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Posts Tagged ‘evidence-based medicine’

Nuovo fascicolo dell’Italian Journal of Emergency medicine

lunedì, maggio 9th, 2016

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Tempo di cambiamenti per ltalian Journal of Emergency Medicine! Sta prendendo infatti corpo il progetto di rinnovare, sia nei contenuti che nella forma, la nostra rivista, per mantenerla al passo con le prospettive di crescita della Società e la continua evoluzione dei mezzi di comunicazione. Tutte le novità in preparazione sono sintetizzate nell’Editoriale dell’Ufficio Stampa Simeu che apre l’ultimo fascicolo dell’organo ufficiale di Simeu.

Segue un ampio spazio dedicato ai Case Report, i quali rappresentano sempre un’importante occasione di approfondimento e di sfida delle proprie abilità diagnostiche. La panoramica offerta non potrebbe essere più ampia: si passa da un grave embolia polmonare al mixoma atriale, dall’arteriopatia calcifica infantile alla rottura dell’arteria gastrica di sinistra, sempre con ampio corredo iconografico.

Non è mai superfluo ricordare come il Pronto Soccorso, più di altre Strutture Sanitarie, è indissolubilmente legato alla Società che lo circonda. A questo riguardo, il lavoro proposto dai colleghi del DEA dell’Ospedale Belcolle di Viterbo, analizza le necessità e le richieste della popolazione “fragile” che afferisce al Pronto Soccorso, mettendole in rapporto a ciò che viene offerto dalla Rete Assistenziale territoriale. Lo studio individua le principali criticità che conducono i pazienti a fare riferimento al Pronto Soccorso piuttosto che ai Servizi del Territorio, fornendo infine una fondamentale serie di proposte di miglioramento.

Il Gruppo di Studio Regionale Simeu – Toscana condivide sulla Rivista due importanti documenti che riguardano la gestione dei pazienti in trattamento anti-coagulante orale in caso di specifici eventi vascolari acuti: lo stroke, sia ischemico che emorragico, e la sindrome coronarica acuta. Entrambe i lavori sono corredati da chiare flow chart che ne permettono un’agevole adozione pratica.

La gestione del dolore in Pronto Soccorso rimane un ambito ricco di nuove idee e dati; in questo fascicolo dell’IJEM i colleghi del Dipartimento di Emergenza dell’Ospedale di Cuneo esplorano, con una solida metodologia statistica, quali possono essere fattori che influenzano la soddisfazione dei pazienti riguardo alla modalità con cui è stato gestito il loro dolore rilevandone una solida correlazione con un’adeguata comunicazione e la somministrazione di una terapia anti-dolorifica, qualunque essa sia.

Anche l’urgenza pre-ospedaliera è rappresentata: Compostella e collaboratori approfondiscono le nozioni più importanti per il personale dell’Emergenza territoriale nella gestione del paziente portatore di device di assistenza ventricolare sinistra.

Di fronte alle continue polemiche sul ruolo e la professionalità degli infermieri nell’Emergenza- Urgenza, Simeu conferma la sua posizione garantendo ampio spazio alle tematiche infermieristiche: in primo luogo una revisione delle insidie medico-legali della gestione infermieristica del triage e dell’attesa della visita redatta dal dott. Zagra. Segue una valutazione dell’accuratezza nell’individuazione dei principali quadri cardiologici acuti da parte di uno studente di scienze infermieristiche per mezzo di un esame ecocardiografico mirato: lo studio, condotto presso il DEA dell’Ospedale di S. Benedetto del Tronto, dimostra la sostanziale sovrapponibilità tra la valutazione infermieristica e quella medica sia in termini di riconoscimento della patologia cardiaca che nell’attribuzione del conseguente codice di priorità. Infine, due analisi della letteratura: una riguardante l’impiego in emergenza-urgenza dei cateteri venosi mini-mid line, cannula periferica lunga (redatta da Morosini e coll.), e una sui trasporti urgenti inter-ospedalieri, che include anche dati reali provenienti dalla provincia di Macerata.

Conclude sempre degnamente la revisione delle principali novità della letteratura curata dal dott. Rodolfo Ferrari.

Buona lettura!

 

Cochrane Corner: I corticosteroidi nel trattamento dei pazienti affetti da sepsi

giovedì, aprile 7th, 2016

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali

L’impiego di steroidi nella sepsi ha una lunga storia. Inizialmente furono proposti trattamenti con alte dosi per brevi periodi, la cui è efficacia è stata smentita da alcune revisioni alla metà degli anni’90 (1). Per questo motivo sono stati proposti regimi terapeutici a basati su dosi più basse, ma le evidenze a riguardo risultano tutt’ora contraddittorie con i due più importanti trial randomizzati che riportano conclusioni conflittuali (Annane 2002 e Sprung 2008).

Secondo le linee guida della Surviving Sepsis Campaing, i corticosteroidi non andrebbero impiegati nei pazienti con sepsi. Nel caso di pazienti con shock settico, la somministrazione andrebbe riservata a coloro i quali permangono ipotesi dopo adeguato riempimento volemico e introduzione di vasopressori. Qualora indicato, viene consigliato l’impiego di idrocortisone con dose massima giornaliera di 200 mg. Il trattamento andrebbe scalato quando non vi è più necessità di supporto aminico (2).

La revisione sistematica che andremo a vedere affronta nuovamente il tema, proponendosi di sintetizzare le evidenze fin qui pubblicate.

 

La Revisione Cochrane (3)

Titolo: Corticosteroids for treating sepsis.

Autori: Annane D, Bellissant E, Bollaert PE, Briegel J, Keh, Kupfer Y.

Citazione bibliografica: Cochrane Database Syst Rev 2015; 12: CD002243.

Link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2663326

Obiettivo: Esaminare gli effetti dei corticosteroidi sulla mortalità ad un mese e valutare se la dose e la durata del trattamento influenzano la risposta al trattamento.

Studi inclusi: trial randomizzati controllati, in cieco o meno.

Outcome primario: mortalità totale a 28 giorni

Outcome secondari: mortalità in Terapia Intensiva, mortalità intra-ospedaliera, regressione dello shock a 7 e 28 giorni, entità della disfunzione d’organo, durata della degenza in Terapia Intensiva, durata della degenza ospedaliera, eventi avversi.

N°. di studi inclusi: 33

N° di pazienti: 4268

Risultati:

 

 

Parametro

Risultato

N° di pazienti

Mortalità a 28 giorni

Corticosteroidi vs. controllo*

Risk ratio

0,87 (I.C. 95% 0,76 – 1,00)

3176

Corticosteroidi (basse dosi, lunga durata) vs. controllo

Risk ratio

0,87 (I.C. 95% 0,78 – 0,97)

2266

Corticosteroidi (alte dosi, breve durata) vs. controllo

Risk ratio

0,96 (I.C. 95% 0,80 – 1,16)

910

Corticosteroidi vs. controllo (solo studi con doppio cieco adeguato)

Risk ratio

0,95 (I.C. 95% 0,84 – 1,08)

2259

Corticosteroidi vs. controllo (solo pazienti con shock settico)

Risk ratio

0,88 (I.C. 95% 0,78 – 0,99)

1444

Mortalità intra-ospedaliera

Corticosteroidi vs. controllo

Risk ratio

0,85 (I.C. 95% 0,73 – 0,98)

2014

Corticosteroidi (basse dosi, lunga durata) vs. controllo

Risk ratio

0,91 (I.C. 95% 0,82 – 1,01)

1708

Differenza del SOFA score a 7 giorni

Corticosteroidi vs. controllo

Differenza delle medie

-1,53 (I.C. 95% -2,04 – 1,03)

1132

Eventi avversi

Sovrainfezioni

Risk ratio

1,02 (I.C. 95% 0,87 – 1,20)

2567

Iperglicemia

Risk ratio

1,26 (I.C. 95% 1,16 – 1,37)

2081

Emorragia digestiva

Risk ratio

1,24 (I.C. 95% 0,92 – 1,67)

2382

 

Tabella 1. Riassunto dei principali risultati. * solo due studi non prevedevano placebo. Basse dosi sono definite come dosi inferiori a 400 mg al giorno di idrocortisone o dosaggi equivalenti; se la durata del trattamento è ≥ a 3 giorni è definita lunga.

 

Interpretazione – conclusioni

Anche questa revisione evidenzia come l’impiego di corticosteroidi abbia un’efficacia molto scarsa nel trattamento del paziente con sepsi, anche nel caso si impieghino basse dosi per periodi prolungati. Parte dell’efficacia registrata potrebbe essere legata puramente alle limitazioni metodologiche degli studi primari, come dimostrato dalle analisi per sottogruppi: qualora vengano presi in considerazione solo gli studi di migliore qualità, l’impatto sulla sopravvivenza a 28 giorni viene completamente vanificato.

Anche l’impiego nei soli pazienti con shock settico, suggerito dalla Surviving Sepsis Campaign, sembrerebbe avere un impatto modesto, ai limiti della significatività statistica. Tali effetti devono essere considerati alla luce di un aumento del rischio di iperglicemia pari al 26%.

Questi dati potrebbero essere in qualche modo in accordo con la visione proposta recentemente nelle nuove definizione di sepsi e shock settico proposte dalla Society for Critical Care Medicine e l’European Society for Intensive Care Medicine secondo cui l’elemento con il maggior impatto sulla sopravvivenza del paziente con infezione e sepsi non è l’entità della risposta infiammatoria (la cui riduzione è l’obiettivo del trattamento con corticosteroidi) ma l’insorgenza di disfunzione d’organo. A questo riguardo, comunque, l’impiego di steroidi sembrerebbe avere un effetto benefico, garantendo la riduzione del SOFA score di circa 1,5 punti: questo dato potrebbe portare a riconsiderarne le indicazioni nei pazienti a maggiore rischio.

 

Bibliografia

  1. Lefering R, Neugebauer EAM. Steroid controversy in sepsis and septic shock: a meta-analysis. Crit Care Med 1995;23(7):1294–303. Link

  2. Dellinger RP, et al. Surviving Sepsis Campaign: International Guidelines for Management of Severe Sepsis and Septic Shock: 2012. Crit Care Med 2013; 41:580–637. Link

  3. Annane D, Bellissant E, Bollaert PE, Briegel J, Keh D, Kupfer Y. Corticosteroids for treating sepsis. Cochrane Database Syst Rev 2015; 12: CD002243. Link

  4. Singer M, et al. The Third International Consensus Definitions for Sepsis and Septic Shock (Sepsis-3). JAMA 2016;315(8):801-810. Link

Lo scompenso cardiaco acuto in Pronto Soccorso: uno studio multicentrico Simeu

lunedì, marzo 14th, 2016

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog Simeu

Su Twitter: @P_Balzaretti

Lo scompenso cardiaco acuto rappresenta una causa frequente di accesso al Pronto Soccorso e in prospettiva, considerando il progressivo invecchiamento della popolazione, si può ipotizzare che il Suo impatto sia destinato a crescere nel prossimo futuro.

Lo studio multicentrico Safe (Screening for Acute Heart Failure in the Emergency Department), promosso dal Centro Studi Simeu e pubblicato recentemente su Internal and Emergency Medicine (1), si propone proprio di chiarire le caratteristiche cliniche e l’outcome dei pazienti affetti da scompenso cardiaco acuto nei Dea italiani. La popolazione è costituita da 1234 pazienti, presentatisi per scompenso cardiaco tra gennaio 2011 e dicembre 2012 nei Dipartimenti di Emergenza degli Ospedali di Forlì, Reggio Emilia e Padova (S. Antonio).

I risultati definiscono un quadro chiaro: i pazienti con scompenso cardiaco sono anziani, con un’età mediana pari a 84 anni, nel 56% dei casi donne. Circa il 70% dei pazienti ha tre o più comorbidità. La prognosi è seria: ad un anno di follow up, il 50% dei pazienti è deceduto mentre il 31% è andato incontro a recidive. Questi dati confermano altri lavori presenti in letteratura, fornendo un follow up a più lungo termine (2).

Due spunti di riflessione emergono dallo studio. In primo luogo, risulta evidente ancora una volta la distanza tra i pazienti con scompenso cardiaco che incontriamo nella nostra pratica quotidiana e quelli arruolati nei trial clinici (i quali sono più spesso uomini e mediamente più giovani (3)), con i relativi limiti di applicabilità dei loro risultati. Un’altra priorità evidenziata riguarda la necessità di studiare strategie per prevenire le recidive di scompenso cardiaco con relativo ritorno in Pronto Soccorso, sia in nell’ottica di miglioramento della qualità di vita dei pazienti che di utilizzo ottimale delle scarse risorse a disposizione.

Questo studio costituisce un’altra importante tappa nella creazione di una rete di ricerca nella Nostra Società, la quale è in grado di aprire una finestra su una popolazione, quella dei pazienti che afferiscono Pronto Soccorso italiani, ancora non adeguatamente rappresentata nella letteratura medica internazionale. Il Centro Studi Simeu ha altri progetti in corso; una panoramica sulle sue attività è disponibile a questo link. Potete contattare direttamente la Società per ulteriori informazioni: info@simeu.it

Bibliografia

  1. Fabbri A, Marchesini G, Carbone G, Cosentini R, Ferrari A, Chiesa M, Bertini A, Rea F. Acute heart failure in the emergency department: a follow-up study. Intern Emerg Med. 2016;11:115. Link

  2. Collins SP, Pang PS, Lindsell CJ, Kyriacou DN, Storrow AB, Hollander JE, Kirk JD, Miller CD, Nowak R, Peacock WF, Tavares M, Mebazaa A, Gheorghiade M. International variations in the clinical, diagnostic, and treatment characteristics of emergency department patients with acute heart failure syndromes. Eur J Heart Fail 2010; 12: 1253. Link

  1. Dhruva SS, Redberg RF. Variations between clinical trial participants and Medicare beneficiaries in evidence used for Medicare national coverage decisions. Arch Intern Med 2008;168:136. Link

COCHRANE CORNER: Gli antibiotici per la bronchite acuta

lunedì, gennaio 5th, 2015

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali

La bronchite acuta è un disturbo caratterizzato dalla presenza di tosse, produttiva o meno, protratta (della durata media di circa 14-21 giorni), per la quale sia stata ragionevolmente esclusa una polmonite. E’ autolimitantesi e si ritiene che la causa sia più frequentemente virale, anche se non si può avere una risposta definitiva visto che l’effettivo isolamento di un micro-organismo si verifica solo in una minoranza dei casi.

Per escludere la presenza di polmonite è possibile utilizzare l’Rx torace, tenendo presente che l’assenza di TUTTI questi riscontri riduce sostanzialmente la presenza di polmonite: a) temperatura corporea ≥ 38°C, b) frequenza respiratoria ≥ 24 atti/min, c) frequenza cardiaca ≥ 100 battiti/min, d) assenza di crepitii, fremito ed egofonia all’auscultazione toracica (1, 2).

Costituiscono situazioni a parte i pazienti con sospetta pertosse e quelli che presentano, quali comorbidità, BPCO o scompenso cardiaco, tutti casi di cui non tratteremo in questo post.

 

Ente

Anno

Raccomandazione

Forza della raccomandazione

ACP-CDC (1)

2001

Il trattamento antibiotico empirico non indicato per i pazienti con bronchite acuta.

ACCP (3)

2006

Per pazienti con verosimile diagnosi di bronchite acuta, il trattamento di routine con antibiotici non è giustificato e non dovrebbe essere offerto. La decisione di non impiegare antibiotici dovrebbe essere effettuata su base individuale […].

D (raccomandazione contraria); buona qualità dell’evidenza.

Wenzel (4)

2006

Gli antibiotici non sono raccomandati nella maggior parte dei casi di bronchite acuta.

Opinione di esperto

 

Tab. 1. Sintesi delle raccomandazioni attuali.

La Revisione Cochrane (5)

Titolo: Antibiotics for acute bronchitis

Autori: Smith SM, Fahey T, Smucny J, Becker LA.

Obiettivo: valutare l’impatto sugli outcome e gli eventi avversi della terapia antibiotica in pazienti con una diagnosi clinica di bronchite acuta.

Outcome primario: correlati alla tosse (durata della tosse, incidenza di espettorazione, proporzione dei pazienti con tosse, tosse notturna e tosse produttiva), valutazione complessiva del miglioramento da parte del medico al follow up, gravità dei sintomi, limitazione delle attività, alterazione dell’obiettività polmonare all’obiettività.

Outcome secondari: Eventi avversi.

N°. di studi inclusi: 17.

Qualità degli studi inclusi: complessivamente buona; i problemi principali si sono registrati in relazione alla randomizzazione e alla possibilità di selective reporting.

N° di pazienti: 3936

Risultati: sono riassunti nella tabella sottostante.

 

Parametro

Risultato

N° di pazienti

Tosse alla visita di follow up

Risk ratio

0,64 (I.C. 95% 0,49 – 0,85)

275

Differenza media dei giorni con tosse

Risk ratio

0,46 (I.C. 95% -0,87 – -0,004)

2776

Differenza media dei giorni in cui il paziente non si sente bene

Risk ratio

-0,64 (I.C. 95% -1,16 – -0,13)

809

Pazienti non migliorati alla valutazione complessiva di follow up*

Risk ratio

0,61 (I.C. 95% 0,48 – 0,79)

891

Eventi avversi

Risk ratio

1,20 (I.C. 95% 1,05 – 1,36)

3496

 

Tab.2. Sinossi dei risultati della revisione sistematica di Smith e colleghi. (*) In altri termini, l’impiego di antiobitici riduce il numero di pazienti che non risultano complessivamente migliorati alla visita di follow up.

Conclusioni

Complessivamente, l’utilizzo di antibiotici riduce la durata media della tosse, dei giorni di malessere e di quelli necessari per il recupero clinico.

Nonostante ciò, il bilancio tra rischi e benefici non sembra a favore dell’uso degli antibiotici, confermando le raccomandazioni riportate in precedenza. Infatti, a fronte di una riduzione modesta della durata della malattia (mezza giornata), si espone il paziente al rischio di eventi avversi (sebbene di scarsa entità) e si contribuisce all’incremento del rischio globale di antibiotico-resistenza per una patologia auto-limitantesi. Dato che, comunque, il bilancio rischi-benefici è dubbio, la valutazione se effettuare o meno deve essere fatta assolutamente su base individuale.

 

Bibliografia

  1. CDC. Acute Cough Illness (Acute bronchitis). Ultima revisione: Novembre 2013. Accesso in data 4/01/2014. Link

  2. Metlay JP, Kapoor WN, Fine MJ. Does this patient have community-acquired pneumonia? Diagnosing pneumonia by history and physical examination. J Am Med Ass 1997; 278: 1440-1445. Link

  3. Braman SS. Chronic cough due to acute bronchitis. ACCP Evidence-based Clinical Practice Guidelines. Chest 2006; 129: 95S-103S. Link

  4. Wenzel RP, Fowler AA, III. Acute bronchitis. New Engl J Med 2006; 355: 2125-2130. Link

  5. Smith SM, Fahey T, Smucny J, Becker LA. Antibiotics for acute bronchitis. Cochrane Database Syst Rev 2014; 3: CD000245. Link

MUBEE#14. Leggere i risultati di un studio: number needed to treat

martedì, dicembre 9th, 2014

 

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Internet, dandoci la possibilità di accedere più facilmente a studi scientifici originali, ci ha consentito di poggiare la nostra pratica clinica su basi più solide. Questi lavori, però, possono presentare l’efficacia del trattamento che esaminano in modi molto diversi, e ciò può influenzare la decisione del professionista di adottare il trattamento in questione o meno. In un precedente post abbiamo già parlato di riduzione relativa e assoluta del rischio, in questo post ci occuperemo del “number need to treat” (NNT).

Cos’è l’NNT e come si calcola

Proposto per la prima volta circa 25 anni fa’, l’NNT è una misura dell’efficacia di un intervento terapeutico e indica il numero di pazienti che devono essere trattati per prevenire un evento avverso aggiuntivo (1, 2). Dal punto di vista matematico è il reciproco della riduzione assoluta del rischio (1):

  • NNT = 1/ Riduzione Assoluta del Rischio = 1/ (tasso di eventi nel gruppo di controllo – tasso di eventi nel gruppo di trattamento);

nel caso il tasso di eventi sia presentato in forma percentuale:

  • NNT = 100/Riduzione Assoluta del Rischio = 100/(tasso di eventi nel gruppo di controllo – tasso di eventi nel gruppo di trattamento).

Maggiore è il valore dell’NNT, minore è l’efficacia dell’intervento terapeutico. Utilizziamo come esempio i dati di un recente trial sulla trombolisi nei pazienti con embolia polmonare, il PEITHO Trial, in cui la mortalità nei pazienti trattati è pari all’1,2% mentre nei controlli all’1,8%. Dunque: NNT = 100/(1,8 – 1,2) = 100/0,6 = 167. Ciò significa che è necessario sottoporre a trombolisi con tenectaplase 167 pazienti con embolia polmonare a rischio intermedio per prevenire un decesso (3).

Ecco alcuni esempi, giusto per avere un’idea del NNT di alcuni provvedimenti terapeutici che adottiamo abitualmente:

 

Tabella 1. Alcuni esempi di NNT.

 

Come si interpreta

Per interpretare correttamente l’NNT (soprattutto se si vogliono confrontare strategie terapeutiche diverse) bisogna tenere in considerazione quattro aspetti: il rischio nei pazienti non trattati (baseline risk), l’intervallo di tempo considerato, il trattamento di confronto e l’outcome.

Per quanto riguarda il primo, dato che la riduzione relativa del rischio tende ad essere costante per popolazioni con profili di rischio diversi, nelle popolazioni dove quest’ultimo è più alto, la riduzione assoluta del rischio è maggiore e dunque l’NNT minore. Per capire meglio riprendiamo nella tabella 2 l’esempio già utilizzato nel precedente post, riguardante l’impiego di antibiotici nella riacutizzazione di BPCO (4).

Tabella 2. Variazioni dell’NNT al variare del rischio di base (che corrisponde alla mortalità dei controlli). In UTI, dove la mortalità è maggiore, minore è il numero di pazienti da trattare per risparmiare un decesso. La riduzione relativa del rischio considerata è 5,7.

 

In altri termini, nei pazienti ricoverati in UTI, verosimilmente con rischio più alto di morte, il numero di pazienti da trattare per evitare un decesso è minore rispetto a ciò che succede in Medicina Interna e dunque si può ipotizzare che l’impatto del trattamento sia maggiore.

In secondo luogo, l’NNT tende a variare in base alla durata del follow up: per uno stesso farmaco e uno stesso outcome, l’NNT si riduce al prolungarsi della durata del periodo di osservazione (1). Ciò è più importante per le terapie croniche: spesso infatti si estrapolano i risultati di studi con 2-3 anni a periodi di trattamento molto più lunghi, come succede per esempio con gli anti-ipertensivi. Nel caso dell’Emergenza-Urgenza, i follow up sono più brevi e le differenze meno significative.

Terzo: l’NNT non è una proprietà intrinseca di un intervento terapeutico ma dipende dal trattamento adottato nel gruppo di controllo, sia in modo esplicito sia sotto l’etichetta di “usual care”. Per esempio, è possibile che l’NNT dell’aspirina nei pazienti con STEMI che abbiamo riportato prima, se misurato oggi in cui la terapia farmacologica è molto più ampia e comprende tra l’altro eparina e beta-bloccanti, sarebbe probabilmente più alto.

Infine, l’outcome: un farmaco ha un impatto su più esiti differenti (per es., mortalità, necessità di ricovero, etc.) e chiaramente l’NNT è diverso: per questo è necessario fare attenzione a confrontare trattamenti diversi facendo riferimento al medesimo outcome.

Come utilizzare l’NNT

Leggendo la tabella 1 vi sareste chiesti: “quando un NNT è sufficientemente piccolo per poter essere considerato interessante?”. Chiaramente non ci sono risposte univoche. Tra gli aspetti da tenere in considerazione, innanzitutto, la natura dell’outcome: per esiti particolarmente rilevanti, come la morte, è possibile prendere in considerazione NNT più alti. La rilevanza, se possibile, dovrebbe essere stabilita con il paziente.

In secondo luogo, dato che la decisione di somministrare un trattamento dovrebbe scaturire sempre da un bilancio tra rischi e benefici, oltre che l’NNT sarebbe opportuno tenere conto anche del Number Needed to Harm (NNH), ovvero il numero di pazienti che è necessario trattare per ottenere un effetto avverso. L’NNH permette di una avere una rappresentazione sintetica dei potenziali rischi cui la terapia espone, in modo tale da permettere di semplificare la valutazione dei “pro e contro” nel processo decisionale.

Limiti dell’NNT

Un limite importante dell’NNT riguarda l’intervallo di confidenza. In caso di risultati non statisticamente significativi, l’intervallo di confidenza della riduzione assoluta del rischio comprende anche il valore 0; in base alla nostra formula, l’NNT in questo caso sarebbe pari a “infinito” (∞), un risultato chiaramente inutilizzabile. Per questo, spesso l’intervallo di confidenza dell’NNT, soprattutto per risultati non significativi, non viene riportato: per questo è opportuno non accontentarsi ed è meglio sempre valutare anche il Rischio relativo, alla riduzione relativo del rischio e a quella assoluta da cui l’NNT è derivato e i relativi intervalli di confidenza.

Nonostante in origine si pensasse che la possibilità di racchiudere una stima di efficacia terapeutica in un singolo numero potesse semplificare la condivisione della informazioni con i pazienti, ciò purtroppo non si è rilevato vero. I pazienti (5), e probabilmente anche alcuni medici e infermieri, hanno difficoltà a comprendere l’NNT e ciò ne limita l’impiego.

NNT.com

Se siete rimasti positivamente impressionati da questa misura statistica, un fonte affidabile di risultati è il sito www.NNT.com, amministrato dal dott. David Newman (figura sempre più nota in America) e da alcuni colleghi. Vi sono raccolti numerosi NNT, principalmente inerenti alla Medicina d’Urgenza, organizzati in rapporto alla disciplina e all’utilità (in termini di rapporto rischio-beneficio), simboleggiata da simpatici “semafori”, di immediata comprensione.

 

Bibliografia

  1. McAlister FA. The “number needed to treat” turns 20 – and continues to be used and misused. Can Med Ass J 2008; 179: 549 – 553. Link to free ful text

  2. Barratt A, Wyer PC, Hatala R, McGinn T, Dans AL, Keitz S, Moyer V, Guyatt G, for the Evidence-based Medicine teaching Tips Working Group. Tips for learners of evidence-based medicine: 1. Relative risk reduction, absolute risk reduction and number needed to treat. Can Med Ass J 2004; 171: 353-358. Link to free full text

  3. Meyer G, Vicaut E, Danays T, et al for the PEITHO Investigators. Thrombolysis for patients with intermediate-risk pulmonary embolism. New Engl J Med 2014; 370: 1402-1411. Link

  4. Vollenweider DJ, Jarrett H, Steurer-Stey CA, Garcia-AimerichJ, Puhan MA. Antibiotics for exacerbations of chronic obstructive pulmonary disease. Cochrane Database of Systematic Reviews 2012; 12: CD010257. Link

  5. Zipkin DA, Umscheid CA, Keating NL, et al. Evidence-based risk communication: a systematic review. Ann Intern Med. 2014 Aug 19;161(4):270-80. Link

 

COCHRANE CORNER: Il magnesio solfato nel trattamento del paziente adulto con esacerbazione di asma in pronto soccorso

martedì, luglio 22nd, 2014

 

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

Su Twitter: @P_Balzaretti

 

Conoscenze attuali

L’asma è una patologia infiammatoria cronica delle vie aeree, caratterizzata dalla possibilità di periodiche esacerbazioni acute, le quali talvolta possono diventare potenzialmente fatali.

Gli strumenti terapeutici a disposizione nel Dipartimento d’Emergenza sono: l’ossigeno, in caso di insufficienza respiratoria, i beta-agonisti inalatori a breve durata d’azione, l’ipatropio bromuro inalatorio (in associazione ai beta-agonisti), i corticosteroidi (sistemici o inalatori) e il magnesio solfato per via endovenosa.

Quest’ultimo trova attualmente un ruolo come farmaco di seconda linea nel trattamento dell’attacco acuto grave di asma che non abbia avuto una risposta iniziale soddisfacente ai bronco-dilatatori inalatori e ai corticosteroidi o in caso di attacchi potenzialmente fatali (1, 2). La sua efficacia è stata già valutata in diverse revisioni sistematiche, le più recenti delle quali sono quella di Mohammed et al (3) e quella di Shan e colleghi (4) (i relativi risultati sono sintetizzati nella tabella 1). La necessità di una nuova sintesi delle evidenze disponibili (nella forma di un aggiornamento di una precedente revisione Cochrane, prodotta da Rowe e colleghi nel 2009), nasce dalla pubblicazione nel 2013 di un trial randomizzato da parte di Goodacre et al (5), il quale, con i suoi 1109 pazienti, è lo studio con la maggiore numerosità campionaria tra quelli in letteratura.

 

Autore Tipo di analisi Parametro Risultati Campione dell’analisi

Mohammed 2007

Funzione respiratoria

SMD

0,25 (I.C. 95% -0,01 – 0,51)

1699 pazienti

Ricovero ospedaliero

Risk ratio

0,87 (I.C. 95% 0,70 – 1,08)

Shan 2013

Funzione respiratoria

SMD

0,30 (I.C. 95% 0,05 – 0,55)

1754 pazienti

Ricovero ospedaliero

Risk ratio

0,86 (I.C. 95% 0,73 – 1,01)

Tab. 1. Sinossi. I dati riguardano solo la somministrazione per via endovenosa e solo in pazienti adulti. SMD: deviazione standard dalla media; un valore positivo indica un miglioramento della funzione respiratoria.

 

La Revisione Cochrane (6)

Titolo: Intravenous magnesium sulfate for treating adults with acute asthma in the Emergency Department.

Autori: Kew KM, Kirtchuk L, Michell CI

Obiettivo: valutazione della sicurezza e dell’efficacia della somministrazione di magnesio solfato (MgSO4) in adulti trattati per asma acuto in Pronto Soccorso.

Outcome primario: ricovero ospedaliero

Outcome secondari: durata della permanenza in Pronto Soccorso, incidenza del ricovero in Terapia Intensiva, parametri vitali (frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, pressione arteriosa, saturazione di ossigeno), parametri spirometrici (picco di flusso espiratorio, volume espiratorio forzato nel primo secondo (FEV1)), punteggio di intensità dei sintomi, eventi avversi.

N°. di studi inclusi: 14, di cui 13 inclusi nella meta-analisi

Qualità degli studi inclusi: sono stati inclusi trial randomizzati; i problemi più rilevanti riguardano la possibilità di attrition bias (legato all’elevato numero di pazienti che si sono ritirati dallo studio prima di raggiungere l’outcome) e pubblicazione selettiva dei risultati.

N° di pazienti: 2313 pazienti

Risultati: sono riassunti nella tabella seguente.

 

Parametro

Risultato

N° di pazienti

Ricovero ospedaliero

Odds Ratio

0,75 (I.C. 95% 0,60 – 0,92)

1769

Ricovero in unità di Terapia Intensiva

Odds Ratio

2,03 (I.C. 95% 0,7 – 5,89)

752

Durata del ricovero ospedaliero

Riduzione della durata media (giorni)

-0,03 (I.C. 95% -0,33 – 0,27)

949

Durata del trattamento in P.S.

Riduzione della durata media (minuti)

-4,00 (I.C. 95% -37,02 – 29,02)

96

FEV1 (% del predetto)

Variazione del valore medio

4,41 (I. C. 95% 1,75 – 7,06)

523

PEF

Variazione del valore medio (l/min)

4,78 (I. C. 95% 2,14 – 7,43)

1129

Frequenza respiratoria

Variazione del valore medio (atti/min)

-0,28 (I.C.95% -0,77 – 0,20)

1276

Frequenza cardiaca

Variazione del valore medio (battiti/min)

-2,37 (I.C. -4,13 – -0,61)

1195

 

Tab.2. Sinossi dei risultati della revisione sistematica di Kew e colleghi.

Per quanto riguarda gli eventi avversi, quelli segnalati più frequenti sono vampate di calore, astenia, nausea e cefalea. Nello studio più ampio, quello di Goodacre e colleghi (5), sebbene il rischio di eventi collaterali aumenti nei pazienti sottoposti a trattamento con MgSO4, interessa comunque non più del 16% dei pazienti. Questi dati riguardano un trattamento costituito da una singola somministrazione; dosi ripetute possono condurre a ipermagnesemia con relativa ipostenia muscolare e insufficienza respiratoria (1).

Conclusioni

Secondo questa revisione Cochrane, la somministrazione di 2 g di magnesio solfato in 100 ml di soluzione fisiologica infusi in 20-30 minuti, in aggiunta alla terapia con broncodilatatori inalatori, steroidi sistemici e ossigeno (impiegati nella maggior parte degli studi), ridurrebbe il rischio di ricovero ospedaliero e migliorerebbe la funzione respiratoria nei pazienti con asma acuto in Pronto Soccorso. Sebbene quest’ultima sia statisticamente significativa, l’impatto clinico è dubbio. La somministrazione contemporanea di ipatropio non sembrerebbe modificare l’efficacia del magnesio solfato. L’azione del farmaco sembrerebbe la medesima a prescindere dalla gravità del quadro clinico, anche se questa considerazione si basa su classificazioni di gravità incomplete ed eterogenee.

 

Bibliografia

  1. Scottish Intercollegiate Guidelines Network. British Guideline on the management of asthma. A national clinical guideline (SIGN 101). 2012 revision. Link al free full text

  2. Global Initiative for Asthma. Gobal strategy for Asthma management and prevention 2014. Available from: www.ginasthma.org.

  3. Mohammed S, Goodacre S. Intravenous and nebulised magnesium sulphate for acute asthma: systematic review and meta-analysis. Emerg Med J 2007; 24: 823-830. Link al free ful text

  4. Shan Z, Rong Y, Yang W, Wang D, Yao P, Xie J, Liu L. Intravenous and nebulized magnesium sulphate for treating acute asthma in adults and children: a systematic review and meta-analysis. Respir Med 2013; 107: 321-330. Link

  5. Goodacre S, Cohen J, Bradburn M, Gray A, Benger J, Coats T, on the behalf of the 3Mg Research Team. Intravenous or nebulised magnesium sulphate versus standard therapy for severe acute asthma (3Mg trial): a double-blind, randomised controlled trial. Lancet Respir Med 2013; 1: 293-300. Link al free full text

  6. Kew KM, Kirtchuk L, Michell CI. Intravenous magnesium sulfate for treating adults with acute asthma in the Emergency Department. Cochrane Database of Systematic Reviews 2014, Issue 5. Art.No.: CD010909. Link

MUBEE#12: Come cercare le revisioni sistematiche

mercoledì, luglio 9th, 2014

Dott. Paolo Balzaretti, redazione Blog SIMEU

@P_Balzaretti

La notevole espansione della letteratura scientifica (1) ha reso molto difficile, se non impossibile, riuscire a tenere il passo con le novità pubblicate. Per altro verso, i singoli studi primari spesso presentano risultati contradditori, sono costituiti da piccole popolazioni e presentano significativi limiti metodologici. Per superare questi problemi ha ricevuto un crescente impulso l’impiego di revisioni sistematiche, ovvero studi che tentano di identificare e rivalutare sistematicamente tutti gli articoli pertinenti a una campo, […] mettendone assieme i risultati (2). Per mezzo di questi lavori è possibile farsi un’idea di tutti gli articoli riguardanti uno specifico provvedimento clinico (terapeutico o diagnostico), della loro qualità e dell’efficacia complessiva dell’intervento, calcolata tenendo conto contemporaneamente dei risultati di tutti i singoli studi.

Quando si tratta di rispondere a quesiti specifici, il ricorso a revisioni sistematiche rappresenta un ottimo punto di partenza, così come confermato dalla posizione prossima al vertice nella piramide dell’evidenza. In questo post tenterò fornire qualche coordinata su come individuarle.

Banche dati: PubMed

Come nel caso delle linee guida, esistono banche dati generiche, che contengono lavori scientifici di varia natura tra cui revisioni sistematiche, e quelle specifiche, contenenti unicamente revisioni sistematiche. Tra le prime, le già citate MEDLINE® e Trip Database.

Ipotizziamo di voler approfondire l’efficacia della cardioversione elettrica nel trattamento della fibrillazione atriale parossistica. La stringa di ricerca che ho ipotizzato è la seguente:

Atrial fibrillation”[Mesh] AND (“Electric countershock”[MeSH] OR “Cardioversion”[Text Word])

Nel caso di MEDLINE®, è possibile partire nel modo più semplice utilizzando il filtro di ricerca fornito dal database stesso.

E’ possibile farvi ricorso in tre modi diversi:

1) Passando attraverso le Clinical Queries (vedi post precedente sull’argomento): dopo aver effettuato l’accesso al servizio attraverso l’homepage di PubMed e aver inserito la nostra stringa di ricerca, otterremo la seguente videata:

Fig. 1. Ricerca delle revisioni sistematiche tramite PubMed Queries.

Nella colonna centrale compariranno i risultati individuati attraverso il filtro di PubMed. Cliccando su “See all” si accederà alla schermata classica dei risultati di PubMed con tutte le citazioni.

2) Un’altra possibilità consiste nell’inserirlo come filtro della categoria “Article types” dalla pagina dei risultati della ricerca:

Fig. 2. Pagina dei risultati per una ricerca in PubMed. Nella colonna di sinistra è presente la lista dei filtri, tra cui quello del tipo di pubblicazioni.

Per vedere come aggiungere delle voci nei filtri laterali si può tornare al relativo post.

3) Infine, è possibile inserirlo “a mano”, direttamente nella nostra stringa di ricerca, che diventerà:

(“Atrial fibrillation”[Mesh] AND (“Electric countershock”[MeSH] OR “Cardioversion”[Text Word])) AND “systematic”[sb]

Dove il tag [sb] sta per “subset”. Come noterete se replicate gli esempi, il numero dei risultati è sempre lo stesso.

Vi segnalerei alcune possibilità aggiuntive. Si può inserire nella stringa di ricerca un termine per selezionare per il tipo di pubblicazione: quelle inerenti alle revisioni sistematiche sono “Review”[ptyp] e “Meta-Analysis”[ptyp]. La prima è gravata dal limite di non essere particolarmente specifica, essendo associata anche a revisioni non sistematiche.

E’ possibile infine inserire i termini revisione sistematica e meta-analisi come stringhe di testo da ricercare nel titolo e nell’abstract della citazione: “Sistematic review”[TIAB] OR “Meta-analysis”[TIAB]. Non ho idea di quanto sia sensibile e specifico il loro impiego, ma quanto meno permette di individuare articoli recenti, appena inseriti in PubMed ma non ancora indicizzati (per approfondire la questione, si veda il post relativo).

Banche dati: Trip Database

Passiamo ora a Trip Database (per chi desiderasse dare una ripassata su cosa sia e come funzioni, abbiamo pubblicato un post dedicato qualche tempo fa’). Inserendo nel box di ricerca la stringa:

Atrial fibrillation” AND (“Electric countershock” OR “Cardioversion”),

 

si ottengono 1589 risultati, di cui circa 66 sono revisioni sistematiche. E’ possibile filtrare i risultati utilizzando i tasti sulla barra destra.

Fig. 3. I risultati della ricerca in Trip Database.

Questo servizio offre un’ulteriore classificazione dei risultati sono in rapporto al database da cui sono state ottenute (vedi fig. 4). Com’è noto, cliccando sui titoli delle citazioni, si può accedere direttamente all’URL del documento per poterlo leggere.

Fig. 4. Classificazione dei risultati in Trip Database. Non saprei dire perché, dopo avervi cliccato sopra, il numero di revisioni sistematiche si riduca a 64.

 

Banche dati specifiche: DARE

Il Database of Abstracts of Reviews of Effects, DARE, è un archivio specifico di revisioni sistematiche mantenuto dal Center for Reviews and Dissemination dell’Università di Sheffield ed è parte del britannico National Health Service.

Gli operatori del CRD “sondano” settimanalmente, per mezzo di uno specifico filtro di ricerca, i database CINAHL, Embase, MEDLINE, PsycINFO, PubMed per individuare revisioni sistematiche, articoli di valutazione economica e di Health Technology Assessment. Ognuno di questi lavori viene sintetizzato e analizzato criticamente. DARE è gratuito ma offre unicamente l’abstract e il commento critico alla revisione sistematica, non l’intero lavoro.

 

Fig. 5. Homepage del database DARE.

 

Inseriamo la nostra stringa di ricerca, spezzettandola come richiesto. E’ possibile effettuare ricerche anche tramite i termini MeSH. Otteniamo 39 citazioni, come riportato nella figura seguente.

Fig. 6. E’ importante ricordarsi di impostare il “campo” dove vogliamo sia ricercato il termine (uno qualsiasi, titolo, autore, etc.) (freccia blu). E’ altresì importante selezionare il database in cui desideriamo che sia fatta la ricerca (nel nostro casio, DARE) (freccia rossa).

Cliccando sul titolo della citazione viene aperta la scheda dedicata al lavoro, contenente una sintesi della revisione (con i relativi risultati) e il commento metodologico degli esperti del CRD.

Il DARE rappresenta un ottimo punto di partenza per le nostre ricerche, soprattutto perché offre anche una valutazione critica dei risultati.

Vi segnalo infine Health Evidence (www.health-evidence.ca), un servizio gratuito ma con registrazione obbligatoria, gestito dalla McMaster University, che archivia, con un sistema simile a quello del DARE, revisioni sistematiche riguardanti temi di sanità pubblica, come la prevenzione e l’informazione sanitaria.

Per approfondire i singoli filtri di ricerca e relative metodologie si può consultare il lavoro di Lee e colleghi. Stranamente non è incluso il filtro di ricerca impiegato da PubMed per il suo “Systematic”[sb] (3).

Enti redattori di revisioni sistematiche: la Cochrane Library

La Cochrane Collaboration è una rete di medici e ricercatori che, elaborando sintesi delle evidenze disponibili soprattutto in forma di revisioni sistematiche, vuole renderle più accessibili e fruibili agli operatori e ai pazienti. Per una breve storia della Cochrane Collaboration potete cliccare qui.

Una delle iniziative della Cochrane Collaboration è la Cochrane Library, un database che contiene le revisioni sistematiche pubblicate dall’organizzazione, oltre ad altri documenti quali le revisioni commentate del DARE e i trial clinici archiviati in CENTRAL.

Fig. 7. L’homepage della Cochrane Library.

La revisioni Cochrane sono ricercabili in tre modi: navigando tra i singoli argomenti attraverso il menu nella colonna sinistra, operando una ricerca semplice con il box in alto o una più avanzata.

Fig. 8. Pagina dei risultati di una ricerca nella Cochrane Library.

A prescindere del metodo utilizzato, si otterrà una pagina dei risultati come quella illustrata nella figura 8. Cliccando sul titolo della citazione, si accede all’abstract competo (fig. 9.).

Fig. 9. Pagina dell’abstract della Cochrane Library. Modificata.

Le versioni complete in pdf delle revisioni (riassunto, standard e completa) sono a pagamento. Com’è nella tradizione della Cochrane Collaboration, gli abstract sono molto accurati ed esaustivi. E’ possibile farsi un idea abbastanza precisa dei risultati del lavoro leggendo solo questi.

Bibliografia

  1. Bastian H, Glasziou P, Chalmers I. Seventy-five trials and eleven systematic reviews a day: how will we ever keep up? PLoS Med. 2010;7(9):e1000326. Link al free full text

  2. Gosall N, Gosall G. The Doctor’s Guide to Critical appraisal. 3rd ed. Knutsford, UK: PasTest Ltd.; 2012. Section D, Systematic reviews and meta-analyses; e-book.

  3. Lee E, Dobbins M, DeCorby K, McRae L, Tirilis D, Husson H. An optimal search filter for retrieving systematic reviews and meta-analyses. BMC Med Res Methodol 2012; 12: 51. Link free full text

Note: la ricerca bibliografica contenuta in questo post ha solo un scopo esemplificativo e non può considerarsi completa o validata. Tutte le ricerche sono state effettuate il 5 luglio 2014.

Fare di più non significa fare meglio: cinque raccomandazioni per rendere più appropriata la nostra pratica clinica

martedì, giugno 10th, 2014

di Bartolomeo Lorenzati, redazione blog Simeu

@BatoLorenzati

La spesa pro-capite per l’assistenza sanitaria è molto elevata e, dal 2003 al 2011, il costo medio per un accesso in DEA negli Stati Uniti è aumentato del 240%, passando da 560$ a 1355$. Analogamente agli USA accade in Italia ed in tutti gli stati del mondo che possono offrire ai propri cittadini le più avanzate tecniche per i percorsi diagnostico-terapeutici.

La Campagna Choosing Wisely, lanciata nel 2013 dall’American Board in Internal Medicine e ripresa in Italia dall’associazione “Slow Medicine”, ha proposto alle principali società scientifiche di individuare 5 test (ematochimici o di imaging) ritenuti di poco valore diagnostico e pertanto eliminabili (vedi anche il post su SIMEU blog). L’American College of Emergency Physicians ha individuato:

  1. non richiedere la TC cranico nei pazienti con trauma cranico lieve che sono a basso rischio di sanguinamento secondo gli score validati;

  2. non posizionare il catetere vescicale in Pronto Soccorso per il monitoraggio della diuresi nei pazienti emodinamicamente stabili, o solamente per la comodità del paziente o dello staff;

  3. non ritardare l’attivazione delle cure palliative e dell’hospice per i pazienti che ne potrebbero trarre beneficio;

  4. evitare l’utilizzo di antibiotici e di esami colturali per i pazienti con infezioni cutanee non complicate o ascessi sottoposti a drenaggio;

  5. evitare il posizionamento di accessi venosi per la terapia reidratante nei bambini prima di aver provato la somministrazione orale.

Nel Febbraio 2014, da parte della “Partners Healthcare”, sono stati pubblicati su JAMA Internal Medicine (1) i risultati di un Consensus Development Project organizzato con la scopo di ridurre i costi nella medicina d’urgenza. Tale gruppo era composto da sei Emergency Physicians operanti in differenti ospedali del Massachusetts (due Ospedali accademici e quattro Ospedali pubblici), con un totale di più di 320000 passaggi annui.

Gli autori dello studio hanno elaborato l’indagine valutativa suddividendola in 4 fasi: inizialmente, hanno identificato una serie di accertamenti diagnostici di basso valore clinico e sotto il diretto controllo prescrittivo degli urgentisti, in un secondo tempo li hanno suddivisi in base a criteri di rischio/beneficio, costo ed accessibilità. Al termine sono stati ottenuti 64 esami successivamente sottoposti al giudizio del technical expert panel (TEP) appositamente formato che ha individuato 5 accertamenti di basso valore diagnostico.

Le di 5 raccomandazioni inserite nella top-five list sono:

  1. non richiedere la TC della colonna cervicale per eventi traumatici nei pazienti che non soddisfano i National Emergency X-ray Utilization Study (NEXUS) o del Canadian C-Spine Rule;

  2. non richiedere la TC torace con mdc per sospetto di tromboenbolia polmonare (EP) senza aver prima stratificato il rischio per EP;

  3. non richiedere la risonanza magnetica della colonna lombare per dolore in assenza di elevati fattori di rischio;

  4. non richiedere la TC del cranico per i pazienti con trauma cranico lieve che non soddisfino i New Orleans Criteria o i Canadian CT Head Rule;

  5. richiedere la coagulazione solamente nei pazienti con coagulopatia sospetta o emorragie in corso.

Nonostante sia universalmente riconosciuto che la medicina debba basarsi su prove scientifiche di efficacia, da tempo è stato evidenziato che molti esami e molti trattamenti sia farmacologici che chirurgici, largamente diffusi nella pratica medica, non apportano benefici per i pazienti, anzi rischiano di essere dannosi.

Anche presso l’Azienda Ospedaliera in cui lavoro, il S. Croce e Carle di Cuneo, da settembre 2013 è stato avviato il progetto Aziendale “Fare di più non significa fare meglio – Le 3 pratiche a rischio di inappropriatezza” con lo scopo di migliorare la qualità e la sicurezza dei servizi erogati dalla nostra Azienda.

La nostra divisione ha individuato:

  1. evitare il posizionamento di CVP (catetere venoso periferico) ai pazienti valutati in DEA che necessitano esclusivamente di prelievo venoso, ai quali si presume ragionevolmente una mancata necessità di terapia infusionale;

  2. evitare l’esecuzione della radiografia della colonna cervicale a pazienti politraumatizzati, coscienti, asintomatici, valutabili clinicamente e senza deficit mielici (criteri Nexus + Canadian Study);

  3. evitare l’esecuzione di TC cranio ai pazienti vittima di trauma cranico minore, e considerati low-risk per danni cerebrali (età, comorbidità, dinamica, sintomi), secondo score clinici validati.

L’idea della Top Five List, della Choosing Wisely campaign o del progetto “Slow Medicine” sono utili per farci riflettere sull’utilizzo delle indagini diagnostiche inopportune e costose nella nostra professione. Storicamente i medici operano rivolti ai propri pazienti e noi ai costi, così che nel 1984 Livinsky scrisse “When practicing medicine, doctors cannot serve two masters. The doctor’s masters should be the patient”. Oggigiorno tutte le professioni sanitarie devono confrontarsi con la pressione nel migliorare sempre la qualità dei servizi offerti e con la necessità di prestare attenzione ai costi dei servizi erogati. Trovo pertanto molto interessante la spinta auto valutativa che hanno fornito tali campagne nell’ultimo anno.

Bibliografia

  1. Schuur JD, Carney DP, Lyn ET, Raja AS, Michael JA, Ross NG, Venkatesh AK. A top-five list for emergency medicine: a pilot project to improve the value of emergency care. JAMA Intern Med. 2014 Apr;174(4):509-15. Link

L’affidabilità delle linee guida: un’intervista al dottor Primiano Iannone

mercoledì, marzo 19th, 2014

di Paolo Balzaretti, redazione blog Simeu

@P_Balzaretti


Le linee guida rappresentano da sempre una tipologia di lavoro scientifico molto discussa. Tra i limiti che da sempre ne hanno ostacolato la diffusione ci sono le difficoltà di adottare indicazioni diagnostico-terapeutiche create in altri contesti geografici e culturali, l’eccessiva rigidità e complessità di alcuni documenti e i dubbi riguardo all’affidabilità del processo che conduce alla loro pubblicazione.

A proposito di quest’ultimo punto, il dott. Iannone, primario della Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso dell’Ospedale di Chiavari, ha recentemente pubblicato su JAMA Internal Medicine un’interessante analisi del grado di evidenze che sta alla base delle linee guida pubblicate da importanti società scientifiche internazionali. Abbiamo colto l’occasione per intervistarlo e approfondire ulteriormente questi temi.

Dott. Iannone, potrebbe sintetizzarci gli obiettivi e risultati del vostro lavoro?

L’obiettivo principale è stato – attraverso un case study – valutare i limiti degli attuali strumenti e metodi utilizzati per giudicare l’affidabilità delle raccomandazioni presentate dalle linee guida. Finora, l’aderenza a griglie valutative predefinite come l’AGREE e la concordanza delle raccomandazioni fra linee guida sullo stesso argomento emanate da fonti diverse erano ritenute sufficienti per ritenerle credibili. Noi abbiamo dimostrato il contrario, poiché ben tre linee guida nominalmente “evidence based” di rinomate società scientifiche fornivano raccomandazioni erronee sull’uso del dronedarone, se misurate col metro del sistema GRADE, il più sofisticato, rigoroso ed esplicito sistema di produzione di raccomandazioni, messo a punto, tra gli altri, dal mio grande e compianto maestro Alessandro Liberati. Ciò invita i lettori ad una maggiore cautela nell’interpretare le raccomandazioni delle linee guida soprattutto in presenza di conflitto d’interessi dichiarato o sospetto e evidenti difetti metodologici, e stimola le società scientifiche a produrre linee guida di maggiore qualità. Questo non vuol dire che le linee guida, soprattutto quelle prodotte da organismi governativi come NICE, SIGN o l’OMS, in assenza di conflitto d’interessi, con solide basi metodologiche, e con la partecipazione di tutti gli stakeholders – non solo degli specialisti, quindi- non debbano essere prese in seria considerazione. Purtroppo, invece, le linee guida delle società scientifiche erano poco affidabili vent’anni fa e lo rimangono spesso tuttora.

Parte del vostro lavoro di analisi si è concentrato sui potenziali conflitti di interesse degli estensori dei documenti, derivanti dai loro legami con le industrie farmaceutiche. Secondo Lei questi rapporti possono influenzare significativamente il processo di preparazione delle linee guida?

Il conflitto d’interessi non basta dichiararlo: bisogna gestirlo e neutralizzarlo e, come dice Lisa Bero, esiste un limite oltre il quale è inaccettabile.

Un’ampia gamma di evidenze suggerisce che il conflitto d’interessi sia in grado di influenzare significativamente l’affidabilità delle linee guida. Nel case study che abbiamo analizzato, quello del dronedarone, vi era una presenza pervasiva di esperti con forti legami con la casa produttrice del farmaco. Addirittura le Linee Guida europee, le più sbilanciate a favore del dronedarone, avevano nel panel il prinicipal investigator di uno dei maggiori trials – sponsorizzati- su quel farmaco. Si badi bene che il conflitto d’interessi non è solo di natura economica. Può essere anche di natura intellettuale, come nel caso succitato, e del tutto in buona fede. L’importante è riconoscerlo, ammetterlo e controllarlo. C’è anche chi sostiene che le linee guida debbano essere fatte da persone prive del tutto di conflitto d’interessi. Soprattutto se le evidenze sono oggettive, come quelle scaturite dai trials, non c’è alcun bisogno di esperti “conflicted” per decidere se una determinata raccomandazione possa essere sostenuta o no ma buon senso clinico, onestà scientifica e, magari, maggiore attenzione ai genuini interessi dei pazienti e della società nel suo complesso.

C’è una crescente consapevolezza del fatto che in letteratura c’è una maggiore disponibilità di informazioni riguardanti l’efficacia dei nuovi farmaci piuttosto che la loro sicurezza: è d’accordo? Ciò può influire sulle raccomandazioni pubblicate?

Certamente. Si è spesso propensi a dimenticare che i trials possono – se ben condotti – dare informazioni affidabili sulla efficacia dei trattamenti. Gli effetti collaterali, invece, soprattutto se rari e inattesi, sono molto meno rilevabili con questo strumento di indagine, ed è per questo che occorre moltissima cautela prima di raccomandare nuovi trattamenti che magari conferiscono vantaggi clinici marginali – quando ci sono – e poi si scopre che sono dannosi. Le raccomandazioni cliniche dovrebbero incorporare questo principio di cautela, ma spesso non lo fanno.

Quali sono i passi più importanti che possono essere intrapresi per aumentare l’affidabilità delle linee guida?

Innanzitutto, sarebbe bene che le società scientifiche specialistiche che sono le maggiori indiziate di produrre raccomandazioni fallaci si aprissero di più all’apporto di metodologi privi di conflitti di interesse, richiedendo il supporto e il know – how di organizzazioni governative (NICE, OMS, SIGN) con esperienze solide in questo ambito, per convertirsi a un maggiore rigore. Di fatto ancora oggi molte Linee Guida che si dichiarano evidence based in realtà sono basate sul consenso di esperti (spesso in conflitto d’interessi). Il metodo GRADE è lo strumento più idoneo per produrre raccomandazioni evidence based, ma anche qui non basta dichiararlo nei metodi della linea guida (come nel nostro case study hanno fatto i canadesi): bisogna dimostrare di aver seguito passo passo gli step previsti dal GRADE. Attenzione: il GRADE non elimina la soggettività insita in qualunque raccomandazione clinica, ma rende esplicite e chiare le dimensioni valutative che inducono il panel a decidere sulla forza (forte o debole) della raccomandazione e sulla sua direzione: rilevanza degli outcomes, precisione delle stime, congruenza dei risultati fra studi diversi, difetti metodologici degli studi primari, bilancio complessivo fra vantaggi e svantaggi, preferenze dei pazienti, costi e risorse. Solo e soltanto le raccomandazioni che tengono conto di tutti questi fattori si possono realmente considerare credibili.

In secondo luogo, non si vede proprio il bisogno che ogni società scientifica produca la sua linea guida su un argomento trito e ritrito. Nel caso della fibrillazione atriale, ne abbiamo analizzate ben tre, tutte rilasciate in un breve lasso di tempo e praticamente sulle stesse evidenze. Erano proprio necessarie o ne bastava una? Una maggiore coordinazione fra le medical specialty societies sarebbe quindi auspicabile.

Del conflitto d’interessi si è già detto, ma certamente le relazioni fra case farmaceutiche e società scientifiche specialistiche vanno riviste, per evitare che le loro linee guida non finiscano per diventare (sempre più) strumento di marketing surrettizio, invece che di orientamento clinico.

Vi è inoltre l’importante aspetto legato alla composizione del panel degli esperti ed estensori delle linee guida: medici generalisti, metodologi, pazienti dovrebbero affiancare in proporzione adeguata gli “esperti” per evitare il cosiddetto “good intention bias”. E’ noto che gli specialisti sovrastimano i benefici e sottostimano i rischi dei trattamenti e forniscono raccomandazioni tendenzialmente sbilanciate, pur se animati dalle migliori buone intenzioni.

Ma soprattutto, tenuto conto che gli strumenti di valutazione formale della qualità delle linee guida (come l’AGREE) non catturano adeguatamente la questione essenziale – cioè se le loro singole raccomandazioni sono affidabili o no e i nuovi criteri IOM sono forse troppo restrittivi per un loro utilizzo routinario, lo spirito critico degli utilizzatori rimane la migliore misura per favorire il miglioramento di questi strumenti decisionali. Un cosiddetto “public marketplace” delle Linee Guida, con “quotazioni” stabilite da un dibattito sul web, moderato, ospitato da una organizzazione autorevole, spassionato e pubblico del loro valore, come è stato suggerito, potrebbe essere un grande strumento a favore dei medici, pazienti e decisori. Oltre che degli estensori delle linee guida stesse, ovviamente.

MUBEE#11: Dove cercare le linee guida

martedì, febbraio 11th, 2014

di Paolo Balzaretti, redazione blog Simeu

@P_Balzaretti

 

Secondo l’americano “Institute of Medicine”, le linee guida sono documenti che includono raccomandazioni volte ad ottimizzare l’assistenza al paziente, il cui contenuto si basa su revisioni sistematiche della letteratura e su una valutazione dei rischi e dei benefici delle varie opzioni assistenziali alternative (1).

Come sappiamo, questi sono tra i documenti più controversi della letteratura scientifica: sebbene siano state concepite per facilitare la gestione del paziente, rendendo più fruibili le evidenze e riducendo le disomogeneità nell’approccio clinico, le linee guida sono state percepite spesso come vincoli alla libertà decisionale del medico. Inoltre, la loro diffusione è ostacolata dalla difficoltà che si può sperimentare adottando indicazioni diagnostico-terapeutiche create in altri contesti geografici e culturali e i dubbi circa la possibilità che talvolta le raccomandazioni costituiscano una forma di pressione operata dall’industria farmaceutica per mezzo di esperti con troppi conflitti d’interesse (2).

Nonostante ciò, non si può praticare la medicina oggi pretendendo di prescindere completamente dalla consultazione delle linee guida; in questo post tenterò di darvi alcune indicazioni su dove rintracciare le più interessanti.

Banche dati

Iniziamo con le banche dati. Ci sono quelle generiche, di cui ci siamo già occupati, che contengono documentazione scientifica di varia natura, tra cui anche linee guida, e quelle specifiche, create per contenere unicamente quest’ultime.

Tra le prime, ci due risorse di cui abbiamo già trattato, MEDLINE® e Trip Database. Nel primo caso, possiamo operare filtrando i risultati della nostra ricerca aggiungendovi, per mezzo dell’operatore AND, la seguente stringa: (“Guideline”[ptyp] OR “Guideline*”[TI] OR “Recommendation*”[TI]). Facciamo un esempio: nel caso fossimo interessati a conoscere le linee guida per il trattamento del trauma cranico nel paziente in TAO, si potrebbe creare una stringa come quella riportata nella fig.1:

 

 

Fig. 1. [ptyp] è un tag che identifica il tipo di pubblicazione cui la citazione fa riferimento. Il tag [TI] fa’ si che la parola tra virgolette sia ricercata come termine libero solo nel titolo delle citazioni. Il simbolo “jolly” * (o wildcard) fa sì che PubMed ricerchi tutti i termini che presentano come radice la parola inserita tra virgolette (nel nostro caso, essenzialmente “Guideline” e “Guidelines”). E’ bene ricordarsi sempre di impiegare in modo corretto le parentesi per costruire stringhe complesse.

 

Questa ricerca restituisce, ahimè, solo due risultati. Ciò conferma che PubMed non può essere considerato l’unico strumento per cercare linee guida, soprattutto perché la maggior parte di questi documenti effettivamente non sono pubblicati sulle riviste peer-review indicizzate nella Banca dati ma su altri canali, quali i siti delle Società scientifiche.

Come abbiamo già visto, queste “fonti alternative” sono scandagliate in modo efficace da Trip Database. Inserendo la stringa nel box di ricerca:

(“Head trauma” OR “Head injury”) AND (“oral anticoagulation” OR “warfarin”)

Si ottengono 271 citazioni, di cui circa 100 sono linee guida. E’ possibile filtrare i risultati utilizzando i tasti sulla barra destra; le linee guida vengono automaticamente categorizzate in base alla nazione di provenienza e successivamente, nella istituzioni che le hanno pubblicate. Cliccando sul titolo della citazione è possibile raggiungere l’indirizzo internet del documento, talvolta direttamente in formato pdf.

Fig. 2. I risultati della ricerca in Trip database.

Trip Database è uno strumento potente per questo tipo di ricerche: è difficile che resterete a mani vuote utilizzandolo. L’unico rischio, al contrario, è quello di venire sommersi da molte citazioni non attinenti (nel nostro caso, riguardanti principalmente l’ictus).

Infine, un archivio specifico di linee guida da consultare assolutamente è il National Guidelines Clearinghouse (NGC). Gestito dall’Agency for Helthcare Research and Quality (parte dello U.S. Department of Health and Human Services), è un database nel quale sono raccolte raccomandazioni che soddisfano alcuni criteri specifici, stabiliti a priori (cliccate qui per ulteriori informazioni). Consultare la NCG garantisce molti vantaggi: innanzitutto, fornisce una sintesi strutturata (eventualmente scaricabile in formato pdf) di ogni linea guida archiviata, portando in evidenza i dati più salienti (è incluso anche il link diretto all’indirizzo del documento originale).

Fig. 3. I risultati della ricerca nella National Guidelines Clearinghouse.

Uno dei punti di maggior forza è il servizio “Compare Guidelines” che permette di confrontare, per mezzo di una tabella generata automaticamente, le sintesi di due o più linee guida, fornendo un utile strumento nel caso in cui, tra più documenti, si debba scegliere quale adottare.

Fig. 4. Il servizio “Compare guidelines” della National Guidelines Clearinghouse.

Nel nostro caso, l’inserimento della stringa già impiegata per Trip Database restituisce 12 citazioni, a prima vista più mirate e specifiche di quelle fornite da quest’ultimo.

 

Enti estensori di linee guida

E’ possibile anche scegliere di accedere direttamente agli archivi delle istituzioni maggiormente coinvolte nella redazione di linee guida. Di seguito, alcune di quelle che ritengo più rilevanti per un operatore dell’emergenza-urgenza (in ordine alfabetico):

  • American College of Emergency Physician: rilascia documenti, in forma di “domande e risposte”, definiti “Clinical Policies”, nei quali fornisce raccomandazioni basate su estese valutazioni sistematiche della letteratura (link diretto). Lo stesso organismo pubblica i cosiddetti “Policy Statements”, più focalizzati, che possono essere considerati delle opinioni di esperti (quelli del Board of Directors) riguardanti temi anche non strettamente clinici (link diretto).
  • American Heart Association: redige linee guida su numerosi condizioni cardiovascolari (link diretto).
  • Eastern Association of Surgery of Trauma: focalizzata naturalmente sulla traumatologia, ha rilasciato numerose linee guida scaricabili gratuitamente (link diretto).
  • European Society of Cardiology: altra autorevole fonte di linee guida in ambito cardiovascolare (link diretto).
  • Infectious Diseases Society of America: pubblica, anche sul propria rivista ufficiale, “Clinical Infectious Diseases”, autorevoli e note linee guida in ambito infettivologico (link diretto).
  • GOLD e GINA: sono due iniziative di portata mondiale che redigono, tra le altre attività, raccomandazioni aggiornate molto frequentemente. Quelle GOLD riguardano la bronco pneumopatia cronica ostruttiva (link diretto), quelle GINA l’asma (link diretto). I link conducono alle traduzioni in italiano dei rispettivi documenti.
  • NICE: il britannico “National Institute for Health and clinical excellence” prepara molteplici documenti evidence based (che indica come “Guidance”) tra cui anche linee guida. E’ possibile ricercarle e scaricarle gratuitamente direttamente dal sito dell’istituto (link diretto).
  • SIGN: lo Scottish Intercollegiate Guidelines Network è un’istituzione pubblica che redige linee guida per il sistema Sanitario Inglese, aggiornate periodicamente, su molteplici argomenti (link diretto).

 

In Italia

Nel nostro Paese non esistono, che mi risulti, molte iniziative di promozione e diffusione di linee guida di respiro nazionale. Tra queste citerei il Piano Nazionale Linee Guida (link diretto), in cui sono raccolte linee guida istituzionali riguardanti vari argomenti.

Bibliografia

  1. Institute of Medicine. Graham R, Mancher M, Wolman DM, Greenfield S, Steinberg E, editor(s). Clinical practice guidelines we can trust. Washington (DC): National Academies Press; 2011. 2p. Link

  2. Lenzer J, Hoffman J, Furberg C, Ioannidis J. Ensuring the integrity of clinical practice guidelines: a tool for protecting patients. BMJ 2013; 347: f5535. Link

Note: la ricerca bibliografica contenuta in questo post ha solo un scopo esemplificativo e non può considerarsi completa o validata. Tutte le ricerche sono state effettuate il 4 febbraio 2014.





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