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Decisioni condivise in Pronto Soccorso: è possibile?

giovedì, luglio 21st, 2016

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog Simeu

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Durante un turno in Pronto Soccorso prendiamo decine di decisioni, alcune delle quali possono avere un impatto significativo sullo stato di salute attuale e futuro del paziente. L’approccio con cui vengono prese può oscillare tra due modelli estremi: da un lato quello “paternalistico”, in cui il clinico, pur informando il paziente, prende la decisione finale che ritiene più appropriata autonomamente. Al polo opposto c’è il modello decisionale “informato”, nel quale il medico presenta tutte le informazioni necessarie al paziente il quale, dopo averle valutate, sceglie da solo cosa fare. L’approccio condiviso (“Shared Decision Making”, SDM) si colloca in qualche modo a metà strada, garantendo anche al paziente la possibilità di spiegare le proprie preferenze al medico e partecipando con quest’ultimo alla decisione finale (1).

Fino ad oggi l’argomento ha ricevuto attenzione nell’ambito della medicina ambulatoriale che si occupa di patologie croniche, come per esempio l’oncologia, mentre in Medicina d’Urgenza gli studi e i progetti portati a termine sono scarsi. La Society for Academic Emergency Medicine, ritenendo maturi i tempi per provare ad adottare questo approccio anche nei Dipartimenti di Emergenza, ha promosso una Consensus Conference (2) sull’argomento, che rappresenta un’occasione per un approfondimento.

 

Le decisioni condivise in Medicina

A prescindere dalle differenze tra le singole definizioni, la Consensus Conference ha convenuto che si possa parlare di processionale condiviso se: 1) è garantita la presenza di due attori, il medico e il paziente (o qualcuno designato a decidere per lui), 2) si verifica una condivisone delle informazioni da entrambe le parti, 3) al paziente è consentita la partecipazione alla decisione finale (1). Nella SDM, il medico illustra le diverse opzioni al paziente, fornendo informazioni riguardo rischi e benefici mentre quest’ultimo partecipa presentando le sue preferenze e i suoi valori, contribuendo a chiarire meglio quali debbano essere gli obiettivi del trattamento (2).

Alla base di questo nuovo atteggiamento vi è innanzitutto la consapevolezza che, a parta alcune situazioni in cui vi è un’opzione chiaramente superiore alle altre in termini di rapporto rischio-beneficio, in molti casi vi sono diverse possibili scelte, ognuna con i propri vantaggi e svantaggi. In questi casi un atteggiamento strettamente paternalistico non è del tutto giustificabile. Per altro verso, le decisioni prese dai medici sono spesso il frutto di orientamenti culturali e formativi prima ancora che della disamina di tutte le evidenze disponibile, come dimostrato regolarmente dalle analisi della variabilità su base geografica dell’impiego di test diagnostici o procedure terapeutiche (Prevedello 2012, Ko 2010). Inoltre, noi professionisti sanitari riteniamo di volta in volta di conoscere bene quali siano le preferenze dei pazienti e di agire di conseguenza. In realtà questa potrebbe essere solo un’illusione: per esempio, secondo i medici il 71% delle donne affette da tumore del seno ritiene la preservazione dell’integrità della mammella prioritaria, cosa che trova d’accordo solo il 7% delle dirette interessate (Mulley 2012). Non ultimo, non dobbiamo scordarci mai che è il paziente che vive con le conseguenze delle nostre decisioni.

 

È possibile applicarla in Emergenza-Urgenza?

La Medicina d’Emergenza-Urgenza presenta alcune caratteristiche che potrebbero incidere sull’effettiva applicazione della SDM: in primo luogo, le decisioni più rilevanti riguardano spesso pazienti con condizioni cliniche potenzialmente fatali, devono essere prese piuttosto rapidamente e non prevedono possibilità di ripensamento: in questi frangenti informare ampiamente il paziente e discutere i pro e i contro delle singole opzioni spesso non è fattibile (1). La SDM trova anche scarsa applicazione in quelle situazioni in cui vi sono strategie diagnostiche o terapeutiche chiaramente più valide (basti pensare alla rivascolarizzazione primaria nel paziente con STEMI, in assenza di controindicazioni). Vi sono poi situazioni in cui il paziente non è in grado di fornire il suo contributo al processo decisionale, o perché affetto da demenza o perché sotto effetto di sostanze stupefacenti.

Alcune barriere percepite dai Medici d’Urgenza statunitensi sono la contrarietà talvolta espressa dal paziente a partecipare alla decisione, una situazione verificatasi circa nel 47% dei casi in uno studio sulla scelta condivisa della terapia analgesica di piccoli traumi osteo-muscolari (Holland 2016). Altri ostacoli riferiti sono il timore che sia troppo complicato per i pazienti scegliere la strategia migliore, l’idea che vi siano interferenze con la facoltà del medico di scegliere quale test diagnostico o trattamento siano i migliori, l’eccessivo tempo richiesto per la sua attuazione e la preoccupazione di essere perseguito qualora non venga scelta la strategia più efficace, anche se in accordo con il paziente (3). Infine spesso riteniamo che i pazienti tendano spesso a scegliere scelgono un trattamento più aggressivo di quanto non necessitino effettivamente, anche se ciò è stato smentito dalle evidenze di letteratura, come vedremo più avanti.

Non si può escludere d’altra parte che l’applicazione della SDM possa avere degli effetti negativi quali, per esempio, un aumento dell’ansia del paziente in relazione alle informazioni ricevute o alla richiesta di partecipare ad una decisione per la quale non si sentono sufficientemente preparati (Rosenbaum 2015).

 

Quando applicarla?

Ad aprile 2016 sono stati pubblicati i risultati di una survey che ha coinvolto circa 700 medici d’urgenza americani cui veniva chiesto di indicare se ritenevano appropriata l’applicazione dei principi della decisione medica condivisa in alcuni specifici ambiti tipici della pratica in Pronto Soccorso (4). I quattro ambiti in cui vi era il maggiore accordo erano la trombolisi per lo stroke, la puntura lombare per escludere l’emorragia cerebrale dopo una TC encefalo negativa, la TC encefalo per il trauma cranico minore pediatrico e la dimissione del paziente con dolore toracico e accertamenti negativi per la sindrome coronarica acuta.

 

Funziona?

Per il momento esistono pochi esempi di applicazione pratica della SDM in Medicina d’Urgenza. Il lavoro che rappresenta oggi una delle applicazioni più compiute è stato pubblicato nel 2012 (5). Si tratta di un trial randomizzato multicentrico in cui 101 pazienti giunti in Pronto Soccorso con dolore toracico, nei quali esame obiettivo, ECG e prelievi seriati della troponina erano negativi, sono stati coinvolti in un processo decisionale condiviso riguardante l’esecuzione di un test ergometrico pre dimissione e 103 sono stati seguiti secondo l’approccio abituale. La decisione condivisa si basava sull’impiego di uno strumento cartaceo riportato in figura 1.

 

Fig. 1. Supporto cartaceo adottato nello studio di Hess e colleghi.

 

I pazienti dei due gruppi di trattamento presentavano caratteristiche anamnestiche e cliniche sovrapponibili. L’outcome principale era il livello di conoscenza circa la propria condizione clinica, risultato significativamente più alto nei pazienti cui è stato proposto il supporto decisionale. Questi pazienti sperimentavano anche meno incertezza riguardo l’adesione al programma terapeutico senza alcuna riduzione della fiducia nel medico. I pazienti nel gruppo di trattamento sceglievano meno frequentemente di essere ricoverati nella Chest Pain unit per essere sottoposti a test provocativo e di essere sottoposti a test ergometrico entro 30 giorni dalla dimissione. Non si sono registrate differenze significative in termini di eventi cardiovascolari maggiori (un solo infarto miocardico nel gruppo di trattamento) a 30 giorni, ma lo studio mi sembra troppo piccolo perché si possa esprimere un giudizio sulla sicurezza della SDM.

 

In sintesi, credo che anche in Italia vi sarà una crescente attenzione verso strategie di coinvolgimento del paziente nelle decisioni cliniche in Medicina d’Urgenza, così come sta succedendo negli Stati Uniti. Anche da noi i pazienti giungono ormai spesso in Pronto Soccorso dopo essersi documentati su Internet riguardo la possibile causa dei loro disturbi e sui potenziali trattamenti; per questo motivo, un atteggiamento paternalistico che li escluda completamente dalle decisioni da prendere non è più attuabile. Naturalmente sarà necessario una rielaborazione delle aree di applicazione e degli strumenti da utilizzare, in considerazione delle differenze nella pratica clinica al di qua e al di là dell’Atlantico. Ciò non di meno, i contenuti della Consensus Conference di Academic Emergency Medicine potranno costituire una valida base di partenza.

 

Bibliografia

  1. Hess EP, Grudzen CR, Thomson R, et al. Shared decision-making in the Emergency Department: respecting patient autonomy when seconds count. Acad Emerg Med 2015; 22: 856-864. Link
  2. Grudzen CR, Anderson JR, Carpenter CR, Hess EP. Shared Decision Making in the emergency department: development of a Policy-Relevant Patient-Centered research agenda. Acad Emerg Med 2016; published online July 8th 2016. DOI: 10.1111/acem.13047 Link
  3. Kanzaria HK, Brook RH, Probst MA, et al. Emergency Physician Perceptions of Shared Decision-making. Acad Emerg Med 2015; 22: 399-405. Link
  4. Probst MA, Kanzaria HK, Frosch DL, et al. Perceived appropriateness of Shared Decision-making in the Emergency Department: a survey study. Acad Emerg Med 2016; 23: 375-381. Link
  5. Hess EP, Knoedler MA, Shah ND, et al. The chest Pain Decision Aid. A randomized trial. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2012; 5: 251-259. Link

 

Pensiero lento e pensiero veloce: l’errore medico

lunedì, novembre 30th, 2015

Una riflessione e un corso Simeu

@SilviaAlparone

Errare è umano e anche i medici possono sbagliare. È un’ovvia verità che tuttavia genera sempre stupore, smarrimento e, nei casi estremi, ricorso in giudizio da parte del paziente o del familiare che di quell’errore fa le spese, a reclamare ragione per un danno reale che però può avere cause che non hanno a che fare con una colpa, nel senso di un’omissione o di una trascuratezza volontaria. Non si intende in questo caso l’errore sistemico dovuto a un problema dell’organizzazione, tema di cui si occupa il Rischio clinico, ma dell’errore legato alle dinamiche logiche attraverso le quali si sviluppa il ragionamento clinico. Su questo tema la Società italiana di emergenza-urgenza si è fermata a riflettere e ha organizzato un corso, in collaborazione con l’Agenzia regionale di Sanità della Toscana e l’Università degli Studi di Torino, che si è tenuto a Firenze lo scorso 30 settembre, dal titolo “Il ragionamento clinico: incertezza, decisione, trappole cognitive”. La giornata di lavori ha coinvolto 24 medici di emergenza-urgenza e di altre specialità provenienti da diverse regioni italiane, a fronte di una richiesta di partecipazione doppia rispetto ai posti previsti in questa prima edizione, insieme a cinque infermieri/uditori presenti per valutare la possibilità ed eventualmente le modalità di estendere l’occasione formativa anche alla professione infermieristica.

Il corso è stato ideato e organizzato da Alessandro Rosselli, già direttore del Dipartimento di emergenza-urgenza dell’Azienda Sanitaria di Firenze e oggi collaboratore scientifico presso l’Agenzia regionale di Sanità e il dipartimento di Diritto alla Salute della regione Toscana sui problemi organizzativi, epidemiologici e gestionali del Pronto Soccorso e da Franco Aprà, direttore della Medicina d’Urgenza dell’Ospedale Giovanni Bosco di Torino, presidente regionale Simeu Piemonte.“È fondamentale creare consapevolezza – spiega Alessandro Rosselli – su quanto sia importante il ragionamento del medico in questa nostra era tecnologica, in cui sembra che quest’ultima abbia quasi sostituito la necessità del ragionamento clinico, in quanto in grado di dare sempre risposte chiare e visibili a qualsiasi problema. Nella formazione di base del medico l’aspetto della metodologia clinica basata sul ragionamento è pericolosamente marginalizzato ed è quindi compito della società scientifica promuovere sensibilità e cultura tali da trovare strategie pratiche per correggere gli errori cognitivi in cui inevitabilmente, quando si ragiona, si incorre”. Il corso è stato tenuto da professionisti dell’emergenza-urgenza,Marco Barchetti, Ospedale di Sassuolo, e Fabrizio Elia, Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, affiancati ad altre figure esterne alla professione, filosofi e psicologi, con cui è stato possibile analizzare le dinamiche del ragionamento clinico da una prospettiva diversa. Sono Vincenzo Crupi, professore associato di Logica e Filosofia della Scienza dell’Università di Torino, Gustavo Cevolani, del Dipartimento di Filosofia sempre dell’Ateneo torinese e Marco Franchini, psicologo e psicoterapeuta. Sono stati portati esempi di casi clinici che presentassero la possibilità di errori medici di tipo cognitivo: di qui è partita la discussione sulla tipologia di errore e su quali tecniche possano essere messe in pratica per evitarlo. “Uno dei problemi più seri nel caso dell’errore cognitivo – riprende Rosselli – riguarda il superamento della reazione istintiva di chiusura del medico che si rende conto del proprio errore per non sentirsi accusato: uscire dalla dinamica dell’errore vissuto come una colpa è condizione necessaria per affrontare positivamente la tematica dell’errore in genere e, in particolare, quello cognitivo. Questo deve essere visto come qualcosa che consente di migliorare: discutere dell’errore invece di nasconderlo è sempre il primo passo per superarlo e prevenirlo. In conclusione la gestione dell’errore deve essere vista come un processo formativo importante per il medico e non come una colpa.”

Le scoperte della psicologia sperimentale in campo cognitivo hanno posto le basi conoscitive per una nuova comprensione del ragionamento clinico.“ Come ci spiega Daniel Kahneman, uno dei padri del cognitivismo e premio Nobel per l’economia nel 2002, – commenta Franco Aprà – la psicologia cognitiva ha aperto una nuova visione sui meccanismi del pensiero: accanto al pensiero logico, rigoroso ma lento e faticoso, esiste infatti un pensiero rapido e immediato, che dà risposte standardizzate (euristiche) per risolvere la maggior parte delle situazioni in cui bisogna prendere decisioni. Quando però queste risposte non sono appropriate, si va incontro a errori. Per comprendere queste situazioni, occorre ricorrere al pensiero lento, ma se non si è più che attenti i pensieri veloci prendono il sopravvento. Nella loro attività i medici prendono continuamente delle decisioni, utilizzando i pensieri veloci ed intuitivi in base alla loro preparazione professionale e alle esperienze – professionali e personali. In Medicina d’urgenza la decisione è particolarmente critica, soprattutto perché è legata al fattore tempo. Per questo occorre una riflessione seria sul tema e un’attenzione formativa su un argomento che richiede necessariamente un approccio multidisciplinare, coinvolgendo esperti del ragionamento provenienti da altri ambiti di studio”. Simeu, Ars Toscana e Università di Torino, anche per le numerose richieste pervenute, stanno valutando una nuova edizione del corso per il prossimo marzo 2016 che coinvolgerà anche gli infermieri.

 

 

 





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