego degli aminoglicosidi:

  • Polmonite: le lineeguida IDSA/ATS del 2007 riservano un ruolo agli aminoglicosidi unicamente come terza scelta in pazienti ricoverati in UTI con sospetta infezione da Pseudomonas Aeruginosa, in associazione a un beta lattamico e all’azitromicina o a un fluorochinolone respiratorio.
  • Infezione delle vie biliari: le lineeguida IDSA non prevedono l’impiego degli aminoglicosidi.
  • Infezione addominali escluse quelle delle vie biliari: per le già citate lineeguida IDSA, “gli aminoglicosidi non sono raccomandati per l’impiego di routine in adulti con infezioni intraddominali acquisite in comunità (B-II)”; lo stesso vale per le infezioni gravi, se non in casi selezionati (A-1).
  • Pielonefriti: secondo l’IDSA, gli aminoglicosidi hanno un ruolo nelle donne con pielonefrite che richiedono il ricovero ospedaliero come terapia di seconda scelta, in associazione a derivati beta-lattamici ad ampio spettro.
  • Endocardite: in questo caso, l’indicazione all’impiego di amino glicosidi nel trattamento empirico è confermata sia nelle linee guida ESC che in quelle della British Society of Antimicrobial Therapy.
  • Meningite: non indicazioni secondo le lineeguida IDSA del 2004.
  • Febbre nel paziente neutropenico: gli aminoglicosidi possono essere presi in considerazione in pazienti ricoverati, ad alto rischio, nel caso di insorgenza di complicanze (ipotensione, polmonite) o nel caso sia sospettata o accertata un resistenza a derivati beta-lattamici anti-pseudomonas (IDSA 2011).

Sintesi dello studio (2)

Obiettivo: Confrontare l’efficacia della monoterapia con beta-lattamico rispetto alla combinazione tra beta-lattamico e aminoglicoside in pazienti con sepsi e il rischio di eventi avversi, incluso lo sviluppo di resistenze batteriche.

Studi inclusi: RCT o trial quasi-randomizzati che confrontano i due regimi terapeutici; sono esclusi gli studi che includono neonati e bambini pre-termine.

Outcome primario: Mortalità al termine del follow up (durata media 30 giorni).

Outcome secondari: fallimento del trattamento, durata del ricovero, superinfezione, colonizzazione da parte di batteri resistenti, eventi avversi.

N°. di studi inclusi: 69

Qualità degli studi inclusi: la principale fonte di bias riguarda la mancanza cecità, sia per i pazienti che per il personale e gli aggiudicatori degli out come.

N° di pazienti: 7863

Risultati: i risultati sono sintetizzati nella tabella

Risk ratio

N° di pazienti

Qualità dell’evidenza

Mortalità (stesso derivato beta lattamico)

0,97 (0,73 – 1,3)

1431

Bassa

Mortalità (diverso derivato beta lattamico)

0,85 (0,71 – 1,01)

4146

Bassa

Fallimento clinico (stesso derivato beta lattamico)

1,11 (0,95 – 1,29)

1870

Molto bassa

Fallimento clinico (stesso derivato beta lattamico)

0,75 (0,67 – 0,84)

4933

Molto bassa

Tab. Risultati della meta-analisi. Sono stati separati i risultati degli studi in cui veniva impiegato lo stesso beta lattamico sia nel gruppo di controllo che in quello di trattamento da quelli in cui venivano impiegati due derivati beta lattamici diversi. Per fallimento clinico si intende: morte, persistenza, recidiva o peggioramento dei segni e dei sintomi dell’infezione; qualsiasi modificazione al trattamento antibiotico empirico assegnato; qualsiasi intervento terapeutico invasivo impiegato e non definito nel protocollo. RR < 1 sono a favore della monoterapia.

Commento

Questa revisione lascia aperti molti interrogativi. Nel complesso l’evidenza fornita per i due outcome è da considerarsi di bassa qualità, in particolare per l’assenza di blinding nella maggior parte degli studi, che, mentre potrebbe aver avuto un impatto tutto sommato modesto per quanto riguarda l’outcome mortalità, per il quale la determinazione non può essere troppo soggettiva, potrebbe aver avuto un peso più rilevante sull’outcome “fallimento clinico”, la cui interpretazione è maggiormente soggettiva. Anche l’elevata imprecisione dei risultati (l’intervallo di confidenza per i dati di mortalità oscilla tra 0,73 e 1,30), costituisce un motivo di scarsa rilevanza dei dati.

La revisione sistematica manca di una sinossi che sintetizzi quali siano le principali cause di sepsi dei pazienti arruolati. In particolare non è chiaro quale sia l’incidenza dei pazienti con endocardite infettiva. Nel complesso, per quanto riguarda questa patologia, l’indicazione a impiegare gli amino glicosidi, come consigliato nelle linee guida internazionali, non può essere messa in discussione.

La decisione se introdurre o meno gli amino glicosidi non può non prendere in considerazione i potenziali rischi ad essa correlati, in particolare quello della nefrotossicità: nei pazienti trattati con beta lattamici in monoterapia, questo sarebbe del 70% inferiore rispetto a quello dei pazienti trattati anche con l’aminoglicoside (2). Tale rischio potrebbe essere sovrastimato, tenendo conto che nella maggior parte degli studi la somministrazione di questi ultimi è in multiple dosi giornaliere e non in monosomministrazione, regime che si associa ad un minor rischio di nefrotossicità.

Infine, la mortalità dei pazienti inclusi negli studi analizzati oscilla tra l’8,5% dei pazienti con sepsi gravi, sospette sepsi da gram negativi e polmoniti e l’1,7% per la sepsi a partenza dalle vie biliari. Le conclusioni di questa meta-analisi non possono per tanto applicarsi ai pazienti più critici che vengono ricoverati nelle reparti di Terapia Intensiva o Subintensiva. Per questi pazienti bisogna probabilmente tenere maggiormente in considerazione le indicazioni provenienti dalle analisi di pazienti ricoverati in UTI per sepsi grave e shock settico di Kumar e colleghi e Diaz-Martin e colleghi secondo i quali l’avvio tempestivo di un terapia combinata ridurrebbee la mortalità. Tra le associazioni vagliate e dimostratesi efficaci da Kumar et al., anche quella di beta lattamici e aminoglicosidi.

Bibliografia

  1. Angus DC, Van der Poll T. Severe sepsis and septic shock. NEJM 2013; 369: 840-851. Link

  2. Paul M, Lador A, Grozinsky-Glasberg S, Leibovici L. Beta lactam antibiotic monotherapy versus beta lactam-aminoglycoside antibiotic combination therapy for sepsis. Cochrane Database of Systematic Reviews 2014, Issue 1. Art. No.: CD003344. DOI: 10.1002/14651858.CD007999.pub3. Link

MUBEE#10: Trip Database

martedì, gennaio 7th, 2014

di Paolo Balzaretti, redazione blog Simeu

@P_Balzaretti


Com’è noto, il secondo passaggio dei cinque che costituiscono il processo di miglioramento della pratica clinica secondo la classica definizione dell’EBM è quello di cercare le evidenze (CEBM). Abbiamo già parlato diffusamente di questo argomento in un post precedente. Tra le opzioni possibili abbiamo parlato di MEDLINE® e Google Scholar. Ma in Rete esiste anche un altro ottimo strumento di ricerca: TRIP (Turn Research into Practice) database, di cui ci occuperemo in questo post.

Cos’è Trip Database?

Trip Database, diversamente da quanto farebbe supporre il suo nome, non è un archivio di citazioni bibliografiche bensì un motore di ricerca clinico che permette di rintracciare documenti clinici direttamente su Internet a partire da molteplici fonti. Queste citazioni corrispondono sia ad articoli pubblicati su riviste biomediche sia materiale che rientra nell’ambito dellacosiddetta Grey Literature. Il servizio fornito da questo sito, che viene aggiornato mensilmente, è gratuito.

Fig. 1. L’home page di Trip database

Come effettuare le ricerche

Esistono 3 modi differenti per eseguire le ricerche: la prima, più immediata, consiste nell’inserire i termini liberi nel box di ricerca nella home page (Fig. 1). Esiste poi la possibilità di una ricerca avanzata, la quale permette di effettuare alcune rifiniture alla stringa di ricerca come la definizione dell’intervallo di tempo dove eseguire la ricerca, la limitazione della ricerca ad alcune parti dell’articolo (come ad esempio il titolo), la ricerca della stringa come frase intera, etc.

Infine, l’opportunità più innovativa riguarda la possibiltà di inserire il nostro quesito di ricerca rispettando il formato PICO (per approfondimenti si veda il post relativo) (Fig. 2). Come sempre, gli obiettivi modellano il quesito di ricerca: più termini verrano inseriti, maggiore sarà la specificità dei risultati e minore il numero di articoli ottenuti, con la possibilità però di perdere qualche articolo interessante.

Fig. 2. La maschera di ricerca basata sul formato PICO

Orientarsi tra i risultati

I risultati delle ricerche in Trip Database sono liste di citazioni bibliografiche, ognuna delle quali è essenzialmente costituita dal titolo del documento (cliccando sul quale è possibile accedere allo stesso), la fonte da cui proviene e l’anno di pubblicazione (fig. 3). Come succede per Google Scholar, in caso di articoli a pagamento, i link di Trip Database non permetteranno di visualizzare il lavoro, a patto che già non si possiedano le credenziali per potervi accedere.

I risultati vengono ordinati nella lista in base a un algoritmo che tiene conto di tre parametri: la presenza del termine di ricerca nel titolo dell’articolo, un “pubblication score”, basato sulla qualità della fonte, così come valutata dagli amministratori del sito, e la data di pubblicazione (il punteggio aumenta quanto più recente è l’articolo).

Fig. 3. Pagina dei risultati.

Solitamente, Trip Database fornisce molti risultati per ogni ricerca; fortunatamente garantisce anche alcuni strumenti per filtrare tutte queste citazioni. Innanzitutto permette di selezionare i risultati in base alla natura del lavoro, distinguendo tra revisioni sistematiche, lineeguida, sinossi, studi primari, capitoli di libri, etc. Per chi volesse approfondire le differenze tra gli uni e gli altri, ne abbiamo parlato in un vecchio post.

Nel caso delle linee guida, permette un’ulteriore selezione in base alla provenienza geografica, molto utile se si tiene conto del fatto che questi documenti sono più utili se fanno riferimento a contesti organizzativi simili a quello dove le applicheremo (come nel nostro caso potrebbe essere le linee guida prodotte in altri paesi europei o nel Regno Unito). Per quanto riguarda revisioni sistematiche e trial clinici, è possibile selezionare la fonte di provenienza (dato molto spesso correlato alla sua qualità).

Per mezzo di Trip Database è possibile reperire non solo documenti scritti ma anche altri tipi di materiale informativo quali immagini, video e informazioni per i pazienti semplicemente cliccando sulla barra sopra la lista dei risultati.

L’iscrizione al sito garantisce alcuni servizi aggiuntivi: aggiornamenti mensili via mail riguardanti nuove evidenze nel proprio ambito di interesse, possibilità di mantenere traccia dei documenti che abbiamo cercato sul database in passato, in modo tale da poterli consultare più facilmente in seguito.

Quale impatto?

Viene spontaneo chiedersi se l’impiego di uno strumento come Trip Database garantisca effettivamente un vantaggio nel reperire le informazioni di cui abbiamo bisogno. Sembrerebbe di sì, come risulta da uno studio canadese (1). In una piccola popolazione di specializzandi in Medicina di Famiglia, l’impiego di Trip Database permetteva di incrementare la probabilità di risposta corretta a un quesito clinico dal 24% al 63%.

In conclusione, la prossima volta che avete bisogno di trovare rapidamente la risposta ad un quesito clinico, ricordatevi anche di Trip Database quale alternativa a Google Scholar e Clinical Queries di PubMed.

Bibliografia

  1. Labrecque M, Ratté S, Frémont P, et al. Decision making in family medicine: randomized trial of the effects of the InfoClinique and Trip database search engines. Can Fam Physician. 2013; 59(10):1084-94.

COCHRANE CORNER: l’attacco acuto di emicrania in pronto soccorso

martedì, dicembre 10th, 2013

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

@P_Balzaretti


La cefalea è un disturbo che causa una quota non indifferente di accessi in Pronto Soccorso. Nell’iter diagnostico, il primo passo è quello di escludere che si tratti di una forma secondaria a una patologia sistemica o primitiva del sistema nervoso centrale; quando queste possibilità sono state escluse con un sufficiente grado di sicurezza, si deve prendere in considerazione la possibilità di una cefalea primaria: tra queste quella di più frequente riscontro è l’emicrania.

Secondo le linee guida per la classificazione dei disturbi cefalalgici dell’International Headache Society, l’emicrania è un “disturbo cefalalgico ricorrente con attacchi della durata di 4-72 ore, tipicamente caratterizzati da dolore pulsante a localizzazione unilaterale, di intensità media o forte, peggiorato da attività fisica di routine e associato a nausea e/o fotofobia e fonofobia”. Un aspetto rilevante, per l’approccio in P.S., è la cronicità del disturbo: sono richiesti infatti almeno 5 episodi analoghi nella storia clinica del paziente per poter confermare la diagnosi. In uno studio del 2007, circa il 39% dei pazienti giunti in P.S. lamentando cefalea presentava i criteri per la diagnosi di emicrania dell’International Headache Society; la percentuale saliva al 60% dei pazienti con cefalea primaria (1).

Secondo l’americana Agency for Healthcare Research and Quality, negli Stati Uniti vi è una ampia difformità nella gestione della cefalea emicranica in urgenza e credo che questa considerazione sia valida anche per la realtà italiana. Farmaci ampiamente utilizzati per il trattamento di questo disturbo in urgenza sono gli anti-infiammatori e il paracetamolo. Nel corso del 2013 la Cochrane Collaboration ha pubblicato diverse revisioni sistematiche volte a valutare l’efficacia di questi farmaci, da soli o in associazione con un antiemetico, per il trattamento dell’emicrania.

Sintesi dei risultati

Sono stati presi in considerazione 5 studi che rispondevano a questo quesito: “in pazienti con un attacco acuto di emicrania l’impiego del farmaco x, associato o meno ad anti-emetici, è più efficace del placebo per controllare il dolore?”. In alcuni studi il confronto non avveniva con il placebo bensì con un triptano, ma di questi non tratteremo.

In tutti gli studi si fa riferimento a formulazioni somministrabili per via orale: ciò si adatta solo in parte alla realtà del Pronto Soccorso, dove spesso ricorriamo alla somministrazione di farmaci per via endovenosa. Tuttavia ritengo i risultati comunque rilevanti sia perchè si può ipotizzare che la somministrazione per via endovenosa sia quantomeno ugualmente efficace rispetto a quella per os, sia perchè questi risultati ci garantiscono la possibilità di fornire delle indicazioni ai pazienti su quali farmaci impiegare al domicilio per situazioni analoghe.

Nella tabella 1 sono riassunte le caratteristiche salienti delle revisioni sistematiche.

 

Studio

Confronto

Dosaggio

Studi

Pazienti

Derry 2013 (2)

Diclofenac vs. placebo 50 mg

5

1356

Kirthi 2013 (3)

Aspirina vs. placebo 900 o 1000 mg

13

4222

Aspirina + metoclopramide vs. placebo 900 mg + 10 mg

3

765

Derry 2013 (4)

Paracetamolo vs. placebo 1000 mg

11

2942

Rabbie 2013 (5)

Ibuprofene vs. placebo 400 mg

9

4373

Law 2013 (6)

Naprossene vs. placebo 500 mg o 825 mg*

6

2735

 

Tab.1 Caratteristiche delle revisioni sistematiche prese in considerazione. * non si sono registrate differenze significative tra i diversi dosaggi di naprossene.

Risultati

Per renderli confrontabili, i risultati sono stati presentati come number needed to treat (NNT). Questo parametro statistico indica il numero di pazienti cui è necessario somministrare un farmaco per ottenere un evento nell’ intervallo di tempo preso in esame. Si calcola con la seguente formula:

100

NTT =

|(Rischio nel gruppo di trattamento – Rischio nel gruppo sperimentale)| (in %)

 

Prendendo un esempio da i nostri dati, potremo dire che è necessario trattare circa 7 pazienti con ibuprofene affinchè un paziente risulti asintomatico per cefalea emicranica a due ore. Chiaramente, minore è il NNT, maggiore è l’efficacia del farmaco. Simmetricamente, il “number needed to harm” (NNH) indica il numero di pazienti cui è necessario somministrare il trattamento perché si verifichi un evento avverso; in questo caso, maggiore è il numero, maggiore è la sicurezza del farmaco. Per interpretare e confrontare gli NNT è necessario tenere conto che questi sono specifici per le caratteristiche di gravità del paziente e per il tempo di osservazione. Per esempio, non è possibile confrontare l’NNT dei beta-bloccanti per prevenire l’infarto miocardico tra pazienti in prevenzione primaria e pazienti che hanno già avuto una sindrome coronarica acuta, perché quest’ultimi presenteranno verosimilmente una situazione coronarica di base più compromessa. Allo stesso modo, non è corretto confrontare l’NNT di una statina per prevenire l’ictus in prevenzione primaria calcolato per un follow up di 5 anni e uno calcolato su un follow up di 10 anni. Per chi volesse approfondire, suggerisco due letture (qui e qui).

Come si può vedere nella tabella 2, il farmaco più efficace in acuto sembrerebbe essere l’ibuprofene, seguito dall’aspirina.

 

 

Confronto

Assenza di cefalea a 2 h (NNT)

Riduzione del dolore a 2 h (NNT)

Qualità dell’evidenza*

Ibuprofene vs. placebo

7,2 (5,9 – 9,2)

3,2 (2,8 – 3,7)

Moderata

Aspirina vs. placebo

8,1 (6,4 – 11)

4,9 (4,1 – 6,2)

Moderata

Aspirina + metoclopramide vs. placebo

8,8 (5,9 – 17)

3,3 (2,7 – 4,2)

?

Diclofenac vs. placebo

8,9 (6,7 – 13)

6,2 (4,7 – 9,1)

Moderata

Naprossene vs placebo

11 (8,7 – 17)

6 (4,8 – 7,9)

Moderata

Paracetamolo vs. placebo

12 (7,5 – 32)

5 (3,7 – 7,7)

Bassa

 

Tab.2 Risultati a breve termine del trattamento. * per entrambe gli outcome.Tra parentesi, gli intervalli di confidenza al 95%.

La perfomance risulterebbe simile anche per l’efficacia a 24 ore, come sintetizzato della tabella 3.

 

Confronto

Assenza di cefalea a 24 h (NNT)

Riduzione della cefalea a 24 h (NNT)

Qualità dell’evidenza*

Ibuprofene vs. placebo

No dati

4,0 (3,2 – 5,2)

Moderata

Aspirina vs. placebo

No dati

6,6 (4,9 – 10)

Moderata

Diclofenac vs. placebo

9,5 (7,2 – 14)

No dati

Moderata

Naprossene vs placebo

19 (13 – 34)

8,3 (6,4 – 12)

Moderata

 

Tab. 3. Risultati a lungo termine del trattamento. Non ci sono dati riguardanti l’associazione aspirina + metoclopramide e paracetamolo vs. placebo per gli outcome considerati. * per entrambe gli outcome.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere, il paracetamolo sembrerebbe correlarsi a un maggior rischio di eventi avversi, sebbene la qualità dei dati per questa analisi sia bassa.

 

Confronto

Almeno un evento avverso (NNH)

Qualità dell’evidenza*

Aspirina vs. placebo

34 (18 – 340)

Bassa

Ibuprofene vs. placebo

26 (15 – 100)

Moderata

Naprossene vs placebo

28 (15 – 130)

Bassa

Paracetamolo vs. placebo

21 (11 – 300)

Bassa

 

Tab. 4. Eventi avversi. NNH = number needed to harm. Per il diclofenac non era disponibile il NNH ma solo l’odds ratio. * per entrambe gli outcome.

Note: il ruolo della metoclopramide

L’impiego della metoclopramide per via endovenosa è stato introdotto da lungo tempo; il razionale risiederebbe nel trattamento sintomatico della nausea e del vomito (con relativo miglioramento della motilità gastro-intestinale, l’aumento dell’assorbimento e dunque della biodisponibilità del farmaco) (6). L’unica revisione sistematica che ho trovato sull’argomento risale al 2004 (7): per quanto riguarda il confronto con il placebo, venivano presi in considerazione 3 studi per un totale di 207 pazienti. L’odds ratio era pari a 2,84 (95% CI 1,05 – 7,68), favorendo il trattamento rispetto al placebo; la mia stima del NNT è 4,5 (95% CI non calcolabile)..

Conclusione

In conclusione, vi sono evidenze di moderata qualità che gli anti-infiammatori per via orale siano abbastanza efficaci per il controllo del dolore in corso di attacco emicranico acuto; si può supporre che le formulazioni per via endovenosa siano quanto meno altrettanto efficaci. L’associazione con metoclopramide per via endovenosa potrebbe ulteriormente potenziare questo effetto.

Bibliografia

  1. Friedman BW, Hochberg ML, Esses D, Grosberg B, Corbo J, Toosi B, Meyer RH, Bijur PE, Lipton RB, Gallagher EJ. Applying the International Classification of Headache Disorders to the Emergency Department: An Assessment of Reproducibility and the Frequency With Which a Unique Diagnosis Can Be Assigned to Every Acute Headache Presentation. Ann Emerg Med 2007; 49: 409-419. Link

  2. Derry S, Rabbie R, Moore RA. Diclofenac with or without an antiemetic for acute migraine headaches in adults. Cochrane Database of Systematic Reviews 2013; Issue 4. Art. N°: CD008783. Link

  3. Kirthi V, Derry S, Moore RA. Aspirin with or without an antiemetic for acute migraine headaches in adults. Cochrane Database of Systematic Reviews 2013; Issue 4. Art. N°: CD008041. Link

  4. Derry S, Moore RA. Paracetamol (acetaminophen) with or without an antiemetic for acute migraine headaches in adults. Cochrane Database of Systematic Reviews 2013; Issue 4. Art. N°: CD008040. Link

  5. Rabbie R, Derry S, Moore RA. Ibuprofen with or without an antiemetic for acute migraine headaches in adults. Cochrane Database of Systematic Reviews 2013; Issue 4. Art. N°: CD008039. Link

  6. Law S, Derry S, Moore RA. Naproxen with or without an antiemetic for acute migraine headaches in adults. Cochrane Database of Systematic Reviews 2013; Issue 10. Art. N°: CD009455. Link

  7. Colman I, Brown MD, Innes GD, Grafstein E, Roberts TE, Rowe BH. Parenteral metoclopramide for acute migraine: meta-analysis of randomized controlled trials. BMJ 2004; 329 (7479): 1369-73. Link

Sembrava un ictus…

martedì, dicembre 3rd, 2013

Dott.ssa Giulia Vitariello – U.O. ME.CH. A.U. Policlinico di Bari (Dir. Dott. F. Stea).

@GmVitariello

Il caso: donna di aa 70 giunge in P.S. accompagnata da parenti per stato confusionale. Da alcune ore numerosi episodi di vomito ed algie addominali. Non diarrea, non febbre.

Anamnesi: ipertensione in trattamento con ACE-inibitore (ramipril) e diabete mellito tipo 2 in trattamento con metformina (non segnalato dosaggio).

Esame Obiettivo: GCS 14/15, non orientata nel tempo e nello spazio. Segni di disidratazione muco-cutanea, tachipnoica (FR 40/min), PA 90/40 mmHg, tachicardica 110/min. Anuria. Esame obiettivo polmonare ed addominale niente da segnalare.

Dopo l’esame clinico viene sottoposta a prelievo venoso per esami ematochimici, ECG ed EGA.

ECG: tachicardia sinusale 115/min. Alterazioni aspecifiche della ripolarizzazione.

EGA arteriosa:

Parametro

Risultato

Valori normali

Commento

pH

6.90

v.n. 7.38 – 7.42

indica acidemia

pCO2

14 mmHg

Valore di riferimento 40 mmHg

HCO3-

2,7 mEq

Valore di riferimento 24 mEq/L

Cl-

86 mEq/L

v.n. 98-108 mEq/L

Na+

131 mEq/L

v.n 135-145 mEq/L

Iposodiemia tralocazionale.

Na+ corretta per iperglicemia: 133.5 mEq/L

K+

6 mEq/L

K+ corretto per pH e’ 3 mEq/L

AG

48 mEq/L

v.n. 10+/-2

Lattati

5,8 mmol/L

v.n. fino a 2 mmol/L

 

Altri parametri: pO2 126 mmHg, SO2 99%, P/F 600 mmHg, Glucosio 509 mg/dl.

 Diagnosi emogasanalitica: graveacidosi metabolica ad Alto AG

Commento

L’acidosi metabolica ad alto AG può essere dovuta ad aumento endogeno di acidi (acidosi lattica, chetoacidosi diabetica, uremia…) o da apporto esogeno di acidi (salicilati, alcoli..). L’anione dell’acido accumulato provoca un aumento dell’AG corrispondente alla quantità di bicarbonato consumato. In questa paziente notiamo un aumento dell’ anione acido lattico che può essere legato sia all’ipoperfusione d’organo, che alla metformina assunta dalla stessa oppure potrebbe anche essere spia di uno stato settico. Il suo incremento, però, non è tale da poter da solo giustificare la grave riduzione dei bicarbonati e quindi l’aumento dell’AG.

Infatti, il rapporto delta AG/delta lattato: 36/3,8 è 9.4… quindi dovremo cercare un’altra possibile causa…

Dagli esami ematochimici, infatti, emerge una grave insufficienza renale: creatininemia 8 mg/dl, GFR 5 mL/Min, azotemia 286 mg/dL, quindi si tratta di una grave acidosi metabolica ad alto AG in paziente con insufficienza renale acuta con componente lattica.

Il compenso respiratorio atteso è rispettato? E’ prevista una riduzione di pCO2 di 1,2 mmHg per ogni 1 mEq di bicarbonati ridotti quindi 1.2 x 21.3 (delta bicarbonati)= 25,5

pCO2 attesa : 40-25.5= 14.5

quindi la regola del compenso atteso è rispettata, è una acidosi metabolica compensata.

Lo scambio di ossigeno a livello polmonare è normale: pO2 e P/F al di sopra della norma e gradiente alveolo-arterioso 18 mmHg normale per età (deve essere compreso tra 13,5 e 21.5) (v.n. età/4 ± 4).

Ma non è finita… Il calcolo del gap dei bicarbonati in questo tipo di acidosi metabolica può essere utile per escludere la coesistenza di un secondo disturbo metabolico. Si procede come segue:

Delta AG (differenza tra AG attuale e quello di riferimento (12 mmol/l)): 48 – 12 = 36

Delta HCO3- (diff. tra HCO3- di riferimento (24 mmol/l) e quelli attuali calcolati): 24 – 2,7= -21,3

GAP HCO3- (differenza tra delta AG e delta HCO3-: v.n. 0 ± 6 mmol/l) = 36 – 21.3 = +14.7

Infatti, il gap dei bicarbonati (> 6 mmol/l) e l’ipocloremia suggeriscono la sovrapposizione di un alcalosi metabolica probabilmente dovuta a diuresi osmotica (ed iperaldosteronismo secondario) ed in parte legata al vomito ripetuto presentato dalla paziente (perdita di cloro dallo stomaco) (si veda anche più avanti).

Quindi interpretazione finale dell’EGA: acidosi metabolica ad alto AG + alcalosi metabolica

Diagnosi clinica e’: acidosi metabolica ad alto AG ed alcalosi metabolica in paziente con insufficienza renale acuta complicata da vomito ripetuto, diabete mellito tipo 2 scompensato in trattamento con metformina.

TERAPIA ED ESITI

Si punta a correggere il disturbo metabolico principale della paziente, quindi, rimpiazzo della volemia con somministrazione di colloidi e cristalloidi, insulina ev e, considerato il valore del pH (<7,1) vengono somministrati bicarbonati; tenuto conto del valore della potassiemia corretta per pH (3 mEq/L) si somministra anche Kcloruro in doppia via.

Il quadro clinico della paziente si complica rapidamente con arresto cardio-respiratorio reversibile pertanto dopo essere stata intubata e sottoposta a TAC cranio (risultata negativa) viene ricoverata in rianimazione ma dopo pochi giorni trasferita in medicina e dimessa in buone condizioni cliniche.

Approfondimento: il GAP dei bicarbonati

L’accumulo di acidi fissi (AH) nel sangue e’ responsabile dell’acidosi metabolica ad elevato AG tipica dell’insufficienza renale. Gli ioni H+ vengono tamponati dai bicarbonati (HCO3-) con conseguente produzione di H2O e CO2, l’anione (A-) invece si accumula nel liquido extracellulare aumentando la quota di anioni non misurati e quindi il GAP ANIONICO (AG). Pertanto, se per ogni molecola di anione accumulato corrisponde il consumo di una molecola di bicarbonati, la differenza tra il delta AG ed il delta bicarbonati deve essere 0. Se invece si sovrappone un secondo disturbo metabolico (acidosi metabolica a normale AG o alcalosi metabolica) la differenza sarà diversa da 0 (in realtà, si considera normale un valore di 0+/-6). Questa differenza viene chiamata GAP del bicarbonato; se il valore è maggiore di 6 si sovrappone un alcalosi metabolica (cioè i bicarbonati sono maggiori di quelli previsti in base all’aumento dell’ AG), se la differenza è inferiore a 6 vuol dire che c’è anche un acidosi metabolica ad AG normale (per esempio in caso di diarrea) con bicarbonati ridotti più di quanto previsto dall’aumento dell’AG.

Questa regola va comunque applicata con prudenza in caso di acidosi lattica (rapporto delta AG/ delta HCO3- e’ di 1,6 e non di 1) e in caso di gravi acidosi metaboliche per intervento di tamponi intracellulari. Ancora una volta fondamentale sarà la clinica del paziente.

——————————-

Sul corretto utilizzo dell’emogasanalisi segnaliamo il corso organizzato da Simeu sull’argomento:

http://www.simeu.it/file.php?file=edizioni_risultati&sez=corsi&rete_form=1

La Redazione del Blog

La guida ecografica per l’acquisizione di accessi vascolari

lunedì, novembre 11th, 2013

Dott. Paolo Balzaretti, redazione blog Simeu

Su Twitter: @P_Balzaretti


In questi ultimi anni l’impiego dell’ecografia al letto del paziente in Pronto Soccorso ha preso sempre più piede. Uno dei possibili ambiti di applicazione è quello di ausilio nel posizionamento di accessi venosi periferici difficili. Recentemente, sono state pubblicate due revisioni sistematiche sull’argomento (1,2): in entrambe gli studi si riporta che l’impiego dell’ecografia aumenta le probabilità di successo dell’incannulamento mentre non vi sono ancora dati definitivi circa una riduzione del numero di punture necessarie e la durata totale della procedura; questa incertezza in parte legata a una certa variabilità nella definizione degli outcome. Recenti linee guida internazionali propongono una forte raccomandazione a favore dell’impiego della guida ecografica per il posizionamento di accessi venosi periferici “difficili” (3).

Per approfondire l’argomento, il 10 e 11 ottobre scorsi si è tenuto a Genova l’incontro “ETG e accessi vascolari”, patrocinato da SIMEU e dal GAVeCeLT, che ha visto la partecipazione di 24 relatori e circa 80 discenti, per lo più infermieri.

Nel corso della prima giornata si è tenuto un corso teorico pratico per infermieri sull’acquisizione degli accessi venosi per mezzo dell’ecografia. Al termine della prima giornata e nel corso della seconda si sono susseguite sessioni che hanno riguardato tutti gli aspetti di maggiore interesse del tema: oltre a presentazoni introduttive su ecografia e cateteri venosi contrali, si è parlato dell’impatto sul rapporto con i pazienti, sulle infezioni ospedaliere e sull’organizzazione del lavoro. Non ultimo un approfondimento sugli aspetti legali della questioni, sempre fonte di preoccupazione per gli operatori. Per chi fosse interessato, è possibile visionare le diapositive delle presentazioni cliccando qui.

Cogliamo l’occasione per ricordarvi il corso di formazione SIMEU riguardo l’“Ecografia per gli accessi vascolari”, che da tempo offre la possibilità di acquisire conoscenze in questo campo a personale medico e infermieristico. Per maggiori informazioni sul corso clicca qui; per il calendario dei corsi SIMEU clicca qui.

Per approfondire

  1. Liu YT, Alsaawi A, Bjornsson HM. Ultrasound-guided peripheral venous access: a systematic review of randomized-controlled trials. Eur J Emerg Med. 2013 Jul 20. Link

  2. Egan G, Healy D, O’Neill H, Clarke-Moloney M, Grace PA, Walsh SR. Ultrasound guidance for difficult peripheral venous access: systematic review and meta-analysis. Emerg Med J. 2013 Jul;30(7):521-6. Link

  3. Lamperti M, et al. International evidence-based recommendations on ultrasound-guided vascular access. Intensive Care Med. 2012; 38(7): 1105-17. Link

 





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